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Virginia Angiola Borrino (Cossato, 28 marzo 1880Torino, 14 gennaio 1965) è stata un medico italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Virginia Angiola Borrino(Cossato, 28 Marzo 1880 - Torino, 14 Gennaio 1965)[1] nel 1905 si laureò all’Università di Torino[1] lasciando un grande ricordo della sua ammirevole figura in tutte le sedi universitarie in cui si si trovò a lavorare e a collaborare con i suoi colleghi di incommensurabile spessore: Torino, Siena, Sassari e Perugia. La dottoressa, oltre a ricevere il titolo di “Professoressa ordinaria” all’Università di Perugia[2], fu la prima donna in Italia ad ottenere l’incarico della direzione della clinica pediatrica all’Università di Siena[3][4] Successivamente venne insignita anche della carica di “Commendatore al merito della Repubblica Italiana[5] e fu membro fondatrice dell’Associazione Italiana Donne Medico (A.I.D.M.)[6].

La mia vita: la pediatria agli inizi del '900 attraverso le memorie di una donna medico[modifica | modifica wikitesto]

Nella presentazione del libro, la prof.ssa Fernanda Borsarelli (Libero docente in pediatria, Presidente dell’Associazione Italiana, Dottoressa in Medicina e Chirurgia) ricorda la collega:

«[...]Ricordo quando le fui presentata all’istituto di fisiologia dell’Università di Torino dal Prof. Herlitzka: era una donna di statura media, dal sorriso aperto, incorniciato dai bei capelli di un biondo naturale, raccolti a crocchia sulla nuca, dallo sguardo dolce, insieme penetrante e indagatore.[...]Per apprezzare adeguatamente tale carriera bisogna rifarsi ai tempi in cui questa si svolse: tempi da pionieri, non solo in Italia ma qui soprattutto perché tempo fascista, in cui le donne, venivano escluse persino dall’insegnamento letterario nelle scuole medie superiori e incontrano difficoltà quasi insormontabili per adire all’insegnamento universitario.[...]A conclusione di questo breve ricordo di una bellissima figura di donna-medico mi piace riportare alcune parole che ella indirizzò all’assemblea nazionale dell’Associazione dottoresse in medicina e chirurgia, tenutasi a Roma nel 1960, riaffermando, Lei, che era stata una delle fondatrici dell’associazione stessa nel 1921, “il reale dovere della donna-medico di partecipare alla difesa della vita umana, al conforto dei piccoli, dei deboli”, ed esortando le giovani colleghe a “tener fede soprattutto al principio di generosa dedizione al bene, che significa camminare nella fatica di ogni giorno con un interesse superiore, con una concezione più alta della scienza e dell’arte medica”.»

Perché queste memorie?

«[...]Così mi è caro rivolgermi in modo speciale – oltre che a tutte le persone sensibili ai problemi sociali – alle giovani donne, che oggi, in numero sempre crescente, si avviano agli studi medici ed a quelle che negli ospedali, nei laboratori, al letto dei malati affrontano le stesse mie difficoltà, vivono la stessa bella attività, che ha riempito tutta la mia vita. Mi è caro, e mi sembra quasi di parlare a sorelle, esponendo gravi problemi che attendono soluzioni oggi come in passato, vie di lavoro, interessi generosi; mi sembra di parlare cuore a cuore, richiamando alla dignità e bellezza del compito scelto a servizio dei malati e dei deboli: compito pel quale, indubbiamente, la donna ha, nella sua stessa natura, speciali capacità d’intuizione e di dedizione che sono preziose nella pratica dell’arte medica. Per questa certezza, vorrei dire alle più giovani, che avanzano malsicure verso l’ “arte difficile”, come l’ha definita Ippocrate, il primo sublime e perenne maestro della medicina: “Non vi smarrite alle prime difficoltà, allo scetticismo comune ed ai contrasti, non vi lasciate confondere nella routine della professione – in cui purtroppo cadono molti – portate nel vostro lavoro il meglio di voi stesse, e la vostra vita sarà bella e benedetta sarà la vostra azione.»»


Primi passi nella vita[modifica | modifica wikitesto]

Virginia Angiola Borrino, quartogenita di una modesta famiglia delle Prealpi biellesi, rimase orfana del padre alla tenera età di otto anni. Fu cresciuta con determinati e precisi valori: le parole “amore della patria - valore - onestà - rettitudine - ordine - dignità” furono i concetti alla base dei quali, secondo la società ad essa contemporanea, si sarebbe dovuta alimentare più tardi tutta la sua vita. Zio Quinto, fratello del defunto padre, rinunciò alla sua carriera per prendersi cura dei tanto amati nipoti. Virginia, non a caso, lo ricorda come una figura viva, sorridente, animosa, forte e sempre al suo fianco. Zio Quinto, come ricorda la stessa nella sua autobiografia, aveva un amico medico con il quale era solito trascorrere del tempo la sera. Spesso e volentieri la futura dottoressa rimaneva sveglia ad ascoltare, affascinata, i loro interessanti discorsi in ambito medico-sanitario. E’, infatti, tra la speciale tenerezza dello zio e le sue conversazioni con l’amico medico che nasce la sua vocazione.[7]

A causa della precaria forma fisica di Virginia, solo l’entusiasta e sognatore zio continuava a credere nella forza di volontà della sua nipotina e nella sua intima e profonda aspirazione. Su consiglio del medico amico di suo zio, essa non frequentò le scuole elementari. Imparò a leggere e a scrivere grazie alle sorelle e ad un cugino coetaneo. Lo stesso medico, qualche tempo dopo, consigliò di irrobustirla con una serie annuali di bagni salati, con lunghi periodi di vita in montagna da parenti della madre e col farle passare quasi tutta la giornata all’aperto ed al sole su una piccola collina artificiale formata di sabbia dal torrente Strona trasportata appositamente per lei. A 10 anni, Virginia superò l’esame di ammissione al ginnasio e, con immensa gioia, potè finalmente iniziare la scuola.

In quegli anni ella, assieme alla sua carissima amica Maria B., iniziò inoltre a compiere un’ostinata ricerca di elaborazione della fede religiosa che entrambe consideravano l’essenziale della vita umana e della vita che si apriva davanti a loro. In poche parole la fede era per queste due giovanissime ragazze fonte di conoscenza dei principii e del sincero amore per la verità.[8]

Incontro con la scienza[modifica | modifica wikitesto]

L’inquietudine degli anni di incertezza si placò d’un tratto ed una luce improvvisa guidò Virginia verso un migliore equilibrio. Ciò probabilmente a seguito della fine degli studi classici. La stessa, iscrivendosi all’università e al collegio Carlo Alberto, decise di continuare a perseguire il suo sogno. Come essa ricorda in questo libro, ci furono determinate lezioni e libri che diedero un nuovo impulso alla sua immaginazione ed alla sua avidità di sapere. In particolare modo per quanto riguarda le lezioni, essa fu ammaliata da materie quali filosofia, scienze naturali, critica e storia mentre per quanto concerne i libri, essa rimase estasiata da La fatica e La paura di Angelo Mosso.[9]

Addentrandosi in materie di ambito medico, essa ebbe un debole per lo studio della fisiologia e della patologia generale. Risultarono, invece, particolarmente dolorosi gli anni dell’ospedale, le varie patologie speciali e le cliniche. Finiti gli esami del primo anno, andò dal professor Angelo Mosso per esprimergli il desiderio di studiare con lui nel suo laboratorio: non solo essa ebbe l’onore di avverare questo suo desiderio ma, accanto alla figura del famoso fisiologo, incontrò persone di grande valore che ebbero fiducia in lei. Dopo poco tempo fu messa a seguire le ricerche di Amedeo Herlitzka[10] , allora giovane assistente, più tardi degno successore di Angelo Mosso. Similmente la professoressa ricorderà sempre con grande ammirazione le geniali lezioni di Cesare Lombroso.

L’ultimo anno universitario si ritrovò a superare un’esperienza dolorosa a seguito della frequenza del corso di ostetricia e ginecologia e dell’obbligo di affrontare le due decadi di internato pratico. Per riuscire a superare questa drammatica situazione, le fu enormemente d’aiuto la compagnia di una generosa valdese di Torre Pellice, Mimì Volla. Fu qui che, a seguito di episodi spiacevoli e dell’ignoranza che dilagava in quei reparti, Virginia decise a cosa avrebbe dedicato la sua opera e la sua intera vita.[11]

Preparazione alla pediatria[modifica | modifica wikitesto]

L’ultimo anno di studi risultò particolarmente faticoso a Virginia, sia dal punto di vista universitario, sia dal punto di vista personale. A 24 anni essa sentì per la prima volta la sua condizione di orfana, quasi priva di risorse finanziarie, eccetto una piccola legittima paterna. E’ qui che sviluppa il pensiero di dover vivere del suo lavoro e col suo lavoro. Ottenne una borsa di perfezionamento all’interno presso le università del Regno del Collegio Carlo Alberto, che la aiutò nelle prime difficoltà e la spinse avanti quasi miracolosamente. Virginia si impegnò a frequentare la clinica pediatrica di Firenze dove, grazie al godimento dell’arte e della bellezza, riusciva a provare un certo conforto. Incontrò, inoltre, Giuseppe Mya, patologo medico; Dante Pacchioni ed infine Carlo Francioni. Ottenne la borsa per l’estero e Mya le presentò Adalberto Czerny, allora direttore della clinica pediatrica di Breslavia. Quest’ultimo era solito curare pochi malati, ma studiati a fondo. La professoressa Borrino mostrò la tecnica usata nelle ricerche che aveva compiuto a Firenze sui fermenti dell’urina dei neonati e nei lattanti[12] e fu l’alta considerazione di questa tecnica da parte di Czerny a permetterne la pubblicazione su una rivista tedesca e ad affidare alla protagonista esperimenti sul ricambio idrico nel lattante e sul valore di diversi zuccheri nell’allattamento artificiale.

Grazie alle lezioni sul dovere del pediatra di occuparsi anche del problema dell’educazione, essa pubblicò in seguito“Il medico educatore del bambino”. Dopo un periodo di sconforto, dopo un breve soggiorno a Dresda per un congresso di pediatria, dopo tre mesi di lavoro a Berlino (dove entrò nella ricca società borghese) e dopo due mesi di lavoro a Parigi, la professoressa Borrino riuscì finalmente a tornare a casa da sua madre e da suo zio. In particolar modo a Berlino, per l’insistenza e la volontà del professore Neumann, Virginia Angiola Borrino approfondì la conoscenza della buona organizzazione tedesca, assistenziale ed assicurativa.[13] La lunga catena di opere assistenziali e di attività preventiva destavano il suo ardore e il suo entusiasmo, facendole sognare un migliore ordinamento fondato sulla prevenzione.

Solo Czerny si levò da solo contro la grande corrente laudativa di istituzioni municipali e statali per la distribuzione di latte sterilizzato o di alimenti preparati ai bambini poveri definendoli “deplorevoli incentivi all’allattamento artificiale”. A Parigi la brillante protagonista frequentò la clinica del Marfan[14]. Il sacrificio non la spaventava, non la spaventò mai, ogni volta che le parve necessario ed impellente. In quel tempo apprese, attraverso cari amici e attraverso l’insegnamento di un grande mistico polacco, Andrea Towianski, una migliore interpretazione della virtù del sacrificio, espressione di senso del sacro, sensibilità ed azioni nobilitanti ed innalzanti: sacra facere ogni azione, le grandi e difficili, le comuni, le umili di ogni giorno.

Le fu offerto il posto di assistente interno all’ospedale infantile Regina Margherita. A seguito del sentimento di impotenza ad arrestare il progredire della malattia provato dalla professoressa, essa fu trascinata a studiare a fondo il problema della morbilità, a rilevare la frequenza delle malattie e ad analizzarne le cause. Il lavoro della nostra protagonista fu, però, presto contrastato da incomprensioni e sospetti. In particolar modo il terzo anno di internato (fortunatamente anche l’ultimo) si rilevò essere estremamente difficile a causa dell’ostilità da parte dei colleghi nei suoi confronti[15]

Prima attività professionale e libera docenza[modifica | modifica wikitesto]

Finalmente, dopo l’ultimo anno di internato, l’ormai professoressa riuscì a trasferirsi definitivamente a Torino in un’abitazione sua con studio medico. Stinse una profonda amicizia con Ester Penati[16] al punto da definirla “l’anima del nostro ufficio di assistenza”. Invano la professoressa cercò di fare propaganda contro la forma di assistenza di ricovero negli istituti. Molta gioia fu rappresentata dalla partecipazione all’attività dell’Università popolare anche se non fu facile per la professoressa ritrovarsi in un ambiente tanto ostile nei confronti di una delle prime donne-medico. “Il sottile fil conduttore” che guida ogni vita, sottraeva la professoressa ad ogni proposta economica migliore di quella corrente e la guidava dritta per la sua strada. Nel 1913 giunse alla libera docenza di clinica pediatrica.

Il 19 settembre dello stesso anno, le arrivò un telegramma che, dal sanatorio della Sila, la fece ritornare a casa per prendersi cura dell’ormai morente carissimo zio. Una volta ritornata a Torino le fu affidato dall’Ispettorato del Lavoro il compito di eseguire una serie di visite mediche a domicilio, per uno studio sulle condizioni igienico-sanitarie delle lavoratrici a domicilio. Fu decisamente, come lei stessa afferma in questo libro, una delle esperienze più interessanti della sua vita al punto tale da arrivare a pentirsi di non avere pubblicato lei stessa i risultati di quella inchiesta e di essersi limitata ad una lunga relazione per l’Ispettorato.[17]

Nella Magna Sila[modifica | modifica wikitesto]

La dottoressa, dopo l’inchiesta sulle condizioni igienico-sanitarie delle lavoratrici a domicilio, ricevette un invito da parte del professor Gosio (eminente batteriologo e studioso della malaria, allora direttore generale della Sanità Pubblica) ad organizzare e dirigere un sanatorio antimalarico per bambini in Calabria sull’altipiano della Magna Sila. Il prof. Gosio tentò l’esperimento di trasportare i bambini più gravemente colpiti all’altipiano della Silla e lì decise di costruire un sanatorio antimalarico. Poiché sul sanatorio sventolava la bandiera della Croce Rossa, Virginia Angiola Borrino prestò ogni tipo di soccorso a chiunque ne avesse bisogno.[18] Nell’ultimo anno di guerra le venne affidato dalle autorità militari il compito di sorveglianza e di cura di un distaccamento di 200 prigionieri di guerra e di 100 soldati, accampati sull’Altipiano. Nell’ottobre 1918 la protagonista lasciò per l’ultima volta la Sila incantata per fare ritorno ai suoi studi a Torino. Visitare la Calabria rappresentò per la professoressa un allargamento della visione della vita, un arricchimento dello spirito.

Intorno alla Prima Guerra Mondiale (1914-1918)[modifica | modifica wikitesto]

Nella solitudine densa di lavoro della dottoressa era sempre più viva la fiamma dell’attività del pensiero e dell’amore del sapere. Nessun problema filosofico, sociale, morale e nessun movimento di pensiero la lasciava indifferente. Nel frattempo continuava la condivisione di letture, di studi e di esperienze con la sua carissima amica d’infanzia Ester Penati. Proprio insieme ad Ester Penati, Virginia Angiola Borrino si dedicò all’asilo materno, il piccolo nido. Tra il 1912 e il 1918 l’asilo fu una vera e propria opera di pionieri: fu un modello di assistenza, pronta ed efficace a madri infelici e a bimbi.[19] Fin dal maggio 1915 la professoressa aveva fatto domanda di volontariato per gli ospedali contumaciali e per il servizio sui treni-ospedali. L’offerta venne respinta con l’invito al servizio civile. Allo stesso modo fu respinta la domanda di lavoro negli ospedali militari delle retrovie.

Dopo la fine della prima guerra mondiale, l’amore si presentò per la prima volta nella sua vita. Ma proprio in quel periodo sorse la possibilità di un incarico universitario: quello di clinica pediatrica all’Università di Siena, grazie al consiglio e all’appoggio del prof. Ferdinando Micheli (allora straordinario di patologia medica all’Università di Siena)[20] . A seguito di questa proposta, Virginia Angiola Borrino decise di partire e di lasciare affetti (tra cui anche l’amore), lavoro ed amicizie a Torino, per la vita nuova di Siena.

Nella dolce Siena[modifica | modifica wikitesto]

Nell’autunno del 1919 la professoressa si recò a Siena[21] , città incantevole dagli umili abitanti; viveva in una pensione non distante dal duomo, nella quale conobbe signore straniere con le quali condivise cultura ed esperienze di vita. La clinica in cui lavorava, rimediata alla base del vecchio ospedale della Scala[22] , era povera e priva di personale assistente, ma ciò che rendeva davvero felice la donna era la frequente consulenza nelle campagne e nei paesi del circondario, che le consentiva di assistere i bambini ed al contempo di godere della bellezza dei paesaggi della Toscana.

La sua vita universitaria non fu semplice a causa dei contrasti tra i colleghi ed i pregiudizi nei suoi confronti ma, nonostante ciò, essa riuscì ad avviare una biblioteca ed un ambulatorio e ad attuare una piccola colonia elioterapica diurna per i bambini malati. La riforma dell’istruzione superiore di Giovanni Gentile[23] mise a rischio la sua carriera, ma un’ispezione del ministro nella clinica in cui lavorava si concluse positivamente, concorrendo all’istituzione della “Cassa Scolastica”[24] per l’assistenza agli studenti meno abbienti. L’intensa attività lavorativa e gli studi della professoressa fecero in modo che le venisse offerto l’incarico di pediatria nell’università di Pisa, da lei successivamente rifiutato a causa del vivo interesse per il lavoro iniziato e per le amicizie formatesi a Siena.

A partire dal 1921 essa organizzò, insieme a delle amiche, il “Comitato delle piccole madri”:[25] un’Istituzione rivolta all’assistenza ed alla protezione dei bambini abbandonati. In tale contesto la dottoressa comprese l’importanza del movimento in tenera età e l’urgenza dell’opera profilattica fondamentale. Nel 1923 partecipò al “Congresso nazionale per l’assistenza ai minorenni abbandonati e traviati[26] durante il quale sostenne la necessità del concorso della donna nell’opera di assistenza sociale, fondamentale per l’istituzione, nel 1935, dell’Opera Nazionale per la protezione della Maternità e dell’Infanzia.[27] Nel 1924, mentre la professoressa era intenta ad apprezzare la città, gli amici e le letture, fu varata una nuova legge per gli studi superiori, che la costrinse a lasciare la sua amata Siena.

Intermezzo nella vecchia casa[modifica | modifica wikitesto]

Tornata nella casa paterna, la dottoressa non ebbe il tempo di perdersi in pensieri malinconici, poiché persone di ogni tipo si affidarono a lei per farsi curare, rendendola maggiormente serena e speranzosa, ma non totalmente soddisfatta del proprio lavoro. Dopo aver rifiutato la direzione dell’istituto degli Innocenti[28] di Firenze[29] ed aver perso il concorso per la cattedra di pediatria di Cagliari[30] , decise di tornare a Torino[31] , attendendo a lungo l’assegnazione di una cattedra e continuando, nel frattempo, a lavorare e a prendersi cura della madre malata. Nel maggio del 1927, finalmente, fu chiamata all’università di Sassari[32] .

Nell’isola[modifica | modifica wikitesto]

I primi giorni del 1928, la professoressa partì quindi per Sassari, lasciando con dolore sua madre, alla quale disse che avrebbe lavorato a Genova[33] , per darle l’illusione di essere meno distante da lei. Nonostante le incertezze e la lunghezza del viaggio, la dottoressa era fiduciosa ed iniziò a lavorare con entusiasmo in una piccola clinica situata in periferia, prendendosi cura dei bambini (anche grazie all’aiuto della famiglia Agnelli[34] di Torino) e studiando al contempo il complesso dei fattori ostili alla vita dell’infante. Organizzò, inoltre, dei consultori profilattici per giovani madri inesperte (atti a ridurre la mortalità e le malattie dei primi anni di vita dei bambini) e, in seguito, anche dei refettori.

La dottoressa lavorò non soltanto in clinica (dove vi era un gran numero di bimbi malati a causa di insufficienze dell’alimentazione e dell’igiene), ma anche in studi oppure in consulti in provincia, ad esempio nel Logu d’oro, a Ozieri, Tempio ed Alghero;[35] fu colpita dalla cortesia della popolazione, dalle caratteristiche del paesaggio (a tratti misero, a tratti incantevole), dal vento furioso, dal caldo torrido e dalla naturalezza con la quale gli abitanti conducevano la propria vita primitiva.

Il rapporto con i colleghi era ottimo, caratterizzato da grande cordialità, familiarità e condivisione di sogni, speranze, desideri ma anche dolore, come quello che la professoressa provò nel momento in cui perse il suo unico fratello e, undici mesi dopo, anche la madre. A quel punto volle andare via dall’isola e, dopo essere scampata ad una congiura organizzata intorno a lei, riuscì ad ottenere il trasferimento a Perugia.[36]

In Umbria[modifica | modifica wikitesto]

Nel dicembre del 1931, la dottoressa andò a Perugia e dovette lavorare in una misera clinica, formata da una buona metà inutilizzabile poiché priva di luce e da altre stanze adibite a brefotrofio, clinica e aula delle lezioni. Si impegnò per migliorare le condizioni della clinica, approfondendo contemporaneamente i propri studi e lavorando nello studio in casa ma soprattutto nei consulti nelle campagne, per raggiungere le quali attraversava meravigliosi paesaggi. Un’ispezione al Brefotrofio del federale[37] dichiarò insostenibile la situazione dell’Istituto, dunque tre milioni di lire furono investite in nuove costruzioni per i bambini, portando alla formazione, in vetta ad un colle, di un accogliente istituto di cura per 60 bambini, in seguito occupato (dall’autunno del 1943 al maggio del 1944) dai feriti di guerra.

In occasione della Pasqua ed in estate la professoressa ritornava alla casa paterna e passeggiava a lungo nella pineta riflettendo sulla realtà della malattia e sul suo mistero di sofferenza, distruzione e limitazione e cominciando a scrivere consigli per i malati; così facendo si creò una fama di intenditore di mille problemi pratici e del lavoro, specialmente quello femminile. Pensando a problematiche quali abusi, complicazioni burocratiche ed assenza di confidenza e fraternità tra medico e malato, cominciò a scrivere un libro di insegnamenti e di illuminazione spirituale per i malati e per i medici. Quest’ultimo fu pubblicato solo nel 1948 a causa della guerra, ma ciò non le impedì di sottolineare il valore sacro della missione del medico e anche quello della malattia, dalla quale, infatti, si possono trarre capacità affettive, intellettuali e morali superiori.

La maternità extralegale ed i “bimbi soli”[modifica | modifica wikitesto]

Il problema dell’assistenza sanitaria e sociale dei bambini illegittimi e delle donne abbandonate nella propria maternità aveva interessato da sempre la dottoressa, la quale, infatti, aiutò le ragazze-madri ed i bimbi soli sia a Torino che a Siena.[38] Questi venivano lasciati nei brefotrofi in modo anonimo attraverso la ruota infame (una finestrella a terreno) e ciò accadde per lungo tempo prima che fossero varate leggi per l’attuazione di una migliore cura dei bambini illegittimi e per l’opportunità, offerta alle cliniche, di studiare la fisiologia dei bambini.

La professoressa, entusiasta dei nuovi provvedimenti, procedette a studiare tutti i casi di bambini e madri che le si presentavano e comprese l’immenso valore dell’educazione, necessaria per prevenire la delinquenza precoce. Pertanto la dottoressa sostenne, fin dal 1923, la necessità di una vasta opera di prevenzione sociale.

Nel 1935-36, alcune sue buone amiche organizzarono un comitato di patronato per le carcerate, dandole la possibilità di studiare approfonditamente la delinquenza della donna; essa, al contempo, ottenne buoni risultati nel formarsi, nella regione, di una certa mentalità pediatrica. Nel ’35 fu invitata dalla Prefettura ad organizzare e gestire un asilo nido e, nell’occasione della sua inaugurazione, la professoressa conobbe la moglie dell’allora ministro della Giustizia, Rocco Todaro,[39] e fece con lei un giro di ispezione della casa penale, suscitando immediatamente fiducia tra le recluse. Queste ultime erano in prevalenza di età giovanile, provenienti quasi sempre dalle regioni meridionali d’Italia o dalle isole, mancanti di istruzione e soprattutto non in un buono stato di salute (molte avevano un peso inferiore alla media, anemia, deficiente capacità vitale, carie, disturbi della funzione utero-ovarica e di quella tiroidea, sofferenze addominali e del sonno ed infine emotività esagerata).

La professoressa completò il proprio studio analizzando per ultime le condizioni precedenti il delitto ed i movimenti psichici del delitto stesso, giungendo alla conclusione che il delitto femminile fosse strettamente legato alle tradizioni locali così come la donna era strettamente legata alla famiglia e, di conseguenza, suggestionata da essa. La dottoressa dunque propose un’opera di rieducazione che avrebbe dovuto essere sostenuta da un’ulteriore opera di prevenzione. Il suo lavoro, tuttavia, potè essere pubblicato solamente nel 1947, poiché prima il Re le aveva impedito di farlo per non far sfigurare il proprio Paese, che doveva dimostrarsi all’avanguardia anche nella cura della delinquenza femminile.[40] Solo in seguito, in ambienti responsabili, venne fatta (ed accettata) qualche piccola proposta di pratiche correzioni.

L’ultima avventura[modifica | modifica wikitesto]

Con l’avvicinarsi della nuova guerra, la professoressa sentì la necessità di avvicinarsi alla propria famiglia; il suo unico conforto era rappresentato dal fatto di aver visto ultimata la costruzione della nuova clinica pediatrica, da lei iniziata e successivamente ingrandita da altri. Visse l’orrore e la distruzione della guerra e, dopo diverse problematiche relative all’assegnazione di un nuovo posto di lavoro, fece ritorno in Umbria[41] , per poi concludere per limiti di età la propria vita accademica e continuare, in operosa solitudine, a studiare, meditare, ricordare e trarre conclusioni sulla vita.

Come si vince la malattia[modifica | modifica wikitesto]

Frontespizio dell'opera "Come si vince la malattia" di Virginia Angiola Borrino

Questo manuale, scritto dalla Dott.ssa Virginia Angiola Borrino, venne pubblicato a partire dal 1948. Il volume si compone di un’introduzione e quattro capitoli:

I. La malattia, il medico e l’assistenza[42]

II. Come si combatte la malattia[43]

III. Come si supera la malattia[44]

IV. I vittoriosi[45]

Il libro coniuga la molta scienza e la consumata esperienza clinica ad una profonda compassione umana, esprimendo e descrivendo la sofferenza degli ammalati e, al tempo stesso, esaltando le “forze spirituali[46] che li aiutano ad affrontare la malattia tramite una serena sopportazione della stessa. Questo trattato descrive, pertanto, le esperienze medico-spirituali, essendo esso stesso espressione di una parola fraterna ai malati.

Ogni parola di conforto, ogni presenza amica, ogni piccolo gesto è un momento fondamentale per il malato. Questi rappresentano, infatti, esempi “luminosi” che portano il paziente a sentirsi sollevato dai propri mali. E’ grazie ai doveri che lo stesso paziente sente di avere verso sè stesso e verso i suoi cari, che il malato sarà in grado di percepire uno spiraglio di luce. Questo spiraglio è rappresentato dalla consapevolezza dell’uomo di essere in grado di poter alleviare il proprio fardello di sofferenze, tenendo accesa la fiaccola della speranza e della fede.[47] E’, infatti, proprio da questa forza che si risveglia nel malato, il quale lotta tra la vita e la morte, che qualche volta vi è il processo di guarigione dalla malattia e il successo delle cure mediche.

Introduzione del libro "Come si vince la malattia" di Virginia Angiola Borrino

L’autrice vuole trasmettere il suo messaggio di salvezza invogliando il malato a impiegare bene il suo tempo: come combattere la noia, come affrontare la lunga giornata attraverso una vita sana e equilibrata.[48] E’ un miscuglio di emozioni che il malato si ritrova ad affrontare giornalmente e che rappresentano una sfida, un lento lavoro di pensiero e di volontà da compiere su sè stessi per superare il proprio smarrimento, la rivolta e la disperazione ma allo stesso tempo per trovare la forza, la via e i mezzi di una nuova vita illuminata dall’attività spirituale. L’autrice ricorda anche i mezzi che servono per aiutare il malato ad alleviare il dolore della malattia e per permettergli di recuperare la salute. Questi mezzi sono rappresentati dall’attività del medico, dalla missione dell’infermiera, dalla funzione e dalle esigenze dell’ospedale.[49] In questo modo, attraverso queste figure fondamentali per il malato, con la vittoria della volontà sulla debolezza dell’organismo, si riuscirà a superare spiritualmente il maggior danno e l’orrore della malattia.

L’autrice conclude il suo libro con i “vittoriosi” della malattia[50]: creature d’eccezione, coloro che hanno opposto ai danni e alle distruzioni della malattia, la resistenza della propria volontà e il vigore dello spirito. Lo stesso medico incontra ogni giorno esempi di forza meravigliosa e di coraggio. A differenza della scienza, le leggi dell’energia psichica sono tutt’oggi oscure ai più. Queste stesse leggi, così impercettibili e tenaci, dirigono lo svolgersi della vita al meraviglioso potere di guarigione e all’incensante volontà di esistere.[51]

La volontà di guarire, istintiva ed insita nelle attività stesse dell’organismo, quelle stesse “forze che dormono in noi” (così chiamate da Prentice Mulford)[52], penetrano tutto l’essere e dirigono l’animo umano. Questo libro, oltre ad ascoltare le voci dei vari malati, è soprattutto la voce di un medico amico. L’autrice, dedicando molto spazio ai “grandi” nonostante la malattia, sottolinea l’insegnamento di Amiel dove “l’anima prova la sua nobiltà superando ciò che è ignobile”.[53]

Puericoltura[modifica | modifica wikitesto]

Copertina del manuale "Puericoltura" di Virginia Angiola Borrino

Questo manuale, scritto dalla Dott.ssa Virginia Angiola Borrino, venne pubblicato nel 1945. Il volume è composto da tre grandi capitoli, ognuno dei quali è suddiviso in ulteriori sottocapitoli:

I. Il bambino sano[54]

II. Il bambino malato[55]

III. L’assistenza sociale del bambino[56]

Nonostante il volume in questione, a causa del carattere strettamente tecnico, fosse inizialmente destinato a un pubblico di soli medici per i quali la conoscenza delle leggi dello sviluppo e dell’allevamento era ed è indispensabile per la diagnosi e la cura delle malattie della prima età, il concetto di difesa della vita umana che è alla base dello stesso, ha inevitabilmente indotto l’autrice ad estendere e a rendere accessibile i fondamenti essenziali per la difesa del bambino a tutti i cooperatori dell’assistenza.

Un caso esemplificativo e di “swing” della situazione medico-sanitaria dell’epoca è rappresentato dalla guerra di Crimea: mentre i soldati erano impegnati a combattere al fronte, giungevano ai rispettivi familiari costanti e drammatici bollettini che comunicavano le loro morti. Morti che, nella stragrande maggioranza dei casi, non erano causate dalle armi bensì dalle malattie, dalle infezioni e dalla mancanza di cure.[57] Questa situazione drammatica si protrasse fino a quando una giovane visionaria, Florence Nightingale, invocò ed ottenne dal governo britannico la facoltà di accompagnare i soldati in guerra e di prendersi cura dei feriti e dei malati. Grazie a questa giovane pioniera infermiera, da lì in poi, l’importanza dell’assistenza ai malati e ai feriti di guerra divenne imprescindibile.

Pagine estratte dal manuale "Puericoltura" di Virginia Angiola Borrino

Il concetto è poi andato a comprendere tutti i vari ambiti di applicazione dell’assistenza medica. Ovviamente questa non poteva che avere un ruolo predominante e decisivo soprattutto nella cura delle malattie dell’età infantile. Fondamentali per la guarigione del bambino malato, per l’assenza di complicazioni morbose, per il ritorno allo stato di salute e per lo sviluppo del soggetto sono l’ambiente in cui si trova, la qualità e la quantità degli alimenti somministrati e delle attenzioni che gli vengono date.[58] L’istinto e l’affetto, però, possono non bastare di fronte alla condizione della malattia in quanto quest’ultima può richiedere la necessità di nuove attitudini e spesso di abilità e di manualità inconsuete per la cura della stessa.

Le terapie dei bambini non possono essere comparate a quelle degli adulti in quanto l’ambiente, l’alimentazione e le cure stesse rappresentano dei fattori esterni che agiscono sullo sviluppo e sulla salute del bambino.[59] Non ci si può pertanto fermare alla somministrazione di farmaci. Per questo motivo la base della terapia pediatrica è estremamente differente da quella dell’adulto. Un buon pediatra ha, pertanto, bisogno di essere coadiuvato dall’intelligenza e dall’abilità di chi assiste il piccolo malato in quanto ogni bambino costituisce un mondo e un essere a sé. Nell’assistenza della creatura sono fondamentali tutte le tecniche speciali di preparazione e somministrazione dei cibi e dei medicamenti.[60]

Concludendo, con le parole della stessa autrice: “Io ritengo e spero che tale preparazione dovrà un giorno formare la base dell’istruzione e dell’educazione femminile, la base di programma delle stesse scuole popolari, ed in genere di tutte le scuole femminili. Un vero insegnamento dell’igiene del bambino, ordinato, sistematico, teorico e pratico, parte viva del programma scolastico di tutte le scuole.”[61]

Altri contributi[modifica | modifica wikitesto]

Indice del libro "Malattie dei bambini" di B. Bendix

Malattie dei bambini[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1803 Virginia Angiola Borrino tradusse lo straordinario scritto pediatrico “Malattie dei bambini”, pubblicato nel 1927 ed il cui autore fu il noto pediatra tedesco Bernand Bendix. 



Approfondiamo ora due tematiche fondamentali del libro:

  1. La prima è l’alimentazione del lattante ovvero "l’allattamento naturale”.[62] L’autore, a proposito del latte puro, scrisse: "il latte relativamente privo di germi viene succhiato direttamente dal petto e perciò manca la possibilità di inquinamento”.
  2. La seconda riguarda la psiche e l’umore del bambino. Bernhard Bendix diede, infatti, molta importanza alla sfera emotiva del soggetto descrivendo il bambino “normale" come un individuo che presenta una serena disposizione di umore, la quale si manifesta con il sorriso. Al contrario il bambino “anomalo” o “ammalato” è facilmente riconoscibile a causa del suo atteggiamento turbato o altresì tranquillo ed indifferente in maniera esagerata.[63]


Contributi Scientifici[modifica | modifica wikitesto]

  • Virginia Angiola Borrino, Sul fenomeno facciale nella difterite, Firenze, 1908
  • Virginia Angiola Borrino, Sulla mortalità infantile in Torino, Biella, 1909
  • Virginia Angiola Borrino, Sulla nucleasi della ghiandola mammaria, Torino, 1909
  • Virginia Angiola Borrino, Di alcune forme meno frequenti di peritonite tubercolare nell’età infantile, Firenze, 1910
  • Virginia Angiola Borrino, Osservazioni sul limite massimo della temperatura dei bambini nell’apiressia, Firenze, 1912
  • Virginia Angiola Borrino, Sui liquidi atti a conservare la funzione dei tessuti sopravviventi, Torino, 1912
  • Virginia Angiola Borrino, Malattia delle vene e del sistema linfatico, Torino, 1912
  • Virginia Angiola Borrino, Manuale di terapia infantile, Torino, 1912
  • Virginia Angiola Borrino, Sulla deformazione del torace nelle cardiopatie dell’infanzia e dell’età giovanile, Torino, 1913
  • Virginia Angiola Borrino, Il medico educatore del bambino, Torino, 1913
  • Virginia Angiola Borrino, Sui colloidi dell’epitelio intestinale e sull’azione protettiva di colloidi introdotti, Firenze, 1914
  • Virginia Angiola Borrino, Sui sanatori antimalarici per bambini, Biella, 1914
  • Virginia Angiola Borrino, Sulla mortalità estiva dei lattanti, Firenze, 1914
  • Virginia Angiola Borrino, Sulla diminuzione fisiologica del peso del neonato, Napoli, 1917
  • Virginia Angiola Borrino, Il ritmo nelle funzioni dell’organismo, Torino, 1918
  • Virginia Angiola Borrino, Osservazioni sull’accrescimento e sulla patologia dei gemelli, Firenze, 1918
  • Virginia Angiola Borrino, Sulla funzionalità della ghiandola mammaria 1° osservazioni su alcune difficoltà superabili nell’allattamento materno, Napoli, 1918
  • Virginia Angiola Borrino, Sulla funzionalità della ghiandola mammaria 2° per quali motivi le madri non allattano, Napoli, 1918
  • Virginia Angiola Borrino, Sulla funzionalità della ghiandola mammaria 3° le difficoltà nell’allattamento materno e la nutrice-aiuto, Napoli, 1918
  • Virginia Angiola Borrino, Sulla funzionalità della ghiandola mammaria 4° nutrici primipare e nutrici pluripare, Napoli, 1919
  • Virginia Angiola Borrino, Della psicoterapia dell’enuresi essenziale dei bambini, Siena, 1919
  • Virginia Angiola Borrino, Contributo alla conoscenza della etiologia e della prognosi della nefrite nell’età infantile 2°, Siena, 1920
  • Virginia Angiola Borrino, Della psicoterapia nell’enuresi essenziale dei bambini, Bologna, 1920
  • Virginia Angiola Borrino, Sindromi atrofiche nel secondo e nel terzo anno di vita e loro riparazione, Siena, 1920
  • Virginia Angiola Borrino, Sepsi dei neonati originata dall’epitelio della vulva, Siena, 1920
  • Virginia Angiola Borrino, L’ipoalimentazione nei lattanti delle prime settimane, Siena, 1920
  • Virginia Angiola Borrino, Sulle modificazioni della psiche nel bambino malato, Siena, 1920
  • Virginia Angiola Borrino, La difficoltà del secondo semestre di vita e il divezzamento fisiologico, Firenze, 1920
  • Virginia Angiola Borrino, Tentativo terapeutico nell’encefalite letargica, Napoli, 1920
  • Virginia Angiola Borrino, Sulla terapia preoce del sordo-mutismo infantile, Modena, 1921
  • Virginia Angiola Borrino, Contributo dell’applicazione dell’elioterapia nelle forme tubercolari non chirurgiche dell’età infantile, Milano, 1922
  • Virginia Angiola Borrino, Contributo alla conoscenza della tubercolosi subacuta del lattante, Siena, 1922
  • Virginia Angiola Borrino, Le variazioni della “perspiratio insensibilis” ed il loro valore nella patologia del lattante, Firenze, 1923
  • Virginia Angiola Borrino, Manuale di terapia infantile, II edizione Società Tipografica Senese, Siena, 1923
  • Virginia Angiola Borrino, Le nuove vedute sulla patogenesi etiologia e terapia del rachitismo, Torino, 1925
  • Virginia Angiola Borrino, Stati atrofici da tubercolosi e modificazioni della psiche in bambini dei primi anni, Sassari, 1929
  • Virginia Angiola Borrino, Il bambino, suo sviluppo e sua difesa, Firenze, 1929
  • Virginia Angiola Borrino, Porpora emorragica e splenectomia nell’infanzia, Napoli, 1930
  • Virginia Angiola Borrino, Fattori endogeni ed esogeni nello sviluppo psichico del primo anno (con particolare riguardo alla prole di madri encefalitiche), Napoli, 1930
  • Virginia Angiola Borrino, Pauperismo ed allevamento del bambino, Sassari, 1930
  • Virginia Angiola Borrino, L’enuresi nell’età infantile ed il suo trattamento, Milano, 1933
  • Virginia Angiola Borrino, Unificazione e coordinazione dell’assistenza al bambino illegittimo, Varallo S. 1935
  • Virginia Angiola Borrino, Igiene e profilassi generale, Torino, 1936
  • Virginia Angiola Borrino, Manuale di pediatria - Terapia generale, Torino, 1936
  • Virginia Angiola Borrino, Manuale di puericultura, Unione Tipografica Editrice Torinese, Torino, 1937
  • Virginia Angiola Borrino, Puericultura ed assistenza sanitaria dell’infanzia, Torino, 1937
  • Virginia Angiola Borrino, Presentazione anatomo-clinica di cloroma monolitico leucemico, Perugia, 1937
  • Virginia Angiola Borrino, Manuale di pediatria - Igiene e profilassi generale, Torino, 1948
  • Virginia Angiola Borrino, Manuale di pediatria - Terapia generale, Torino, 1948
  • Virginia Angiola Borrino, Come si vince la malattia, Milano, 1948
  • Virginia Angiola Borrino, Il contributo delle donne medico allo studio della menopausa, Milano, 1955
  • Virginia Angiola Borrino, Medicina e morale: coppie sterili, Milano, 1957

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Libri[modifica | modifica wikitesto]

  • Virginia Angiola Borrino, La mia vita: la pediatria agli inizi del '900 attraverso le memorie di una donna medico, a cura di E. Nicolini e C. Nicolini, Milano, HOEPLI editore, 2017, ISBN 9788820379346.

Articoli[modifica | modifica wikitesto]

  • Marco Maovaz, Ileana Giambanco, Rosario Francesco Donato, Bruno Romano, Medicina all'università di Perugia, Annali della Facoltà di Medicina e Chirurgia, voll. 96-98, p. 354

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Borrino, La mia vita, p. 1
  2. ^ si veda il sito https://www.cams.unipg.it/files/MAU/Storia_Fac_Medicina1.pdf, p.354
  3. ^ si veda il sito https://www.sipps.it/wp/wp-content/uploads/2018/12/2018_04.pdf,2018, 2018, p.12.
  4. ^ si veda il sito http://www.scienzebiomediche.unisi.it/sez%20sdm/files/n_pediatria_senese.pdf, p.2.
  5. ^ Borrino, La mia vita, p. 8
  6. ^ si veda il sito https://www.donnemedico.org/wp-content/uploads/StoriaAIDM.pdf, p.36.
  7. ^ Borrino, La mia vita, pp. 13-20
  8. ^ Borrino, La mia vita, pp. 20-23
  9. ^ Borrino, La mia vita, p. 25
  10. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, pp.25-30
  11. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, pp.30-32
  12. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, pp.33-36
  13. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.37-38
  14. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.39-41.
  15. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.41-44
  16. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.45-49
  17. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.50-51
  18. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.53-59
  19. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.61-64
  20. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.65-66
  21. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.67.
  22. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.68.
  23. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.70.
  24. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.71.
  25. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.72.
  26. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.73.
  27. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.74.
  28. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.81.
  29. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.81.
  30. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.81.
  31. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.83.
  32. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.85.
  33. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.89.
  34. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.91.
  35. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.93.
  36. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.96.
  37. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.107.
  38. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.113
  39. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.121
  40. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.125
  41. ^ Borrino, "La mia vita", 2017, p.134
  42. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, pp.1-96.
  43. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, pp.109-222.
  44. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, pp.239-315.
  45. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, pp.327-407.
  46. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, p.37.
  47. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, pp.165-170.
  48. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, pp.171.
  49. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, p.283
  50. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, p.292.
  51. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, p.315.
  52. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, p.438.
  53. ^ Borrino, "Come si vince la malattia", 1948, p.445.
  54. ^ Borrino, "Puericoltura", 1937, pp.13-354.
  55. ^ Borrino, "Puericoltura", 1937, pp.395-628.
  56. ^ Borrino, "Puericoltura", 1937, pp.637-873.
  57. ^ Borrino, "Puericoltura", 1937, p.introduzione.
  58. ^ Borrino, "Puericoltura", 1937, p.164.
  59. ^ Borrino, "Puericoltura", 1937, p.354.
  60. ^ Borrino, "Puericoltura", 1937, p.422
  61. ^ Borrino, "Puericoltura", 1937, p.637.
  62. ^ Bendix, "Malattie dei bambini", 1927, p.63.
  63. ^ Bendix, "Malattie dei bambini", 1927, p.13.