Ducato di Castro

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il ducato di Castro fu un feudo dell'Italia centrale, sorto come Stato indipendente sotto i Farnese tra il 1537 e il 1649; comprendeva una piccola fascia territoriale dell'attuale regione Lazio a ridosso della Toscana.

Ducato di Castro
Capitale Castro
Istituzione 1537 (bolla Videlicet immeriti di papa Paolo III)
Stato sovrano 1537 - 1649
Distruzione di Castro 1649
Annessione al Papato 1649 (aggregato da papa Innocenzo X alla provincia pontificia del Patrimonio di San Pietro)

Istituzione

Il ducato di Castro fu eretto da papa Paolo III Farnese (1534-1549), con la bolla Videlicet immeriti del 31 ottobre 1537, in favore del figlio Pier Luigi e della sua primogenitura maschile. Il ducato ebbe un'esistenza breve, poco più di 110 anni e fu eclissato dal possedimento parmense dei Farnese.

Castro, una cittadina arroccata su una rupe tufacea nei pressi del fiume Fiora, era la capitale e la residenza del duca.

Pianta dello Stato di Castro
Pianta dello Stato di Castro

Confini

Il ducato di Castro si estendeva dal Mar Tirreno al lago di Bolsena, in quella striscia di terra delimitata dal fiume Marta e dal fiume Fiora, risalendo fino all'affluente Olpeta e al lago di Mezzano, di cui l'Olpeta è emissario. Vi erano annessi il ducato di Latera e la contea di Ronciglione.

Le origini

Per consolidare i possedimenti di famiglia e per favorire il figlio Pier Luigi, nel 1537, papa Paolo III eresse il ducato di Castro che comprendeva i seguenti centri: Castro, Montalto, Musignano, Ponte della Badia, Canino, Cellere, Pianiano, Arlena, Tessennano, Piansano, Valentano, Ischia, Gradoli, Grotte, Borghetto, Bisenzio, Capodimonte, Marta, le isole Bisentina e Martana, Ronciglione, Caprarola, Nepi, Carbognano, Fabrica di Roma, Canepina, Vallerano, Vignanello, Corchiano e Castel Sant'Elia.

Quale capitale del nuovo ducato fu scelta Castro che, nel 1527, aveva subito un grosso saccheggio proprio a causa di Alessandro Farnese, il futuro Paolo III, che l’aveva fatta occupare suscitando le ire di papa Clemente VII. Castro ricambiò la scelta farnesiana collocando sul proprio stemma, costituito da un leone rampante, tre gigli azzurri e il motto “Castrum Civitas Fidelis”. I Farnese, coadiuvati da Antonio da Sangallo il Giovane, ricostruirono completamente la città di Castro, adeguatamente fortificata e dotata di una propria zecca.

Dopo la creazione del ducato di Parma e Piacenza nel 1545, i Farnese si divisero per un decennio tra il vecchio ed il nuovo ducato, cominciando, però, sempre di più ad orbitare intorno a quello nuovo. Divenuto duca di Parma, Pier Luigi cedette Castro al figlio Ottavio, a sua volta questi, dopo la tragica morte di Pier Luigi, passò Castro al fratello Orazio. Morto Orazio senza prole il ducato di Castro tornò ad Ottavio.

Alla morte di Ottavio, il ducato passò al figlio Alessandro Farnese, che non si fece mai vedere nel suo territorio perché preferì combattere e farsi una fama nel Nord Europa.

Il declino del ducato iniziò con Ranuccio I, figlio di Alessandro, che ereditò una situazione debitoria piuttosto consistente. Il suo successore, Odoardo I Farnese, non cercò di sanare la situazione, anzi, con una scelta piuttosto poco lungimirante dichiarò guerra alla Spagna, senza neanche avvertire pontefice Urbano VIII, che riuscì, comunque, a risolvere la situazione attraverso i canali diplomatici. Tuttavia, gli interessi legati all'importanza strategica del territorio del ducato all'interno dello Stato Pontificio portarono ben presto ad un giro di vite da parte di Roma nei confronti dei Farnese, rei di non onorare i propri debiti.

La prima guerra di Castro

Le cause remote della "Prima guerra di Castro" possono essere ritrovate nella politica espansionistica della famiglia Barberini, che trovò sul suo cammino Odoardo Farnese. Prendendo come pretesto la posizione del ducato di Castro, creato su parte dei territori del Patrimonio di San Pietro in Tuscia, Urbano VIII, Maffeo Barberini, in combutta con i due nipoti, il cardinale Francesco e il cardinale Antonio, maturò il deciso proposito di spogliare i Farnese dei privilegi e possedimenti che la famiglia godeva già da alcuni secoli.

Dopo aver cercato di farsi vendere il ducato, i due fratelli cercarono altri mezzi per mettere in difficoltà Odoardo. Nel 1639 i banchieri Siri e Sacchetti e il prefetto di Roma, il nipote del papa Taddeo Barberini, denunciarono l’appalto dei proventi di Castro, lamentandosi del ribasso del prezzo del grano e negando ad Odoardo il denaro pattuito, facendolo trovare in una situazione piuttosto delicata: i creditori, che gli avevano concesso fondi facendo profitto sulle future rendite del ducato, reclamarono indietro il loro.

Ad aggravare la situazione del Duca concorsero due decreti del camerlengo, il cardinale Antonio Barberini, che vietava l’estrazione del grano, privilegio da sempre riservato alla Santa Sede, e ordinava la costruzione di una strada da Sutri a Roma per assorbire tutto il traffico che precedentemente passava da Ronciglione (1641. Nonostante i tentativi di Odoardo di appianare queste difficoltà, i Barberini non mollarono, anzi presero come pretesto il possibile fallimento dei Monti Farnesiani e per garantire i creditori del duca giunsero fino all'occupazione del ducato ed al successivo sequestro dei beni dei Farnese nello Stato pontificio. L'occupazione del ducato di Castro da parte delle truppe pontificie, incominciò il 27 settembre 1641. Per reazione le truppe dei Farnese entrarono nello Stato della Chiesa arrivando a catturare la città di Acquapendente e facendo temere al pontefice un nuovo sacco di Roma.

La prima parte della guerra si concluse con le trattative del negoziato di pace di Castel Giorgio, che portarono al ritiro delle forze farnesiane. Purtroppo i negoziati fallirono il 26 ottobre 1642 ed Odoardo vide vanificata la sua avanzata nei territori pontifici a tutto vantaggio dei Barberini che poterono riorganizzare le proprie difese.

Dopo vari tentativi del Farnese di riconquistare Castro tramite spedizioni militari via terra e via mare, si arrivò alla seconda fase del conflitto: si formò una lega tra il granduca di Toscana, la repubblica di Venezia e il duca di Modena, che, preoccupata per le mire espansionistiche dei Barberini, spingeva per la restituzione del ducato al legittimo proprietario Gli alleati, che fino ad allora avevano solo appoggiato moralmente Odoardo, entrarono in guerra agli inizi del 1643. La prima guerra di Castro terminò con il trattato di Roma del 31 marzo, che, grazie all’aiuto diplomatico francese, restituiva il ducato al Farnese e lo riconciliava con la Santa Sede. L’accordo venne suggellato l’anno successivo con la nomina del fratello di Odoardo, Francesco a cardinale.

La seconda guerra di Castro

Alla morte di Odoardo (1646), gli succedette il figlio sedicenne Ranuccio II, che, oltre ai debiti pregressi, ereditò anche quelli della guerra appena terminata. Mentre erano in corso le trattative tra il ducato e il papato per la nomina del nuovo vescovo, papa Urbano VIII morì. Gli succedette Giovan Battista Panphilij, col nome di Innocenzo X (1644-1655). La famiglia del pontefice era quella che vantava più crediti nei confronti dei Farnese.

Il 17 aprile 1648 il papa, senza consultare Ranuccio, nominò vescovo di Castro monsignor Cristoforo Giarda. Ranuccio gli vietò l'ingresso in città fino ad un avvenuto "accomodamento" con Roma. Passò quasi un anno e nemmeno la corrispondenza epistolare riuscì a sbloccare la situazione. Per questo motivo il pontefice ordinò al vescovo di prendere comunque possesso della sua diocesi. Il 18 marzo del 1649, diretto da Roma a Castro, vicino Monterosi, fu vittima di un agguato, portato a termine da Ranuccio Zambini di Gradoli e Domenico Cocchi di Valentano. Innocenzo X attribuì immediatamente la responsabilità dell’agguato a Ranuccio, ordinò quindi al governatore di Viterbo, Giulio Spinola, di istruire un processo per stabilire la responsabilità dell’atto: da qui la decisione di attaccare il ducato.

Malgrado gli sforzi di Ranuccio II, Castro capitolò il 2 settembre 1649 e, otto mesi dopo il papa ne ordinò la totale demolizione: furono rasi al suolo tutti gli edifici, compresi la chiesa principale, la zecca, le abitazioni gentilizie. Il duca Ranuccio, impossibilitato a ripianare i debiti notevoli dovette far buon viso a cattivo gioco, accettando la perdita del ducato.

La demolizione

All'inizio del 1985, lo storico Romualdo Luzi pubblicò sulla prestigiosa rivista "Barnabiti Studi" l'inedito «Giornale» dell'Assedio, presa e demolizione di Castro (1649) dopo l'assassinio del Vescovo barnabita Mons. Cristoforo Giarda.

Il manoscritto completava con informazioni preziose e con tutta evidenza di prima mano, le notizie spesso scarne relative a quel terribile anno per la Maremma laziale. La cronaca, che inizia il 1 giugno e termina il 3 dicembre, rende conto di ogni dettaglio della demolizione, avvenuta "facendo inventario" e trasportando "a Civitavecchia l'artiglieria et ogni altra monitione di Castro"; "si conobbe poi anco in Roma che la demolitione era opera maggiore di quella che i Consultori di figuravano".

Qui fu Castro

Il Memoriale mandato dall'Em. Card. Barberini alla Santità di N.S. Papa Innocenzo X fa menzione di tale iscrizione. "vi fu seminato il sale e alzata una piramide che dice «Qui fu Castro»".

In realtà non si è mai trovata traccia di quella scritta. L'unico manufatto a poca distanza dalle rovine di Castro è il Santuario del Crocifisso, meta a tutt'oggi dei rituali pellegrinaggi degli abitanti dell'Alta Tuscia, discendenti dei cittadini del distrutto Stato di Castro.

Tentativi di recupero e annessione al papato

Grazie all’aiuto del re di Spagna e del granduca di Toscana, con atto rogato il 19 dicembre 1649, Ranuccio, riconoscendo la propria impossibilità a pagare i debiti di famiglia, cedette tutti i beni e diritti costituenti il ducato alla Camera Apostolica per la cifra di 1.629.750 scudi. Con questo atto la Camera Apostolica si accollò tutti i debiti dei Farnese e concesse al duca la facoltà di riscatto, rimborsando la cifra in unica soluzione entro otto anni. Facevano eccezione in questo atto Palazzo Farnese a Roma e Palazzo Farnese a Caprarola.

Al termine degli otto anni Ranuccio non aveva ancora raccolto la somma pattuita, così Alessandro VII con bolla del 24 gennaio 1660 dichiarò il ducato De non infeudandis, quindi definitivamente incamerato. Grazie all’aiuto di Luigi XIV, nel 1664, il ducato fu scamerato e fu concessa una nuova proroga di otto anni per riscattarlo, con la possibilità di pagare in due rate uguali per i beni divisi in due parti. Vista la situazione economica di casa Farnese, sempre più compromessa, anche questa proroga si rivelò infruttuosa. Il territorio del piccolo Stato fu definitivamente incamerato e aggregato alla provincia pontificia del Patrimonio di San Pietro (in Tuscia).

Bibliografia

  • Edoardo del Vecchio, I Farnese, Istituto di Studi Romani Editore, 1972
  • Rivista Biblioteca e Società, Allegato al N.2, Consorzio per la gestione delle Biblioteche di Viterbo, giugno 1994
  • Romualdo Luzi, L'inedito..., cit., Roma 1985
  • George Dennis, The Cities and Cemeteries of Etruria, Londra 1848
  • George Dennis, Vulci - Canino - Ischia - Farnese. Città e Necropoli Etruria, a cura di Franco Cambi, Nuova Immagine Editrice, Siena 1993, ISBN 88-7145-053-7
  • Alfio Cavoli, La Cartagine della Maremma, Roma 1990.
  • Studio della città di Castro - Tesi di laurea in Architettura 2005 [1]

Voci correlate