Turandot: differenze tra le versioni

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== La fiaba di Turandot raccontata in un libro illustrato ==

=== Turandot - raccontata da Monica E.Lapenta, illustrata da Stefania Pravato ===
La fiaba teatrale di Carlo Gozzi assume qui la forma di libro illustrato.

L’autrice riassume i tre atti dell’opera in appena quindici pagine raccontando gli eventi che costituiscono l’essenza della storia senza rinunciare ai dettagli che la rendono tanto affascinante. Ogni pagina del libro è “poliglotta”: la storia viene raccontata in italiano, inglese, francese e spagnolo. All’interno delle prime pagine del libro l’autrice svela ai lettori l’origine della storia che sta per raccontare: “''Turandot è un dramma lirico in tre atti tratto dall’omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi e adattato dai librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni. Fu rappresentata per la prima volta a Milano, al teatro della scala. Il 25 aprile 1926. L’ultimo duetto ed il finale dell’opera sono stati completati da Franco Alfano dopo la morte di Giacomo Puccini sulla base di appunti lasciati dal grande maestro toscano.''”

Le illustrazioni corrispondono alle scene che ciascun lettore- con la propria immaginazione- potrebbe visualizzare leggendo il libretto originale dell’Opera e lo immergono in un’atmosfera sfumata, di sogno, forse grazie alla delicatezza con cui viene fatto uso del colore. La prima illustrazione del libro corrisponde in effetti allo scenario descritto nel primo atto; un mandarino dichiara al popolo di Pechino la legge: “''Popolo di Pekino! La legge è questa:Turandot, la Pura, sposa sarà di chi, di sangue regio, spieghi i tre enigmi ch’ella proporrà. Ma chi affronta il cimento e vinto resta, porge alla scure la superba testa!''”. Nell’illustrazione è presente il palazzo reale e lo spiazzo sul quale il mandarino fa il suo annuncio, accanto ad un grande gong. L’autrice spiega ai lettori la legge stabilita dalla principessa e dall’imperatore nella pagina successiva: “… ''chiunque voleva chiedere la sua mano doveva anzitutto trovare soluzione a tre indovinelli da lei ideati ma se avesse fallito, avrebbe perso la vita''”.

Autrice e illustratrice non risparmiano ai lettori la scena del principe di Persia che avendo fallito nel suo intento si prepara ad essere decapitato: in primo piano il boia di spalle con una grandissima sciabola; accanto al principe inginocchiato per terra con la testa abbassata, la morte imminente viene rappresentata da un grande drago verde che mostra denti e artigli e avvolge le pagine con le sue grandissime ali rosse.

Non manca una pagina dedicata ai ministri Ping, Pong e Pang che si riuniscono per preparare una cerimonia nuziale in caso di vittoria del principe o una funebre in caso di sconfitta e insieme “''ricordano con amarezza e tanta nostalgia i tempi felici del regno, prima che Turandot nascesse''” (la parte dell’opera in cui i ministri cantano “''ho una casa nell’Honan con il suo laghetto blù tutto cinto di bambù. E sto qui a dissiparmi la mia vita, a stillarmi il cervel sui libri sacri... e potrei tornar laggiù, presso il mio laghetto blu, tutto cinto di bambù!''”).

L’autrice non riporta nello specifico i tre enigmi della principessa Turandot, ma racconta che Calaf riesce ad indovinarli e non volendo costringere Turandot a sposarlo “''disse che avrebbe rinunciato ad averla in sposa se, prima del sorgere del sole, la giovane avesse indovinato il suo nome''”. Così come nell’Opera questa dichiarazione (“''Tre enigmi m’hai proposto! e tre ne sciolsi! Uno soltanto a te ne proporrò: il mio nome non sai! Dimmi il mio nome, prima dell’alba! e all’alba morirò!''”) chiude il secondo atto, anticipando nella melodia l’aria “Nessun dorma” che apre il terzo, nel libro le parole del principe chiudono la pagina preparando il lettore alla successiva scena notturna, nella pagina seguente.

<u>L’unico dettaglio della storia che l’autrice ha modificato</u> rispetto al libretto è estremamente rilevante perché rappresenta la chiave del cambiamento che avviene nel cuore della principessa: si tratta del <u>suicidio della schiava Liù</u>, segretamente innamorata del principe Calaf. Nella versione originale Liù, dopo aver sopportato la tortura inflittale dai soldati per ordine della principessa, decide di togliersi la vita per paura di poter cedere e rivelare così il nome di Calaf. Le battute più importanti sono proprio quelle in cui Liù svela alla principessa quale sia la fonte della sua forza e del suo coraggio:

“''Turandot: Chi pose tanta forza nel tuo cuore?'' 

''Liù (dolcissimo): Principessa, l’amore!...''

''Turandot: L’amore?...''

''Liù (sollevando gli occhi pieni di tenerezza): Tanto amore, segreto, inconfessato, grande così che questi strazi son dolcezze per me, perché ne faccio dono al mio Signore... Perché, tacendo, io gli do il tuo amore... Te gli do, principessa, e perdo tutto! Persino l’impossibile speranza!... Legatemi! Straziatemi! Tormenti e spasimi date a me! Ah!... Come offerta suprema del mio amore!”''

Nella versione dell’autrice Liù non si toglie la vita: “''la dolce Liù, per salvare Timur, disse di essere l’unica a conoscere il nome del giovane e di non volerlo rivelare e per questo fu uccisa''”.



'''Fonti''' <sup>[1]</sup>

<sup>[2]</sup>
# '''^''' '<nowiki/>'''Turandot, raccontata da monica E. Lapenta, illustrata da Stefania Pravato'','' Ex Libris'', 2008'''''
# '''^''' ''http://www.teatroallascala.org/includes/doc/2010-2011/libretto/turandot_libretto.pdf''
[[Categoria:Opere liriche di Giacomo Puccini|Turandot]]
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Versione delle 20:05, 29 mag 2015

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Turandot

Locandina di Turandot del 1926
Lingua originaleitaliano
MusicaGiacomo Puccini (finale completato da Franco Alfano)
LibrettoGiuseppe Adami e Renato Simoni
Fonti letterarieTurandot di Carlo Gozzi
Attitre
Epoca di composizioneluglio 1920 - ottobre 1924
Prima rappr.25 aprile 1926
TeatroTeatro alla Scala di Milano
Versioni successive
Un nuovo finale dell'opera è stato composto da Luciano Berio (2001)
Personaggi
  • Turandot, principessa (soprano)
  • Altoum, suo padre, imperatore della Cina (tenore)
  • Timur, re tartaro spodestato (basso)
  • Calaf, il Principe Ignoto, suo figlio (tenore)
  • Liú, giovane schiava, guida di Timur (soprano)
  • Ping, Gran Cancelliere (baritono)
  • Pang, Gran Provveditore (tenore)
  • Pong, Gran Cuciniere (tenore)
  • Un Mandarino (baritono)
  • Il Principe di Persia (tenore)
  • Il Boia (Pu-Tin-Pao) (comparsa)
  • Guardie imperiali - Servi del boia - Ragazzi - Sacerdoti - Mandarini - Dignitari - Gli otto sapienti - Ancelle di Turandot - Soldati - Portabandiera - Ombre dei morti - Folla
AutografoArchivio Storico Ricordi, Milano

«Chi quel gong percuoterà
apparire la vedrà
bianca al pari della giada
fredda come quella spada
è la bella Turandot!»

Turandot (pronuncia: turanˈdɔ) è un'opera in 3 atti e 5 quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, lasciata incompiuta da Giacomo Puccini (morto il 29 novembre 1924) e successivamente completata da Franco Alfano.

La prima rappresentazione ebbe luogo nell'ambito della stagione lirica del Teatro alla Scala di Milano il 25 aprile 1926, con Rosa Raisa, Francesco Dominici, Miguel Fleta, Maria Zamboni, Giacomo Rimini e Giuseppe Nessi sotto la direzione di Arturo Toscanini, il quale arrestò la rappresentazione a metà del terzo atto, due battute dopo il verso «Dormi, oblia, Liù, poesia!» (alla morte di Liù), ovvero dopo l'ultima pagina completata dall'autore, rivolgendosi al pubblico con queste parole: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto.» La sera seguente, l'opera fu rappresentata, sempre sotto la direzione di Toscanini[senza fonte], includendo anche il finale di Alfano.

L'incompiutezza dell'opera è oggetto di discussione tra gli studiosi. C'è chi sostiene che Turandot rimase incompiuta non a causa dell'inesorabile progredire del male che affliggeva l'autore, bensì per l'incapacità, o piuttosto l'intima impossibilità da parte del Maestro di interpretare quel trionfo d'amore conclusivo, che pure l'aveva inizialmente acceso d'entusiasmo e spinto verso questo soggetto. Il nodo cruciale del dramma, che Puccini cercò invano di risolvere, è costituito dalla trasformazione della principessa Turandot, algida e sanguinaria, in una donna innamorata.

Caratteri generali

Il soggetto dell'opera, ispirato al nome dell'eroina di una novella persiana, fu tratto dall'omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi, già oggetto di importanti adattamenti musicali: dalle musiche di scena composte da Carl Maria von Weber nel 1809, all'opera di Ferruccio Busoni, rappresentata nel 1917 e preceduta da suite orchestrale (op. 41) eseguita per la prima volta nel 1906.

Più esattamente, il libretto dell'opera di Puccini si basa, molto liberamente, sulla traduzione di Andrea Maffei dell'adattamento tedesco di Friedrich Schiller del lavoro di Gozzi. L'idea per l'opera venne al compositore in seguito a un incontro con i librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni, avvenuto a Milano nel marzo 1920. Nell'agosto dello stesso anno, quando si trovava per un soggiorno termale a Bagni di Lucca, il compositore poté ascoltare, grazie al suo amico barone Fassini, che era stato per qualche tempo console italiano in Cina, un carillon con temi musicali proveniente da quel paese. Alcuni di questi temi sono presenti nella stesura definitiva della partitura.

Alla fine della sua parabola creativa Puccini si cimentò con un soggetto fiabesco, d'impronta fantastica. Non era mai accaduto, se si eccettua la scena finale della sua prima opera, Le Villi.

La genesi

Nel Natale del 1920 Puccini riceve la prima stesura in versi del libretto del primo atto. Nel gennaio del 1921 giunge a Puccini la versione definitiva del testo del primo atto, e nell'agosto dello stesso anno la partitura è completata. In settembre Puccini scrive: «Turandot dovrebbe essere in due atti, che ne dici? Non ti pare troppo, diluire dopo gli enigmi per giungere alla scena finale? Restringere avvenimenti, eliminarne altri, arrivare ad una scena finale dove l'amore esploda»[1]. Il vero ostacolo per il compositore fu, fin dall'inizio, la trasformazione del personaggio di Turandot, da principessa fredda e vendicativa a donna innamorata. Ancora l'autore scriveva: «Il duetto [tra Calaf e Turandot] per me dev'essere il clou - ma deve avere dentro a sé qualcosa di grande, di audace, di imprevisto e non lasciar le cose al punto del principio [...] Potrei scrivere un libro su questo argomento»[2]. E ancora: «Il duetto! Il duetto! tutto il decisivo, il bello, il vivamente teatrale è lì! [...] Il travaso d'amore deve giungere come un bolide luminoso in mezzo al clangore del popolo che estatico lo assorbe attraverso i nervi tesi come corde di violoncelli frementi»[2].

Puccini si lamentò spesso della lentezza con cui i due librettisti rispondevano alle sue richieste di revisioni del libretto, ma si può dubitare che questo sia il vero motivo per cui l'opera è rimasta incompiuta. Nel giugno 1922 il compositore confermò a Casa Ricordi che «Simoni e Adami mi hanno consegnato con mia completa soddisfazione il libretto di Turandot finito»[2]; eppure i dubbi non erano scomparsi e sei mesi dopo confessava ad Adami: «Di Turandot niente di buono [...] Se io avessi avuto un soggettino come da tempo lo cercavo e lo cerco, a quest'ora sarei in scena. Ma quel mondo cinese! A Milano deciderò qualcosa, forse restituisco i soldi a Ricordi e mi libero».

I soldi non furono restituiti e nel dicembre del 1923 Puccini aveva completato tutta la partitura fino alla morte di Liù, cioè fino all'inizio del duetto cruciale. Di questo finale egli stese solo una versione in abbozzo discontinuo. Puccini morì a Bruxelles il 29 novembre 1924, lasciando le bozze del duetto finale così come le aveva scritte il dicembre precedente.

Trama

L'azione si svolge a Pechino, «al tempo delle favole».

File:Turandot.jpg
Turandot, regia Roberto De Simone, Elena Pankratova è Turandot. Gennaio 2012, Teatro Comunale di Bologna

Atto I

Un mandarino annuncia pubblicamente il solito editto: Turandot, figlia dell'Imperatore, sposerà quel pretendente di sangue reale che abbia svelato tre indovinelli da lei stessa proposti; colui però che non sappia risolverli, dovrà essere decapitato. Il principe di Persia, l'ultimo dei tanti pretendenti sfortunati, ha fallito la prova e sarà giustiziato al sorger della luna. All'annuncio, tra la folla desiderosa di assistere all'esecuzione, sono presenti il vecchio Timur che, nella confusione, cade a terra e la sua schiava fedele Liù chiede aiuto. Un giovane si affretta ad aiutare il vegliardo: è Calaf, che riconosce nell'anziano uomo suo padre, re tartaro spodestato. Si abbracciano commossi e il giovane Calaf prega il padre e la schiava Liù, molto devota, di non pronunciare il suo nome: ha paura, infatti, dei regnanti cinesi, i quali hanno usurpato il trono del padre. Nel frattempo il boia affila la lama preparandola per l'esecuzione, fissata per il momento in cui sorgerà la luna, la folla si agita ulteriormente.

Ai primi chiarori lunari, entra il corteo che accompagna la vittima. Alla vista del giovane principe, la folla, prima eccitata, si commuove per la giovane età della vittima, e ne invoca la grazia. Turandot allora entra e, glaciale, ordina il silenzio alla folla e con un gesto dà l'ordine al boia di giustiziare il Principe.

Calaf, che prima l'aveva maledetta per la sua crudeltà, è ora impressionato dalla regale bellezza di Turandot, e decide di tentare anche lui la risoluzione dei tre enigmi. Timur e Liù tentano di dissuaderlo, ma lui si lancia verso il gong dell'atrio del palazzo imperiale. Tre figure lo fermano: sono Ping, Pong e Pang, tre ministri del regno, che tentano di convincere Calaf a lasciar perdere, descrivendo l'insensatezza dell'azione che sta per compiere. Ma Calaf, quasi in una sorta di delirio, si libera di loro e suona tre volte il gong, invocando il nome di Turandot. Turandot appare quindi sulla loggia imperiale del palazzo e accetta la sfida.

Atto II

È notte. Ping, Pong e Pang si lamentano di come, in qualità di ministri del regno, siano costretti ad assistere alle esecuzioni delle troppe sfortunate vittime di Turandot, mentre preferirebbero vivere tranquillamente nei loro possedimenti in campagna.

Sul piazzale della reggia, tutto è pronto per il rito dei tre enigmi. C'è una lunga scalinata in cima alla quale si trova il trono in oro e pietre preziose dell' imperatore. Da un lato ci sono i sapienti, i quali custodiscono le soluzioni degli enigmi, poi ci sono il popolo, il Principe ignoto ed i tre ministri. ci sono anche Liù e Timur. L'imperatore Altoum invita il principe ignoto, Calaf, a desistere, ma quest'ultimo rifiuta. Il mandarino fa dunque iniziare la prova, ripetendo l'editto imperiale, mentre entra Turandot. La bella principessa spiega il motivo del suo comportamento: molti anni prima il suo regno era caduto nelle mani dei tartari e, in seguito a ciò, una sua antenata era finita nelle mani di uno straniero. In ricordo della sua morte, Turandot aveva giurato che non si sarebbe mai lasciata possedere da un uomo: per questo, aveva inventato questo rito degli enigmi, convinta che nessuno li avrebbe mai risolti.

Calaf riesce a risolvere uno dopo l'altro gli enigmi e la principessa, disperata e incredula, si getta ai piedi del padre, supplicandolo di non consegnarla allo straniero. Ma per l'imperatore la parola data è sacra. Turandot si rivolge allora al Principe e lo ammonisce che in questo modo egli avrà solo una donna riluttante e piena d'odio. Calaf la scioglie allora dal giuramento proponendole a sua volta una sfida: se la principessa, prima dell'alba, riuscirà a scoprire il suo nome, egli le regalerà la sua vita. Il nuovo patto è accettato, mentre risuona un'ultima volta, solenne, l'inno imperiale.

Atto III

È notte e in lontananza si sentono gli araldi che portano l'ordine della principessa: quella notte nessuno deve dormire in Pechino, il nome del principe ignoto deve essere scoperto a ogni costo, pena la morte. Calaf intanto è sveglio, convinto di vincere e sognando le labbra di Turandot, finalmente libera dall'odio e dall'indifferenza.

Giungono Ping, Pong e Pang, che offrono a Calaf qualsiasi cosa per il suo nome. Ma il principe rifiuta. Nel frattempo, Liù e Timur vengono portati davanti ai tre ministri. Appare anche Turandot, che ordina loro di parlare. Liù, per difendere Timur, afferma di essere la sola a conoscere il nome del principe ignoto, ma dice anche che non svelerà mai questo nome. Subisce molte torture, ma continua a tacere, riuscendo a stupire Turandot: le chiede cosa le dia tanta forza per sopportare le torture, e Liù risponde che è l'amore a darle questa forza.

Turandot è turbata da questa dichiarazione, ma torna ad essere la solita gelida principessa: ordina ai tre ministri di scoprire a tutti i costi il nome del principe ignoto. Liù, sapendo che non riuscirà a tenerlo nascosto ancora, strappa di sorpresa il fermacapelli (che è anche un pugnale) alla principessa e si trafigge a morte, cadendo esanime ai piedi di Calaf.

Il corpo senza vita di Liù viene portato via seguito dalla folla che prega. Turandot e Calaf restano soli e lui la bacia. La principessa dapprima lo respinge, ma poi ammette di aver avuto paura di lui la prima volta che l'aveva visto, e di essere ormai travolta dalla passione. Tuttavia ella è molto orgogliosa, e supplica il principe di non volerla umiliare. Calaf le fa il dono della vita e le rivela il nome: Calaf, figlio di Timur. Turandot, saputo il nome, potrà perderlo, se vuole.

Il giorno dopo, davanti al palazzo reale, davanti al trono imperiale è riunita una grande folla. Squillano le trombe. Turandot dichiara pubblicamente di conoscere il nome dello straniero: «il suo nome è Amore». Tra le grida di giubilo della folla la principessa si abbandona tra le braccia di Calaf.

Il finale "incompiuto"

In realtà il lavoro sulla Turandot da parte dello stesso autore non rimase effettivamente incompiuto. Certamente a questo episodio contribuì anche - e non poco - il fatto che Puccini stesso in quel periodo non godesse di buone condizioni di salute, tanto che morirà prematuramente poco tempo dopo per un tumore maligno alla gola. Puccini, dopo aver scritto l'ultimo coro funebre (dedicato alla morte di Liù), in cui raggiunse "il massimo splendore" della sua musica, non volle più continuare, ritenendo il lavoro già perfettamente concluso. Il lavoro di stesura di un vero e proprio finale alternativo iniziò praticamente poche settimane prima della morte, quando l'autore stava per essere ricoverato, ma non rimasero che abbozzi più o meno compiuti. Gli abbozzi sono sparsi su 23 fogli che il Maestro portò con sé presso la clinica di Bruxelles in cui fu ricoverato nel tentativo di curare il male che lo affliggeva. Puccini non aveva indicato in modo esplicito nessun altro compositore per il completamento dell'opera. L'editore Ricordi decise allora, su pressione di Arturo Toscanini e di Antonio, il figlio di Giacomo, di affidare la composizione al napoletano Franco Alfano (allora Direttore del Conservatorio di Torino), che due anni prima si era distinto nella composizione di un'opera, La leggenda di Sakùntala, caratterizzata da una suggestiva ambientazione orientale.

La composizione del finale procedette lentamente a causa sia della malattia agli occhi di cui Alfano soffriva che della richiesta da parte dell'editore Ricordi (sollecitato da Toscanini che non ritenne all'altezza una prima versione consegnata) di rifare il lavoro. In un primo momento Alfano compose integralmente una propria versione del finale, incorporando nel miglior modo possibile i materiali rimasti negli abbozzi pucciniani. Questa è la vera e propria versione integrale del finale di Alfano, che oggi viene erroneamente considerata come "prima versione" ed eseguita piuttosto raramente. Nella nuova versione (comunemente eseguita), Alfano fu costretto ad attenersi più fedelmente agli schizzi e tagliò centodieci battute degli appunti pucciniani e forse anche parte dei propri. L'effetto di questi interventi, che l'autore eseguì molto controvoglia, è avvertibile nella condotta armonica e drammatica, piuttosto vuota e a tratti irregolare. Inoltre Alfano trascurò alcuni schizzi di Puccini e richiese la partitura d'orchestra del resto dell'opera solo pochi giorni prima di consegnare il lavoro.

A partire dalla scoperta della prima versione di Alfano, sono state studiate e proposte varie soluzioni alternative. Una studiosa statunitense, Janet Maguire, si è cimentata nello studio degli abbozzi per dodici anni (1976-1988) per comporre una nuova versione del finale. La sua versione non è stata tuttavia mai eseguita. Si dovette attendere il 2001 per ascoltare un nuovo finale di Turandot, commissionato a Luciano Berio dal Festival de Musica de Gran Canaria, basato anch'esso sugli abbozzi lasciati da Puccini e ufficialmente riconosciuto dalla Ricordi.

Il punto più controverso del materiale lasciato da Puccini è costituito dall'episodio del bacio. È il momento clou dell'intera opera: la trasformazione di Turandot da principessa di gelo a donna innamorata. Se nell'abbozzo pucciniano le prime 56 battute del finale sono già ad uno stadio di elaborazione avanzato, questo episodio appare forse abbozzato in un solo foglio, secondo l'ipotesi di Harold Powers e William Ashbrook.[3]

Se Berio ha imbastito un esteso episodio sinfonico a partire da questa pagina, Alfano si limitò a comporre sedici nuove battute, ridotte nella versione definitiva a un solo accordo seguito da pochi colpi di timpano.

In un precedente schizzo di Puccini, al medesimo episodio è abbinato un diverso materiale tematico. Sul foglio 11 recto egli aveva infatti scritto le ultime due battute, seguite da una battuta con un accenno del tema per il bacio, per poi cancellarle e riscriverle sull'altro lato del foglio. Il tema in questione è lo stesso che poche battute prima Turandot canta sulle parole «No, mai nessun m'avrà! Dell'ava lo strazio non si rinnoverà!»: ciò sembrerebbe attestare come l'idea del compositore lucchese potesse essere radicalmente diversa da quella dei suoi più giovani colleghi. Un bacio su questo tema accentrerebbe infatti l'attenzione sul cedimento della principessa, piuttosto che sul suo orgoglio ferito, come nella versione di Alfano, o sulla trasformazione più interiorizzata della versione di Berio.

Organico orchestrale

La partitura prevede l'utilizzo di:

3 flauti (III anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 2 clarinetti in Sib, clarinetto basso in Sib, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni in Fa, 3 trombe in Fa, 3 tromboni, trombone contrabbasso, timpani, triangolo, rullante, grancassa, piatti, tam tam, gong cinesi, glockenspiel, xilofono, xilofono basso, campane tubolari, celesta, 2 arpe, organo, violini (I e II), viole, violoncelli, contrabbassi;

inoltre, sulla scena:

2 sassofoni contralti in Mib, 6 trombe in Sib, 3 tromboni, trombone basso, tamburo di legno, gong grave (o tam tam).

Brani celebri

Atto I

  • Gira la cote!, (coro del popolo e dei servi del boia)
  • Invocazione alla luna (coro)
  • Là sui monti dell'est (coro di ragazzini che invocano Turandot; melodia tratta dalla canzone folk cinese Mo Li Hua).
  • Signore, ascolta!, romanza di Liù
  • Non piangere, Liú!, romanza di Calaf
  • Concertato finale

Atto II

  • Olà Pang! Olà Pong!, terzetto delle maschere
  • In questa reggia, aria di Turandot
  • Straniero, ascolta!, scena degli enigmi

Atto III

Citazione dall'aria In questa reggia.

Bibliografia

  • William Ashbrook, Harold Powers, Turandot di Giacomo Puccini. La fine della grande tradizione, Ricordi, Milano 2006. ISBN 978-88-7592-823-0 (edizione originale in lingua inglese, Puccini's Turandot. The End of the Great Tradition, Princeton, Princeton University Press, 1991. ISBN 0-691-09137-4).
  • Jürgen Maehder, Turandot (con Sylvano Bussotti), Pisa, Giardini, 1983.
  • Jürgen Maehder, Puccini's Turandot – Tong hua, xi ju, ge ju, Taipei, Gao Tan Publishing, 1998, 287 pp. (in collaboratione con Kii-Ming Lo).
  • Jürgen Maehder, Puccini's Turandot – A Fragment, in Turandot, a cura di: Nicholas John, London/New York, John Calder/Riverrun, 1984, pp. 35–53.
  • Jürgen Maehder, Studi sul carattere di frammento della «Turandot» di Giacomo Puccini, in: Quaderni Pucciniani 2/1985, Milano, Istituto di Studi Pucciniani, 1986, pp. 79–163.
  • Jürgen Maehder, La trasformazione interrotta della principessa. Studi sul contributo di Franco Alfano alla partitura di Turandot, in Esotismo e colore locale nell'opera di Puccini, a cura di Jürgen Maehder, Pisa, Giardini, 1985, pp. 143–170.
  • Jürgen Maehder, Turandot-Studien, Deutsche Oper Berlin, Beiträge zum Musiktheater VI, Spielzeit 1986/87, pp. 157–187.

Note

  1. ^ Cit. in: Nigel Jamieson, Un'opera nel tormento, Amadeus, giugno 1997
  2. ^ a b c Ibidem
  3. ^ William Ashbrook, Harold Powers, Turandot di Giacomo Puccini. La fine della grande tradizione, Ricordi, Milano 2006, p. 209.

Discografia

Incisioni in studio

Anno Cast (Turandot, Liù, Calaf, Timur, Ping) Direttore Etichetta
1938 Gina Cigna, Magda Olivero, Francesco Merli, Luciano Neroni, Afro Poli Franco Ghione Warner Fonit
1953 Inge Borkh, Renata Tebaldi, Mario Del Monaco, Nicola Zaccaria, Fernando Corena Alberto Erede Decca Records
1957 Maria Callas, Elisabeth Schwarzkopf, Eugenio Fernandi, Nicola Zaccaria, Mario Borriello Tullio Serafin EMI Classics
1960 Birgit Nilsson, Renata Tebaldi, Jussi Björling, Giorgio Tozzi, Mario Sereni Erich Leinsdorf RCA Victor
1965 Birgit Nilsson, Renata Scotto, Franco Corelli, Bonaldo Giaiotti, Guido Mazzini Francesco Molinari Pradelli EMI Classics
1972 Joan Sutherland, Montserrat Caballé, Luciano Pavarotti, Nicolaj Ghiaurov, Tom Krause Zubin Mehta Decca Records
1977 Montserrat Caballé, Mirella Freni, José Carreras, Paul Plishka, Vicente Sardinero Alain Lombard EMI Classics
1981 Katia Ricciarelli, Barbara Hendricks, Plácido Domingo, Ruggero Raimondi, Gottfried Hornik Herbert von Karajan Deutsche Grammophon
1992 Éva Marton, Margaret Price, Ben Heppner, Jan-Hendrik Rootering, Bruno de Simone Roberto Abbado RCA Victor

Registrazioni dal vivo

Anno Cast (Turandot, Liù, Calaf, Timur) Direttore Registrazione
1961 Birgit Nilsson, Leontyne Price, Giuseppe Di Stefano, Nicola Zaccaria Francesco Molinari Pradelli Wiener Staatsoper, 22 giugno
1989 Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Roberto Scandiuzzi Daniel Oren Teatro Margherita, 20-27 gennaio
2008 Maria Dragoni, Maria Luigia Borsi, Franco Farina Keri Lynn Wilson Teatro dei Quattromila, Torre del Lago Puccini
2009 Maria Guleghina, Marina Poplavskaja, Marcello Giordani, Samuel Ramey Andris Nelsons Metropolitan Opera House, 3 novembre

DVD parziale

Anno Cast (Turandot, Liù, Calaf, Timur) Direttore Etichetta
1983 Éva Marton, Katia Ricciarelli, José Carreras, John Paul Bogart Lorin Maazel TDK
1983 Ghena Dimitrova, Cecilia Gasdia, Nicola Martinucci, Ivo Vinco Maurizio Arena NVC Arts
1988 Éva Marton, Leona Mitchell, Plácido Domingo, Paul Plishka James Levine Deutsche Grammophon
1998 Giovanna Casolla, Barbara Frittoli, Sergej Larin, Carlo Colombara Zubin Mehta Warner Classics

Altri progetti

Collegamenti esterni

Controllo di autoritàVIAF (EN179002935 · LCCN (ENn2001066409 · GND (DE300122543 · J9U (ENHE987007587749605171

La fiaba di Turandot raccontata in un libro illustrato

Turandot - raccontata da Monica E.Lapenta, illustrata da Stefania Pravato

La fiaba teatrale di Carlo Gozzi assume qui la forma di libro illustrato.

L’autrice riassume i tre atti dell’opera in appena quindici pagine raccontando gli eventi che costituiscono l’essenza della storia senza rinunciare ai dettagli che la rendono tanto affascinante. Ogni pagina del libro è “poliglotta”: la storia viene raccontata in italiano, inglese, francese e spagnolo. All’interno delle prime pagine del libro l’autrice svela ai lettori l’origine della storia che sta per raccontare: “Turandot è un dramma lirico in tre atti tratto dall’omonima fiaba teatrale di Carlo Gozzi e adattato dai librettisti Giuseppe Adami e Renato Simoni. Fu rappresentata per la prima volta a Milano, al teatro della scala. Il 25 aprile 1926. L’ultimo duetto ed il finale dell’opera sono stati completati da Franco Alfano dopo la morte di Giacomo Puccini sulla base di appunti lasciati dal grande maestro toscano.

Le illustrazioni corrispondono alle scene che ciascun lettore- con la propria immaginazione- potrebbe visualizzare leggendo il libretto originale dell’Opera e lo immergono in un’atmosfera sfumata, di sogno, forse grazie alla delicatezza con cui viene fatto uso del colore. La prima illustrazione del libro corrisponde in effetti allo scenario descritto nel primo atto; un mandarino dichiara al popolo di Pechino la legge: “Popolo di Pekino! La legge è questa:Turandot, la Pura, sposa sarà di chi, di sangue regio, spieghi i tre enigmi ch’ella proporrà. Ma chi affronta il cimento e vinto resta, porge alla scure la superba testa!”. Nell’illustrazione è presente il palazzo reale e lo spiazzo sul quale il mandarino fa il suo annuncio, accanto ad un grande gong. L’autrice spiega ai lettori la legge stabilita dalla principessa e dall’imperatore nella pagina successiva: “… chiunque voleva chiedere la sua mano doveva anzitutto trovare soluzione a tre indovinelli da lei ideati ma se avesse fallito, avrebbe perso la vita”.

Autrice e illustratrice non risparmiano ai lettori la scena del principe di Persia che avendo fallito nel suo intento si prepara ad essere decapitato: in primo piano il boia di spalle con una grandissima sciabola; accanto al principe inginocchiato per terra con la testa abbassata, la morte imminente viene rappresentata da un grande drago verde che mostra denti e artigli e avvolge le pagine con le sue grandissime ali rosse.

Non manca una pagina dedicata ai ministri Ping, Pong e Pang che si riuniscono per preparare una cerimonia nuziale in caso di vittoria del principe o una funebre in caso di sconfitta e insieme “ricordano con amarezza e tanta nostalgia i tempi felici del regno, prima che Turandot nascesse” (la parte dell’opera in cui i ministri cantano “ho una casa nell’Honan con il suo laghetto blù tutto cinto di bambù. E sto qui a dissiparmi la mia vita, a stillarmi il cervel sui libri sacri... e potrei tornar laggiù, presso il mio laghetto blu, tutto cinto di bambù!”).

L’autrice non riporta nello specifico i tre enigmi della principessa Turandot, ma racconta che Calaf riesce ad indovinarli e non volendo costringere Turandot a sposarlo “disse che avrebbe rinunciato ad averla in sposa se, prima del sorgere del sole, la giovane avesse indovinato il suo nome”. Così come nell’Opera questa dichiarazione (“Tre enigmi m’hai proposto! e tre ne sciolsi! Uno soltanto a te ne proporrò: il mio nome non sai! Dimmi il mio nome, prima dell’alba! e all’alba morirò!”) chiude il secondo atto, anticipando nella melodia l’aria “Nessun dorma” che apre il terzo, nel libro le parole del principe chiudono la pagina preparando il lettore alla successiva scena notturna, nella pagina seguente.

L’unico dettaglio della storia che l’autrice ha modificato rispetto al libretto è estremamente rilevante perché rappresenta la chiave del cambiamento che avviene nel cuore della principessa: si tratta del suicidio della schiava Liù, segretamente innamorata del principe Calaf. Nella versione originale Liù, dopo aver sopportato la tortura inflittale dai soldati per ordine della principessa, decide di togliersi la vita per paura di poter cedere e rivelare così il nome di Calaf. Le battute più importanti sono proprio quelle in cui Liù svela alla principessa quale sia la fonte della sua forza e del suo coraggio:

Turandot: Chi pose tanta forza nel tuo cuore? 

Liù (dolcissimo): Principessa, l’amore!...

Turandot: L’amore?...

Liù (sollevando gli occhi pieni di tenerezza): Tanto amore, segreto, inconfessato, grande così che questi strazi son dolcezze per me, perché ne faccio dono al mio Signore... Perché, tacendo, io gli do il tuo amore... Te gli do, principessa, e perdo tutto! Persino l’impossibile speranza!... Legatemi! Straziatemi! Tormenti e spasimi date a me! Ah!... Come offerta suprema del mio amore!”

Nella versione dell’autrice Liù non si toglie la vita: “la dolce Liù, per salvare Timur, disse di essere l’unica a conoscere il nome del giovane e di non volerlo rivelare e per questo fu uccisa”.


Fonti [1]

[2]

  1. ^ 'Turandot, raccontata da monica E. Lapenta, illustrata da Stefania Pravato, Ex Libris, 2008
  2. ^ http://www.teatroallascala.org/includes/doc/2010-2011/libretto/turandot_libretto.pdf