Utente:Cavedagna/Bologna 2

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Il titolo di questa pagina non è corretto per via delle caratteristiche del software MediaWiki. Il titolo corretto è Urbanistica di Bologna post-unitaria.
Voce principale: Bologna.
Mappa di Bologna e del territorio circostante, attorno agli anni '90 del XX secolo. Viene evidenziato lo sviluppo urbano avvenuto tra Ottocento e Novecento.

L'Urbanistica della città di Bologna ha visto un accelerato sviluppo a partire dalla seconda metà del XIX secolo, con notevoli interventi nel centro storico, ma soprattutto con la formazione di un'estesa periferia, giunta a lambire i comuni circonvicini.

La città post-unitaria (1860-1889)[modifica | modifica wikitesto]

Se con la Restaurazione pontificia non si assistettero a grandi mutamenti della forma urbana, all'indomani dell'annessione al neonato Regno d'Italia si verificò un graduale sviluppo della città.[1] Sviluppo che si esercitò in maniera lenta e poco traumatica, seppur costante: dopo secoli la popolazione iniziò ad aumentare, e la città divenne rapidamente un nodo cruciale nel nuovo sistema dei trasporti unitario. Nonostante dunque non si siano verificati interventi di portata analoga ad altre città italiane, come Firenze, Bologna fu coinvolta in importanti lavori di ristrutturazione urbana, volti a caratterizzare la moderna città borghese.[2]

Bologna nello Stato italiano[modifica | modifica wikitesto]

La Stazione Centrale ai primi del Novecento

Il campo trincerato[modifica | modifica wikitesto]

Durante il rapido processo di riorganizzazione politica avvenuto durante la Seconda guerra d'indipendenza, Bologna venne subito considerata un cruciale nodo militare, per la posizione geografica fronteggiante il Veneto (ancora austriaco) e a guardia della Toscana. In virtù di ciò, il generale Manfredo Fanti ordinò la costruzione di un imponente sistema difensivo che prese il nome di campo trincerato. Esso era costituito da una cinta di terrapieni e una triplice linea di ridotte, lunette e forti dislocati nella pianura circostante; sui colli vennero innalzati tre forti. Tuttavia, nel giro di breve tempo il campo trincerato divenne praticamente inutile e lo stesso esercito lo abbandonò nel corso degli anni successivi, lasciando comunque tracce nella topografia della campagna periferica e soprattutto nella toponomastica.[3]

Collegamenti ferroviari[modifica | modifica wikitesto]

Un processo completamente diverso, che ebbe un impatto molto più profondo sulle vicende della città, fu quello dello sviluppo delle linee ferroviarie. Bologna era stata raggiunta nel 1859 dalla ferrovia proveniente da Piacenza, mentre due anni più tardi venne aperta la Bologna-Ancona. Si formò così in rapidissimo tempo un importante nodo ferroviario, a cui si aggiunse la ferrovia Padova-Bologna nel 1866 e sopratutto la Ferrovia Porrettana che dal 1864 metteva in comunicazione diretta con Pistoia e dunque la Toscana; la realizzazione di quest'ultima opera fu un'impresa non da poco considerando l'arduo scavallamento degli Appennini.[4]

Già alla metà del XIX secolo Bologna divenne dunque un crocevia fondamentale per i trasporti tra l'Italia settentrionale e quella centro-meridionale: nel 1871 venne completato, in stile neorinascimentale, il primo edificio della Stazione Centrale, ancor oggi in funzione.[5]

Riqualificazione e sventramenti[modifica | modifica wikitesto]

Piazza Minghetti con al centro il monumento a Marco Minghetti

La seconda metà dell'Ottocento fu per Bologna un periodo di continuo rinnovamento urbano. Un'occasione fondamentale fu data dall'Esposizione emiliana del 1888, durante la quale vennero aperti i Giardini Margherita.[6] La ricerca di una forma urbana per la società borghese dell'Ottocento, assieme alle nuove funzioni economiche, amministrative e di mobilità, determinarono profondamente gli interventi avvenuti in questo periodo. Finalità che necessariamente ristrutturarono l'impianto urbanistico, inizialmente ponendosi in continuità con l'evoluzione storica della città, successivamente utilizzando criteri progettuali moderni del tutto distaccati dal contesto in cui agire.[7]

Vie Farini e Garibaldi[modifica | modifica wikitesto]

Il primo intervento di ristrutturazione viaria ebbe inizio durante gli ultimi anni del governo pontificio. Il Conte Grabinski, proprietario di Palazzo Baciocchi propose l'allargamento della strada che conduceva dalla sua residenza verso il Borgo Salamo e dunque il centro. L'amministrazione comunale approvò il progetto, collegandolo ad un più ampio piano di riqualificazione del tessuto urbano circostante.[8][9]

Le vecchie vie Ponte di Ferro, Borgo Salamo, Miola e de' Libri, già insistenti su un antico percorso pedecollinare, vennero ricondotte ad un unico asse regolare che dalla strada Santo Stefano portava all'incrocio di via D'Azeglio/San Mamolo; nel 1866 la nuova via venne intitolata all'ex presidente del Consiglio Luigi Carlo Farini.[10] L'intervento si limitò ad un allargamento della sede stradale, mentre sui nuovi fronti fu ricostruito un lungo percorso porticato, inserendosi in continuità nel processo evolutivo della forma urbana.[11]

Facciata del Palazzo di residenza della Cassa di Risparmio sulla via Farini

Assieme alla creazione di via Farini venne raddrizzata la strada che da via Farini portava al palazzo Baciocchi e tangeva la piazza di San Domenico, l'odierna via Garibaldi; successivamente vennero aperte lungo il percorso due nuove piazze, Piazza Cavour e per ultima Piazza Minghetti. L'insieme dei provvedimenti, pur dettati dalle moderne esigenze di viabilità, igiene pubblica e decoro monumentale, si rapportarono costruttivamente con il sistema relazionale di matrice storica, rispettando il contesto morfologico e allo stesso tempo valorizzando l'ambiente pubblico. Nonostante il fatto che per la loro creazione vennero demoliti antichi isolati medievali, le piazze-giardino si integrarono nel tessuto urbano, pur presentando profonde divergenze col modello della piazza pubblica di età moderna. Le nuove piazze ottocentesche infatti servivano a codificare lo spazio collettivo, assumendo scopi diversi tramite l'inserimento di edifici specialistici con funzioni collettive quali il Palazzo della Cassa di Risparmio, il Palazzo della Banca Nazionale o il Palazzo delle Poste.[12]

Via Indipendenza[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Via Indipendenza.

Nel giro di pochi anni emerse sin da subito la necessità di avere un collegamento diretto tra il centro di Bologna, piazza Maggiore in particolare, e la stazione ferroviaria posta a nord nei pressi di Porta Galliera. Già nel 1861 fu elaborato un progetto a cura di Coriolano Monti, il quale prevedeva una nuova strada tra la porta e Piazza Maggiore, che tuttavia fu completata solo nel 1888. Seguendo le logiche haussmanniane, la funzione prioritaria del nuovo asse stradale era di garantire la viabilità il più comodamente possibile, ma nella creazione della strada influirono anche le manovre di speculazione immobiliare e l'inserimento di nuove attività economiche e commerciali. Concentrandosi sui due punti focali di Piazza Maggiore e della stazione ferroviaria, il nuovo progetto trascurò il resto dei luoghi urbani preesistenti, primo fra tutti la Cattedrale metropolitana.[13]

La creazione di via Indipendenza si caratterizzò come un profondo taglio nella città, senza rispetto del tessuto storico. Le lunghe cortine edilizie porticate uniformarono l'aspetto della via trascurando qualsiasi emergenza edilizia di valore simbolico o monumentale, con la parziale eccezione dell'Arena del Sole. Infatti il sistema relazionale era determinato unicamente dalla mobilità urbana e dai rapporti economici-commerciali, estraniando così la strada dal contesto circostante.[14]

Il Piano regolatore del 1889[modifica | modifica wikitesto]

Bologna nel 1890

Nel corso della seconda metà dell'Ottocento Bologna fu protagonista di una costante crescita demografica, regolata unicamente dal mercato immobiliare. Il sovraffollamento critico della città murata, che dai 92.000 residenti nel 1881 giunse a 132.000 nel 1911, determinò l'ideazione del primo Piano regolatore, volto a risolvere la crisi abitativa, seppure sotto la spinta della speculazione edilizia trionfante.[15]

Il piano fu approvato nel 1889, e a partire dal doppio nome ("Piano regolatore della città e piano di ampliamento esterno") rivelava un'impostazione duale, con una netta divisione tra la città dentro le mura e il suburbio oggetto dell'ampliamento. Alle due aree individuate venivano applicate differenti logiche progettuali e regole organizzative, che determinarono una profonda frattura tra il centro storico e la futura periferia urbana.[16]

Fondamenti culturali del piano, che condizionerà gli sviluppi e l'espansione urbana di Bologna per oltre quarant'anni, erano principalmente le esperienze estere, come gli interventi di Haussmann su Parigi e i modelli teorici di matrice tedesca. Scarsi invece i riferimenti a livello nazionale: gli unici esempi disponibili erano dati dai primi piani regolatori che si stavano elaborando in alcune città come Milano, Torino, Firenze, o la legge per il risanamento di Napoli. In ogni modo, le dottrine tecnico-igieniche, prevalenti sulle logiche architettoniche ed estetiche, oltre all'insieme di questi modelli urbanistici furono accettati acriticamente e applicati con scarsa considerazione del contesto bolognese.[17]

Inoltre, le regole organizzative del nuovo impianto urbano furono pesantemente influenzate dalle forme moderne di proprietà fondiaria, mentre l'unica forma pubblica di controllo sullo sviluppo della periferia rimasero gli strumenti tecnico-normativi elaborati dall'amministrazione comunale, il cui atto più importante fu il Regolamento edilizio. La progettualità pubblica così risultava di fatto sottomessa alle logiche del mercato immobiliare e speculativo.[18]

Interventi nella città murata[modifica | modifica wikitesto]

Piazza dei Martiri in una cartolina degli anni '50-'60

Il "piano interno", come fu chiamato, prevedeva interventi radicali di impostazione haussmanniana, basati su assi stradali rettilinei e razionali che dovevano garantire il decoro urbano e la valorizzazione dei monumenti.[16] Sventramenti e ampliamenti delle principali arterie già esistenti (il decumano Via Rizzoli-Via Ugo Bassi) e la creazione di un nuovo sistema viario ortogonale nelle aree meno edificate ad ovest e a nord avevano lo scopo di ripianificare il tessuto urbano esistente, migliorare la viabilità e ingrandire il nucleo antico alle zone ancora non urbanizzate.[19] Nei fatti il sistema storico ordinatore, basato sulla strada e il percorso porticato, venne adeguato alle nuove necessità delle attività economiche e del decoro urbano.[20]

Quadrante nord-ovest[modifica | modifica wikitesto]

Già negli anni precedenti alla stesura del Piano era stato pensato un processo di urbanizzazione del settore nord-orientale, su cui si estendevano ampie zone depresse, come ad esempio i cosiddetti Orti Garagnani.[21]

Per favorire lo sviluppo edilizio di quest'area fu progettato un reticolo ortogonale formato da un lungo rettifilo in direzione est-ovest (attuali vie Don Minzoni-dei Mille-Irnerio), congiungente Porta Lame a Porta San Donato, e da un asse stradale orientato nord-sud; entrambi dovevano convergere su una grande piazza quadrangolare, intitolata successivamente a Umberto I (oggi Piazza dei Martiri). La spiccata funzione connettiva di questi larghi assi stradali, la cui effettiva realizzazione richiese un lungo periodo di tempo, divenne preponderante sul ruolo che dovevano assumere nel tessuto cittadino: la stessa Piazza dei Martiri, sovradimensionata, rimase sostanzialmente un fulcro vuoto su cui si innestavano vie ortogonali e diagonali.[22]

Piano di ampliamento[modifica | modifica wikitesto]

Mappa di Bologna con le indicazioni del piano regolatore

Nel considerare l'espansione oltremuraria invece il piano disegnava un vago schema di tipo tecnico-normativo, secondo un approccio meramente quantitativo: logiche progettuali profondamente diverse da quelle riservate al centro storico.[23]

Al di fuori delle mura veniva tracciato un reticolo geometrico, formato da lotti di 100x140 m, i cui unici elementi di collegamento con la città storica erano gli assi radiali storici e i nuovi viali previsti dal piano regolatore. Le strade, divise in tre categorie a seconda dell'ampiezza, erano prive di qualsiasi funzione strutturale per il nuovo sistema relazionale, diventando mero elemento di partizione fondiaria; inoltre scarsa considerazione (se non nulla) venne prevista per i servizi alla cittadinanza, lasciati alla discrezionalità dei futuri edificatori. Le piazze e i giardini previsti, pensati unicamente come vuoti edilizi, vennero collocati senza criteri specifici e anzi, quasi del tutto occasionali.[24]

La zona di ampliamento era delineata dai viali di circonvallazione, che a differenza dei boulevard parigini non divennero mai luoghi di ritrovo e svago della borghesia cittadina, privi di qualsiasi funzione o valore polarizzante; al di fuori invece era racchiusa da un perimetro astratto formato da viali che grossomodo seguivano l'andamento delle mura.[25]  Anche i nuovi boulevard che dovevano avere funzione di cerniera fallirono nel loro intento, amplificando la separazione tra "dentro" e "fuori". Per esempio, i moderni Viali di Circonvallazione impostati sulle mura divennero una linea di cesura, al contrario di quanto accadeva in passato quando il superamento della cinta muraria diventava matrice per lo sviluppo degli insediamenti.[26]

Dall'espansione alla Seconda guerra mondiale (1889-1940)[modifica | modifica wikitesto]

L'Istituto di Anatomia in via Irnerio, in stile neorinascimentale

Applicazione del piano[modifica | modifica wikitesto]

Il piano regolatore del 1889, ufficialmente in vigore fino al 1955, venne attuato su un periodo molto lungo, che determinò sviluppi diversi da quelli previsti e talvolta incongrui. Gli interventi si sussieguirono fin dopo il Secondo conflitto mondiale, trovando piena applicazione e compiutezza solamente nel centro. Per esempio, i viali esterni non furono completati per via della presenza della rete ferroviaria, dove vennero interrotti nel settore nord-occidentale.[27][28] La speculazione immobiliare non rispettò le aree previste a verde, e non vennero neppure realizzati i giardini previsti dinanzi alla Stazione Veneta fuori Porta San Vitale (attuale Stazione di Bologna Zanolini) e il parco della Villa Davia, dove si installò la Caserma Mameli.[29]

Rinnovo urbano[modifica | modifica wikitesto]

Quello tra i due secoli fu un periodo di grande rinnovamento estetico per Bologna: molti edifici subirono importanti restauri, principalmente ad opera di Alfonso Rubbiani, architetto di spicco dell'epoca. Furono interessati da questi pesanti lavori la Basilica di San Francesco, il complesso stefaniano e numerosi altri luoghi di culto; Palazzo dei Notai, Palazzo Re Enzo, la Mercanzia furono riportati a ideali primitivi di architettura medievale, eliminando gli elementi decorativi ritenuti di epoca posteriore e addirittura demolendo interi corpi edilizi, come nel caso della creazione di piazza Re Enzo. Questo processo di rinnovo in senso neomedievale caratterizzò profondamente l'aspetto del centro storico.[30]

Sventramento del Mercato di Mezzo[modifica | modifica wikitesto]

L'allargamento dell'asse urbano della via Emilia, ovvero le strade intitolate a Ugo Bassi e Francesco Rizzoli, era dovuto non solo alla sua importanza nella mobilità cittadina che ora si riconnetteva ai nuovi percorsi urbani come via Indipendenza. Lo sventramento dell'antico Mercato di Mezzo, avvenuto agli inizi del Novecento, fu anche una grossa manovra di speculazione edilizia che portò all'abbattimento di ben tre antiche torri: Guidozagni, Artenisi e Riccadonna.[31]

Demolizione delle mura[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Mura di Bologna § Il piano di abbattimento.

Nel 1902 iniziò la demolizione dell'ultima cerchia muraria, per ragioni di igiene pubblica e viabilità, seguendo le indicazioni del piano del 1889 ma non senza polemiche. Nonostante infatti le proteste di Giosué Carducci e Alfonso Rubbiani, esse vennero abbattute quasi completamente, ad eccezione di alcuni brevi tratti. I materiali vennero utilizzati per colmare il fossato e aprire così i larghi viali alberati di circonvallazione. Vennero conservate anche le antiche porte, seppur spesso svestite dai restauri di epoca rinascimentale e barocca, con le sole eccezioni di San Mamolo e Sant'Isaia che furono atterrate tra il 1904 e il 1905.[32][33][34]

Edilizia universitaria[modifica | modifica wikitesto]

Lo sviluppo incipiente dell'Università di Bologna rese necessario progettare nuove sedi per le attività didattiche: così prese forma il Piano Capellini, dal nome del rettore che lo diresse. Nel 1897 venne stabilita una convenzione col Comune, il quale destinò all'edilizia universitaria l'area attorno a Porta San Donato e lungo la nuova via Irnerio.[35] Altre convenzioni si susseguirono tra il 1910 e il 1930, le quali allargarono la zona universitaria di recente formazione agli antichi borghi di Belmeloro e San Giacomo, sgombrati e riqualificati dall'antica presenza popolare.[36]

Prima fase di espansione[modifica | modifica wikitesto]

Un villino di viale Audinot fotografato da Paolo Monti

L'aspetto più rilevante dell'urbanistica di Bologna in questo periodo fu la formazione della prima periferia urbana oltre le mura. Essa si sviluppò secondo due linee di tendenza: una periferia di carattere borghese a sud e a ovest, lungo la fascia pedecollinare, e una periferia operaia e popolare nei settori nord ed est.[37] Lo sviluppo della periferia invece seguì le radiali tradizionali, come la via Emilia e le strade pedecollinari; di conseguenza le uniche zone di ampliamento che seguirono il piano erano quelle legate alle polarità già esistenti, come l'asse di Galliera (quartiere Bolognina) e le strade ortogonali a via Saragozza. Inoltre, l'assenza di riguardo nei confronti dell'area collinare provocò una forte speculazione edilizia, così come nella fascia immediatamente a ridosso dei viali, evidente con l'apertura di via XII giugno che non era prevista dal piano. Solo nel 1910 venne modificato il Regolamento edilizio per normare questa parte di città, ormai satura di edilizia residenziale di pregio.[38]

Periferia borghese[modifica | modifica wikitesto]

Seguendo l'orditura del piano regolatore si formarono due aree residenziali di estrazione medio-alta: la zona Murri imperniata sulle vie Leandro Alberti-Laura Bassi e il quartiere Costa-Saragozza che aveva il suo asse principale in via Audinot. Soprattutto quest'ultima zona era emblematica del modello di città giardino di natura borghese. Qui, nei primi anni del '900 vennero edificati i caratteristici villini in stile Liberty, progettati dall'architetto Paolo Sironi.[39][40]

Successivamente all'abbattimento delle mura, i ceti dirigenti che plasmarono la nuova idea di città tra Ottocento e inizio Novecento, organizzarono l'apertura di nuove vie colleganti il centro con la nuova periferia. La funzione di questi assi stradali, come la già citata XII giugno ma anche viale Dante e via Irnerio, era quella di inserire con continuità nel tessuto storico la morfologia urbana del modello di periferia borghese.[37]

Periferia popolare[modifica | modifica wikitesto]

La popolazione immigrata in città dalle campagne, così come quella espulsa dagli sventramenti effettuati nel centro, trovò invece residenza nei nuovi quartieri operai che si andavano formando nella periferia settentrionale. Per risolvere la pressione demografica

Protagonisti dell'opera di edificazione dei quartieri popolari furono la cooperativa edile Società Anonima Cooperativa per la Costruzione e il Risanamento di Case per Operai (conosciuta in breve come la "Risanamento"), fondata nel 1884, e l'Istituto Case Popolari, istituito il 31 gennaio del 1906 dall'Amministrazione comunale. La prima, già nell'ultimo decennio del secolo aveva costruito circa 230 alloggi di carattere popolare; Al secondo ente venne affidato il compito di edificare comparti residenziali per la classe operaia. Il primo intervento dello ICP fu la realizzazione di palazzi popolari nella zona a nord della linea ferroviaria, seguendo gli assi tracciati dal piano regolatore, che andarono a costituire il futuro quartiere Bolognina.[39][41]

La Risanamento continuerà ad innalzare varie case popolari fuori Porta Sant'Isaia e in altre zone; a partire dal 1911 venne edificata l'area ad est della linea Bologna-Portomaggiore, che prenderà il nome di Rione Libia, oggi Cirenaica.[39][42][43]

Invece le aree industriali, non considerate dal piano del 1889, sorsero in maniera disordinata, insediandosi in Bolognina ma in maniera più incisiva lungo l'asse della via Emilia.[44] Successivamente, la forte presenza industriale nella zona di via Emilia Ponente determinerà la nascita del quartiere operaio di Santa Viola.

Periodo fascista[modifica | modifica wikitesto]

Facciata della sede della Zanichelli

Durante il Ventennio proseguì lo sviluppo urbano di Bologna, mentre in città si diffondeva l'architettura razionalista. Gli esempi più evidenti furono la nuova Facoltà d'Ingegneria, su progetto di Giuseppe Vaccaro, e la sede della Zanichelli, innalzata nel 1938 in via Irnerio, secondo i canoni monumentali dell'epoca.[45]

Tra le due guerre venne completato l'assetto previsto dal piano regolatore del 1889, sia nel centro che in periferia. L'espansione edilizia propagandata dal regime fu realizzata tramite grandi infrastrutture come il complesso sportivo del Littoriale (odierno Stadio Renato Dall'Ara) o l'Ippodromo Arcoveggio. Nel frattempo si progettava di creare una "grande Bologna", sull'esempio di altri grandi città italiane, accorpando i comuni di San Lazzaro di Savena, Casalecchio di Reno e Borgo Panigale; l'operazione riuscì in parte, con l'aggregazione solo di quest'ultimo nel 1937, dopo varie traversie e vicissitudini.[46]

Il "piccone risanatore"[modifica | modifica wikitesto]

Il periodo fascista fu contrassegnato dagli ultimi, pesanti interventi effettuati nel centro storico, mossi dall'ideale del "piccone risanatore". Durante gli anni '30 una consistente parte di tessuto storico venne demolita per far posto alle nuove piazze della Vittoria (oggi intitolata a Franklin Delano Roosevelt) e Galileo; presso quest'ultima venne innalzato il nuovo edificio sede della Questura in pieno stile di regime.[47] Nello stesso periodo iniziarono gli sventramenti per l'apertura della nuova via Roma (oggi via Marconi), che comportarono la demolizione della cosiddetta "punta del Morando", al cui posto venne eretto il moderno Palazzo del Gas.[48]

Quartieri dei ceti medi[modifica | modifica wikitesto]

Altri interventi vennero eseguiti nelle periferie, in particolar modo nella zona Saragozza, dove nel 1927 venne inaugurato il moderno Stadio Littoriale; nell'area prospiciente venne previsto un nuovo insediamento nel pieno spirito dell'ideologia fascista, che poi diventerà il Villaggio della Rivoluzione Fascista.

Quartieri popolari[modifica | modifica wikitesto]

Per via delle numerose operazioni di sventramento e della continua immigrazione, nel corso del tempo ci fu un aggravamento del problema abitativo; così, a partire dal 1933 il regime locale promosse l'edificazione di case dette "popolarissime", atte ad ospitare i ceti emarginati e le famiglie espulse dal centro storico. Questi nuovi insediamenti furono localizzati fuori dai viali, distanti dai principali assi stradali per questioni di decoro pubblico. Conseguentemente, alcuni quartieri subirono una connotazione ancor più popolare, mentre si formarono nuclei abitativi, come quello "Cassarini-Pallotti" in zona Beverara, che divennero veri e propri strumenti di segregazione per i reietti e gli ostili al regime.[49][50]

I concorsi del 1937 e del 1938[modifica | modifica wikitesto]

Via Marconi in una cartolina degli anni '50. Emerge in secondo piano l'imponente Palazzo del Gas

Nel 1936 Bologna contava 270.000 abitanti e mentre la periferia andava espandendosi, il centro storico versava in gravi condizioni. Il traffico congestionava le principali arterie stradali e per risolvere il problema si pensò di attuare grosse opere di sventramento, previste dal piano del 1889. Nello stesso anno infatti iniziarono i lavori di apertura della via Roma, già prevista dal piano regolatore, con lo sventramento dell'antico e popoloso Borgo delle Casse. Contestualmente venne bandito un concorso nazionale per lo studio dell'imbocco del nuovo asse viario, data la cruciale posizione tra le vie Lame, San Felice, Ugo Bassi e a meridione la Piazza Malpighi.[51]

Il concorso non ebbe alcun esito concreto, per cui venne ripetuto nel 1938; ne uscirono cinque progetti vincitori, tutti molto simili, che prevedevano in vario modo l'ampliamento della viabilità interna e la progettazione di nuove arterie di scorrimento volte a sollevare il traffico che gravava sulla via Emilia. Il comune decise di affidare ai gruppi vincitori la stesura di un nuovo piano regolatore, di concerto con l'ufficio tecnico comunale. Il progetto, coordinato dall'architetto Plinio Marconi, venne elaborato tra il 1940 e il 1941, ma l'arrivo della guerra interruppe tutti i piani.[51]

Dal Dopoguerra agli anni Cinquanta[modifica | modifica wikitesto]

Giuseppe Dozza, il "sindaco della ricostruzione"

Immediatamente dopo la fine del conflitto i problemi urbanistici, legati alle pesanti distruzioni che la città subì coi bombardamenti alleati, furono ripresi dalla ricostituita amministrazione comunale.

Le distruzioni belliche erano ingenti a Bologna, soprattutto nel settore nord-ovest del centro e nelle aree vicine agli insediamenti industriali, militari e ferroviari: gli edifici risultati danneggiati erano all'incirca il 44%. 


Urbanistica della ricostruzione[modifica | modifica wikitesto]

Nel luglio 1945 venne allestita una mostra coi progetti già presentati in passato, occasione che servì anche ad accogliere nuove idee e formulazioni da parte di enti e privati sul futuro sviluppo urbano di Bologna.[52] Tra il 1946 e il 1947 venne effettuato uno studio da parte dei servizi tecnici comunali per la predisposizione del piano di ricostruzione, approvato l'anno seguente, oltre che a riprendere in mano un nuovo piano regolatore generale.[53]

Nel settembre 1945 venne riconfermato l'incarico di redigere il nuovo Piano regolatore a Plinio Marconi, già coordinatore dei progetti urbanistici durante le amministrazioni fasciste. La giunta Dozza, a guida comunista, nonostante l'ampio consenso raccolto alle amministrative del 1946 necessitava ancora di costruire un'immagine di amministrazione competente; perciò vennero mantenuti tecnici stimati e già riconosciuti. A ciò si sommava la mancanza, da parte dell'amministrazione comunista, di una certa sensibilità verso le politiche urbanistiche: le aree di intervento su cui la giunta puntava erano altre, come la gestione del bilancio e dei tributi.[54]

Piano di ricostruzione[modifica | modifica wikitesto]

Il nuovo piano di ricostruzione entrò subito all'opera, determinando la riedificazione in senso pienamente modernista e decidendo per le ultime azioni di risanamento nella zona tra la Montagnola e via Mascarella. Vennero previsti radicali interventi di allargamento delle sedi stradali e nuove vie ad ampia sezione, volti ad alleggerire il traffico.[55]

La ricostruzione a Bologna proseguì, almeno metaforicamente, fino alla metà degli anni '50. Infatti l'efficienza nel ripristino delle opere edilizie permise di avere già nel 1951 il 10% dei vani in più rispetto al 1938; tuttavia la città, dopo aver accolto una quantità spropositata di sfollati e profughi durante la guerra, subì un'esplosione demografica che la portò dai 318.000 abitanti del 1940 ai 445.000 del 1961.

Guida di questa fase fu il Piano Regolatore redatto da Plinio Marconi, fortemente necessario dato che l'ultimo strumento urbanistico era ancora il vecchio piano del 1889. Così, la stagione fu delineata da una sostanziale continuità col passato, contrassegnata da un forte inurbamento dalle campagne, ma ancora nell'immagine di una Bologna "imperiale" e "metropoli meridionale della Valle Padana".[56]

Il PRG del 1955[modifica | modifica wikitesto]

Il Piano Regolatore Generale redatto da Marconi e concluso nel 1952 si pose in sostanziale continuità con le politiche urbanistiche precedenti. Prevedeva una crescita demografica fino a raggiungere il milione di abitanti, tramite un'alta densità edificatoria e un'espansione a macchia d'olio, senza troppi riguardi verso servizi e verde pubblico. Il piano entrò definitivamente in vigore nel 1955, e quando arrivò l'approvazione ministeriale nel 1958 era ormai già obsoleto.[57]

L'ampliamento urbano venne sostanzialmente previsto lungo la via Emilia, dati gli ostacoli a settentrione (gli impianti ferroviari) e a meridione (i rilievi collinari), estendendosi poi lungo le valli del Savena e del Reno. Questa visione si poneva in linea con la crescita spontanea della città, dunque assecondando gli sviluppi in atto. Il modello spaziale ipotizzato per l'espansione urbana in periferia era il "quartiere", concetto ancora privo dell'idea di decentramento politico, visto come organismo fisico e sociale timida espressione dell'iniziativa pubblica, ma che nei fatti non riuscirà a contrastare la rendita immobiliare e la speculazione edilizia.[58][59]

Il dibattito sul decentramento[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Quartieri di Bologna.

La seconda periferia[modifica | modifica wikitesto]

Previsti nel disegno di applicazione del nuovo Piano regolatore, durante gli anni Cinquanta vennero progettati diversi insediamenti residenziali. Sotto la spinta del miracolo economico e della conseguente richiesta di alloggi per la popolazione, vennero edificati diversi quartieri popolari da parte degli enti di edilizia residenziale pubblica come l'INA-Casa e l'Istituto Autonomo Case Popolari. Esempi furono i villaggi INA Casa di Borgo Panigale o del Cavedone, il primo innalzato nel 1952, il secondo edificato dal 1957 al 1960, i quali erano posti agli estremi margini della periferia. Infatti, le norme permettevano l'espropriazione di terreni ad uso agricolo, molto meno cari: la conseguenza fu una vera e propria segregazione sociale.[60][61]

Nel frattempo venivano edificate intere parti di città, come la Barca, Foscherara, San Donato e San Vitale con il suo grattacielo di 70 metri, segno inconfondibile nel mezzo della periferia di Bologna. Ad aggravare la situazione pesava la mancanza nei nuovi quartieri dei servizi anche primari, dai luoghi di culto agli spazi commerciali; ciò rese inevitabile per la popolazione gravitare sul centro storico, ancora unico riferimento per tutte le necessità sociali, culturali e ricreative. In definitiva, fu un fallimento per la cultura urbanistica dell'epoca, che nella teorizzazione dei nuovi insediamenti residenziali prevedeva la ricomposizione sociale delle fratture originatesi dall'intenso movimento migratorio.[60][61]

Infrastrutture[modifica | modifica wikitesto]

Il Palazzo dello Sport nel 1960, oggi intitolato al sindaco Dozza che promosse la sua realizzazione

Viabilità[modifica | modifica wikitesto]

Un obiettivo fondamentale del Piano Marconi era risolvere la viabilità esterna ed interna; allo scopo venne prevista una "circonvallazione di pianura", arteria di scorrimento esterna alla linea ferroviaria, che fungesse da collettore del traffico di transito, evitando così la via Emilia e i viali attorno al centro storico. Un'altra infrastruttura teorizzata, ma poi non realizzata, era una via collinare che consentisse il collegamento tra le valli del Reno e del Savena e che desse allo stesso tempo un'adeguata valorizzazione immobiliare della zona collinare.[58][59]

Servizi[modifica | modifica wikitesto]

Scarse considerazioni furono fatte per gli impianti produttivi e l'insediamento dei servizi collettivi. Ad essi furono genericamente lasciati i terreni lungo l'asse nord, al di là della linea ferroviaria. In questo periodo fu stabilito il mercato ortofrutticolo in Bolognina e venne realizzato il nuovo Palazzo dello Sport, mentre nei fatti il centro storico rimaneva il luogo deputato a tutte le attività terziarie: culturali, amministrative, commerciali e ricreative. Se sforzi significativi furono fatti dal Comune per l'edificazione delle scuole elementari, nel complesso il disegno di uno sviluppo edilizio senza vincoli permise un processo di saturazione dello spazio urbano senza standard urbanistici adeguati di verde e attrezzature pubbliche.[58][61]

Anni Sessanta[modifica | modifica wikitesto]

L'urbanistica riformata[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1959 si assistette all'interno dell'amministrazione comunale ad un cambio di passo nei confronti delle politiche urbanistiche. Sulla spinta dell'opposizione democristiana, che nel 1956 presentò il Libro bianco per Bologna, e grazie anche ad un rinnovo della classe dirigente del PCI locale, venne riconosciuto un ruolo di primo piano delle strategie urbanistiche nei nuovi indirizzi della Giunta. A questo proposito venne inviato da Roma l'architetto Giuseppe Campos Venuti, che nel 1960 divenne assessore all'urbanistica.[62]

L'arrivo di Campos Venuti[modifica | modifica wikitesto]

Campos Venuti al suo arrivo è costretto a misurarsi col PRG di Marconi, ideato una decina di anni prima e totalmente insufficiente ai nuovi sviluppi di Bologna. La prima azione fu di commissionare una serie di studi per conoscere meglio la città e il suo comprensorio. In particolare, Benevolo e Quaroni si occuparono del centro storico; Aymonino e Giordani del centro direzionale; Ballardini e Insolera del verde e degli impianti sportivi; Casini e Vittorini dell'edilizia sovvenzionata.[63]

Obiettivi del neoassessore erano combattere la rendita fondiaria vincolando i suoli all'uso pubblico, contenere l'espansione edilizia privata, orientare razionalmente le funzioni urbane. Tuttavia non può sconfessare apertamente la pianificazione vigente: nonostante infatti la visibile inadeguatezza del PRG, esso era troppo recente e soprattutto sostenuto da larga parte dell'opinione pubblica per essere stravolto o sostituito. Campos Venuti darà una significativa svolta all'amministrazione urbanistica di Bologna tramite altri mezzi, come la stesura di piani particolareggiati e di attuazione, i PEEP e il PIC.[64]


L'opera di Campos Venuti venne poi proseguita da Armando Sarti, nuovo assessore nella giunta Fanti, portando avanti sostanzialmente le politiche del precedente assessore

Il PIC[modifica | modifica wikitesto]

L'inizio della stesura del Piano Intercomunale del Comprensorio bolognese (PIC) avvenne nel 1961,

Piano Edilizia Economica Popolare[modifica | modifica wikitesto]

L'occasione per Campos Venuti di applicare edilizia popolare è data dall'emanazione nel 1962 della legge 167, che introdusse i PEEP

Nel novembre del 1962 venne discusso in consiglio comunale l'applicazione del PEEP

sottrarre alla speculazione immobiliare; elemento determinante sviluppo urbano

adozione luglio 1963


Opere infrastrutturali[modifica | modifica wikitesto]

Edilizia ospedaliera Edilizia scolastica

[65]

Tangenziale[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Tangenziale di Bologna.

Tangenziale complanare 1964-1967[66]

Quartiere fieristico[modifica | modifica wikitesto]

Politiche di salvaguardia[modifica | modifica wikitesto]

Recupero del centro storico[modifica | modifica wikitesto]

Piano collinare[modifica | modifica wikitesto]

Il PRG del 1955 prevedeva un'edificazione sparsa sulla collina

Anni Settanta[modifica | modifica wikitesto]

Variante generale del 1970[modifica | modifica wikitesto]

[67]

La "terza Bologna"[modifica | modifica wikitesto]

Fossolo[modifica | modifica wikitesto]

Giardini pubblici[modifica | modifica wikitesto]

Kenzo Tange e il piano per Bologna Nord[modifica | modifica wikitesto]

Fiera District[modifica | modifica wikitesto]

Verso il nuovo millennio[modifica | modifica wikitesto]

Bologna all'inizio del XXI secolo

Sviluppi posteriori[modifica | modifica wikitesto]

Calo demografico[modifica | modifica wikitesto]

PRG del 1985[modifica | modifica wikitesto]

Il PSC del 2008[modifica | modifica wikitesto]

Complesso Lazzaretto[modifica | modifica wikitesto]

Progetto della stazione centrale[modifica | modifica wikitesto]

Riqualificazione della Bolognina[modifica | modifica wikitesto]

Dibattito sui Prati di Caprara[modifica | modifica wikitesto]

il nuovo Piano regolatore del 2021[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Bergonzoni, pp. 95-96.
  2. ^ Riguzzi, pp. 97-98.
  3. ^ Bergonzoni, pp. 99-100.
  4. ^ Bergonzoni, p. 100.
  5. ^ Bergonzoni, pp. 100-101.
  6. ^ Bergonzoni, pp.108-109.
  7. ^ Riguzzi, pp. 98-99.
  8. ^ La strada del conte Grabinski e l'allargamento di Borgo Salamo, su Bologna Online. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  9. ^ Riguzzi, p. 99.
  10. ^ Farini (Via), su originebologna.com. URL consultato il 1º gennaio 2023.
  11. ^ Riguzzi, p. 100.
  12. ^ Riguzzi, pp. 100-101.
  13. ^ Riguzzi, pp. 101-103.
  14. ^ Riguzzi, pp. 101-104.
  15. ^ Riguzzi, pp. 109-110.
  16. ^ a b Riguzzi, p. 112.
  17. ^ Riguzzi, pp. 111-112.
  18. ^ Riguzzi, p. 118.
  19. ^ Riguzzi, pp. 114-115.
  20. ^ Riguzzi, pp. 115-116.
  21. ^ Gli Orti Garagnani, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 4 gennaio 2023.
  22. ^ Riguzzi, pp. 116-117.
  23. ^ Riguzzi, p. 113.
  24. ^ Riguzzi, pp. 118-119.
  25. ^ Riguzzi, pp. 120-121.
  26. ^ Riguzzi, pp. 112-113.
  27. ^ Riguzzi, p. 122.
  28. ^ Bergonzoni, p. 106.
  29. ^ Bergonzoni, p.115.
  30. ^ Bergonzoni, pp.107-108.
  31. ^ Abbattimento delle torri Artenisi, Guidozagni e Riccadonna, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 4 gennaio 2023.
  32. ^ Bergonzoni, p. 107.
  33. ^ Demolizione delle mura cittadine, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 5 gennaio 2023.
  34. ^ Demolizione delle porte S. Mamolo e S. Isaia, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 5 gennaio 2023.
  35. ^ Bergonzoni, p.111.
  36. ^ Bergonzoni, p.115.
  37. ^ a b Scannavini (1), pp.301-303.
  38. ^ Riguzzi, pp.122-123.
  39. ^ a b c Scannavini (1), p.306.
  40. ^ I villini liberty di Paolo Sironi, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 5 gennaio 2023..
  41. ^ Ramazza, pp.163-165.
  42. ^ Attività edilizia della Coop. Risanamento fuori porta S. Isaia, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 5 gennaio 2023.
  43. ^ Il rione Cirenaica, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 5 gennaio 2023.
  44. ^ Scannavini (1), p.312.
  45. ^ La nuova sede della casa editrice Zanichelli, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 6 gennaio 2023..
  46. ^ Bernabei et al., p.82.
  47. ^ Bergonzoni, pp.115-117.
  48. ^ Il Palazzo del Gas e il fregio di Giorgio Giordani, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 17 gennaio 2023..
  49. ^ Scannavini (1), pp.306-308.
  50. ^ Gli edifici della Pro Domo Miserorum, su bibliotecasalaborsa.it. URL consultato il 5 gennaio 2023.
  51. ^ a b Scannavini (2), pp.324-327.
  52. ^ Fareri, Spada, p.146.
  53. ^ Scannavini (2), p.328.
  54. ^ Fareri, Spada, pp.146-147.
  55. ^ Scannavini (2), pp.328-230.
  56. ^ Preti, pp.29-35.
  57. ^ Fareri, Spada, pp.109-110.
  58. ^ a b c Scannavini (2), p.334.
  59. ^ a b Preti, pp.36-37.
  60. ^ a b Scannavini (2), p.336.
  61. ^ a b c Campos Venuti (1), pp.83-84.
  62. ^ Fareri, Spada, pp.152-153.
  63. ^ Fareri, Spada, p.111.
  64. ^ Fareri, Spada, pp.111-112.
  65. ^ Fareri, Spada, p.114.
  66. ^ Fareri, Spada, pp.114-115.
  67. ^ Fareri, Spada, p.115.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Franco Bergonzoni, Venti secoli di città. Note di storia urbanistica bolognese, Bologna, Cappelli, 1980, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\SBL\0620317.
  • Giancarlo Bernabei, Giuliano Gresleri e Stefano Zagnoni, Bologna moderna 1860-1980, Bologna, Patron, 1984, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\CFI\0084920.
  • Giuseppe Campos Venuti, L'urbanistica riformista a Bologna dalla ricostruzione al'espansione, in Walter Tega (a cura di), Bologna contemporanea, gli anni della democrazia, collana Storia illustrata di Bologna, vol. 5, San Marino, AIEP, 1990, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\RER\0034056.
  • Giuseppe Campos Venuti, L'urbanistica riformista a Bologna dall'espansione alla trasformazione, in Walter Tega (a cura di), Bologna contemporanea, gli anni della democrazia, collana Storia illustrata di Bologna, vol. 5, San Marino, AIEP, 1990, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\RER\0034056.
  • Paolo Fareri, Alessandra Spada, Innovazione nelle politiche e costruzione della città: ambiente, sviluppo e progettualità locale nella Bologna degli anni Sessanta, in Marco Cammelli (a cura di), L'innovazione tra centro e periferia. Il caso di Bologna, Bologna, Il Mulino, 2004, ISBN 88-15-10146-2, SBN IT\ICCU\UBO\2548628.
  • Alberto Preti, Politiche e governo locale nella Bologna degli anni Cinquanta e Sessanta, in Marco Cammelli (a cura di), L'innovazione tra centro e periferia. Il caso di Bologna, Bologna, Il Mulino, 2004, ISBN 88-15-10146-2, SBN IT\ICCU\UBO\2548628.
  • Stefano Ramazza, Le realizzazioni dello IACP dal 1906 al 1940, in Pier Paolo D'Attorre (a cura di), Bologna città e territorio tra 800 e 900, Milano, FrancoAngeli, 1983, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\UBO\0106792.
  • Gabriele Riguzzi, Analisi e pianificazione dei tessuti urbani. Il caso di Bologna, a cura di Carlo Monti, Bologna, CLUEB, 1993, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\VEA\0044659.
  • Roberto Scannavini, La nascita della città post unitaria 1889-1939, in Walter Tega (a cura di), Bologna dall'unità alla liberazione, collana Storia illustrata di Bologna, vol. 4, San Marino, AIEP, 1990, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\RER\0034055.
  • Roberto Scannavini, La formazione della città moderna 1937-1962, in Walter Tega (a cura di), Bologna dall'unità alla liberazione, collana Storia illustrata di Bologna, vol. 4, San Marino, AIEP, 1990, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\RER\0034055.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  Portale Bologna: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di Bologna