Manoscritti economico-filosofici del 1844
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Manoscritti economico-filosofici del 1844 | |
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Autore | Karl Marx |
1ª ed. originale | 1932 |
Genere | Saggio economico-filosofico |
Lingua originale | tedesco |
I Manoscritti economico-filosofici del 1844 (detti anche Manoscritti di Parigi) furono scritti tra l'aprile e l'agosto 1844 da Karl Marx, mai stampati in vita di questi. Furono pubblicati per la prima volta in lingua originale ed in versione integrale nel 1932 da ricercatori sovietici. Il terzo quaderno dei Manoscritti era stato già pubblicato nel 1927, ad opera di David Borisovic Rjazanov, direttore dell'Istituto Marx-Engels di Mosca, che li aveva rinvenuti nell'archivio della Spd tedesca.
L'opera consta di tre manoscritti: il primo tratta dell'economia classica borghese; il secondo della proprietà privata e del comunismo; il terzo della divisione del lavoro e della dialettica e della filosofia di Hegel in generale.
In questi manoscritti (tra le principali opere di riferimento per la filosofia marxista) è contenuta una prima espressione dell'analisi marxiana dell'economia e inoltre è presente anche la seconda critica di Marx alla filosofia di Hegel, dopo quella contenuta in Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Essi coprono un ampio spettro di argomenti: il salario, il profitto, il capitale, la rendita fondiaria, il lavoro alienato, il rapporto della proprietà privata e il lavoro, la proprietà privata e il comunismo, la produzione e la divisione del lavoro, il denaro, la critica della dialettica e della filosofia di Hegel in generale.
Importanza dell'opera[modifica | modifica wikitesto]
L'opera costituisce il primo approccio con l'economia classica di Adam Smith e David Ricardo, che viene trattata e criticata da Marx. L'impostazione è però di carattere economico-filosofico: proprio l'aspetto filosofico è quello più preponderante. I "Manoscritti di Parigi" sono principalmente conosciuti per il concetto di Alienazione (Entfremdung), che si basa sulle analisi compiute da Ludwig Feuerbach nell'Essenza del cristianesimo (1841). In questo senso è molto importante l'iniziale affermazione di Marx che le condizioni delle moderne società industriali risultano nell'alienazione dei salariati dalla propria vita.
Marxismo e idealismo tedesco[modifica | modifica wikitesto]
Poiché i Manoscritti mostrano il pensiero di Marx all'epoca della sua genesi iniziale, la loro pubblicazione ha avuto un profondo impatto sui più recenti studi sul marxismo, in particolare riguardo alla relazione tra marxismo e idealismo tedesco. In quest'opera è presente infatti un'analitica trattazione della dialettica di Hegel.
Dopo avere criticato, piuttosto aspramente, nel 1843 la filosofia hegeliana del diritto pubblico nell'opera Per la critica della filosofia del diritto di Hegel (ritrovata negli archivi sovietici nel 1927), in questa seconda critica del pensiero hegeliano, Marx si dimostra più attento alle tematiche hegeliane. In primo luogo egli tratta la dialettica partendo dalla "Fenomenologia dello spirito" (1807), considerata come l'opera filosofica più importante, in quanto esprime la visione del mondo di cui è portatrice la classe borghese. Marx sottolinea l'importanza della "figura storica" della "Dialettica signore-servo", mettendo in luce il concetto di "alienazione" come estraneazione (Entfremdung). Hegel aveva parlato di alienazione (Entäußerung)- prima di Feuerbach- intendendola come "oggettivizzazione", che sta alla base del processo dialettico culminante nel "Sapere Assoluto". Peraltro in Hegel l'alienazione (che assume significato positivo) era distinta dall'estraneazione, che si ha quando paradossalmente lo spirito non si aliena. Al di là di queste importanti distinzioni non presenti né in Feuerbach, né in Marx- in cui l'alienazione ha il significato negativo di estraneazione- il contributo hegeliano è notevole: Hegel, per Marx, aveva colto il carattere storico del lavoro; lo spirito è infatti autoproduzione (tramite la perdita e la riappropriazione) di se stesso, così come l'uomo è il risultato del proprio lavoro. Il difetto di Hegel è stato però quello di limitare questo processo al pensiero: all'autocoscienza. In proposito Marx afferma: "Hegel si è posto dal punto di vista dell'economia politica moderna. Concepisce il lavoro come l'essenza, come l'essenza che si avvera dell'uomo; egli vede solo il lato positivo del lavoro, non quello negativo"[1]. Marx spiega che "la Fenomenologia è perciò la critica nascosta, non ancora chiara a se stessa e mistificatrice: ma nella misura in cui essa tiene ferma l'estraneazione dell'uomo -anche se l'uomo vi appare soltanto nella forma dello spirito- tutti gli elementi della critica si trovano in essa nascosti e spesso già preparati ed elaborati in un modo che va assai al di là del punto di vista di Hegel"[2].
Marx poi tratta analiticamente anche le tematiche presenti nella Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio (1817): egli trova positivo il riconoscimento hegeliano della natura, che dimostrerebbe come Hegel alla fine della Logica avesse avvertito la mancanza della "cosalità", che solo la natura e una filosofia della natura avrebbero potuto colmare. Nonostante questo aspetto positivo, Marx critica Hegel per il fatto che, in ultima istanza, la natura, trattata nella Filosofia della natura, serve soltanto per pervenire allo spirito ed in particolare allo Spirito Assoluto, cioè Dio. Il risultato è, agli occhi di Marx, una filosofia mistica e astratta. La dialettica di Hegel è però importante, non tanto per i contenuti trattati (anche se alcuni possono essere riutilizzati se spogliati dell'alone misticheggiante), ma come metodo: il metodo dialettico triadico è infatti altamente scientifico se lo si usa per risolvere le contraddizioni economiche (che sono pertanto economico-filosofiche). Questa concezione del giovane Marx, relativa alla dialettica hegeliana (intesa come metodo) rimarrà sostanzialmente immutata anche nella sua speculazione matura e la si può ritrovare nel poscritto alla seconda edizione (1873) del suo capolavoro, "Il Capitale" (1867), in cui paga tributo al "maestro" Hegel, dichiarandosi suo allievo, anche se in ultima istanza potrebbe definirsi "un allievo infedele": "Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent'anni fa, quando era ancora la moda del giorno. Ma proprio mentre elaboravo il primo volume del Capitale i molesti, presuntuosi e mediocri epigoni che ora dominano nella Germania colta si compiacevano di trattare Hegel come ai tempi di Lessing il bravo Moses Mendelssohn trattava lo Spinoza: come un «cane morto». Perciò mi sono professato apertamente scolaro di quel grande pensatore, e ho perfino civettato qua e là, nel capitolo sulla teoria del valore, col modo di esprimersi che gli era peculiare. La mistificazione alla quale soggiace la dialettica nelle mani di Hegel non toglie in nessun modo che egli sia stato il primo ad esporre ampiamente e consapevolmente le forme generali del movimento della dialettica stessa. In lui essa è capovolta. Bisogna rovesciarla per scoprire il nocciolo razionale entro il guscio mistico“.[3]
La teoria dell'alienazione[modifica | modifica wikitesto]
Nel primo manoscritto, Marx espone la sua teoria dell'alienazione (Entfremdung), che adatta dal testo di Feuerbach Essenza del cristianesimo (1841). Di Feuerbach Marx dice: "Da Feuerbach soltanto prende inizio la critica positiva, umanistica e naturalistica. Quanto più senza strepito, tanto più sicura, profonda, estesa e duratura è l'efficacia degli scritti di Feuerbach, i soli scritti dopo la Fenomenologia e la Logica di Hegel, in cui sia contenuta un'effettiva rivoluzione teoretica"[4].
Marx poi spiega come, nel capitalismo, l'uomo debba al lavoro per prima cosa la possibilità di esistere come lavoratore e, per seconda, di esistere come soggetto fisico. Quindi è solo la sua qualità di lavoratore che gli permette di conservarsi come soggetto fisico, ma è solo come soggetto fisico che può essere lavoratore. In altre parole il lavoratore dipende dal lavoro per avere il denaro necessario a vivere, ma egli non vive, in effetti solo sopravvive, come lavoratore. Il lavoro è usato solo per creare più ricchezza anziché ottenere l'appagamento e la soddisfazione dei propri desideri. Marx dimostra come l'alienazione non sia un concetto astratto come in Hegel, a cui in ogni modo spetta il merito di averlo introdotto nella "Fenomenologia dello Spirito" (1807), ma un concetto derivato dai bisogni economici dell'uomo. Hegel distingue "alienazione" (Entäußerung) da "estraneazione" (Entfremdung): peraltro l'alienazione, pur essendo un "travaglio del negativo", assume in Hegel sostanzialmente un significato positivo, in quanto significa oggettivizzazione. L'estraneazione invece è il modo attraverso cui lo spirito finito reagisce al processo dello Spirito Assoluto paradossalmente non alienandosi, e ha significato negativo. Spetta invece a Feuerbach, con il suo concetto di alienazione come "proiezione" (presente nell'Essenza del Cristianesimo del 1841), l'avere conferito all'alienazione medesima un significato negativo, anche se ristretto all'ambito religioso. In Marx, che identifica l'alienazione con l'estraneazione, l'alienazione ha un'origine economica: sono i modi di produzione capitalistici propri della borghesia, che sfrutta il proletariato, che generano l'alienazione, di cui quella religiosa è solo un aspetto.
L'opera è di fondamentale importanza, perché offre anche una concezione originale della natura; infatti quando all'uomo viene sottratto con l'alienazione l'oggetto del lavoro, anche la natura gli viene sottratta. La natura, da "corpo inorganico dell'uomo"[5], amica benigna, quando soddisfaceva i bisogni sociali dell'uomo, diviene mezzo di produzione subordinato al bisogno individuale.
Tale alienazione/ estraniazione/ viene poi indagata e specificata da Marx sotto vari aspetti:
Anzitutto, l'operaio è alienato rispetto al prodotto del suo lavoro in quanto ente estraneo, potenza indipendente dal producente, oggettivazione del lavoro che, non appena posta in essere, è sottratta all'operaio e resa disponibile alla proprietà capitalista. L'operaio produce merci, ma tali merci appartengono al datore di lavoro, generando così una scissione tra il lavoro umano e il prodotto stesso del lavoro.
In secondo luogo, l'operaio è alienato rispetto all'atto stesso della produzione. Il lavoro nel sistema della fabbrica capitalista è infatti lavoro ripetitivo, costrittivo, organizzato secondo modalità e tempi dettati dalle esigenze della produzione, condizioni che sovrastano e trascendono l'operaio riducendolo a mezzo tra i mezzi, cosa tra le cose, semplice ingranaggio di un processo i cui contorni e scopi sfuggono al suo sguardo parcellizzato. Lungi dall'essere la soddisfazione di un bisogno, il lavoro alienato diviene soltanto un mezzo per la soddisfazione dei bisogni esterni a esso. L'operaio si sente quindi con se stesso soltanto fuori del lavoro, e fuori di sé nel lavoro. A casa sua è quando egli non lavora e quando lavora non lo è.
In terzo luogo, l'operaio è alienato rispetto alla sua Gattungswesen o essenza in quanto genere. A differenza degli altri animali, che modificano in minima parte l'ambiente circostante per soddisfare i propri bisogni, l'uomo produce e riproduce la propria vita sociale attraverso il lavoro, oggettivando se stesso nei prodotti del suo fare. Il sistema capitalista, espropriando l'operaio del prodotto e dell'atto stesso di produrre, aliena pertanto i lavoratori anche rispetto alla loro essenza specifica (essenza in quanto specie), trasformando il lavoro da luogo della realizzazione/oggettivazione in luogo dell'alienazione, perdita e smarrimento di sé.
Infine, l'operaio è alienato rispetto ai propri simili, in quanto la società capitalista, come aveva già intuito Hegel, è il regno del conflitto, della competizione, di una lotta che oppone borghesia e classe operaia, spezzando l'umana catena della solidarietà in nome di un'atomizzazione sociale: una rivisitazione moderna dell'hobbesiano bellum omnium contra omnes.
L'opera offre anche una prima definizione del Comunismo da parte di Marx. Il comunismo è considerato "la vera risoluzione dell'antagonismo fra esistenza ed essenza, tra oggettivazione e autoaffermazione, tra libertà e necessità, tra l'individuo e la specie".[6]
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ K.Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Einaudi, Torino, 1968, p. p.168.
- ^ K.Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Op.cit., p. p.166.
- ^ K.Marx, Il Capitale, Poscritto alla seconda da edizione, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. P.7.
- ^ K.Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Op.cit., p. p.5.
- ^ K.Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Op.cit., p. p.77.
- ^ K.Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, Op.cit., p. p.111.
Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]
- Manoscritti economico-filosofici del '44, su marxists.org.
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