Storia del fascismo italiano

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Template:Storiaitalia La storia dell'Italia fascista (richiamata anche con le espressioni ventennio fascista o semplicemente ventennio) comprende quel periodo storico italiano che va dalla presa del potere di Benito Mussolini sino alla fine della sua dittatura avvenuta il 25 luglio 1943.

Per estensione, solitamente a questa definizione si fa riferire tutto il periodo della storia d'Italia che va dalla fine della prima guerra mondiale sino al termine della seconda guerra mondiale o il ventennio 1925-1945, poiché nel '25 furono dichiarati illegali tutti i partiti tranne il Partito Nazionale Fascista (PNF) e nel 1945 si dissolse la Repubblica Sociale Italiana (RSI).

Cronostoria

Situazione italiana alla fine del primo conflitto mondiale

All'indomani della Grande Guerra la situazione interna italiana era alquanto precaria: il Trattato di Versailles non aveva portato alcun beneficio allo Stato italiano, nemmeno alle rivendicazioni più moderate. Le casse statali erano quasi vuote anche perché la lira durante il conflitto aveva perso buona parte del suo valore, con un costo della vita aumentato di almeno il 450%. Mancavano le materie prime e le industrie non riuscivano a convertire la produzione bellica in produzione di pace per assorbire l'abbondanza di manodopera ulteriormente accresciuta dai soldati di ritorno dal fronte.

In una situazione simile nessun ceto sociale si sentiva soddisfatto, e soprattutto tra i benestanti s'insinuò una profonda paura di una possibile rivoluzione comunista sull'esempio russo. L'estrema fragilità socio-economica portò spesso a disordini, che il più delle volte venivano stroncati con metodi sbrigativi e sanguinari.

Nascita del fascismo

Il fascio littorio, simbolo del fascismo.

Tra gli strati sociali più scontenti e più soggetti alle suggestioni ed alla propaganda nazionalista che, a seguito del Trattato di Pace, si infiammò ed alimentò il mito della vittoria mutilata, emersero le organizzazioni di reduci ed in particolare quelle che raccoglievano gli ex-arditi (truppe scelte d'assalto), presso le quali, al malcontento generalizzato, si aggiungeva il risentimento causato dal non aver ottenuto un adeguato riconoscimento per i sacrifici, il coraggio e lo sprezzo del pericolo dimostrati in anni di duri combattimenti al fronte. Fu questo il contesto nel quale il 23 marzo 1919 Benito Mussolini fondò a Milano il primo fascio di combattimento, adottando simboli che sino ad allora avevano contraddistinto gli arditi, come le camicie nere e il teschio.

Il nuovo movimento espresse la volontà di "trasformare, se sarà inevitabile anche con metodi rivoluzionari, la vita italiana" autodefinendosi partito dell'ordine riuscendo così a guadagnarsi la fiducia dei ceti più ricchi e conservatori, contrari a ogni agitazione e alle rivendicazioni sindacali, nella speranza che la massa d'urto dei "fasci di combattimento" si potesse opporre alle agitazioni promosse dai socialisti e dai cattolici popolari.

Al neonato movimento mancava inizialmente una base ideologica ben delineata e lo stesso Mussolini non s'era in un primo tempo schierato a favore di questa o quell'altra idea, ma semplicemente contro tutte le altre.

Gli anni dello squadrismo

Nel movimento, oltre agli arditi, confluirono anche futuristi, nazionalisti, ex combattenti d'ogni arma ma anche elementi di dubbia moralità. Appena 20 giorni dopo la fondazione dei Fasci le neonate squadre d'azione si scontrarono con i socialisti e assaltarono la sede del giornale socialista L'Avanti!, devastandola: l'insegna del giornale fu divelta e portata a Mussolini come trofeo. Era l'inizio della guerra civile.

Nel giro di qualche mese le squadre fasciste si diffusero in tutta Italia dando al movimento una forza paramilitare.

Per due anni l'Italia fu percorsa da nord a sud dalle violenze dei movimenti politici rivoluzionari contrapposti di fascismo e bolscevismo che iniziarono a contendersi il campo, sotto lo sguardo di uno stato pressochè incapace di reagire tanto agli scioperi e alle occupazioni delle fabbriche da parte bolscevica, quanto alle "spedizioni punitive" degli squadristi.

Frattanto, il 19 settembre, Gabriele d'Annunzio spingeva dei reparti del Regio Esercito ad ammutinarsi e a seguirlo a Fiume, dove manu militare installò un governo rivoluzionario con l'obbiettivo di affermare l'italianità del comune carnero. Questa azione fu d'esempio per il movimento fascista che immediatamente simpatizzò per il Vate, anche se Mussolini non intese offrire alcun reale appoggio alla causa dei legionari.

L'azione fascista - inizialmente minoritaria, legata a poche azioni dimostrative e di resistenza alle provocazioni socialiste - iniziò ben presto a svilupparsi con spregiudicatezza e violenza: la componente militare largamente prevalente nelle squadre conferì a queste una netta superiorità negli scontri coi bolscevichi, che ben presto - sebbene notevolmente più numerosi - subirono l'urto delle camicie nere. La sistematica campagna fascista di distruzione dei centri di aggregazione bolscevica e di intimidazione dei membri del PSI - assieme alla contemporanea politica sotterranea condotta da Mussolini nei confronti dei partiti moderati - portarono il socialismo massimalista ad una crisi, mentre parallelamente cresceva la forza numerica e il morale dei Fasci di Combattimento. Così, mentre nel gennaio 1921 il Partito Socialista Italiano si disgregava (dando vita tra gli altri al Partito Comunista Italiano), il 12 novembre 1921 nasceva il Partito Nazionale Fascista (PNF), trasformando il movimento in partito e accettando alcuni compromessi legalitari e costituzionali con le forze moderate. In quel periodo il PNF giunse ad avere ben 300.000 iscritti (nel momento di massima espansione il PSI aveva superato di poco i 200.000 iscritti) forte anche dell'appoggio dei latifondisti emiliani e toscani. Proprio in queste regioni le squadre guidate dai ras furono più determinate a colpire i sindacalisti e i socialisti, intimidendoli con la famigerata pratica del manganello e dell'olio di ricino, o addirittura commettendo omicidi che restavano il più delle volte impuniti. In questo clima di violenze, alle elezioni del 15 maggio 1921 i fascisti ottennero a sorpresa 45 seggi.

La celebrità del partito crebbe ancora quando i sindacati proclamarono per il 1 agosto 1922 uno sciopero generale come ritorsione per degli scontri avvenuti a Ravenna: i fascisti per ordine di Mussolini sostituirono gli scioperanti facendo fallire la protesta. Con questa mossa si guadagnarono credibilità e quasi una sorta di simpatia da parte dell'opinione pubblica italiana.

Nell'agosto del 1922 gli abitanti di Parma, con epicentro nel quartiere popolare di Oltretorrente, organizzati dagli Arditi del Popolo, comandati da Guido Picelli e Antonio Cieri riuscirono a resistere alle squadre fasciste guidate da Italo Balbo, futuro "trasvolatore atlantico". Si tratta dell'ultima resistenza all'incalzare del fascismo.[1]

Marcia su Roma e primi anni di governo

Dopo il Congresso di Napoli, in cui 40.000 camicie nere inneggiarono a marciare su Roma, Mussolini si vide costretto ad agire: il momento parve propizio, ed un forte contingente di 50.000 squadristi venne radunato nell'alto Lazio e spinto dai quadrumviri contro la Capitale, il 26 ottobre 1922. Mentre l'Esercito si preparava a fronteggiare il colpo di mano fascista (con Badoglio principale sostenitore della linea dura) il re Vittorio Emanuele III impedì questo ulteriore bagno di sangue che avrebbe precipitato il paese in una seconda guerra civile, e non firmò il decreto di stato d'emergenza. Le camicie nere marciarono sulla Capitale il 28 ottobre, effettuando anche qualche azione violenta contro i comunisti e i socialisti della città, ma il peggio fu evitato.

Il 30 ottobre, dopo la Marcia su Roma, il re incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Il capo del fascismo lasciò Milano per Roma, ed immediatamente si mise all'opera.

Il nuovo governo comprendeva elementi dei partiti moderati di centro e di destra e militari, e - ovviamente - molti fascisti.

Fra le prime iniziative intraprese dal nuovo corso politico vi fu il tentativo di "normalizzazione" delle squadre fasciste - che in molti casi continuavano a commettere violenze -, provvedimenti a favore dei mutilati e degli invalidi di guerra, drastiche riduzioni della spesa pubblica, la riforma della scuola (Riforma Gentile), la firma degli accordi di Washington sul disarmo navale, e l'accettazione dello status quo col regno di Iugoslavia circa le frontiere orientali e la protezione della minoranza italiana in Dalmazia. Nei primissimi mesi del Governo Mussolini venne anche istituito il Parco Nazionale del Gran Paradiso.

Il fascismo diventa dittatura

In vista delle elezioni del 6 aprile 1924 Mussolini fece approvare una nuova legge elettorale (c.d. "Legge Acerbo") che avrebbe dato i tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti. La campagna elettorale si tenne in un clima di tensione senza precedenti con intimidazioni e pestaggi. Il listone guidato da Mussolini ottenne il 64,9% dei voti.

Il 30 maggio 1924 il deputato socialista Giacomo Matteotti prese la parola alla Camera contestando i risultati delle elezioni. Il 10 giugno 1924 Matteotti venne rapito e ucciso.

L'opposizione rispose a questo avvenimento ritirandosi sull'Aventino (Secessione aventiniana), ma la posizione di Mussolini tenne fino a quando il 16 agosto il corpo decomposto di Matteotti fu ritrovato nei pressi di Roma. Uomini quali Ivanoe Bonomi, Antonio Salandra e Vittorio Emanuele Orlando esercitarono allora pressioni sul re affinché Mussolini fosse destituito ma Vittorio Emanuele III appellandosi allo Statuto Albertino replicò: «Io sono sordo e cieco. I miei occhi e i miei orecchi sono la Camera e il Senato» e quindi non intervenne.

Ciò che accadde esattamente la notte di San Silvestro del 1924 non sarà forse mai accertato. Pare che una quarantina di consoli della Milizia, guidati da Enzo Galbiati, ingiunsero a Mussolini di instaurare la dittatura minacciando di rovesciarlo in caso contrario.

Il 3 gennaio 1925 alla Camera Mussolini recitò il famoso discorso in cui si assunse ogni responsabilità per i fatti avvenuti:

«Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto. Se le frasi più o meno storpiate bastano per impiccare un uomo, fuori il palo e fuori la corda! Se il fascismo non è stato che olio di ricino e manganello, e non invece una passione superba della migliore gioventù italiana, a me la colpa! Se il fascismo è stato un'associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l'ho creato con una propaganda che va dall'intervento ad oggi.»

Con questo discorso Mussolini si era dichiarato dittatore. Nel biennio 1925-1926 vennero emanati una serie di provvedimenti liberticidi: vennero sciolti tutti i partiti e le associazioni sindacali non fasciste, venne soppressa ogni libertà di stampa, di riunione o di parola, venne ripristinata la pena di morte e venne creato un Tribunale speciale con amplissimi poteri, in grado di mandare al confino con un semplice provvedimento amministrativo le persone sgradite al regime.

La crisi economica

Stemma di Stato durante il fascismo.

Il primo grosso problema che la dittatura dovette affrontare fu la pesante svalutazione della lira. La ripresa produttiva successiva alla fine della prima guerra mondiale portò effetti negativi quali la carenza di materie prime dovuta alla forte richiesta e ad un'eccessiva produttività rapportata ai bisogni reali della popolazione. Nell'immediato, i primi segni della crisi furono un generale aumento dei prezzi, l'aumento della disoccupazione, una diminuzione dei salari e la mancanza di investimenti in Italia e nei prestiti allo stato.

Per risolvere il problema, come in Germania, venne deciso di stampare ulteriore moneta per riuscire a ripagare i debiti di guerra contratti con Stati Uniti e Gran Bretagna. Ovviamente questo non fece altro che aumentare il tasso di inflazione e far perdere credibilità alla lira, che si svalutò pesantemente nei confronti di dollaro e sterlina.

Le mosse per contrastare la crisi non si fecero attendere: venne messo in commercio un tipo di pane con meno farina, venne aggiunto alcool alla benzina, vennero aumentate le ore di lavoro da 8 a 9 senza variazioni di salario, venne istituita la tassa sul celibato, vennero aumentati tutti i possibili prelievi fiscali, venne vietata la costruzione di case di lusso, vennero aumentati i controlli tributari, vennero ridotti i prezzi dei giornali, bloccati gli affitti e ridotti i prezzi dei biglietti ferroviari e dei francobolli.

Sicuramente la trovata propagandistica più nota fu la famosa quota 90. Rivalutando la lira nei confronti della sterlina, Mussolini riuscì sì a far quadrare i conti dello stato, ma mise il paese fuori dai mercati d'esportazione poiché con tale mossa raddoppiò il prezzo delle merci italiane all'estero.

Quando poi il 29 ottobre 1929 Wall Street crollò, la parola d'ordine di Mussolini fu quella di ignorare totalmente l'evento pensando che la cosa non avrebbe toccato minimamente il nostro paese. L'economia nazionale entrò invece in una profonda crisi che portò alla nascita dell'IRI e che durò fino al 1937-1938. Solo nella metà degli anni 30 Mussolini si rese conto della situazione e solo allora svalutò la lira del 41% e introdusse nuove tasse. Da quel momento in poi egli non si preoccupò più dell'economia del paese, riversando tutte le sue energie nella guerra d'Etiopia e di Spagna prima e nella seconda guerra mondiale a fianco della Germania Nazista poi.

La conciliazione con la Chiesa

L'11 febbraio 1929 Mussolini diventò, secondo le parole di papa Pio XI, l'uomo della Provvidenza firmando i famosi Patti lateranensi. La frase con cui il Papa definì il Duce pesò su tutto il suo pontificato, ma il significato di quei patti, che sancirono il reciproco riconoscimento tra il Regno d'Italia e la Città del Vaticano, fu il coronamento di estenuanti trattative tra emissari del papa e rappresentanti di Mussolini. Infatti quest'ultimo gestì l'intera faccenda personalmente e non in qualità di capo del governo.

Tra fascismo e Chiesa ci fu sempre un rapporto ostico: Mussolini si era sempre dichiarato ateo ma sapeva benissimo che per governare in Italia non si poteva andare contro la Chiesa e i cattolici. La Chiesa dal canto suo, pur non vedendo di buon occhio il fascismo, lo preferiva di gran lunga all'ideologia comunista.

Alla soglia del potere Mussolini affermò (giugno 1921) che «il fascismo non pratica l'anticlericalismo» e alla vigilia della Marcia su Roma informò la Santa Sede che non avrebbe avuto nulla da temere da lui e dai suoi uomini.

Con la ratifica del concordato la religione cattolica divenne la religione di stato in Italia, venne istituito l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole e venne riconosciuta la sovranità e l'indipendenza della Santa Sede.

Imprese propagandistiche

All'inizio degli anni '30 la dittatura si era ormai stabilizzata ed era fondata su radici solide. I bambini, così come tutto il resto della popolazione, erano inquadrati in organizzazioni di partito, ogni opposizione era stroncata sul nascere, la stampa era profondamente asservita al fascismo. L'Italia insomma si era abituata al regime, tanto da osannarne il suo leader.

Fu in questo clima che vennero organizzate diverse imprese aeronautiche. Dopo le crociere di massa nel mediterraneo e la prima trasvolata dell'Atlantico meridionale (1931), nel 1933 il quadrumviro della Marcia su Roma, Italo Balbo, organizzò la seconda e più famosa trasvolata dell'Atlantico settentrionale per commemorare il decennale dell'istituzione della Regia Aeronautica (28 marzo 1923). A bordo di 25 idrovolanti SIAI-Marchetti S.55X dal 1 luglio al 12 agosto 1933 Balbo e i suoi uomini compirono la traversata fino a New York e ritorno attraversando tutte le maggiori nazione europee e buona parte degli Stati Uniti. Per l'epoca fu un'impresa epica che diede al giovane ferrarese una fama addirittura superiore a quella di Mussolini.

La nascita dell'Impero

Lo stesso argomento in dettaglio: Impero coloniale italiano.

Alle 22.30 di sabato 9 maggio 1936 Mussolini annunciò al popolo italiano la fondazione dell'Impero. Le truppe del maresciallo Pietro Badoglio entrarono infatti in Addis Abeba il 5 maggio, ponendo così fine alla guerra d'Etiopia.

Già dal 1934 Mussolini cercò un pretesto per poter invadere lo stato governato dal negus Hailè Selassiè. La notte del 5-6 dicembre lo ottenne quando sulla frontiera somala ci fu uno scontro tra soldati somali che prestavano servizio nelle truppe coloniali italiane e soldati abissini.

Per tutto il 1935 il Duce preparò la guerra sondando le possibili reazioni delle altre nazioni e infiammando gli animi degli italiani. Mussolini volle dare alla guerra un'impronta fascista e per questo mandò in guerra solo reparti della Milizia. Le operazioni cominciarono il 3 ottobre con al comando Emilio De Bono, che chiese a Mussolini tre divisioni: ne ottenne ben dieci ed in seguito addirittura 25.

La guerra fu pianificata male e combattuta peggio: i rifornimenti non mancarono, anzi furono talmente abbondanti che non si trovò un modo per farli giungere dal porto fino alla prima linea; gli uomini della Milizia si dimostrano ben presto non idonei alla guerra a causa dell'assenza di una vera e propria istruzione militare e furono sostituiti con uomini dell'esercito regolare.

Intanto mentre la Società delle Nazioni sanzionò l'Italia, Emilio De Bono venne silurato in favore del maresciallo Pietro Badoglio che fu autorizzato ad utilizzare i gas. Mentre la guerra si trasformò in una fonte di onorificenze per tutti i gerarchi, Badoglio commise stragi inaudite che finirono su tutti i giornali esteri (quelli italiani ovviamente censurarono ogni avvenimento).

La nascita dell'Impero comunque non portò nessuna delle ricchezze promesse: né oro, né ferro, né grano. L'Impero al contrario prosciugò le casse statali per la costruzione di strade, di dighe e di palazzi e dette a Mussolini l'illusione di avere un esercito potente e la capacità di poter piegare gli stati europei che sanzionarono il nostro paese senza peraltro mettere in pratica le temute minacce.

Gli anni del consenso

L'11 ottobre 1935 l'Italia venne sanzionata per l'invasione dell'Etiopia. Le sanzioni in vigore dal 18 novembre consistevano in:

  • Embargo sulle armi e sulle munizioni
  • Divieto di dare prestiti o aprire crediti in Italia
  • Divieto di importare merci italiane
  • Divieto di esportare in Italia merci o materie prime indispensabili all'industria bellica

Paradossalmente, nell'elenco delle merci sottoposte ad embargo mancano petrolio e i semilavorati.

In realtà fu soltanto la Gran Bretagna a osservare le regole imposte dalle sanzioni. La Germania hitleriana così come gli Stati Uniti furono i primi due paesi a schierarsi apertamente verso l'Italia, garantendo la possibilità di acquistare qualunque bene. La Russia rifornì di nafta l'esercito italiano per tutta la durata del conflitto, ed anche la Polonia si dimostrò piuttosto aperta.

In questo periodo l'Italia tutta si strinse intorno a Mussolini. La Gran Bretagna venne etichettata col termine di perfida Albione, e le altre potenze furono etichettate come nemiche perché impedivano all'Italia il raggiungimento di un posto al sole. Ritornò in voga il patriottismo e la propaganda politica spinse affinché si consumassero solo prodotti italiani. Fu in pratica la nascita dell'autarchia, secondo la quale tutto doveva essere prodotto e consumato all'interno dello stato. Tutto ciò che non poteva essere prodotto per mancanza di materie prime venne sostituito: il tè con il carcadè, il carbone con la lignite, la lana con il lanital (la lana di caseina), la benzina con il carburante nazionale (benzina con l'85% di alcool) mentre il caffè venne abolito perché «fa male» e sostituito con il "caffè" d'orzo.

Nel 1929 l'autarchia entrò anche nel linguaggio. Furono infatti bandite tutte le parole straniere da ogni comunicazione scritta ed orale: ad esempio chiave inglese diventò chiave morsa, cognac diventò arzente, ferry-boat diventò treno-battello pontone. Conseguentemente vennero rinominate tutte le città con nome francofono dell'Italia nord-occidentale e con nome tedescofono dell'Italia nord-orientale: secondo la toponomastica fascista, per fare un paio di esempi, Courmayeur diventò Cormaiore e Kaltern diventò Caldaro. Inoltre si scoprì che anche l'uso del lei aveva origini straniere, perciò venne inaugurata una campagna per la sostituzione del lei con il voi, capeggiata dal segretario del partito Achille Starace.

La guerra civile in Spagna

Il 18 luglio 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile che vide contrapposti le sinistre del Fronte Popolare, che erano al potere dalle elezioni del 1936, e la Falange, una forza ideologicamente paragonabile al fascismo. Questa organizzazione non sarebbe mai stata capace di mettere il potere nelle mani del generale galiziano Francisco Franco senza l'aiuto della Chiesa, dei nazisti tedeschi e dei fascisti.

Allo scoppio delle ostilità oltre 60.000 volontari accorsero da 53 nazioni in aiuto dei repubblicani mentre Mussolini e Hitler fornirono in via ufficiosa l'appoggio alla Falange. In questo contesto non di rado persone provenienti dall'Italia schierate dalle due parti si scontrarono in una vera e propria lotta fratricida. Gli italiani accorsi a combattere per la Seconda Repubblica Spagnola erano fra i più numerosi, per nazionalità superati solo da tedeschi e francesi. Tra essi alcuni dei più noti nomi della resistenza al fascismo, come Emilio Lussu, Palmiro Togliatti, Pietro Nenni, Carlo Rosselli e il fratello Nello Rosselli (assassinati qualche tempo dopo in Francia).

Ciò che spinse Mussolini a lanciarsi in un'impresa senza alcun reale tornaconto fu probabilmente la possibilità di offrire agli italiani reduci dalla conquista dell'Etiopia un'altra avventura bellica. Per Hitler invece la questione era legata alle materie prime presenti in Spagna: la Germania aveva infatti un disperato bisogno del ferro spagnolo che nel 1937 verrà importato per una quantità pari a 1.620.000 tonnellate. Inoltre il Führer voleva sondare la sua capacità bellica in una sorta di test. Oltre al carattere economico di questo scontro, si deve evidenziare la lotta ideologica in corso, tra fronti popolari e fascismi, con la complicazione data dalla natura della repubblica spagnola, di chiara ispirazione socialista. Forse proprio per questo le democrazie liberali non difesero tenacemente la Spagna dall'aggressione fascista, che vedeva in un nuovo "stato rosso" un enorme pericolo. Si deve anche considerare che era presente un'ulteriore lotta ideologica tra socialisti e filosovietici che impedì una coesione totale nella battaglia antifascista.

Nessuno dei due dittatori ebbe comunque il tornaconto sperato dalla vittoria finale di Franco. Quest'ultimo infatti negherà l'appoggio all'Asse e si dichiarerà non belligerante nei confronti di Francia e Gran Bretagna allo scoppio della seconda guerra mondiale, rifiutando in seguito l'accesso alle divisioni tedesche che avrebbero dovuto assaltare Gibilterra. Mussolini, dal canto suo, non fu mai risarcito per le ingenti perdite di mezzi subite dall'Italia durante la guerra civile spagnola.

L'Italia si scopre francamente razzista

Il 14 luglio 1938 il fascismo scrisse una delle pagine più vergognose della storia d'Italia: in quel giorno infatti fu pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali il "Manifesto della razza". In questa sorta di tavola redatta da cinque cattedratici (Arturo Donaggio, Franco Savorgnan, Edoardo Zavattari, Nicola Pende e Sabato Visco) e da cinque assistenti universitari (Leone Franci, Lino Businco, Lidio Cipriani, Guido Landra e Marcello Ricci) venne fissata la «posizione del fascismo nei confronti dei problemi della razza».

I dieci imperativi categorici erano:

  1. Le razze umane esistono
  2. Esistono grandi razze e piccole razze
  3. Il concetto di razza è un concetto puramente biologico
  4. La popolazione dell'Italia attuale è nella maggioranza ariana e la sua civiltà è ariana
  5. È una leggenda l'apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici
  6. Esiste ormai una pura "razza italiana"
  7. È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti
  8. È necessario fare una netta distinzione fra i Mediterranei d'Europa (Occidentali) da una parte e gli Orientali e gli Africani dall'altra
  9. Gli ebrei non appartengono alla razza italiana
  10. I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli Italiani non devono essere alterati in nessun modo

Con questo manifesto si dava il via a quel processo che portò alla promulgazione delle leggi razziali.

L'alleanza con la Germania Nazista

Dal 1938 in Europa si iniziò a respirare aria di guerra: Hitler aveva già annesso l'Austria e i Sudeti e con la successiva Conferenza di Monaco gli venne dato il lasciapassare per l'annessione di tutta la Cecoslovacchia, mentre Mussolini dopo l'Etiopia stava cercando nuove prede per non perdere il passo dell'alleato d'oltralpe.

La vittima designata venne trovata nell'Albania. In due soli giorni (7-8 aprile 1939) con l'ausilio di 22.000 uomini e 140 carri armati Tirana fu conquistata.

Il 22 maggio tra Germania e Italia venne firmato il Patto d'acciaio. Tale patto assumeva che la guerra fosse imminente, e legava l'Italia in una alleanza stretta con la Germania. Alcuni membri del governo italiano si opposero, e lo stesso Galeazzo Ciano, firmatario per l'Italia, definì il patto una «vera e propria dinamite»

La seconda guerra mondiale

Il 1 settembre 1939 60 divisioni tedesche invasero la Polonia dando il via alla seconda guerra mondiale. Rapidamente l'esercito germanico riuscì a conquistare Varsavia per poi spostare le sue attenzioni prima al nord, occupando Danimarca e Norvegia; rivolse poi le sue forze ad ovest avanzando contro i Paesi Bassi e, attraverso il Belgio, contro la Francia.

Benito Mussolini rimase in attesa degli eventi e inizialmente dichiarò l'Italia non belligerante. Quando, impressionato dalle facili e rapide vittorie della Germania e dall'imminente crollo della Francia, si convinse di una vittoria nazi-fascista e già con la testa al momento della spartizione del "bottino-Europa" dichiarò guerra alle "demo-plutocrazie" di Francia e Inghilterra il 10 giugno 1940. La consegna a quasi tutti i comandi era di mantenere un contegno difensivo. Il Duce era infatti convinto che, una volta arresasi la Francia, anche la Gran Bretagna avrebbe rapidamente trovato una soluzione di compromesso al conflitto.

Il 21 giugno, dopo la firma dell'armistizio franco-tedesco (il 17 giugno), 325.000 soldati italiani ricevettero l'ordine di attaccare le restanti forze francesi oltre le Alpi. Nessuno in Italia sembrò rendersi conto della capitolazione della Francia e l'azione fu giudicata malissimo dall'opinione pubblica internazionale. Franklin Delano Roosevelt arrivò a definire l'azione una «pugnalata alla schiena».

Il 24 giugno venne firmato l'armistizio italo-francese, che sanciva una smilitarizzazione in territorio francese dei 50 km vicini al confine. Le divisioni italiane avanzarono di soli 2 km, con la perdita di 6.029 uomini contro i 254 francesi.

Dopo un esordio da dimenticare, l'obiettivo per Mussolini fu l'attacco alla Grecia, che il dittatore italiano decise di attaccare senza prima avvertire l'alleato tedesco. Al grido di "spezzare le reni alla Grecia" e dopo la promessa delle dimissioni da italiano di Mussolini nel caso le truppe italiane non fossero riuscite nell'impresa, fu lanciato l'attacco il 28 ottobre. Le divisioni italiane si trovarono ben presto in difficoltà davanti ad una resistenza inaspettata, e con un equipaggiamento arretrato ed inadeguato. Hitler si vide quindi costretto a inviare la sua Wehrmacht nei Balcani per risolvere in breve tempo la situazione. La mossa peraltro rimandò di qualche tempo l'invasione della Russia (Operazione Barbarossa), tanto che lo stesso Führer, qualche anno dopo, indicò questa occasione come una delle cause della futura sconfitta tedesca.

A seguito di questa esperienza, Mussolini perse l'iniziativa e continuò ad utilizzare l'esercito italiano come supporto all'alleato tedesco, inviando le sue truppe alpine in Russia.

Il 25 luglio e l'8 settembre

Dopo che in maggio le ultime unità della Prima Armata italiana si arresero in Tunisia , il 10 luglio 1943 una formidabile forza d'invasione anglo-americana riuscì a sbarcare sulle coste sud della Sicilia. Ogni resistenza, che fu per quanto possibile accanita, si dimostrò vana di fronte alla preponderanza di mezzi alleata. Il re e lo stato maggiore capirono ben presto che ormai era ora di sbarazzarsi di Mussolini, che in soli 2 anni di guerra aveva creato una situazione insostenibile. Il 25 luglio, dopo lunghe pressioni, il Duce si vide costretto a convocare il Gran Consiglio del Fascismo che votando l'ordine del giorno Grandi portò alla destituzione e all'arresto di Mussolini e al ritorno dei poteri militari al re.

Levato di mezzo Mussolini, il governo italiano iniziò a trattare la resa con i comandi Alleati che ormai stavano dilagando in Sicilia. Il 3 settembre a Cassibile (presso Siracusa) Pietro Badoglio firmò segretamente l'armistizio con l'impegno di comunicarlo alla nazione entro 15 giorni, poco prima di un programmato sbarco alleato sulla penisola.

L'8 settembre 1943 avvenne in Italia qualcosa che riempì di vergogna la corona e il governo dell'epoca: gli alleati, dopo aver avvisato Badoglio dell'impossibilità della difesa di Roma, ingiunsero l'obbligo al governo italiano di annunciare l'armistizio entro le 18.30 dello stesso giorno poiché era già stato programmato uno sbarco a Salerno. La paura iniziò ad attanagliare i vertici del paese, che arrivarono addirittura a pensare di fingere una rottura con gli anglo-americani per guadagnare tempo con i Tedeschi. All'ora prestabilita comunque Dwight D. Eisenhower annunciò alla radio l'armistizio, seguito alle 19.42 da Badoglio che concluse il comunicato con l'ambiguo verso: «Ogni atto di ostilità contro le forze angloamericane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.». Soprattutto quest'ultima frase, seguita dalla fuga di Badoglio e della monarchia da Roma alle 5 del mattino del 9 settembre, furono gli atti che portarono al caos che seguì quel giorno, dove nessun ordine ufficiale fu impartito, lasciando le unità sparse un po' dovunque per tutto il territorio europeo senza direttive chiare, alla mercé dei Tedeschi che ovviamente non presero per niente bene il voltafaccia degli ex alleati italiani.

L'Italia divisa in due

Nell'Italia del sud liberata dagli Alleati e formalmente guidata dal re e dal suo governo si cercava di tornare lentamente alla normalità, ripristinando - per quanto possibile - l'ordinamento pre-fascista. Contemporaneamente Mussolini, liberato dalla prigionia dai tedeschi su ordine di Adolf Hitler, dette vita ad uno stato fantoccio nell'Italia settentrionale. Si trattava della Repubblica Sociale Italiana, fondata a Salò in provincia di Brescia e riconosciuta internazionalmente solo dalla Germania nazista e dall'Impero giapponese.

Per oltre due anni, dal 14 novembre 1943 fino al 25 aprile 1945, la penisola fu quindi divisa in due da una linea di confine non ben definita: una linea che continuò a spostarsi nel sempre più a nord durante il corso del conflitto, fino a che l'esercito tedesco non si ritirò completamente dal suolo italiano.

La Repubblica Sociale Italiana

Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica Sociale Italiana.

Formalmente la Repubblica Sociale Italiana nacque dal Congresso di Verona, dove i vecchi gerarchi del partito fascista si riunirono per ricreare il partito distrutto dopo l'8 settembre. Essenzialmente dal congresso uscirono: un Tribunale straordinario speciale per processare i gerarchi che il 25 luglio si erano schierati contro Mussolini; un manifesto programmatico che sancì la struttura del nuovo stato; la nascita della Repubblica sociale che prevedeva la convocazione di una Assemblea Costituente e riaffermava l'alleanza con la Germania nazista.

La Repubblica si fondò sui principi della Carta di Verona riaffermando allo stesso tempo i principi iniziali del Fascismo repubblicano persi, a detta degli estensori della Carta stessa, durante il ventennio fascista; tra questi primeggiava, per originalità, una politica economica tendente alla socializzazione delle fabbriche.

Venne anche costituito un esercito, spesso male armato, composto da reclutati a forza (pena di morte per i renitenti) e da un limitato numero di volontari. Comunque, tranne che in sporadiche occasioni, tali forze armate, in cui i comandi tedeschi non riponevano alcuna fiducia, furono usate principalmente per contrastare il crescente movimento di resistenza che si stava sviluppando nelle regioni d'Italia occupate dall' esercito nazista.

Fine della guerra

La situazione per i tedeschi verteva comunque al peggio. La Wehrmacht era ormai in ritirata su tutti i fronti e, nonostante gli sforzi di difesa sulla Linea Gotica, i rifornimenti e l'equipaggiamento non erano nemmeno lontanamente paragonabili a quello degli alleati, che potevano anche contare sul apporto delle truppe partigiane e sulla collaborazione della popolazione che era avversa all'occupazione nazista.

Tutte le principali città italiane furono abbandonate dai tedeschi davanti all'avanzata anglo-americana ed all'insurrezione generale ordinata dal CLN; i comandi nazisti in Italia decisero di trattare autonomamente la resa per assicurarsi una ritirata sicura verso la Germania.

Nel frattempo Mussolini, dopo il tentativo di un accordo parallelo, decise di aggregarsi ad una colonna tedesca per raggiungere la Germania. Fermato da un gruppo di partigiani nei pressi di Como fu imprigionato e quindi giustiziato insieme all'amante Claretta Petacci e ad altri gerarchi.

Gli altri gerarchi fascisti vennero processati e imprigionati, o addirittura giustiziati. Con la Costituzione Italiana del 1948 il Partito Nazionale Fascista venne messo definitivamente fuorilegge e la sua rifondazione fu vietata. Per anni dopo la fine della guerra si registrarono omicidi e regolamenti di conti tra fascisti e antifascisti, come vendetta per tutto quello che accadde durante il ventennio precedente.

L'Italia nella seconda guerra mondiale

L'entrata in guerra dell'Italia, fortemente voluta da Mussolini per non rimanere declassati dal rango di grande potenza, costerà al nostro paese distruzioni immani e centinaia di migliaia di morti, che solo per buona fortuna non sono stati molti di più.

Situazione delle forze armate

Esercito

Lo stesso argomento in dettaglio: Regio Esercito.

L'esercito era sicuramente la forza armata peggiore che la nazione italiana possedeva. Delle 72 divisioni che Mussolini sbandierava di avere all'alleato tedesco, solo una ventina erano realmente in grado di combattere. Per di più di queste venti, alcune si trovavano sparpagliate nei vari territori che l'Italia aveva conquistato oltre confine (Albania, Etiopia). Altra nota dolente era l'equipaggiamento: le uniformi non erano sufficienti per i 6 milioni di soldati che in teoria componevano l'esercito, mentre per quanto riguarda i mezzi di trasporto, indispensabili per una guerra moderna fatta di rapidi movimenti sul campo, la situazione era anche peggiore poiché erano disponibili solo 53.000 mezzi (compresi i trattori e le ambulanze) quando, a titolo di esempio, l'esercito belga ne possedeva 90.000 e quello tedesco addirittura 500.000. La mancanza di materie prime costrinse gli italiani a dover combattere con carri armati leggerissimi se paragonati a quelli russi o inglesi, e a continui spostamenti a passo di marcia per la cronica mancanza di benzina.

Marina

Lo stesso argomento in dettaglio: Regia Marina.

Delle tre forze armate la marina era quella che sicuramente all'inizio del conflitto era in condizioni migliori: le navi non mancavano (la Regia Marina contendeva alla Marine Nationale francese la quarta posizione fra le principali flotte da guerra) ed erano relativamente moderne.

L'Italia inoltre possedeva la più grande flotta sottomarina del mondo[2] (anche qui in concorrenza, stavolta con l'Unione Sovietica). I punti deboli Marina italiana furono: una serie di scelte strategiche profondamente errate, tra cui quella di non dotarsi di navi portaerei (secondo l'idea dell' Ammiraglio d'Armata Domenico Cavagnari, Sottosegretario di Stato per la Marina, l'Italia stessa era una immensa portaerei protesa nel Mediterraneo); non dotarsi di una aviazione di marina dotata di aerosiluranti ,nonostante l'industria italiana li esportasse verso altri Paesi fino alla metà degli anni '30; un coordinamento pessimo, se non inesistente, con le forze aeree; una mancanza assoluta, all'inizio del conflitto, di un piano strategico qualsiasi, se non stare sulla difensiva; una penuria cronica di carburanti, le cui risorse erano state bruciate dalle imprese militari di Spagna ed Etiopia negli anni '30 (tanto che, dallo scoppio del conflitto, la Regia Marina sarà costretta a dipendere quasi esclusivamente dai rifornimenti tedeschi); il grave ritardo, infine, sulle moderne strumentazioni necessarie ad una guerra navale a tutto campo (come il radar, il sonar, il radio goniometro etc.).

Questi ritardi furono evidentissimi nell'impiego delle forze sottomarine che, per quanto inizialmente imponenti, ottennero dei successi molto limitati subendo nel contempo perdite gravissime. C'è poi da considerare il fatto che, a differenza delle altre maggiori potenze, l'Italia disponeva di risorse economiche limitate. Dopo aver impiegato grosse somme per l'ammodernamento delle quattro corazzate rimaste dopo il primo conflitto mondiale, e per la costruzione di quattro nuove modernissime corazzate (la classe Littorio) non rimaneva molto, e le nuove costruzioni navali durante il conflitto furono limitatissime, ridicolmente inferiori a quelle delle altre maggiori marine (la sola Germania costruì durante la guerra circa cinquecento sommergibili).

La marina ,quasi sempre senza protezione aerea indispensabile nel conflitto in corso,limitò la sua attività alle scorte dei convogli nel Mediterraneo e non avrà che un ruolo secondario nel conflitto (cosa assurda vista la primaria importanza della guerra navale per un Paese come l'Italia), subendo quasi sempre dolorose sconfitte nelle rare occasioni in cui i comandanti in mare venivano autorizzati a confrontarsi col nemico a viso aperto.

È indicativo il fatto che i maggiori risultati contro le forze navali avversarie (come l'affondamento di due navi da battaglia britanniche nel porto di Alessandria da parte dei Siluri a Lenta Corsa, noti come "Maiali", o dell'incrociatore pesante York da parte dei "barchini esplosivi"), furono ottenuti dal naviglio leggero e dai cosiddetti mezzi d'assalto. L'ingegno, la preparazione ,il coraggio del personale se non addirittura l'eroismo di molti comandanti di navi e sommergibili (questi ultimi soprattutto in Atlantico), non furono tuttavia sufficienti a supplire alla sconsiderata gestione della guerra da parte dei comandi superiori e di Mussolini.

Aeronautica

Lo stesso argomento in dettaglio: Regia Aeronautica.

La Regia Aeronautica possedeva già dagli anni '30 una discreta fama dovuta anche alle imprese di Italo Balbo ed era considerata all'inizio del conflitto una delle forze aeree più forti del mondo, tanto da essere temuta persino dai comandi della Royal Air Force britannica. La realtà era ovviamente diversa: dei 5.240 aerei esistenti il 10 giugno 1940, solo 3296 erano da combattimento, e di questi solo 1796 di pronto impiego. Molti meno erano quelli realmente validi e utilizzabili in un reale contesto bellico. Contrariamente alle aviazioni dell'alleato tedesco e degli avversari, quella italiana non mise a frutto le teorie formulate proprio da due ufficiali italiani, contrapposte ma egualmente efficaci, della guerra aerea indipendente e del bombardamento strategico e terroristico dei paesi avversari (Giulio Dohuet), e dell'aviazione tattica che agisse in strettissima cooperazione con le forze di terra (Amedeo Mecozzi). I pochi aerei pronti all'impiego erano ormai già superati, o stavano per esserlo. I nuovi modelli giunsero tardi e in quantità sempre insufficienti a ripianare le perdite. Inoltre, l'industria italiana non fu in grado di produrre motori neanche lontanamente paragonabili a quelli inglesi o tedeschi, tanto da dover utilizzare motori tedeschi su concessione per realizzare modelli realmente validi, come i caccia "serie 5".

Teatro africano

Il confronto militare tra Italia e Gran Bretagna venne inizialmente interpretato come una guerra imperiale, anche se il divario tra le risorse dei due paesi era enorme. I due scacchieri, in africa settentrionale e in africa orientale, presentavano problematiche differenti. La sconsideratezza delle valutazioni del duce mise subito in una situazione critica le colonie dell'africa orientale, governate dal duca Amedeo di Savoia-Aosta. La situazione della Libia, quarta sponda italica, appariva differente e in apparenza molto migliore.

Teatro russo

Lo stesso argomento in dettaglio: CSIR e ARMIR.

La nascita del CSIR (Corpo di Spedizioni Italiano in Russia) può essere fatta risalire al 30 maggio 1941, quando Mussolini comunicò al generale Ugo Cavallero l'alta probabilità di un attacco tedesco verso la Russia. Vennero rapidamente preparate 3 divisioni (le divisioni di fanteria "Pasubio" e "Torino" più la 3a divisione celere "Principe Amedeo d'Aosta") che giunsero in Romania dopo un viaggio di 25 giorni lungo 2.315 km. L'inizio lasciò subito presagire le pessime condizioni in cui gli italiani avrebbero dovuto combattere: il fronte si spostava talmente rapidamente che il nostro Corpo si trovò a 400 km dalla zona di operazioni costringendo i soldati a estenuanti marce a piedi, che tagliarono fuori quasi subito la divisione Torino sprovvista di mezzi di trasporto. Inizialmente comunque il comando tedesco fu restio all'utilizzo delle truppe italiane poiché giudicate a ragione non equipaggiate per una guerra simile. Anche per i tedeschi comunque la situazione non era rosea, e quando Hitler chiese a Mussolini un ulteriore apporto di uomini quest'ultimo si trovò pronto ad inviare altre divisioni (divisioni "Ravenna", "Cosseria" e "Sforzesca" seguite dalle leggendarie divisioni alpine "Julia", "Tridentina" e "Cuneense", alle quali in seguito si aggiungerà la "Vicenza" chiamata anche "Divisione Brambilla" per l'anzianità dei suoi uomini e la povertà dell'armamento) trasformando il CSIR in ARMIR (Armata Italiana in Russia) o XXXV Corpo d'Armata con un effettivo di 220.000 uomini e 7.000 ufficiali, 17.000 automezzi ma soltanto 55 carri armati.

Dopo la sconfitta di Stalingrado iniziò la tragedia della ritirata. Durante le lunghe marce di ritorno, gli alpini accerchiati dovettero combattere con ostinate unità russe che decimarono le nostre divisioni: la Tridentina perse 11.800 uomini, la Julia 15.650, la Cuneense 15.650, mentre la Vicenza ne perse 7.760. Mai, neppure nella prima guerra mondiale, gli italiani persero tanti uomini in così poco tempo. Con l'arrivo dei primi reduci le notizie delle condizioni al fronte iniziarono a circolare, facendo aumentare il malcontento della popolazione.

Altri teatri

Grecia

L'invasione della Grecia fu messa in cantiere già nel 1940 ma venne deciso di effettuarla proprio in un momento di smobilitazione dell'esercito, lasciando così il compito dell'invasione a sole 10 divisioni. Le motivazioni dell'attacco alla Grecia erano politicamente risibili, dato che si intendeva "rendere la pariglia" all'alleato tedesco vittorioso ovunque, senza tener conto della situazione sul terreno e affidandosi a non meglio confermate voci di un sicuro crollo del "corrotto" sistema politico greco. Un capolavoro di superficialità e di faciloneria che sarà pagato molto caro dai soldati italiani. La Grecia infatti resiste: il piccolo esercito greco è bene organizzato, e rispetto a quello italiano è meglio equipaggiato, oltre ad avere dalla sua il vantaggio di difendere posizioni montane molto aspre e difficili, soprattutto sul versante albanese. Subito bloccate dal fango greco, le nostre divisioni penetrano per pochi chilometri nel territorio nemico, e vengono colte dall'inverno prive del necessario equipaggiamento invernale. Quella che doveva essere una passeggiata militare fino ad Atene si trasforma in un pericoloso rovescio. I greci infatti passano al contrattacco penetrando in territorio albanese, e arrivano a minacciare la tenuta stessa del fronte. Solo disperati sacrifici delle divisioni italiane impegnate eviteranno il peggio. I comandi italiani, sostituiti vorticosamente da un Mussolini furibondo, dovranno aspettare l'intervento tedesco in primavera. La Germania interverrà per eliminare il pericolo iugoslavo (dopo la denuncia del patto tripartito con l'Asse) e nel contempo per dare manforte agli italiani contro la Grecia. Il governo greco si vedrà costretto a trattare la cessazione delle ostilità, ma prima con i tedeschi e solo dopo con gli italiani, ai quali la campagna è costata 80 mila uomini.

Inghilterra

Mussolini decise di mandare una contingente aereo (il CAI, Corpo Aereo Italiano, al comando del generale Fougier) in Belgio per partecipare alla Battaglia d'Inghilterra. Tuttavia il comando tedesco relegò gli italiani a compiti di secondo livello data l'inadeguatezza degli aerei. L'avventura durò poco e produsse risultati allarmanti. Gran parte degli aerei furono fatti rientrare in Italia con l'aggravarsi della situazione in Libia.

La Resistenza

Lo stesso argomento in dettaglio: Resistenza italiana.

I protagonisti

Questi alcuni dei protagonisti del regime fascista:

Voci correlate

Note

  1. ^ Anni dopo la vittoria, temporanea ma stupefacente, dei popolani del rione, una scritta in dialetto parmigiano comparve sugli argini del torrente: "Balbo, hai passato l'Atlantico ma non il torrente Parma".
  2. ^ Giorgerini Giorgio, Uomini sul fondo. Storia del sommergibilismo italiano dalle origini ad oggi, Mondadori, 2002, ISBN 8804505370

Bibliografia

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