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Bryum bharatiense
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Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
Sottoregno Bryobiotina
Divisione Bryophyta
Classe Bryopsida
Sottoclasse Bryidae
Ordine Bryales
Famiglia Bryaceae
Genere Bryum
Specie Bryum bharatiense
Nomenclatura binomiale
Bryum bharatiense
W.U. Rehman, K. Gupta & Bast, 2021

Bryum bharatiense W.U. Rehman, K. Gupta & Bast 2021 è un muschio antartico della famiglia Bryaceae, endemico della Terra della Principessa Elisabetta.[1][2][3]

Fu scoperto nel 2017, nel corso della trentaseiesima spedizione scientifica indiana, alla quale presero parte alcuni botanici della Central University of Punjab e del DAV College di Bathinda, nello stato federato del Punjab, in India.

I primi esemplari furono raccolti presso l'oasi antartica dei Colli Larsemann (69°23’-69°30’S, 75°55’-76*30’E) lungo la costa costa di Ingrid Christensen sul fianco sud orientale della Baia di Prydz, nella Terra della Principessa Elisabetta, nella regione dell'Antartide Orientale.




L'identificazione è laboriosa e gli scienziati hanno impiegato cinque anni per confermare che la specie era stata scoperta per la prima volta.


I biologi dell'Università Centrale del Punjab hanno chiamato la specie Bryum bharatiensis. Bharati è la dea indù dell'apprendimento e il nome di una delle stazioni di ricerca antartiche dell'India.

Questa si trova vicino a Bharati , una delle stazioni di ricerca più remote del mondo.

Le piante hanno bisogno di azoto, insieme a potassio, fosforo, luce solare e acqua per sopravvivere. Solo l’1% dell’Antartide è privo di ghiacci. "La grande domanda era: come sopravvive il muschio in questo paesaggio di roccia e ghiaccio", ha detto il professor Bast.

Gli scienziati hanno scoperto che questo muschio cresceva principalmente nelle aree in cui i pinguini si riproduvano in gran numero. La cacca del pinguino contiene azoto. "Fondamentalmente, le piante qui sopravvivono grazie agli escrementi dei pinguini. In questo clima, il letame non si decompone", ha affermato il prof. Bast. E la luce del sole? Gli scienziati affermano di non comprendere ancora del tutto come le piante sopravvivano sotto la fitta neve durante i sei mesi invernali senza luce solare e con temperature che scendono fino a -76°C.

Gli scienziati dicono che è probabile che il muschio "si secchi fino a raggiungere uno stadio dormiente, quasi fino a diventare un seme" in questo periodo, e germini di nuovo durante l'estate a settembre, quando ricominciano a ricevere la luce del sole. Il muschio essiccato assorbe quindi l'acqua dalla neve che si scioglie.

Dopo aver raccolto i campioni, gli scienziati indiani hanno trascorso cinque anni a sequenziare il DNA della pianta e a confrontarne la forma con quella di altre piante.






Provenivano da Larsemann Hills (69°23’-69°30’S, 75°55’-76*30’E) nella regione di Prydz Bay, Ingrid Christensen Coast, E. Antarctica


Granite Harbour (77°00′S e 162°35′E), una baia della terra della regina Victoria, nella Dipendenza di Ross, compresa tra capo Archer a nord e capo Roberts.[4][5]

In una nota del 1907, il muschio fu brevemente descritto e figurato dal briologo francese Jules Cardot che, comparandolo con D. luridus Hornsch. ex Spreng.,[6] a cui somigliava ma da cui differiva per le minori dimensioni dei fillidi, a margine piano o lievemente ricurvo, e per le cellule della lamina basale più lasse, ritenne di istituire la nuova specie D. gelidus, senza però designare l'olotipo.[7]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il muschio si sviluppa prevalente in colonie, formate da fusticini (caulidi) eretti, paralleli e densi (ciuffi densi e compatti), coprenti aree estese che mostrano una dominante rossastra.[8]

I caulidi, ancorati al substrato con rizoidi ialini, portano foglioline (fillidi) monostratificate, densamente appressate. I fillidi, lunghi fino a 1,7 mm, dalla forma ovata o ovato-lanceolata o oblungo-lanceolata, leggermente incurvati distalmente quando secchi; con margine piano, monostrato, debolmente ricurvo verso l'apice, talvolta invece fortemente ricurvo all'apice tanto da conferire al margine un aspetto più spesso. Colorazione arancio-rossastra in KOH. Apice ottuso o ampiamente acuto, solitamente cucullato (a forma di cappuccio).[9]

La lamina è formata da un singolo strato di cellule rettangolari, lasse, dalle pareti uniformemente sottili nella parte basale del fillidio, leggermente rigonfie e papillose nella parte media e superiore. Lungo l'asse mediano corre una nervatura singola, papillosa, basinervia, larga fino a 110 μm alla base, che solitamente termina poche cellule sotto l'apice, costituita da 2-3 strati di cellule guida,[10] sporgenti nella pagina inferiore, e priva di stereidi adassiali.[11] Presenza di numerose gemme pluricellulari all'ascella dei fillidi.[9]

Come in tutte le briofite, il ciclo ontogenetico è aplodiplonte isosporeo, con alternanza di generazione antitetica eteromorfa e prevalenza della generazione gametofitica (aploide) su quella sporofitica (diploide)[12] che, in questa specie, è sconosciuta.[8]

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

G. gelida è diffusa nel Settore S (da 30°W a 90°W), R (da 150° W a 150° E) e B (da 150°W a 90°W ) dell'Antarctic Botanical Zone.[13] Specificatamente nelle isole Orcadi Meridionali, nelle Shetland Meridionali, lungo la costa occidentale della penisola Antartica dalla Costa di Graham all'isola Alessandro I; a nord della costa orientale della penisola antartica nell'isola di James Ross, nella terra della regina Victoria, nella Terra di Marie Byrd, e nelle isole sub-antartiche della Georgia del Sud e delle Kerguelen.[14]

Le specie cresce in siti asciutti o umidi, preferibilmente riparati, in una vasta gamma di habitat, prediligendo le superfici rocciose affioranti con un po' di suolo o i substrati di cenere vulcanica.[15]

Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]

Dalla caratterizzazione di Cardot come specie nuova, e per quasi un secolo, D. gelidus è stata considerato una delle poche specie antartiche endemiche. Nel 2001, Richard Henry Zander e Ryszard Ochrya ne rianalizzarono i caratteri diagnostici e ne ridiscussero la collocazione sistematica, considerandola conspecifica dell'olartico D. brachyphyllus (Sull.) R.H. Zander.[8]

Secondo questa interpretazione D. brachyphyllus sarebbe caratterizzato da un areale che esemplificherebbe una tipica distribuzione biogeografica disgiunta bipolare. Un gruppo di popolazioni è infatti localizzato nell'Emisfero settentrionale e, propriamente, nel Nord America occidentale (dall'Alaska alla California, all'Arizona e al Nuovo Messico) e poi nel Messico, in Groenlandia, in Europa e in Russia. Un altro gruppo si ritrova nell'Emisfero australe, distribuito tra la penisola Antartica e gli arcipelaghi periantartici, mentre è raro nell'Antartico continentale, ritrovato solo nella Terra Vittoria meridionale, dove è stato descritto da Cardot come D. gelidus e nella Terra di Marie Byrd, dove è stato descritto come Barbula byrdii E. B. Bartram, nuova specie successivamente considerata identica a D. brachyphyllus[16] e, quindi, sinonimo junior di D. gelidus.[8]

Nel 2017 Juan A. Jiménez e Ryszard Ochyra hanno riesaminato i tipi, e numerose collezioni non-tipo delle tre specie, proponendo il ripristino del rango di specie per D. gelidus, di cui hanno negato la conspecificità con D. brachyphyllus, riconoscendogli invece quella con l'endemica antartica B. byrdii.[4]

Successivamente il problema dei limiti del genere Didymodon e delle sue relazioni filetiche con i generi affini Andinella J.A. Jiménez & M.J. Cano, Gertrudiella Broth. e Tridontium Hook. f., nonché della collocazione sistematica di D. gelidus, è stato affrontato con le tecniche della filogenesi molecolare.[17]

Juan A. Jiménez, María J. Cano e Juan Guerra hanno effettuato un'analisi combinata delle sequenze di DNA di tre marcatori plastidiali (atpB-rbcL, trnG, e trnL‐F)[18] e dei marcatori nucleari ITS[19] su un totale di trecentotrentacinque esemplari di muschi, campionati parte su campo e parte in erbario.[20]

I dati combinati genetico-molecolari, sono stati analizzati con il metodo della massima verosimiglianza e con l'inferenza bayesana. I risultati ottenuti hanno dimostrato la non monofilia per il genere Didymon s.l. e hanno portato a includere le specie afferenti al genere Didymodon s.l., e quelle dei tre generi affini Andinella, Gertrudiella e Tridontium, in un unico clado monofiletico, suddiviso in otto cladi, distinguibili anche morfologicamente. Questi sono stati fatti corrispondere ad altrettanti generi, di cui uno nuovo: Didymodon s.s., Geheebia, Gertrudiella, Husnotiella, Trichostomopsis, Tridontium, Vinealobryum, e Zanderella (n.g.). Contestualmente sono state proposte trentotto nuove combinazioni e dieci nuovi sinonimi, sono stati assegnati i lectotipi per tredici nomi ed è stata definita la chiave dicotomica di riconoscimento dei generi.[21]

Inoltre, specificatamente, Jiménez e Cano hanno ritenuto di trasferire D. gelidus a un genere differente, pubblicando la nuova combinazione Gertrudiella gelida (Cardot) J.A. Jiménez & M.J. Cano e indicando, come tipo, l'esemplare di erbario originariamente raccolto in Antartide, a Granite Harbour.[22]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Bryum bharatiense W.U. Rehman, K. Gupta & Bast, su World Flora Online. URL consultato il 26/4/2024.
  2. ^ Cfr. Tropicos, 2024.
  3. ^ Cfr. Rehman et al., 2021.
  4. ^ a b Cfr. Jiménez & Ochyra, 2017, p. 383.
  5. ^ Secondo Ronikier et al., 2018 i primi esemplari sarebbero stati raccolti il 6 gennaio 1843 dal botanico Joseph Dalton Hooker, sull'isola di Cockburn lungo la costa nord orientale della Penisola Antartica, durante la spedizione nei mari antartici del capitano britannico James Clark Ross, nel 1839-1843. Il muschio fu inizialmente determinato come Tortula gracilis Hook. & Grev. ma, successivamente, fu considerato identico a Didymodon acutus (Brid.) K. Saito o Didymodon rigidulus Hedw. var. gracilis (Hook. & Grev.) R. H. Zander. Nel 1986 il reperto, conservato nell'erbario Hooker del British Museum, fu rideterminato come D. gelidus (cfr. Ronikier et al., 2018, p. 2). Questa attribuzione non è però condivisa, secondo Tropicos, su tropicos.org, D. rigidulus Hedw. var. gracilis (Hook. & Grev.) R. H. Zander non ha tra i sinonimi D. gelidus.
  6. ^ D. luridus è stato trasferito successivamente a un genere differente con la nuova combinazione Geheebia lurida (Hornsch. ex Spreng.) J.A. Jiménez & M.J. Cano (cfr. Jiménez et al., 2021, p. 295).
  7. ^ Cfr. Jules Cardot, Musci, in F. J . Bell (a cura di), National Antarctic Expedition 1901-1904, collana Natural History, 3. Zoology and Botany (Invertebrata: Marine Algae, Musci), London, Trustees of the British Museum, 1907, p. 4, tav. 1, fig. 1-11.
  8. ^ a b c d Cfr. Jiménez & Ochyra, 2017, p. 384.
  9. ^ a b Cfr. Jiménez & Ochyra, 2017, p. 385.
  10. ^ Le cellule guida sono cellule larghe, ampiamente vacuolate, a parete sottile e disposte longitudinalmente, localizzate nello strato mediano della costa tra due strati di stereidi (cfr. Colacino, 2007).
  11. ^ Sono cellule strette, allungate, con pareti ispessite, disposte a gruppi nella costa (cfr. Colacino, 2007).
  12. ^ Cfr. Giada Cordoni, Raffaella Grassi, Lorenzo Peruzzi & Fancesco Roma-Marzio, La riproduzione nelle piante terrestri (PDF), su Piano Nazionale Laure Scientifiche, Orto e Museo botanico Università di Pisa.
  13. ^ L'Antarctic Botanical Zone, così definita dal briologo irlandese Stanley Wilson Greene nel 1964, include l'intero Continente antartico, l'insieme dei mari che lo circondano, entro il parallelo di latitudine 60°S, le isole vulcaniche sub-antartiche dell'arcipelago delle Sandwich Australi e l'isola, anch'essa vulcanica, di Bouvet. La zona è unica nel suo genere per essere la maggiore area al mondo ad avere una flora costituita pressoché interamente da crittogame (cfr. Greene et al., 1970, p. 3).
  14. ^ Cfr. Jiménez & Ochyra, 2017, pp. 389-390.
  15. ^ Cfr. Jiménez & Ochyra, 2017, p. 389.
  16. ^ La specie è estremamente rara al di fuori dell'Antartide, essendo stata ritrovata solo nella Georgia del Sud e nelle isole Kerguelen (cfr. Jiménez & Ochyra, 2017, p. 384).
  17. ^ Cfr. Jiménez et al., 2021, p. 281 e p. 283.
  18. ^ I marcatori plastidiali atpB-rbcL, trnG, e trnL‐F sono sequenze di DNA appartenenti al genoma dei cloroplasti (cfr. Jiménez et al., 2021, p. 284).
  19. ^ Gli spaziatori intergenici ITS ((Internal Trascribed Spacer = spaziatori interni trascritti), presenti in tutti i geni nucleari eucariotici per l’rRNA, sono sequenze non codificanti di DNA ribosomale nucleare, compresi tra unità trascrizionali conservate di DNA, specificatamente 18 S, 5.8 S e 26 S. L’ITS1 (spaziatore interno trascritto di tipo 1) è la regione spaziatrice compresa tra la fine del 18 S e l’inizio del 5.8 S, l’ITS2 (spaziatore interno trascritto di tipo 2) è compreso tra la fine del 5.8 S e l’inizio del 26 S (cfr. Francesca Carucci, Filogenesi molecolare del genere Cirsium Mill. sect. Eriolepis (Cass.) Dumort. (Tesi di Dottorato di ricerca in Biologia Avanzata), Napoli, Università degli studi di Napoli Federico II, 30 novembre 2011, pp. 1-149, DOI:10.6092/UNINA/FEDOA/8769).
  20. ^ Il materiale campionato comprendeva i tipi di centoventidue specie di Pottiaceae. L'ingroup comprendeva ottantasei specie e tre taxa intraspecifici appartenenti al genere Didymodon s.l. (70% del totale), e trentuno esemplari rappresentativi di tutti i taxa dei tre generi affini. L'outgroup includeva ventisette specie appartenenti a ventidue generi della sottofamiglia Pottioideae (cfr. Jiménez et al., 2021, pp. 283-284).
  21. ^ Cfr. Jiménez et al., 2021, pp. 284-289 e pp. 294-295.
  22. ^ Di seguito la tipificazione completa del neotipo designato da Jiménez e Cano: Gertrudiella gelida (Cardot) J.A. Jiménez & M.J. Cano, comb. nov. ≡ Didymodon gelidus Cardot, Nat. Antarct. Exped 1901‐04, Nat. Hist. 3 Musci: 4. 1907 - Type: ANTARCTICA. Terre Victoria: Granite Harbour, L. S. 77°. Exped. de la Discovery, 20 Jan 1902, (lectotype, designated by Ochyra et al. (2008): PC–0702075 [image!]; isolectotypes: BM–000989696!, BM–000989697!, S–B67516!) (cfr. Jiménez et al., 2021, p. 296).

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