Rioccupazione sovietica della Lettonia nel 1944: differenze tra le versioni

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{{vedi anche|Offensiva del Baltico}}


Il [[Heeresgruppe Mitte|Gruppo d'Armate Centro]] nel 1944 stava vivendo un periodo di grave difficoltà e, sulla base del piano previsto dall'[[Armata Rossa]], rischiava di rimanere intrappolato nella regione dove stava affrontando i principali combattimenti, ossia in [[Curlandia]]. I [[Panzer]] di [[Hyazinth Graf Strachwitz]] erano stati spostati nella capitale dell'[[Reichskommissariat Ostland|Ostland]], [[Riga]] o in altre battaglie difensive in cui si riuscì a tamponare temporaneamente l'avanzata sovietica alla fine dell'aprile 1944. La Panzerverband di Strachwitz fu sciolta alla fine di luglio.<ref>{{de}}Karl Heinrich Sperker, ''[https://books.google.it/books?id=6Uq5AAAAIAAJ&q=Panzerverband+Strachwitz+july+1944&dq=Panzerverband+Strachwitz+july+1944&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj46r-C8MzoAhXqo4sKHfazDPUQ6AEILzAB Generaloberst Erhard Raus: ein Truppenführer im Ostfeldzug]'', Biblio, 1988, ISBN 978-37-64-81492-2, p. 187.</ref> All'inizio di agosto, i sovietici erano in grado di riprovare a tagliare il [[Heeresgruppe Nord|Gruppo d'armate Nord]] dal Gruppo d'Armate Centro, cosa che accadde di lì a poco. Strachwitz rimase intrappolato fuori da quella che sarebbe divenuta nota come [[sacca di Curlandia]] e i plotoni furono riorganizzati e integrati da uomini della Panzerbrigade 101 guidati da generale [[Meinrad von Lauchert]]: il risultato fu la [[SS-Panzerbrigade Gross]]. All'interno della sacca erano già finiti i panzer dello [[Sturmgeschütz III]] (appartenenti all'''Hermann von Salza'') e l'ultima delle [[Panzer VI Tiger I|Tigri]] di Jähde. Il 19 agosto 1944 iniziò la controffensiva pianificata dalla [[Wehrmacht]] nota come ''Unternehmen Doppelkopf'' (operazione Doppelkopf).<ref>{{en}}Jesse Russell; Ronald Cohn, ''[https://books.google.it/books?id=2CG1MQEACAAJ&dq=Unternehmen+Doppelkopf+1944&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjitKO4s9ToAhVHr4sKHa_ECeEQ6AEIJTAA Operation Doppelkopf]'', Book on Demand, 2012, ISBN 978-55-12-15836-4.</ref> L'attacco fu preceduto da un bombardamento eseguito dai cannoni da 203 mm dell'[[incrociatore]] [[Prinz Eugen]], i quali distrussero quarantotto [[T-34]] assemblati nella piazza di [[Tukums]]. Quello che restava delle guarnigioni di Strachwitz e del ''[[Nordland]]'' si incontrò il 21 e il contatto tra i gruppi dell'esercito fu ripristinato. La Panzerbrigade 101 fu allora assegnato al [[battaglia di Narva (1944)|distaccamento dell'esercito Narwa]] attivo sul [[offensiva di Tartu|fronte del fiume Emajõgi]], al fine di potenziare la forza tedesca.<ref>{{en}}Raymond Bagdonas, ''[https://books.google.it/books?id=NJrUAgAAQBAJ&pg=PT293&dq=panzerbrigade+101+narva+battle&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj4oPSWutToAhXFtYsKHVdRBDsQ6AEIJTAA#v=onepage&q=panzerbrigade%20101%20narva%20battle&f=false The Devil's General]'', Casemate, 2014, ISBN 978-16-12-00223-1, p. 293.</ref> La situazione critica fu arginata, ma era ormai chiaro quanto la linea nazista fosse diventata fragile. Quando nel 1944 l'Armata Rossa riuscì finalmente a respingere l'[[assedio di Leningrado]], i primi obiettivi di [[Mosca (Russia)|Mosca]] divennero la riconquista dell'[[Paesi baltici|area baltica]], di gran parte dell'[[RSS Ucraina|Ucraina]] e della [[RSS Bielorussa|Bielorussia]].<ref>{{en}}Julie Fedor; Markku Kangaspuro; Jussi Lassila; Tatiana Zhurzhenko, ''[https://books.google.it/books?id=m9FBDwAAQBAJ&pg=PA435&dq=1944+russia+ukraine+belarus+offensive&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjLsLrtutToAhUylIsKHd69DQcQ6AEILTAB#v=onepage&q=1944%20russia%20ukraine%20belarus%20offensive&f=false War and Memory in Russia, Ukraine and Belarus]'', Springer, 2017, ISBN 978-33-19-66523-8, p. 435.</ref>
Il [[Heeresgruppe Mitte|Gruppo d'Armate Centro]] nel 1944 stava vivendo un periodo di grave difficoltà e, sulla base del piano previsto dall'[[Armata Rossa]], rischiava di rimanere intrappolato nella regione dove stava affrontando i principali combattimenti, ossia in [[Curlandia]]. I [[Panzer]] di [[Hyazinth Graf Strachwitz]] erano stati spostati nella capitale dell'[[Reichskommissariat Ostland|Ostland]], [[Riga]] o in altre battaglie difensive in cui si riuscì a tamponare temporaneamente l'avanzata sovietica alla fine dell'aprile 1944. La Panzerverband di Strachwitz fu sciolta alla fine di luglio.<ref>{{cita libro|lingua=de|autore=Karl Heinrich Sperker|url=https://books.google.it/books?id=6Uq5AAAAIAAJ&q=Panzerverband+Strachwitz+july+1944&dq=Panzerverband+Strachwitz+july+1944&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj46r-C8MzoAhXqo4sKHfazDPUQ6AEILzAB|titolo=Generaloberst Erhard Raus: ein Truppenführer im Ostfeldzug|editore=Biblio|anno=1988|isbn=978-37-64-81492-2|p=187}}</ref> All'inizio di agosto, i sovietici erano in grado di riprovare a tagliare il [[Heeresgruppe Nord|Gruppo d'armate Nord]] dal Gruppo d'Armate Centro, cosa che accadde di lì a poco. Strachwitz rimase intrappolato fuori da quella che sarebbe divenuta nota come [[sacca di Curlandia]] e i plotoni furono riorganizzati e integrati da uomini della Panzerbrigade 101 guidati da generale [[Meinrad von Lauchert]]: il risultato fu la [[SS-Panzerbrigade Gross]]. All'interno della sacca erano già finiti i panzer dello [[Sturmgeschütz III]] (appartenenti all'''Hermann von Salza'') e l'ultima delle [[Panzer VI Tiger I|Tigri]] di Jähde. Il 19 agosto 1944 iniziò la controffensiva pianificata dalla [[Wehrmacht]] nota come ''Unternehmen Doppelkopf'' (operazione Doppelkopf).<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Jesse Russell|autore2=Ronald Cohn|titolo=Operation Doppelkopf|editore=Book on Demand|anno=2012|isbn=978-55-12-15836-4}}</ref> L'attacco fu preceduto da un bombardamento eseguito dai cannoni da 203 mm dell'[[incrociatore]] [[Prinz Eugen]], i quali distrussero quarantotto [[T-34]] assemblati nella piazza di [[Tukums]]. Quello che restava delle guarnigioni di Strachwitz e del ''[[Nordland]]'' si incontrò il 21 e il contatto tra i gruppi dell'esercito fu ripristinato. La Panzerbrigade 101 fu allora assegnato al [[battaglia di Narva (1944)|distaccamento dell'esercito Narwa]] attivo sul [[offensiva di Tartu|fronte del fiume Emajõgi]], al fine di potenziare la forza tedesca.<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Raymond Bagdonas|url=https://books.google.it/books?id=NJrUAgAAQBAJ&pg=PT293|titolo=The Devil's General|editore=Casemate|anno=2014|isbn=978-16-12-00223-1|p=293}}</ref> La situazione critica fu arginata, ma era ormai chiaro quanto la linea nazista fosse diventata fragile. Quando nel 1944 l'Armata Rossa riuscì finalmente a respingere l'[[assedio di Leningrado]], i primi obiettivi di [[Mosca (Russia)|Mosca]] divennero la riconquista dell'[[Paesi baltici|area baltica]], di gran parte dell'[[RSS Ucraina|Ucraina]] e della [[RSS Bielorussa|Bielorussia]].<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Julie Fedor|autore2=Markku Kangaspuro|autore3=Jussi Lassila; Tatiana Zhurzhenko|url=https://books.google.it/books?id=m9FBDwAAQBAJ&pg=PA435|titolo=War and Memory in Russia, Ukraine and Belarus|editore=Springer|anno=2017|isbn=978-33-19-66523-8|p=435}}</ref>


Circa 200.000 truppe tedesche resistettero in Curlandia [[Occupazione tedesca della Lettonia#Lettoni affiliati ai tedeschi|coadiuvate dalle forze lettoni]] che si opponevano alla rioccupazione sovietica.<ref name="fritz348">{{en}}Stephen Fritz, ''[https://books.google.it/books?id=cVh0DwAAQBAJ&pg=PA348&dq=200,000+germans+courland+pocket&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwj2ycXDkcLoAhXnwosKHRFmCOAQ6AEIJTAA#v=onepage&q=200%2C000%20germans%20courland%20pocket&f=false The First Soldier: Hitler as Military Leader]'', Yale University Press, 2018, ISBN 978-03-00-24075-7, p. 348.</ref> I russi tentarono di circondare i sopravvissuti anche dalle spalle, con attacchi operati dalle navi militari che solcavano il [[Mar Baltico]]. Nonostante le numerose offensive sferrate che comportarono ingenti perdite tra le fila tedesche, i sovietici non riuscirono a prevalere definitivamente nella sacca. Il [[colonnello generale]] [[Heinz Guderian]], capo dello stato maggiore tedesco, insistette affinché le truppe site in Curlandia si allontanassero via mare per dare supporto in Germania. Tuttavia, [[Hitler]] rifiutò e ordinò alle forze tedesche bloccate di resistere. Egli riteneva fosse necessario proteggere le basi sottomarine tedesche lungo la costa baltica il più a lungo possibile oltre alla città di [[Königsberg]], che aveva un valore simbolico particolare nell'immaginario germanico poiché luogo d'incoronazione dei primi [[sovrani di Prussia|re prussiani]].<ref name="fritz348"/>
Circa 200.000 truppe tedesche resistettero in Curlandia [[Occupazione tedesca della Lettonia#Lettoni affiliati ai tedeschi|coadiuvate dalle forze lettoni]] che si opponevano alla rioccupazione sovietica.<ref name="fritz348">{{cita libro|lingua=en|autore=Stephen Fritz|url=https://books.google.it/books?id=cVh0DwAAQBAJ&pg=PA348|titolo=The First Soldier: Hitler as Military Leader|editore=Yale University Press|anno=2018|isbn=978-03-00-24075-7|p=348}}</ref> I russi tentarono di circondare i sopravvissuti anche dalle spalle, con attacchi operati dalle navi militari che solcavano il [[Mar Baltico]]. Nonostante le numerose offensive sferrate che comportarono ingenti perdite tra le fila tedesche, i sovietici non riuscirono a prevalere definitivamente nella sacca. Il [[colonnello generale]] [[Heinz Guderian]], capo dello stato maggiore tedesco, insistette affinché le truppe site in Curlandia si allontanassero via mare per dare supporto in Germania. Tuttavia, [[Hitler]] rifiutò e ordinò alle forze tedesche bloccate di resistere. Egli riteneva fosse necessario proteggere le basi sottomarine tedesche lungo la costa baltica il più a lungo possibile oltre alla città di [[Königsberg]], che aveva un valore simbolico particolare nell'immaginario germanico poiché luogo d'incoronazione dei primi [[sovrani di Prussia|re prussiani]].<ref name="fritz348"/>


[[File:Eastern Front 1945-01 to 1945-05.png|miniatura|sinistra|L'avanzata sovietica dal 1º gennaio 1945 al 7 maggio 1945]]
[[File:Eastern Front 1945-01 to 1945-05.png|miniatura|sinistra|L'avanzata sovietica dal 1º gennaio 1945 al 7 maggio 1945]]


Il 15 gennaio 1945, il [[Gruppo d'armate Curlandia]] (in [[lingua tedesca|tedesco]] ''Heeresgruppe Kurland'') fu allestito dal colonnello generale Dr. [[Lothar Rendulic]].<ref>{{en}}Nigel Thomas, ''[https://books.google.it/books?id=gKfvCwAAQBAJ&pg=PA1915&dq=15+january+1945+courland+Lothar+Rendulic&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwiwteHllMLoAhVG_SoKHU-1AlwQ6AEIQDAE#v=onepage&q=15%20january%201945%20courland%20Lothar%20Rendulic&f=false The German Army 1939–45 (4): Eastern Front 1943–45]'', Bloomsbury Publishing, 2012, ISBN 978-17-82-00218-5, p. 1915.</ref> Il Gruppo d'armate Curlandia (comprese divisioni quali la Legione lettone Freiwiliger SS) difese strenuamente e con successo l'area degli attacchi fino alla fine della guerra, l'8 maggio 1945, quando il colonnello generale [[Carl Hilpert]], ultimo comandante del gruppo dell'esercito, si arrese al maresciallo [[Leonid Aleksandrovič Govorov|Leonid Govorov]].<ref>{{en}}Ian Baxter, ''[https://books.google.it/books?id=kX8TDgAAQBAJ&pg=PA118&dq=8+may+1945+carl+hilpert+govorov&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwjov_-0lcLoAhXokIsKHTbABQ4Q6AEIJTAA#v=onepage&q=8%20may%201945%20carl%20hilpert%20govorov&f=false The Crushing of Army Group North 1944–1945 on the Eastern Front]'', Pen & Sword Military, 2017, ISBN 978-14-73-86258-6, p. 118.</ref> Nel momento della resa, il gruppo era formato da 31 divisioni di varia forza: erano 14.000 i soldati lettoni. La gran parte di essi fu deportata nei campi di prigionia sovietici nel [[Caucaso]] o in [[Siberia]].<ref>{{en}}Vincent Hunt, ''[https://books.google.it/books?id=T4iWDwAAQBAJ&pg=PA196&dq=14,000+latvians+courland+may+1945&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwi2pYThlsLoAhWVBhAIHfp4DRcQ6AEIJTAA#v=onepage&q=14%2C000%20latvians%20courland%20may%201945&f=false Blood in the Forest: The End of the Second World War in the Courland Pocket]'', Helion and Company, 2017, ISBN 978-19-12-86693-9, p. 196.</ref> L'Unione Sovietica rioccupò la Lettonia come parte dell'[[offensiva del Baltico|offensiva baltica]], un'operazione di duplice importanza sia dal punto di vista politico che militare per sconfiggere le forze tedesche e per "liberare i popoli baltici sovietici".<ref>{{en}}Edward Wegener, ''[https://books.google.it/books?id=PyMgAAAAMAAJ&q=baltic+offensive+soviet&dq=baltic+offensive+soviet&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwi9qO2jk9noAhUQtYsKHYTyDXwQ6AEITzAG The Soviet Naval Offensive]'', Naval Institute Press, 1975, ISBN 978-08-70-21671-8, p. 35.</ref> Tale messaggio propagandistico partì dall'estate-autunno 1944 e perdurò fino alla capitolazione della Germania e delle forze lettoni nella sacca di Curlandia, avvenuta in concomitanza dell'[[Fine della seconda guerra mondiale in Europa|armistizio di maggio]] del 1945. Dopo la seconda guerra mondiale, allo scopo di rendere più semplice l'integrazione dei paesi baltici nell'Unione Sovietica, furono concluse diverse deportazioni di massa e in contemporanea adottata una politica di incoraggiamento per i russi che intendessero trasferirsi in Lettonia. Il 12 gennaio 1949 il Consiglio dei ministri sovietico emise un decreto relativo "all'espulsione e alla deportazione" dalla Lettonia di "tutti i kulaki e le loro famiglie, le famiglie di banditi e nazionalisti" e altre categorie di persone. Si stima che oltre 200.000 baltici siano state deportati tra il 1940 e il 1953.<ref>{{en}}Robert Barlas; Willie Wong, ''[https://books.google.it/books?id=TntTA9dGQHMC&pg=PA27&dq=soviet+deportations+latvia+1944&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi_66GvlNnoAhXus4sKHXsBC5QQ6AEITzAG#v=onepage&q=soviet%20deportations%20latvia%201944&f=false Latvia]'', Marshall Cavendish, 2010, ISBN 978-07-61-44857-0, p. 27.</ref><ref>{{en}}Robert Dubler SC; Matthew Kalyk, ''[https://books.google.it/books?id=oKNyDwAAQBAJ&pg=PA505&dq=soviet+deportations+latvia&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjAoJ-elNnoAhVBxIsKHQTXC70Q6AEINTAC#v=onepage&q=soviet%20deportations%20latvia&f=false Crimes against Humanity in the 21st Century]'', BRILL, 2018, ISBN 978-90-04-34768-7, p. 505.</ref> Almeno 75.000 di essi finirono nei [[gulag]]. Il 10% dell'intera popolazione baltica adulta fu spostata coattivamente o inviata nei campi di lavoro.<ref>{{en}}Associazione dei Lettoni Americani negli USA, ''[https://books.google.it/books?id=qQQqAQAAMAAJ&q=10%25+balts+deported&dq=10%25+balts+deported&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjL99Wk5NroAhUywMQBHafwDGkQ6AEIPjAD Latvian News Digest]'', The Bureau, 1988, p. 27.</ref> Molti ex soldati che sfuggirono alla cattura, si unirono ai gruppi di partigiani nazionali lettoni che ostacolarono, senza successo, la macchina sovietica con operazioni di guerriglia per diversi anni.<ref>{{en}}Andrejs Plakans, ''[https://books.google.it/books?id=w6W2cHgJE2sC&pg=PA360&dq=soldiers+forest+brothers+baltic&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi5vO6d5droAhVMxaYKHZdoA4MQ6AEILTAB#v=onepage&q=soldiers%20forest%20brothers%20baltic&f=false A Concise History of the Baltic States]'', Cambridge University Press, 2011, ISBN 978-05-21-83372-1, pp. 360-361.</ref>
Il 15 gennaio 1945, il [[Gruppo d'armate Curlandia]] (in [[lingua tedesca|tedesco]] ''Heeresgruppe Kurland'') fu allestito dal colonnello generale Dr. [[Lothar Rendulic]].<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Nigel Thomas|url=https://books.google.it/books?id=gKfvCwAAQBAJ&pg=PA1915|titolo=The German Army 1939–45: Eastern Front 1943–45|volume=4|editore=Bloomsbury Publishing|anno=2012|isbn=978-17-82-00218-5|p=1915}}</ref> Il Gruppo d'armate Curlandia (comprese divisioni quali la Legione lettone Freiwiliger SS) difese strenuamente e con successo l'area degli attacchi fino alla fine della guerra, l'8 maggio 1945, quando il colonnello generale [[Carl Hilpert]], ultimo comandante del gruppo dell'esercito, si arrese al maresciallo [[Leonid Aleksandrovič Govorov|Leonid Govorov]].<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Ian Baxter|url=https://books.google.it/books?id=kX8TDgAAQBAJ&pg=PA118|titolo=The Crushing of Army Group North 1944–1945 on the Eastern Front|editore=Pen & Sword Military|anno=2017|isbn=978-14-73-86258-6|p=118}}</ref> Nel momento della resa, il gruppo era formato da 31 divisioni di varia forza: erano 14.000 i soldati lettoni. La gran parte di essi fu deportata nei campi di prigionia sovietici nel [[Caucaso]] o in [[Siberia]].<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Vincent Hunt|url=https://books.google.it/books?id=T4iWDwAAQBAJ&pg=PA196|titolo=Blood in the Forest: The End of the Second World War in the Courland Pocket|editore=Helion and Company|anno=2017|isbn=978-19-12-86693-9|p=196}}</ref> L'Unione Sovietica rioccupò la Lettonia come parte dell'[[offensiva del Baltico|offensiva baltica]], un'operazione di duplice importanza sia dal punto di vista politico che militare per sconfiggere le forze tedesche e per "liberare i popoli baltici sovietici".<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Edward Wegener|url=https://books.google.it/books?id=PyMgAAAAMAAJ&q=baltic+offensive+soviet&dq=baltic+offensive+soviet&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwi9qO2jk9noAhUQtYsKHYTyDXwQ6AEITzAG|titolo=The Soviet Naval Offensive|editore=Naval Institute Press|anno=1975|isbn=978-08-70-21671-8|p=35}}</ref> Tale messaggio propagandistico partì dall'estate-autunno 1944 e perdurò fino alla capitolazione della Germania e delle forze lettoni nella sacca di Curlandia, avvenuta in concomitanza dell'[[Fine della seconda guerra mondiale in Europa|armistizio di maggio]] del 1945. Dopo la seconda guerra mondiale, allo scopo di rendere più semplice l'integrazione dei paesi baltici nell'Unione Sovietica, furono concluse diverse deportazioni di massa e in contemporanea adottata una politica di incoraggiamento per i russi che intendessero trasferirsi in Lettonia. Il 12 gennaio 1949 il Consiglio dei ministri sovietico emise un decreto relativo "all'espulsione e alla deportazione" dalla Lettonia di "tutti i kulaki e le loro famiglie, le famiglie di banditi e nazionalisti" e altre categorie di persone. Si stima che oltre 200.000 baltici siano state deportati tra il 1940 e il 1953.<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Robert Barlas|autore2=Willie Wong|url=https://books.google.it/books?id=TntTA9dGQHMC&pg=PA27|titolo=Latvia|editore=Marshall Cavendish|anno=2010|isbn=978-07-61-44857-0|p=27}}</ref><ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Robert Dubler SC|autore2=Matthew Kalyk|url=https://books.google.it/books?id=oKNyDwAAQBAJ&pg=PA505|titolo=Crimes against Humanity in the 21st Century|editore=BRILL|anno=2018|isbn=978-90-04-34768-7|p=505}}</ref> Almeno 75.000 di essi finirono nei [[gulag]]. Il 10% dell'intera popolazione baltica adulta fu spostata coattivamente o inviata nei campi di lavoro.<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Associazione dei Lettoni Americani negli USA|url=https://books.google.it/books?id=qQQqAQAAMAAJ&q=10%25+balts+deported&dq=10%25+balts+deported&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjL99Wk5NroAhUywMQBHafwDGkQ6AEIPjAD|titolo=Latvian News Digest|editore=The Bureau|anno=1988|p=27}}</ref> Molti ex soldati che sfuggirono alla cattura, si unirono ai gruppi di partigiani nazionali lettoni che ostacolarono, senza successo, la macchina sovietica con operazioni di guerriglia per diversi anni.<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Andrejs Plakans|url=https://books.google.it/books?id=w6W2cHgJE2sC&pg=PA360|titolo=A Concise History of the Baltic States|editore=Cambridge University Press|anno=2011|isbn=978-05-21-83372-1|pp=360-361}}</ref>


=== Trattative sul destino europeo postbellico ===
=== Trattative sul destino europeo postbellico ===
[[File:Bundesarchiv Bild 183-1985-0531-500, Kurland, Evakuierung aus Windau.jpg|miniatura|sinistra|verticale|L'evacuazione da [[Ventspils]], 19 ottobre 1944]]
[[File:Bundesarchiv Bild 183-1985-0531-500, Kurland, Evakuierung aus Windau.jpg|miniatura|sinistra|verticale|L'evacuazione da [[Ventspils]], 19 ottobre 1944]]


In base all'adottato principio di [[diritto internazionale]] definito dalla [[dottrina Stimson]], gli [[USA]] rifiutarono di riconoscere come legittima l'incorporazione forzata della Lettonia da parte dell'Unione Sovietica. Tale volontà emerse per mezzo di una dichiarazione effettuata dal sottosegretario [[Sumner Welles]] il 23 luglio 1940.<ref>{{en}}Tanel Kerikmäe, ''[https://books.google.it/books?id=mtmfDgAAQBAJ&pg=PA9&dq=welles+23+july+1940&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj_x4zCztvoAhVRwcQBHYzSAlUQ6AEILTAB#v=onepage&q=welles%2023%20july%201940&f=false The Law of the Baltic States]'', Springer, 2017, ISBN 978-33-19-54478-6, p. 9.</ref> Nonostante l'affermazione di Welles, i paesi baltici non subirono una sorte diversa di quella già subita ai tempi dell'[[Impero russo]]. Dopo aver visitato [[Mosca (Russia)|Mosca]] nell'inverno 1941-1942, il ministro degli Esteri britannico [[Anthony Eden]] aveva infatti già sostenuto che il sacrificio dei tre Stati fosse stato necessario per garantire la cooperazione sovietica nel conflitto. L'ambasciatore britannico negli Stati Uniti [[Edward Wood, I conte di Halifax|Edward Halifax]] riferì: "Il signor Eden non può incorrere nel pericolo di inimicarsi Stalin, poiché il governo britannico si è già accordato per negoziare un trattato con il leader sovietico, il quale riadotterà le frontiere sovietiche del 1940".<ref name="dunn160">{{en}}Dennis J. Dunn, ''[https://books.google.it/books?id=Cm6IH1a4oksC&pg=PA160&dq=halifax+eden+stalin+baltic&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwic7ezhz9voAhXtyKYKHXGvCsgQ6AEIJTAA#v=onepage&q=halifax%20eden%20stalin%20baltic&f=false Caught Between Roosevelt & Stalin: America's Ambassadors to Moscow]'', University Press of Kentucky, 1998, ISBN 978-08-13-17074-9, p. 160.</ref> Nel 1943 anche [[Franklin Delano Roosevelt|Franklin Roosevelt]] era intenzionato a lasciare i paesi baltici e l'Europa orientale in mano a Stalin.<ref name="dunn160"/> Dopo un incontro con l'arcivescovo [[Francis Joseph Spellman|Spellman]] a [[New York]] il 3 settembre, il presidente statunitense dichiarò: "Il popolo europeo dovrà semplicemente sopportare il dominio sovietico, nella speranza che tra dieci o venti anni sarà in grado di convivere con i russi".<ref name="dunn195196">{{en}}Dennis J. Dunn, ''[https://books.google.it/books?id=Cm6IH1a4oksC&pg=PA195&dq=3+september+spellman+roosevelt+baltic&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwj-trDOrt3oAhXKOpoKHTltDXkQ6AEILTAB#v=onepage&q=3%20september%20spellman%20roosevelt%20baltic&f=false Caught Between Roosevelt & Stalin: America's Ambassadors to Moscow]'', University Press of Kentucky, 1998, ISBN 978-08-13-17074-9, pp. 195-196.</ref> Alla [[conferenza di Teheran]] del 1º dicembre, Roosevelt "disse di aver compreso appieno che le tre repubbliche baltiche erano già state storicamente parte della Russia ed essendolo anche ora, aggiunse scherzosamente, gli eserciti sovietici che le avevano occupate non sarebbe scoppiato un conflitto con gli USA per questo".<ref name="dunn195196"/><ref>{{en}}Geoffrey Swain, ''[https://books.google.it/books?id=pRqAAgAAQBAJ&pg=PT167&dq=1+december+stalin+roosevelt+baltic&hl=en&sa=X&ved=0ahUKEwjuxo7Jr93oAhXF0qYKHcxxCa4Q6AEIJTAA#v=onepage&q=1%20december%20stalin%20roosevelt%20baltic&f=false Between Stalin and Hitler: Class War and Race War on the Dvina, 1940-46]'', Routledge, 2004,
In base all'adottato principio di [[diritto internazionale]] definito dalla [[dottrina Stimson]], gli [[USA]] rifiutarono di riconoscere come legittima l'incorporazione forzata della Lettonia da parte dell'Unione Sovietica. Tale volontà emerse per mezzo di una dichiarazione effettuata dal sottosegretario [[Sumner Welles]] il 23 luglio 1940.<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Tanel Kerikmäe|url=https://books.google.it/books?id=mtmfDgAAQBAJ&pg=PA9|titolo=The Law of the Baltic States|editore=Springer|anno=2017|isbn=978-33-19-54478-6|p=9}}</ref> Nonostante l'affermazione di Welles, i paesi baltici non subirono una sorte diversa di quella già subita ai tempi dell'[[Impero russo]]. Dopo aver visitato [[Mosca (Russia)|Mosca]] nell'inverno 1941-1942, il ministro degli Esteri britannico [[Anthony Eden]] aveva infatti già sostenuto che il sacrificio dei tre Stati fosse stato necessario per garantire la cooperazione sovietica nel conflitto. L'ambasciatore britannico negli Stati Uniti [[Edward Wood, I conte di Halifax|Edward Halifax]] riferì: "Il signor Eden non può incorrere nel pericolo di inimicarsi Stalin, poiché il governo britannico si è già accordato per negoziare un trattato con il leader sovietico, il quale riadotterà le frontiere sovietiche del 1940".<ref name="dunn160">{{cita libro|lingua=en|autore=Dennis J. Dunn|url=https://books.google.it/books?id=Cm6IH1a4oksC&pg=PA160|titolo=Caught Between Roosevelt & Stalin: America's Ambassadors to Moscow|editore=University Press of Kentucky|anno=1998|isbn=978-08-13-17074-9|p=160}}</ref> Nel 1943 anche [[Franklin Delano Roosevelt|Franklin Roosevelt]] era intenzionato a lasciare i paesi baltici e l'Europa orientale in mano a Stalin.<ref name="dunn160"/> Dopo un incontro con l'arcivescovo [[Francis Joseph Spellman|Spellman]] a [[New York]] il 3 settembre, il presidente statunitense dichiarò: "Il popolo europeo dovrà semplicemente sopportare il dominio sovietico, nella speranza che tra dieci o venti anni sarà in grado di convivere con i russi".<ref name="dunn195196">{{cita libro|lingua=en|autore=Dennis J. Dunn|url=https://books.google.it/books?id=Cm6IH1a4oksC&pg=PA195|titolo=Caught Between Roosevelt & Stalin: America's Ambassadors to Moscow|editore=University Press of Kentucky|anno=1998|isbn=978-08-13-17074-9|pp=195-196}}</ref> Alla [[conferenza di Teheran]] del 1º dicembre, Roosevelt "disse di aver compreso appieno che le tre repubbliche baltiche erano già state storicamente parte della Russia ed essendolo anche ora, aggiunse scherzosamente, gli eserciti sovietici che le avevano occupate non sarebbe scoppiato un conflitto con gli USA per questo".<ref name="dunn195196"/><ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Geoffrey Swain|url=https://books.google.it/books?id=pRqAAgAAQBAJ&pg=PT167|titolo=Between Stalin and Hitler: Class War and Race War on the Dvina, 1940-46|editore=Routledge|anno=2004|isbn=978-11-34-32154-4|p=167}}</ref> Un mese dopo, Roosevelt incaricò [[Ottone d'Asburgo-Lorena]] di comunicare ai russi che avrebbero potuto assumere il controllo della Romania, della Bulgaria, della [[Bucovina]], della Polonia orientale, della Lituania, dell'Estonia, della Lettonia e della Finlandia.<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=Orville Bullitt|titolo=For the President: Personal and Secret|editore=Houghton-Mifflin|città=Boston|anno=1972|p=601}}</ref> Il futuro risultò segnato quando il 9 ottobre 1944 [[Winston Churchill]] fu ricevuto da Stalin a Mosca e si procedette ad identificare un quadro postbellico dell'Europa. L'inglese racconta: "Infine ho affermato: ''Non potrebbe sembrare piuttosto cinico e poco ortodosso il modo in cui sembra siano stati risolti questi problemi, che toccano da vicino milioni di persone? Facciamo bruciare questa copia di giornale''. - "''No, non lo fare!''" replicò Stalin".<ref>{{cita libro|lingua=en|autore=David R. Egan|autore2=Melinda A. Egan|url=https://books.google.it/books?id=C_7Xh2euykoC&pg=PA339|titolo=Joseph Stalin: An Annotated Bibliography of English-Language Periodical Literature to 2005|editore=Scarecrow Press|anno=2007|isbn=978-08-10-86671-3|p=339}}</ref> La [[Conferenza di Yalta]] del febbraio 1945, ritenuta in maniera pacifica a livello storiografico il momento in cui è stato definito lo scacchiere europeo dal 1945 in poi, ripercorse grosso modo le precedenti trattative private di Churchill e Roosevelt con Stalin riguardo alla non interferenza nel controllo sovietico dell'Europa orientale.
ISBN 978-11-34-32154-4, p. 167,</ref> Un mese dopo, Roosevelt incaricò [[Ottone d'Asburgo-Lorena]] di comunicare ai russi che avrebbero potuto assumere il controllo della Romania, della Bulgaria, della [[Bucovina]], della Polonia orientale, della Lituania, dell'Estonia, della Lettonia e della Finlandia.<ref>{{en}}Orville Bullitt, ''[https://www.amazon.com/President-Personal-Secret-Correspondence-Roosevelt/dp/039513997X For the President: Personal and Secret]'', Houghton-Mifflin, Boston, 1972, p. 601.</ref> Il futuro risultò segnato quando il 9 ottobre 1944 [[Winston Churchill]] fu ricevuto da Stalin a Mosca e si procedette ad identificare un quadro postbellico dell'Europa. L'inglese racconta: "Infine ho affermato: ''Non potrebbe sembrare piuttosto cinico e poco ortodosso il modo in cui sembra siano stati risolti questi problemi, che toccano da vicino milioni di persone? Facciamo bruciare questa copia di giornale''. - "''No, non lo fare!''" replicò Stalin".<ref>{{en}}David R. Egan; Melinda A. Egan, ''[https://books.google.it/books?id=C_7Xh2euykoC&pg=PA339&dq=9+october+1944+stalin+churchill&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjGuYqqs93oAhWC6aYKHdb6BkUQ6AEIMDAB#v=onepage&q=9%20october%201944%20stalin%20churchill&f=false Joseph Stalin: An Annotated Bibliography of English-Language Periodical Literature to 2005]'', Scarecrow Press, 2007, ISBN 978-08-10-86671-3, p. 339.</ref> La [[Conferenza di Yalta]] del febbraio 1945, ritenuta in maniera pacifica a livello storiografico il momento in cui è stato definito lo scacchiere europeo dal 1945 in poi, ripercorse grosso modo le precedenti trattative private di Churchill e Roosevelt con Stalin riguardo alla non interferenza nel controllo sovietico dell'Europa orientale.


==== Trattati firmati dall'URSS tra il 1940 e il 1945 ====
==== Trattati firmati dall'URSS tra il 1940 e il 1945 ====
L'Unione Sovietica aderì alla [[Carta Atlantica]] del 14 agosto 1941 con una risoluzione firmata a Londra il 24 settembre 1941.<ref name="offner26">{{en}}Arnold A. Offner, ''[https://books.google.it/books?id=P5tbHSsBS-AC&pg=PA26&dq=atlantic+charter+1941+stalin&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi-_tSKtd3oAhX8w8QBHdeXD1YQ6AEIJTAA#v=onepage&q=atlantic%20charter%201941%20stalin&f=false Another Such Victory: President Truman and the Cold War, 1945-1953]'', Stanford University Press, 2002, ISBN 978-08-04-74774-5, p. 26.</ref> Il documento affermava:
L'Unione Sovietica aderì alla [[Carta Atlantica]] del 14 agosto 1941 con una risoluzione firmata a Londra il 24 settembre 1941.<ref name="offner26">{{cita libro|lingua=en|autore=Arnold A. Offner|url=https://books.google.it/books?id=P5tbHSsBS-AC&pg=PA26|titolo=Another Such Victory: President Truman and the Cold War, 1945-1953|editore=Stanford University Press|anno=2002|isbn=978-08-04-74774-5|p=26}}</ref> Il documento affermava:


* "In primo luogo, i paesi firmatari rinunciano ad ingrandimenti territoriali;
* "In primo luogo, i paesi firmatari rinunciano ad ingrandimenti territoriali;

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Operazioni sovietiche dal 19 agosto 1944 al 31 dicembre 1944

Con rioccupazione sovietica della Lettonia nel 1944 si fa riferimento all'occupazione militare della Lettonia da parte dell'Unione Sovietica nel 1944.[1] Durante la seconda guerra mondiale, la Lettonia fu occupata una prima volta dall'Unione Sovietica nel giugno 1940 e poi fu invasa dalla Germania nazista nel 1941-1944, dopo di che fu nuovamente assoggettata dall'Unione Sovietica. La RSS Lettone cessò di esistere nel 1991.

Le battaglie del Baltico

Lo stesso argomento in dettaglio: Offensiva del Baltico.

Il Gruppo d'Armate Centro nel 1944 stava vivendo un periodo di grave difficoltà e, sulla base del piano previsto dall'Armata Rossa, rischiava di rimanere intrappolato nella regione dove stava affrontando i principali combattimenti, ossia in Curlandia. I Panzer di Hyazinth Graf Strachwitz erano stati spostati nella capitale dell'Ostland, Riga o in altre battaglie difensive in cui si riuscì a tamponare temporaneamente l'avanzata sovietica alla fine dell'aprile 1944. La Panzerverband di Strachwitz fu sciolta alla fine di luglio.[2] All'inizio di agosto, i sovietici erano in grado di riprovare a tagliare il Gruppo d'armate Nord dal Gruppo d'Armate Centro, cosa che accadde di lì a poco. Strachwitz rimase intrappolato fuori da quella che sarebbe divenuta nota come sacca di Curlandia e i plotoni furono riorganizzati e integrati da uomini della Panzerbrigade 101 guidati da generale Meinrad von Lauchert: il risultato fu la SS-Panzerbrigade Gross. All'interno della sacca erano già finiti i panzer dello Sturmgeschütz III (appartenenti all'Hermann von Salza) e l'ultima delle Tigri di Jähde. Il 19 agosto 1944 iniziò la controffensiva pianificata dalla Wehrmacht nota come Unternehmen Doppelkopf (operazione Doppelkopf).[3] L'attacco fu preceduto da un bombardamento eseguito dai cannoni da 203 mm dell'incrociatore Prinz Eugen, i quali distrussero quarantotto T-34 assemblati nella piazza di Tukums. Quello che restava delle guarnigioni di Strachwitz e del Nordland si incontrò il 21 e il contatto tra i gruppi dell'esercito fu ripristinato. La Panzerbrigade 101 fu allora assegnato al distaccamento dell'esercito Narwa attivo sul fronte del fiume Emajõgi, al fine di potenziare la forza tedesca.[4] La situazione critica fu arginata, ma era ormai chiaro quanto la linea nazista fosse diventata fragile. Quando nel 1944 l'Armata Rossa riuscì finalmente a respingere l'assedio di Leningrado, i primi obiettivi di Mosca divennero la riconquista dell'area baltica, di gran parte dell'Ucraina e della Bielorussia.[5]

Circa 200.000 truppe tedesche resistettero in Curlandia coadiuvate dalle forze lettoni che si opponevano alla rioccupazione sovietica.[6] I russi tentarono di circondare i sopravvissuti anche dalle spalle, con attacchi operati dalle navi militari che solcavano il Mar Baltico. Nonostante le numerose offensive sferrate che comportarono ingenti perdite tra le fila tedesche, i sovietici non riuscirono a prevalere definitivamente nella sacca. Il colonnello generale Heinz Guderian, capo dello stato maggiore tedesco, insistette affinché le truppe site in Curlandia si allontanassero via mare per dare supporto in Germania. Tuttavia, Hitler rifiutò e ordinò alle forze tedesche bloccate di resistere. Egli riteneva fosse necessario proteggere le basi sottomarine tedesche lungo la costa baltica il più a lungo possibile oltre alla città di Königsberg, che aveva un valore simbolico particolare nell'immaginario germanico poiché luogo d'incoronazione dei primi re prussiani.[6]

L'avanzata sovietica dal 1º gennaio 1945 al 7 maggio 1945

Il 15 gennaio 1945, il Gruppo d'armate Curlandia (in tedesco Heeresgruppe Kurland) fu allestito dal colonnello generale Dr. Lothar Rendulic.[7] Il Gruppo d'armate Curlandia (comprese divisioni quali la Legione lettone Freiwiliger SS) difese strenuamente e con successo l'area degli attacchi fino alla fine della guerra, l'8 maggio 1945, quando il colonnello generale Carl Hilpert, ultimo comandante del gruppo dell'esercito, si arrese al maresciallo Leonid Govorov.[8] Nel momento della resa, il gruppo era formato da 31 divisioni di varia forza: erano 14.000 i soldati lettoni. La gran parte di essi fu deportata nei campi di prigionia sovietici nel Caucaso o in Siberia.[9] L'Unione Sovietica rioccupò la Lettonia come parte dell'offensiva baltica, un'operazione di duplice importanza sia dal punto di vista politico che militare per sconfiggere le forze tedesche e per "liberare i popoli baltici sovietici".[10] Tale messaggio propagandistico partì dall'estate-autunno 1944 e perdurò fino alla capitolazione della Germania e delle forze lettoni nella sacca di Curlandia, avvenuta in concomitanza dell'armistizio di maggio del 1945. Dopo la seconda guerra mondiale, allo scopo di rendere più semplice l'integrazione dei paesi baltici nell'Unione Sovietica, furono concluse diverse deportazioni di massa e in contemporanea adottata una politica di incoraggiamento per i russi che intendessero trasferirsi in Lettonia. Il 12 gennaio 1949 il Consiglio dei ministri sovietico emise un decreto relativo "all'espulsione e alla deportazione" dalla Lettonia di "tutti i kulaki e le loro famiglie, le famiglie di banditi e nazionalisti" e altre categorie di persone. Si stima che oltre 200.000 baltici siano state deportati tra il 1940 e il 1953.[11][12] Almeno 75.000 di essi finirono nei gulag. Il 10% dell'intera popolazione baltica adulta fu spostata coattivamente o inviata nei campi di lavoro.[13] Molti ex soldati che sfuggirono alla cattura, si unirono ai gruppi di partigiani nazionali lettoni che ostacolarono, senza successo, la macchina sovietica con operazioni di guerriglia per diversi anni.[14]

Trattative sul destino europeo postbellico

L'evacuazione da Ventspils, 19 ottobre 1944

In base all'adottato principio di diritto internazionale definito dalla dottrina Stimson, gli USA rifiutarono di riconoscere come legittima l'incorporazione forzata della Lettonia da parte dell'Unione Sovietica. Tale volontà emerse per mezzo di una dichiarazione effettuata dal sottosegretario Sumner Welles il 23 luglio 1940.[15] Nonostante l'affermazione di Welles, i paesi baltici non subirono una sorte diversa di quella già subita ai tempi dell'Impero russo. Dopo aver visitato Mosca nell'inverno 1941-1942, il ministro degli Esteri britannico Anthony Eden aveva infatti già sostenuto che il sacrificio dei tre Stati fosse stato necessario per garantire la cooperazione sovietica nel conflitto. L'ambasciatore britannico negli Stati Uniti Edward Halifax riferì: "Il signor Eden non può incorrere nel pericolo di inimicarsi Stalin, poiché il governo britannico si è già accordato per negoziare un trattato con il leader sovietico, il quale riadotterà le frontiere sovietiche del 1940".[16] Nel 1943 anche Franklin Roosevelt era intenzionato a lasciare i paesi baltici e l'Europa orientale in mano a Stalin.[16] Dopo un incontro con l'arcivescovo Spellman a New York il 3 settembre, il presidente statunitense dichiarò: "Il popolo europeo dovrà semplicemente sopportare il dominio sovietico, nella speranza che tra dieci o venti anni sarà in grado di convivere con i russi".[17] Alla conferenza di Teheran del 1º dicembre, Roosevelt "disse di aver compreso appieno che le tre repubbliche baltiche erano già state storicamente parte della Russia ed essendolo anche ora, aggiunse scherzosamente, gli eserciti sovietici che le avevano occupate non sarebbe scoppiato un conflitto con gli USA per questo".[17][18] Un mese dopo, Roosevelt incaricò Ottone d'Asburgo-Lorena di comunicare ai russi che avrebbero potuto assumere il controllo della Romania, della Bulgaria, della Bucovina, della Polonia orientale, della Lituania, dell'Estonia, della Lettonia e della Finlandia.[19] Il futuro risultò segnato quando il 9 ottobre 1944 Winston Churchill fu ricevuto da Stalin a Mosca e si procedette ad identificare un quadro postbellico dell'Europa. L'inglese racconta: "Infine ho affermato: Non potrebbe sembrare piuttosto cinico e poco ortodosso il modo in cui sembra siano stati risolti questi problemi, che toccano da vicino milioni di persone? Facciamo bruciare questa copia di giornale. - "No, non lo fare!" replicò Stalin".[20] La Conferenza di Yalta del febbraio 1945, ritenuta in maniera pacifica a livello storiografico il momento in cui è stato definito lo scacchiere europeo dal 1945 in poi, ripercorse grosso modo le precedenti trattative private di Churchill e Roosevelt con Stalin riguardo alla non interferenza nel controllo sovietico dell'Europa orientale.

Trattati firmati dall'URSS tra il 1940 e il 1945

L'Unione Sovietica aderì alla Carta Atlantica del 14 agosto 1941 con una risoluzione firmata a Londra il 24 settembre 1941.[21] Il documento affermava:

  • "In primo luogo, i paesi firmatari rinunciano ad ingrandimenti territoriali;
  • "In secondo luogo, non desiderano assistere a mutamenti territoriali che non siano in accordo con il principio di autodeterminazione dei popoli interessati;
  • "In terzo luogo, rispettano i diritti di tutti i popoli di scegliere la forma di governo in base alla quale vivranno; e desiderano assistere al ripristino dei diritti sovrani e di autogoverno per coloro che ne siano stati privati con la forza..."[22]

Stalin riaffermò personalmente i principi della Carta atlantica il 6 novembre 1941, nonostante in una conversazione con l'inglese Anthony Eden avesse definito il principio di autodeterminazione come "algebrico" e si fosse detto più propenso all'"aritmetica concreta":[21]

«Non abbiamo pianificato e ripudiamo [la pianificazione di] campagne militari finalizzate all'occupazione di Stati sovrani e alla sottomissione di popoli stranieri, indipendentemente se essi siano europei o asiatici (...)
Non abbiamo pianificato e ripudiamo [la pianificazione di] campagne militari finalizzate ad imporre la nostra volontà o un nostro governo sugli slavi e su altri popoli schiavi d'Europa che attendono il nostro aiuto.
Il nostro supporto consiste nell'assistere queste persone nella loro lotta per la liberazione dalla tirannia di Hitler, e poi nel renderli abilitati a governare le proprie terre come meglio desiderano. Non ci sarà nessun interferenza negli affari interni di altre nazioni.[23]»

Poco dopo, l'Unione Sovietica sottoscrisse la Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1º gennaio 1942, che confermava nuovamente l'adesione alla Carta atlantica, nonostante alcune perplessità.[24]

L'Unione Sovietica firmò altresì la Dichiarazione di Yalta sull'Europa liberata del 4–11 febbraio 1945: in essa, i tre capi di Stato concordavano sulla modificazione dello scenario politico europeo postbellico alla stregua del seguente principio della Carta Atlantica: "[vige] il diritto di tutti i popoli di scegliere la forma di governo in base alla quale vivranno, il diritto alla sovranità territoriale e il diritto di autodeterminazione per quei popoli che sono stati invasi con la forza dalle nazioni aggressive". La dichiarazione di Yalta affermava inoltre che "per fare in modo che i popoli liberati possano esercitare questi diritti, i tre governi si riuniranno (...) per facilitare, ove necessario, lo svolgimento di libere elezioni".[25]

Infine, l'Unione Sovietica firmò lo Statuto delle Nazioni Unite del 24 ottobre 1945, che nell'articolo I, parte 2, afferma che uno degli scopi delle Nazioni Unite è "sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale".[26]

Perdite lettoni

Memoriale dedicato ai bambini lettoni deportati morti in esilio tra il 1941 e il 1949

Le perdite della seconda guerra mondiale in Lettonia furono tra le più alte in Europa. Secondo ricostruzioni approssimative, a seguito della seconda guerra mondiale la popolazione della Lettonia diminuì di mezzo milione (il 25% in meno rispetto al 1939).[27] Rispetto al 1939 la popolazione lettone era diminuita di circa 300.000 persone. La guerra causò altresì gravi perdite per l'economia: molte città storiche furono rase al suolo, l'industria era stata azzerata e le infrastrutture erano divenute precarie. Si pensi anche alle deportazioni sovietiche effettuate nel 1941, a quelle tedesche e alle vittime dell'Olocausto.[28]

Note

  1. ^ (EN) Robert Barlas e Winnie Wong, Latvia, Marshall Cavendish, 2010, p. 27, ISBN 978-07-61-44857-0.
  2. ^ (DE) Karl Heinrich Sperker, Generaloberst Erhard Raus: ein Truppenführer im Ostfeldzug, Biblio, 1988, p. 187, ISBN 978-37-64-81492-2.
  3. ^ (EN) Jesse Russell e Ronald Cohn, Operation Doppelkopf, Book on Demand, 2012, ISBN 978-55-12-15836-4.
  4. ^ (EN) Raymond Bagdonas, The Devil's General, Casemate, 2014, p. 293, ISBN 978-16-12-00223-1.
  5. ^ (EN) Julie Fedor, Markku Kangaspuro e Jussi Lassila; Tatiana Zhurzhenko, War and Memory in Russia, Ukraine and Belarus, Springer, 2017, p. 435, ISBN 978-33-19-66523-8.
  6. ^ a b (EN) Stephen Fritz, The First Soldier: Hitler as Military Leader, Yale University Press, 2018, p. 348, ISBN 978-03-00-24075-7.
  7. ^ (EN) Nigel Thomas, The German Army 1939–45: Eastern Front 1943–45, vol. 4, Bloomsbury Publishing, 2012, p. 1915, ISBN 978-17-82-00218-5.
  8. ^ (EN) Ian Baxter, The Crushing of Army Group North 1944–1945 on the Eastern Front, Pen & Sword Military, 2017, p. 118, ISBN 978-14-73-86258-6.
  9. ^ (EN) Vincent Hunt, Blood in the Forest: The End of the Second World War in the Courland Pocket, Helion and Company, 2017, p. 196, ISBN 978-19-12-86693-9.
  10. ^ (EN) Edward Wegener, The Soviet Naval Offensive, Naval Institute Press, 1975, p. 35, ISBN 978-08-70-21671-8.
  11. ^ (EN) Robert Barlas e Willie Wong, Latvia, Marshall Cavendish, 2010, p. 27, ISBN 978-07-61-44857-0.
  12. ^ (EN) Robert Dubler SC e Matthew Kalyk, Crimes against Humanity in the 21st Century, BRILL, 2018, p. 505, ISBN 978-90-04-34768-7.
  13. ^ (EN) Associazione dei Lettoni Americani negli USA, Latvian News Digest, The Bureau, 1988, p. 27.
  14. ^ (EN) Andrejs Plakans, A Concise History of the Baltic States, Cambridge University Press, 2011, pp. 360-361, ISBN 978-05-21-83372-1.
  15. ^ (EN) Tanel Kerikmäe, The Law of the Baltic States, Springer, 2017, p. 9, ISBN 978-33-19-54478-6.
  16. ^ a b (EN) Dennis J. Dunn, Caught Between Roosevelt & Stalin: America's Ambassadors to Moscow, University Press of Kentucky, 1998, p. 160, ISBN 978-08-13-17074-9.
  17. ^ a b (EN) Dennis J. Dunn, Caught Between Roosevelt & Stalin: America's Ambassadors to Moscow, University Press of Kentucky, 1998, pp. 195-196, ISBN 978-08-13-17074-9.
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Bibliografia

Voci correlate