Dialetti galloitalici di Sicilia: differenze tra le versioni

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* [http://www.itispiazza.it/galloitalico Il galloitalico di Sicilia], ricerca a cura dell'I.T.I.S. di [[Piazza Armerina]]
* [http://www.itispiazza.it/galloitalico Il galloitalico di Sicilia], ricerca a cura dell'I.T.I.S. di [[Piazza Armerina]]
* "[http://www2.rz.hu-berlin.de/Vivaldi/index.php?id=m1000&lang=it VIVALDI - VIVaio Acustico delle Lingue e dei Dialetti d'Italia]" sul sito dell'[[Humboldt-Universität zu Berlin]]
* "[http://www2.rz.hu-berlin.de/Vivaldi/index.php?id=m1000&lang=it VIVALDI - VIVaio Acustico delle Lingue e dei Dialetti d'Italia]" sul sito dell'[[Humboldt-Universität zu Berlin]]
* [http://www.castellodisperlinga.it
* [http://www.club.it/autori/benedetto.di.pietro/proverbi.html Raccolta di proverbi contemporanei].
* [http://www.club.it/autori/benedetto.di.pietro/proverbi.html Raccolta di proverbi contemporanei].
* [http://www.nicosiaweb.it/anfe/proverbi/ Proverbi] dal sito Nicosiaweb.it
* [http://www.nicosiaweb.it/anfe/proverbi/ Proverbi] dal sito Nicosiaweb.it

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Dialetti gallo-italici di Sicilia
Parlato inBandiera dell'Italia Italia
Regioni Sicilia (principalmente, comuni della Provincia di Enna e della Provincia di Messina; e in minor parte, comuni della province di Catania, Palermo e Siracusa)
Locutori
Totale65.000 circa
ClassificaNon nei primi 100
Tassonomia
FilogenesiIndoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Galloromanze
    Galloitaliche
     Lombardia
      Piemonte
       Liguria
        Emilia
         Sicilia
          Dialetti gallo-italici di Sicilia
Segnale bilingue in italiano e in gallo-italico a San Fratello, in provincia di Messina.
Gallo-italici di Sicilia
Luogo d'origineFile:Piemonte Bandiera.png Piemonte,
Liguria,
Lombardia,
File:Emilia-Romagna-Bandiera.png Emilia,
Provenza,
Normandia
Popolazione65 mila circa
LinguaGallo-italico di Sicilia
ReligioneCattolicesimo
Distribuzione
Sicilia centrale e orientale65.000 circa

Il gallo-italico di Sicilia, o dialetto alto-italiano della Sicilia[1], è un'isola linguistica alloglotta all'interno della Sicilia composta da dialetti in cui dominano caratteristiche, soprattutto fonetiche, dell'italiano settentrionale, appartenenti cioè alle parlate della grande famiglia dei galloitalici, il cui substrato è costituito dalle lingue celtiche e diffuse in gran parte dell'Italia Settentrionale, storicamente appartenente alla macro-regione a sud delle Alpi che i Romani chiamarono Gallia cisalpina.

Storia

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Sicilia normanna e Lombardi di Sicilia.

Tradizionalmente per chiamare questa isola linguistica alloglotta gallo-italica all'interno della Sicilia era in uso anche la definizione di Sicilia lombarda o Lombardia siciliana, da cui le espressioni in uso ancora oggi di "colonie lombarde di Sicilia", "comuni lombardi di Sicilia" e "dialetti lombardi di Sicilia". L'aggettivo "lombardo" è da considerarsi pura contrazione di "longobardo", termine col quale in passato ci si riferiva geograficamente a tutta l'Italia Settentrionale conquistata dai Longobardi a partire dal VI secolo d.C. (la Longobardia, detta anche Regno dei Longobardi o Regno di Lombardia), un territorio molto più vasto dell'attuale Lombardia.

La formazione di queste isole linguistiche alloglotte in Sicilia risale al periodo normanno. Dalla fine dell'XI secolo, i normanni, dopo aver sconfitto gli arabi, ripopolarono la Sicilia centrale e orientale con coloni e soldati del nord Italia, provenienti da un'area comprendente tutto il Monferrato storico in Piemonte, parte dell'entroterra ligure di ponente, e piccole porzioni delle zone occidentali di Lombardia ed Emilia. Secondo molti studiosi [2], la migrazione di genti del nord Italia in queste isole linguistiche siciliane sarebbe poi continuata fino a tutto il XIII secolo.

La parlata di questi coloni provenienti dal nord Italia si è mantenuta a lungo in Sicilia, anche se le isole linguistiche createsi hanno cominciato a essere erose dall'impatto, prima, con i dialetti siciliani, e in tempi più recenti, con quello della televisione e della scuola dell'obbligo, prospettando il concreto pericolo di una scomparsa di questa antica e preziosa testimonianza storica e glottologica siciliana.

I principali centri con parlata galloitalica in Sicilia sono: Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina, Valguarnera Caropepe e Aidone in provincia di Enna; San Fratello, Acquedolci, San Piero Patti, Novara di Sicilia, Fondachelli-Fantina, Montalbano Elicona, Tripi in provincia di Messina.

Definizioni

La definizione galloitalici di Sicilia è preferibile ad altre quali gallo-siculo o lombardo-siculo, che risultano più ambigue: il termine siculo presume un sostrato primitivo che è stato pressoché annullato dal greco e poi dal latino, il termine lombardo oggi è molto più limitato rispetto al significato originario che indicava l'antico regno longobardo.

La definizione dell'area geografica "di Sicilia" va specificata perché il galloitalico originario qui ha subito processi di confronto, cedimento, adeguamento o simbiosi con il siciliano prevalente, dando vita a dialetti che si distinguono dal resto dei siciliani per una diversa articolazione fonetica e in alcuni casi morfologica, ma che ha perso, forse molto presto, buona parte del patrimonio lessicale dell'antico galloitalico. L'articolazione fonetica, invece, è ancora oggi tanto marcata che il galloitalico che parla italiano si differenzia in modo notevole dal resto dei siciliani.

Origine e distribuzione geografica

L'Italia nell'anno 1000, con il Regno di Lombardia (o dei Longobardi), area di provenienza delle comunità gallo-italiche di Sicilia

La presenza di parlate settentrionali nel cuore della Sicilia si spiega con l'arrivo di coloni e soldati provenienti dal Nord Italia – soprattutto dal Piemonte (Monferrato), dalla Liguria (variante oltregiogo), e in minor parte dalla Lombardia ed Emilia - favorito dai Normanni conquistatori della Sicilia, a partire dall'XI secolo e continuata fino al XIII secolo. A questi coloni longobardi si aggiunsero soldati mercenari provenienti dalla Provenza, nel sud-est della Francia, chiamati a difesa delle fortificazioni normanne.

I centri dove il gallo-italico è parlato, o dove è possibile ancora identificarne le tracce nella fonetica e nel lessico, sono distribuite nell'entroterra delle province di Messina, Siracusa e Catania e nella provincia interna per eccellenza, Enna; tutti i centri sono posizionati in quella zona che separava gli arabi della costa orientale da quelli del centro e della costa occidentale, quasi a creare una zona cuscinetto, uno zoccolo duro da dove procedere per consolidare la recente conquista, ricristianizzare e rilatinizzare la Sicilia.

I principali centri galloitalici sono in provincia di Enna : Nicosia, Sperlinga, Piazza Armerina, Valguarnera Caropepe e Aidone, e in provincia di Messina: San Fratello, Acquedolci, San Piero Patti, Montalbano Elicona, Novara di Sicilia, Fondachelli-Fantina.

Rilevanti tracce galloitaliche si trovano anche nelle parlate di Roccella Valdemone, Santa Domenica Vittoria, Francavilla, San Marco d'Alunzio, Acquedolci, Castel di Lucio in provincia di Messina[3]; Randazzo, Bronte e Maletto sul versante occidentale dell'Etna; Caltagirone, Mirabella Imbaccari e, in misura minore, San Michele di Ganzaria, a sud della provincia di Catania; Ferla, Buccheri, Cassaro, in provincia di Siracusa; Valguarnera Caropepe, in provincia di Enna; Corleone, in provincia di Palermo.

Nel resto dell'Italia Meridionale colonie galloitaliche si trovano anche in Basilicata, dove il galloitalico è parlato in due distinte aree linguistiche, entrambe in provincia di Potenza: la prima comprende i comuni di Picerno, Tito; la seconda i centri di Trecchina, Rivello, Nemoli e San Costantino.

Grazie probabilmente alla posizione di relativo isolamento, i paesi di Nicosia e Sperlinga in provincia di Enna, insieme a San Fratello e Novara di Sicilia in provincia di Messina, sono quelli che hanno mantenuto più a lungo e in modo più fedele la parlata originaria gallo-italica[4].

Nel tempo i parlanti, consci della loro diversità rispetto al resto siciliani e della difficoltà che questi ultimi avevano nel comprenderli, hanno sviluppato una condizione di bilinguismo con la quale hanno convissuto in modo naturale per secoli. Rispetto a quest'ultima affermazione dobbiamo evidenziare il modo diverso in cui i parlanti dei vari centri si sono posti nei confronti del galloitalico.

Ad Aidone e a Piazza Armerina già alla fine dell'Ottocento se ne registrava un uso marginale, ristretto all'ambiente familiare e rurale; aidonesi e piazzesi percepivano il loro linguaggio come arcaico e incomprensibile agli estranei, quei forestieri che li definivano sprezzantemente "i francisi", ovvero "i francesi". Mentre, oggi è usato sempre più in funzione ludica epoetica [5]

La forma vernacolare, conservata nei documenti scritti (soprattutto composizioni poetiche dell'inizio del Novecento) e nell'uso attuale di pochi parlanti, aveva già subìto l'impoverimento morfologico e lessicale a favore del siciliano e mantenuto più a lungo gli esiti fonetici.

All'inizio del Novecento (1902) Antonino Ranfaldi, un intellettuale aidonese, scriveva in un sonetto: "A ddinga ch'ogn giurn us a v'rsùra,/ Nan eia com a cudda c'tatìna " (la lingua che ogni giorno uso in campagna, non è come quella cittadina), testimoniando di fatto una situazione di bilinguismo che ancora perdura: il vernacolo parlato in ambienti familiari e rurali e il "siciliano" riservato alla piazza e ai forestieri.

Diversa la situazione a Nicosia, Sperlinga, San Fratello e Novara di Sicilia dove, seppur con diverse sfumature, il galloitalico è sentito ancora oggi come elemento di identità cittadina, parlato in tutti gli strati sociali, orgogliosamente sfoggiato. Certamente su questo atteggiamento estremamente positivo ha giocato molto la relativa vicinanza tra di loro di questi centri, quasi un enclave in cui ciascuno riconosceva nel vicino un proprio simile rispetto al resto dei siciliani; è nata dunque la consapevolezza della lingua come elemento di coesione e identità, da una parte, e di distanza e diversità dall'altra, una coscienza che li ha spinti a proteggere e conservare piuttosto che ad aprirsi e a cedere. Il bilinguismo è presente anche in questi paesi, oggi più con l'italiano che con il siciliano, ma la "seconda lingua" è riservata ai forestieri, mentre tra paesani veri e propri e paesani galloitalici si predilige la "lingua madre gallo-italica".

Caratteri

Come da premessa, le peculiarità del galloitalico rispetto agli altri dialetti siciliani riguardano soprattutto la fonetica sia negli esiti vocalici che consonantici; gli stessi fenomeni di ipercorrettismo sono sempre fenomeni fonetici.

Vocalismo

Particolare elemento è la vocale centrale media, comunemente detta mutola, resa, fin dall'antichità, con un apostrofo ['], e quando era in fine di parola lasciavano lo spazio vuoto. I linguisti gli hanno preferito lo schwa [ə] o la [e]. La frequenza della mutola in fine di parola, fa sembrare le parole tronche. L'etimologia popolare da sempre ne ha attribuito l'origine al francese. Questo è ancor più vero nell'aidonese dove si può dire che non esista parola che non presenti almeno una mutola, alcune ne presentano un numero tale da esser trascritte solo le consonanti, come ż'r'mingh' [ʣərəmiŋə](la cicatricola dell'uovo, dal lat. germinem).

Un'altra caratteristica è costituita dal troncamento dell'infinito verbale. La forma dell'infinito dei verbi è sempre e comunque tronca, si va dalle varianti dell'aidonese che ha mangè / mangèr' e poi part'r [pártərə] e vinn'r [vinnərə], al piazzese mangè e part'r e al nicosiano e sperlinghese: ddurdiè [ɖɖurdiè], iarmè, r'spondö , (sporcare, apparecchiare, rispondere, fare).

Consonantismo

Esaminiamo ora alcuni esiti particolari nel consonantismo:

  • tipica è la <c> o <cc> [ʧ - ʧː] palatale (suono di cibo, ceci) derivata dal latino < pl /cl >, che in siciliano ha normalmente <chj> e in italiano < pi e chj > mentre nel genovese viene resa allo stesso modo in c;

es: ciov'r, ccioviri, cciou, contro il siciliano chiòviri, il genovese ciöve e l'italiano piovere; ciò, cciov' , contro il siciliano chiovu, il genovese ciöu e l'italiano chiodo.

  • la < ż e żż > [ʣ - ʣː] (suono sonoro di zero) che deriva dalla < g+ vocale palatale>, sia in posizione iniziale che intervocalica:

es. żenn'r', żimm' , friżż'r: genero, gobba, friggere a fronte del siciliano: jènniru, jimmu, frìjiri.

  • la < zz- > [ʦ - tʦː] (suono sordo di piazza, zio) che deriva da < c + vocale palatale>

es. zzinn'ra, zzipp' : cenere, ceppo, contro il siciliano cìnnira e cippu

  • la < sg > [ʒ] (suono che richiama più o meno quello della lettera j francese in jeton e della lettera x genovese in cruxe) da < -c- > intervocalica seguita da vocale palatale < e ed i >

es. aidonese: d‘isgìa, crusg', stasgìa, brusgè: diceva, croce, stava, bruciava; in siciliano: diciva, cruci, staciva, abbruciava; in genovese dixeiva, cruxe, bruxaiva.

  • la < ngh >,[ŋ - ŋː] cioè la velarizzazione della nasale in finale di parola singolare che termini con <-uno, -ino, ono, one, ano...>, come nella lettera nel genovese; il fenomeno è appena percepibile nei dialetti di Nicosia e Sperlinga, presente nella forma più arcaica nel piazzese, presente in modo notevole nell'aidonese arcaico;

es: aidonese: ungh (uno), ż'r'mingh (cicatricola dell'uovo/germinem), mangiungh (mangione), pangh (pane), vingh (vino), purtungh (portone); in genovese un¬, pan¬, vin¬.

L'abbandono di questi esiti, sentiti come lontani dal siciliano, in un certo senso rustici e pesanti, è la caratteristica che fa la differenza tra le parlate arcaiche e quelle sicilianizzate.

Il perenne sentimento di amore-odio dei galloitalici nei confronti dei siciliani e la contiguità obbligata sono certamente all'origine di un interessante fenomeno che ha coinvolto tutti i dialetti galloitalici: l'ipercorrettismo. Il fenomeno si manifesta in due maniere opposte: come esagerato adeguamento alla lingua dominante, ipersicilianismo, o come difesa a oltranza della propria lingua e identità, ipergallicismo.

  • Ipersicilianismo, cioè come esagerato cedimento alla varietà egemone:
    • la <-ll-> intervocalica diventa come nel siciliano la cacuminale <-dd-> [ɖ - ɖː](bedd' > beddu), ma il processo di adeguamento va oltre cacuminalizzando tutte le < l >, anche in posizione iniziale, siano esse scempie o doppie: in aidonese: dditt' [ɖɖittə] (letto), ddusgèrdula [ɖɖuʒèrdula] (lucertola), tutti esiti sconosciuti al siciliano.
  • Ipergallicismo, cioè come esagerata accentuazione dei tratti propri:
    • nei dialetti di Nicosia e Sperlinga i nessi <-mb-> ed <-nd->, non solo vengono mantenuti nelle posizioni del latino-romanzo (laddove il siciliano, ma anche l'aidonese ed il piazzese hanno <-mm-> ed <-nn->), ma, tutte le doppie <-mm-> ed <-nn->, anche di origine diversa, diventano <-mb-> ed <-nd->. Così abbiamo non solo:sambucu , andandu, r'spondö (sambuco, andando, rispondere), ma anche stombicu e cambarera (stomaco e cameriera); su cambarera tuttavia c'è da segnalare che nelle lingue dell'Italia nordoccidentale troviamo forme come piemontese cambré, cameriere, che potrebbero espungerla dalla lista degli ipercorrettismo (cfr. anche francese chambre <camera).
    • allo stesso modo nel dialetto di San Fratello la < a > per palatalizzazione diventa <e> in tutte le posizioni toniche e non soltanto, come ci si aspetterebbe, in prossimità di una consonante nasale.

Testi nei dialetti galloitalici

Traduzione della favola Il lupo e l'agnello di Fedro

Per avere un'idea di questi dialetti ed anche delle differenze che presentano fra loro, si propone la lettura della notissima favola di Fedro "Il lupo e l'agnello", tradotta nei dialetti galloitalici principali.

La grafia usata non è quella della scrittura fonetica, ma quella comune dell'italiano adattata con le seguenti aggiunte:

  • l'apostrofo ['] per la vocale centrale intermedia, la mutola;
  • le vocali [ö] ed [ë] per rendere le corrispondenti vocali chiuse che tendono molto verso [u] ed [i]
  • [ngh] per rendere la nasale velare in finale di parola
  • [dd][ɖ] per rendere la dentale retroflessa, propria del siciliano
  • il trattino [-] sostituisce l'apostrofo per non creare confusione con la mutola
  • [sg(i)] [ʒ], per rendere la fricativa postalveolare sonora

Testo di partenza in italiano

"Un lupo ed un agnello, spinti dalla sete, erano giunti allo stesso ruscello. Più in alto si fermò il lupo, molto più in basso si mise l'agnello. Allora quel furfante, spinto dalla sua sfrenata golosità, cercò un pretesto di litigio. - “Perché - disse - intorbidi l'acqua che sto bevendo?”
Pieno di timore, l'agnello rispose:
- Scusa, come posso fare ciò che tu mi rimproveri? Io bevo l'acqua che passa prima da te.”
E quello, sconfitto dall'evidenza del fatto, disse:
- Sei mesi fa hai parlato male di me.
E l'agnello ribatté:
- Ma se ancora non ero nato!
- Per Ercole, fu tuo padre, a parlar male di me - disse il lupo.
E subito gli saltò addosso e lo sbranò fino ad ucciderlo ingiustamente.
Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con falsi pretesti.

'N lupu e 'n agnèu, morti d' sè, s' giungìnu a bèv ö stiss sciùm.
N-ön capp' gghj-'era u lupu, ciù sötta gghj-era l'agnèu.
Allöra dd' f'tös du lupu, ch-avèa a panza vacanta,
cum'nzà a 'nguiatèlu p' sciarrèr's cu jèu
-Oh d'sgrazià, t' ddèvi d' döcch ch' m' stè ddurdiànn tutta l-egua?
E l-aggnèu:
- Nan t' 'ns'ddiè, l-egua passa prima d' n' tì, tu ma ste ddurdiànn a mì!
U lupu, truvànn's no tört, ggh' diss:
- Oia s'ntùt ch' tu, sèi mesgi com a öra, sparràvi d' mì cu l-amisgi.
E jèu: - Ma chi stè 'ncucchiànn'?
Jè, sei mesgi fà, manch avea nasciùit!
- Butàna di guai! Allöra fu dd' bècch d' to pà a sparrèr d' mi.
E senza savèr nè ddèzz e nè scriv, cu 'na granfaggnàda su spurpà d' bedda e bedda.
Sti paröddi l-ana sènt ddi gent' ch' cunnà'nn'nu i 'nucènti 'ngiustamènt.

[6]

Un lup′, mort′ d′ fam′ e sicch′ d′ sìa,
s' truvau a b′v′rér′s ô sciùm′.
Z′rànn′ l-ugg′, vìtt′ ca nô basc′
gghj-era un gn′ddìt′ tèn′r′ e sav′rùs′.
Gghj′ fis′ p′tìt′, ma, p′ mìnt′s a post′ a cuscìnza,
z′rcàva na calùnnia p′ sciarr′iér′s.
Accuscì s′ mis′ a vusgiè.
- P′rchì m′ stai ddurdiànn′ l-eua mintr′ ìja stau b′vìnn′?
U gnedd′ scantait′, s′ r′cugghì nê robb′ e ggh′ r′spunnì:
- Tu m-aia p′rduné , ma com′ pozz′ ddurdièr′
l-eua a tìia ch′ sii′ ciù nô iaut'?
U lùp′, pùr′ r′canuscìnn′ ch-avìva tort′,
z′rcàu n-autra calùnnia e gghj′ dìss′:
- Sii misg′ com′ a ura tu m′ murmuliàv′t′!
U gn′ddìtt′ mort′ nâ pedd′ r′spunnì:
- Voss′gn′rìa iav′ tort′,
ija atànn′ manch′ ava nasciùit′!
- Buttana dû nfern′ ! Allura fu ta patr′ ch′ sparrau d′ mija!
E d′sginn′ accuscì, n-on ditt′ e un fait′,
u granfà e sû spurpà, pur′ savinn′ ch′ nan aviva curpa.
St′ parodd′ s′ l-àn-a sìnt′r cudd′
ch′ cunnàn′n′ i nuccìnt′, cusànn′l′ ngiustamint′.

[7]

Un lupö e n-gneu mort' d' së, avìenu r'vat' nö stissu sciumö:
chiù suva s' f'rmà u lupö , chjù sötta s' m'ttött' u gneu.
Allura ddu mascarà, ch'avia simpö famö , z'rcà na scusa p' sciarrièr's.
- P'rchì ddurdìj' l-egua ch' stagö b'vëndö?
U gneu s' cagà d' ncou du scant' e ghj' r'spundëttö:
- M' dai scusè, ma comö pozzö fë chêu tu m' sti d'sgiendo.
Iu bevo dd-egua ch' passa prima dö nda tu!
E cheö v'dëndö ch-avia torto ghj' r'spundëttö:
- Sej mis' com-ora sparrast' d' më.
Un gneu p' d'fend's ghi' dëssö.
- Ma sa iö n-avia mancu nasciò!
- Porch' d' zzà e dd' ddà; fö to paddö ch' m' mörmöriava.
E mentö d'sgia s' parodd' ghi' sautà d' ncoö e su mangià a muzz'cö.
Su cuntö è scritto p' chei
ch' vonö avera sempo rasgiöni
e ch' sâ pigghjönö co chëo ch' sö chjö deböl'.

[8]

N-lupö e n-gneö, pa fortë së, s' trövanö no stissö vaddön;
ö lupö stasgìa na partë d' d' söva, ö gneö na partë d' d' söta.
Quandö dd' lupö s' v'ntià dd' pov'rö gneö,
z'rcà na scusa p' iarmè na sciarra.
- P'rchè, - ghj' dissö - m' nddurdì l-egua mëntr' ca stagö b'vendö?
Dd' gn'ddotö, tuttö scantà, gh' r'spöndëtö:
- Ma comö t' pozzö n-ddurdìè l'egua se sögnö d' d' söta?
Ö lupö, n'n savendö r'spöndö, n-v'ntà naöta scusa p' sciarriessë e ghj' dissö:
- Sieë mësgë ndarrìa, tu sparrastë da mi.
E dd' m'schin d' gneu r'spöndët':
- Ma ia, sieë mësgë ndarrìa, navìa manco nasciuitö!
- Allora - r'plicà ö lupö - dö to pà ca antandö sparrà d' mi.
Mancö ghiò f'nëtö d' dì cö na granfada ö chiappà e sö mangìà.
St' cuntö fö n-v'ntà p' dd' ch'stiàë ca cö scusë faëzë,
ngannë e mbruoggujë s-approffìt'nö de nöcenteë.

[9]

N dauv e ng-agnieu, punturiei d' la sai, avaiu arr'vea ô stiss vadan.
Chjù n saura s-aff'rmea u dauv,
mantr ch' d-agnieu s' mies assei cchjù n giusa.
Agliàuri cau furfänt, murdù dû sa grean ptit,
zz'rchiea na scusa p-acc'm'nterlu.
P'rcò — ghj' diess — m' ntuòrbuli d-eua ch' m' stäch buvann?
Tutt scantea, d-agnieu ghj'arpunò:
- Scusa, cam pazz fer s-azzant ch' m' rr'mpruovi?
Iea bav d-eua ch' pässa prima ana sai tu.
E cau, scunfitt p' la munzagna, diess:
Siei masg fea tu pardest meu di iea.
E d-agnieu ghj-arbattò:
Ma se ancara iea n-avaia meanch anasciù!
Parch d' Giura, agliauri fu ta pätri a sparderm'.
E subt ghj' satea d'ncadd e s-u sbranea.
Sa faräbula è scritta p' quoi ch' suotamottu i nnuciant cun scusi feuzzi.

[10] [11]

Note

  1. ^ I gallo-italici sono anche detti "dialetti altoitaliani della Sicilia", si veda per la definizione: Fiorenzo Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, Il Mulino, Bologna 2008, p. 137.
  2. ^ Secondo le ipotesi più accreditate questo insediamento si fa risalire a un arco di tempo compreso tra l'XI secolo e il XIII secolo. Cfr. Fiorenzo Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, Il Mulino, Bologna 2008, p. 137
  3. ^ L'utilizzo di questo dialetto gallo-italico è in decadenza ad Acquedolci, paese nel quale la popolazione di discendenza sanfratellana lo utilizza sempre più raramente.
  4. ^ Salvatore Trovato, La Sicilia, in I dialetti italiani, UTET, p. 882. Torino 2002.
  5. ^ S. Trovato, Ivi.
  6. ^ Per gentile concessione del Dottor Sebi Arena
  7. ^ Per gentile concessione della prof.ssa Francesca Ciantia
  8. ^ Per gentile concessione del prof. Mimmo Bonfiglio. Tuttavia nella parlata corrente talune vocali aperte diventano chiuse e viceversa, così che oggi è più d'uso, per esempio, l'espressione "sova" che non "suva", e "sempo" piuttosto che "simpo".
  9. ^ Per gentile concessione del dott. Salvatore Lo Pinzino
  10. ^ Per gentile concessione del dr. Benedetto Di Pietro
  11. ^ Nella pronuncia il sanfratellano ha dei suoni che non trovano corrispondenza negli altri paesi galloitalici di Sicilia. Ma un suono dovreste merita di essere descritto: si tratta del suono /ä/ <ä> Palatalizzata (ingl.: that, bad) che porta sempre l'accento tonico, anche se non espresso (pätri ‘padre', quänn ‘quando')

Bibliografia

Lo stesso argomento in dettaglio: Bibliografia sui dialetti gallo-italici § Sicilia.

Generale

  • AA.VV., A.L.I. - Atlante Linguistico Italiano, 1962
  • Giovanni Tropea, C.D.I. – Carta dei Dialetti Italiani, Aidone
  • A. Leone, Di alcune caratteristiche dell'italiano di Sicilia, in Lingua Nostra, XX, 1959
  • A. Leone, L'italiano regionale in Sicilia. Bologna, Il Mulino, 1982,
  • Manlio Cortelazzo, Avviamento critico allo studio della dialettologia Pisa 1969
  • Giovanni Papanti, I parlari italiani in Certaldo alla festa del V centenario di Messer Bocacci. Livorno, 1875
  • G. B. Pellegrini, Tra lingua e dialetto in Italia, in Studi mediolatini e volgari, 1960
  • Giorgio Piccito, Il siciliano dialetto italiano. in Orbis, 1959
  • Fiorenzo Toso, Le minoranze linguistiche in Italia, Il Mulino, Bologna 2008
  • Giorgio Piccito, La classificazione delle parlate siciliane a la metafonesi in Sicilia. in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, 1950
  • Salvatore C. Trovato, Storia linguistica e linguistica storica della Sicilia
  • Giovanni Tropea, "Italiano di Sicilia", L'Orizzonte, 4, Palermo, Aragne, 1976.
  • Luigi Vasi, 'Studi Storici e filologici. Palermo, 1889

Grammatiche

  • Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti – Fonetica. Torino, 1966
  • Salvatore C. Trovato, Proposte per un'ortografia dei dialetti galloitalici della Sicilia. Atti Convegno di studi su “Dialetti galloitalici dal Nord al Sud. Realtà e prospettive” Piazza Armerina, 1994
  • G. Petracco Sicardi, Gli elementi fonetici e morfologici “settentrionali” nelle parlate gallo-italiche del Mezzogiorno, in Bollettino dell'Atlante Linguistico Siciliano X
  • Giorgio Piccito, Appunti di fonetica generale e trascrizione. Catania, 1955
  • Giorgio Piccito, Elementi di ortografia siciliana, Catania 1947
  • Salvatore C. Trovato, «Considerazione sul lessico dei dialetti galloitalici della Sicilia», in Etimologia e lessico dialettale. Atti del XII Convegno Per gli studi Dialettali Italiani. Macerata, 1979

Voci correlate

Collegamenti esterni

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