La bottega del caffè (Goldoni)

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La bottega del caffè
Commedia in tre atti
AutoreCarlo Goldoni
Lingua originaleItaliano
AmbientazioneUna piazza di Venezia, su cui si affacciano un caffè, una bisca e un barbiere: sopra ad esse, alcune abitazioni tra le quali quella della ballerina
Composto nel1750
Pubblicato nel1750
Prima assoluta2 maggio 1750
Mantova
Personaggi
  • Ridolfo, caffettiere
  • Don Marzio, gentiluomo napolitano
  • Eugenio, mercante
  • Flaminio, sotto nome di conte Leandro
  • Placida, moglie di Flaminio, in abito di pellegrina
  • Vittoria, moglie di Eugenio
  • Lisaura, ballerina
  • Pandolfo, biscazziere
  • Trappola, garzone di Ridolfo
  • Un garzone del parrucchiere, che parla
  • Altro garzone del caffettiere, che parla
  • Un cameriere di locanda, che parla
  • Capitano di birri, che parla
  • Sbirri, che non parlano
  • Altri camerieri di locanda, che non parlano
  • Altri garzoni della bottega di caffè, che non parlano
Trasposizioni operisticheIl maldicente, ovvero la bottega del caffè di Stefano Pavesi (1807, Firenze);
Tre commedie goldoniane di Gian Francesco Malipiero (1925, Darmstadt)
 

La bottega del caffè, composta nel 1750, è una delle più importanti commedie di Carlo Goldoni, all'interno della quale si sviluppa un intermezzo, dallo stesso titolo, composto da Goldoni nel 1736.

Nata inizialmente come intermezzo in tre parti, la commedia venne rappresentata per la prima volta a Mantova, il 2 maggio di quell'anno 1750[1]. Fu poi portata a Venezia dove venne replicata per dodici volte[1], con un successo tale che spinse il commediografo a tornarci sopra fino a crearne una commedia in tre atti. È considerata uno dei suoi testi più fortunati tra le sedici commedie nuove

Trama[modifica | modifica wikitesto]

L'azione della commedia si svolge a Venezia nell'arco di un'intera giornata, dalle prime luci dell'alba di un mite mattino invernale, durante il carnevale, per concludersi quando scende la notte. Sullo stesso campo affacciano, tra gli altri negozi, la bottega del caffettiere Ridolfo, la casa da gioco di Pandolfo e l'appartamento di Lisaura, bellissima ex- ballerina: in questi luoghi si intrecciano le vicende dei molti personaggi della commedia.

Ridolfo, uomo di grande bontà, ha preso a cuore la sorte del giovane mercante di stoffe Eugenio, che da qualche tempo frequenta assiduamente la casa da gioco di Pandolfo dove ha subíto ingenti perdite giocando a carte col conte Leandro; la moglie di Eugenio, Vittoria, cerca invano di far ravvedere il mercante. Nel frattempo è giunta a Venezia da Torino Placida, che, travestita da pellegrina, è in cerca del marito Flaminio, del quale ha perso le tracce. In queste avventure si inserisce don Marzio, nobile napoletano in decadenza che, ambiguo e pettegolo, si diverte a raccogliere le confidenze degli altri personaggi e spifferarle poi per metterli in cattiva luce. Per queste sue cattive abitudini, don Marzio è mal visto praticamente da chiunque a eccezione di Pandolfo, il quale trae profitto dalle sue macchinazioni e dunque non cessa mai di fomentarlo e offrirgli ghiotte occasioni di combinare guai.

Don Marzio insinua in Eugenio l'idea che Lisaura pratichi la prostituzione e che Leandro sia il suo cliente privilegiato, inducendo il giovane a corteggiarla spudoratamente; allo stesso modo mette in dubbio l'onorabilità di Placida, giurando che la donna sia in realtà solita giungere a Venezia in occasione del Carnevale per recitare la parte della moglie abbandonata per attirare gli uomini, e che dietro la sua richiesta d'aiuto vi siano profferte amorose nei confronti di Eugenio. Inoltre, il nobile rivela a Vittoria che Eugenio ha cercato di vendere i suoi preziosi orecchini per pagare i debiti di gioco contratti con Leandro, cosa che peraltro à ha proposto egli stesso offrendosi poi come intermediario.

Venuta a sapere delle malefatte di Eugenio, Vittoria minaccia di lasciarlo riprendendosi anche la sua dote; anziché consigliarlo per il meglio, don Marzio spinge il giovane a festeggiare la ritrovata libertà organizzando un pranzo a cui prenderanno parte anche Lisaura e Leandro. Alla festa tuttavia irrompe Placida, che riconosce nel conte Leandro il proprio marito, il quale fingeva di essere un nobile per procurarsi avventure; a sua volta, Lisaura spiega di non essere affatto una prostituta, ma di aver accettato la corte di Leandro poiché credeva che il giovane l'avrebbe sposata. A quel punto la situazione precipita: Leandro/Flaminio cerca di uccidere Placida, Lisaura caccia di casa il suo amato e Vittoria lascia Eugenio. Don Marzio, tuttavia, cerca di convincere Eugenio e Flaminio che essersi liberati delle proprie donne sia la cosa migliore che possa esser capitata; intanto il napoletano fa involontariamente arrestare Pandolfo dopo aver rivelato al capitano dei birri[2] i trucchi con cui l’uomo inganna i giocatori.

Ridolfo, con l'aiuto del suo garzone Trappola, riesce a far ragionare Eugenio e Flaminio: pentiti, i due si ricongiungono alle mogli e vengono perdonati anche da Lisaura. Don Marzio viene invece accusato di essere uno spione e un diffamatore: ormai abbandonato da tutti, manifestando il proprio disprezzo nei confronti dei borghesi veneziani, il napoletano lascia la città.

Alcuni aspetti della commedia[modifica | modifica wikitesto]

Goldoni scrive l'opera in toscano, diventata ormai la lingua franca italiana, in modo da farsi comprendere da spettatori di tutta Italia. Questo spiega come mai nella commedia, seppur ambientata a Venezia, i personaggi non parlino veneziano.

Come in molte altre sue opere, il commediografo veneziano mette in luce tutti gli aspetti, negativi o positivi, dell'ascesa della borghesia. Per questo troviamo sia personaggi come Ridolfo, l'operoso padrone di bottega, simbolo della borghesia efficiente ed intraprendente, sia come Eugenio, l'ingenuo commerciante che si lascia illudere dalla prospettiva di un guadagno facile, o Pandolfo, l'imprenditore senza scrupoli che si propone il guadagno ad ogni costo, anche a spese del fallimento e della disperazione degli altri. Assai più netto, invece, è il giudizio di Goldoni a proposito della nobiltà, classe parassitaria ai suoi occhi di illuminista, il cui tipico esponente è don Marzio, pettegolo usuraio che passa il tempo a gettare zizzania tra la gente.

La commedia si svolge intorno alla bottega del caffè, luogo di ritrovo di avventori abituali e di passaggio, collocato al centro della piazza, da cui si ha la visione di tutti gli edifici che l'attorniano. È l'idea di un microcosmo in cui si creano varie dinamiche tra i personaggi, che litigano, si aiutano e si interessano delle questioni degli altri a vicenda.

Derivazioni[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1969 il regista e drammaturgo tedesco Rainer Werner Fassbinder scrisse il dramma Das Kaffehaus, adattando il testo goldoniano alla sua poetica[3].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Classici italiani (PDF), su classicitaliani.it. URL consultato il 19 gennaio 2010 (archiviato dall'url originale il 10 giugno 2017).
  2. ^ In Italiano arcaico così venivano definiti i gendarmi. Il termine è poi mutato in sbirri, usato oggi come dispregiativo.
  3. ^ Maria Dolores Pesce, dramma.it [1]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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