Ostjuden: differenze tra le versioni

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German Anti-Semitism|titolo=Political Symbolism in Modern Europe. Essays in Honor of George L. Mosse|curatore1=Seymour Drescher|curatore2= David Sabean|curatore3=Allan Sharlin|anno=|editore=Routledge|città=London and New York|ISBN=978-0-87855-422-5|lingua=en|cid=Aschheim 1982b}}
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Versione delle 12:12, 30 apr 2023

Copertina del libro Das ostjüdische Antlitz (1920) di Arnold Zweig, illustrazioni di Hermann Struck

La coppia di termini complementare Ostjuden (lett. "ebrei orientali") e Westjuden (lett. "ebrei occidentali") venne coniata per la prima volta a cavallo tra XIX e XX secolo dall'autore ebreo Nathan Birnbaum. Con tali termini descriveva due diversi modelli sociali seguiti dall'ebraismo nell'Europa occidentale e orientale, influenzati profondamente dalle diverse condizioni di vita degli ebrei nelle due regioni.[1]

Il termine Ostjuden, che univa due spauracchi, l'est (Osten) e gli ebrei (Juden), del nazionalismo tedesco e austriaco, venne successivamente ripreso come slogan dispregiativo nella stampa antisemita e völkisch di lingua tedesca.[2]

La parola Ostjude

Hermann Struck, Chacham, en face (Hakham, di fronte), 1932, puntasecca, acquatinta

L'origine della parola Ostjude ("ebreo dell'est") nel discorso pubblico tedesco è difficile da tracciare[3]. La paternità del termine è stata spesso attribuita allo scrittore e giornalista ebreo Nathan Birnbaum, ma il punto è controverso[4]. È però certo che essa ha presto assunto una connotazione prevalentemente spregiativa, soprattutto negli anni della sua diffusione durante e dopo la prima guerra mondiale, affiancandosi ad altri epiteti denigratori, di uso più risalente nel tempo, come Schnorrer ("scroccone"), Betteljude ("mendicante ebreo"), Pollack ("polacco", gergale) e "maiale polacco"[5].

In questa accezione spregiativa, la parola richiamava le qualità negative – pigrizia, sporcizia, promiscuità, ignoranza, meschinità, ecc. – attribuite dal razzismo tedesco ed ebraico-tedesco agli ebrei dell'Europa centro-orientale.[6] Sulla figura dello Ostjude convergevano e si sommavano antisemitismo, antislavismo e xenofobia, cosicché nel corso dell'Ottocento l'ostilità nei suoi confronit si può trovare sia presso tedeschi non-ebrei schiettamente antisemiti, come lo storico Heinrich von Treitschke, che allertava contro il pericolo rappresentato dalla «tribù» degli ebrei polacchi, estranea alla «essenza europea e germanica»[7], sia presso ebrei tedeschi: nel giornalista Hugo Ganz, ad esempio, la «pigrizia», il «sudiciume» e la «perpetua inclinazione all'inganno» degli ebrei orientali facevano nascere il «desiderio perverso» e «disumano» che «questa parte della popolazione polacca non esistesse proprio»[8]; l'avvocato Max Naumann scriveva che per gli ebrei tedeschi lo Ostjude era uno straniero, «straniero quanto ai sentimenti, straniero quanto allo spirito, fisicamente straniero»[9]. Negli anni venti e trenta del Novecento, la propaganda völkisch e nazista si appropriò e fece ampio uso della parola e dello stereotipo razzista dello Ostjude[10], come si evince dal film L'ebreo errante (1940) e dalla retorica politica del "Völkischer Beobachter", di Goebbels e di altre figure del regime, che agitavano il "pericolo degli Ostjuden"[11].

La parola Ostjuden fu anche usata in modo neutrale, senza attribuire ad essa una accezione negativa, da intellettuali ebrei come Birnbaum e altri che, soprattutto negli anni precedenti alla prima guerra mondiale[12], cercarono di ricomporre la frattura tra le due componenti dell'ebraismo tedesco, quella autoctona e quella immigrata, presentando un’immagine positiva degli ebrei dell’Europa centro-orientale, a volte sino al punto della idealizzazione (cfr. infra Gli ebrei dell'Europa centro-orientale in Germania). Inoltre, la parola è usata in modo neutrale, quantomeno a partire dagli anni ottanta del Novecento, negli studi di storia ebraica[13].

Nel mondo ebraico di lingua tedesca e in Israele, lo Ostjude si contrappone allo Yekke (o Jecke), che è lo stereotipo dell'ebreo tedesco, borghese, largamente assimilato alla cultura europeo-occidentale. Nelle conversazioni quotidiane e nella lingua scritta, Yekke è spesso usato come sinonimo di snobismo e insensibile meticolosità, mentre la parola Ostjude evoca l'immagine dell’ebreo vittimizzato dai propri simili.[14]

Gli ebrei dell'Europa centro-orientale in Germania

Paul Nathan, Das Problem der Ostjuden, Philo-Verlag, Berlin 1926. In questo libro, il sociologo Paul Nathan proponeva di risolvere "il problema degli ebrei orientali" aiutando il governo dell'Unione Sovietica a reinsediarli nell'interno della Russia

Lo stereotipo dell'Ostjude si sviluppò nel corso della prima metà dell'Ottocento, anche se il termine divenne popolare solo durante e dopo la prima guerra mondiale, quando in Germania si iniziò a lamentare il "pericolo degli ebrei orientali" (Ostjudengefahr) o la "questione degli ebrei orientali" (Ostjudenfrage)[15][16]. Secondo il pregiudizio diffuso tra i tedeschi, compresi gli ebrei tedeschi assimilati, gli ebrei provenienti dall'Europa centro-orientale erano sporchi, rumorosi, rozzi, culturalmente arretrati e immorali; ai loro occhi essi apparivano come una comunità etnica distinta e inferiore[17][18]. L’immagine stereotipata dell’ebreo dell'est è ricondotta da Steven E. Aschheim alla divaricazione tra un occidente in cui gli ebrei erano emancipati, assimilati e imborghesiti, e un oriente in cui persistevano l'esclusione politica degli ebrei e la cultura ebraica tradizionale; tale divaricazione nell'Otto e Novecento avrebbe prodotto una crisi della società ebraica europea e della sua solidarietà internazionale[19].

La differenza tra ebreo tedesco ed ebreo europeo-orientale, nonostante il comune ceppo ashkenazita, in Germania poteva sembrare radicale. L'ebreo tedesco era già relativamente ben assimilato e quasi non parlava più lo yiddish. Questa lingua era spregiativamente chiamata "gergo" (Jargon) e il suo uso corrente era ritenuto incompatibile con l'accesso alla cultura superiore; tutti i settori della società tedesca erano chiamati, nel loro percorso verso la modernizzazione e l'acculturazione, ad abbandonare la propria lingua[20]. Oltre che per lingua e accento, gli ebrei orientali sembravano peculiari per il loro abito (caffettano e cernecchi), la stretta educazione talmudica, la diffusione del misticismo chassidico – agli antipodi dei valori illuministi e borghesi degli ebrei occidentali in via di assimilazione – e per le condizioni di povertà estrema in cui versavano, nei ghetti bui e sovraffollati delle grandi città[21], nella chiusa arretratezza degli shtetls[22], nella loro fuga da pogrom e persecuzioni. Alla povertà economica si accompagnava la mancanza di diritti politici: se in Occidente l'emancipazione degli ebrei aveva fatto seguito alla rivoluzione francese e si era compiuta ovunque nel corso dell'Otto e Novecento, in Russia l'antisemitismo ufficiale si era manifestato con violenza ancora negli anni ottanta dell'Ottocento[23].

I pogrom nell'Impero russo e l'emigrazione di massa verso occidente

Un'ondata di pogrom nella Russia meridionale e in Ucraina negli anni 1881-1884 era stata seguita da misure repressive e politiche statali antisemite, provocando una spinta all'emigrazione di massa senza precedenti nella storia dell'ebraismo orientale[24]. Tra il 1881 e il 1914 un numero compreso tra i 2,4 e i 2,7 milioni di ebrei abbandonarono l'Europa per l'America, il Sud Africa, la Palestina e l'Oceania[25]. La maggior parte di questi emigranti passò attraverso la Germania per raggiungere i porti di Amburgo, Brema o altre città dell'Europa occidentale[26]. Flussi consistenti di ebrei orientali, spesso composti dagli strati più poveri e meno acculturati della popolazione[27], raggiunsero le comunità di ebrei emancipati dell'Europa occidentale, provocando reazioni di sgomento e ostilità nei confronti della «enorme, disordinata e interminabile armata di lontani cugini dell'est»[28]. In Francia e Gran Bretagna si levarono proteste contro "l'invasione straniera" di lavoratori non qualificati disposti ad accettare qualsiasi salario, e riemersero la xenofobia e i sentimenti antisemiti mai sopiti della popolazione autoctona[29]. Ma in Germania, a causa della persistente rilevanza pubblicistica dell'appartenenza confessionale (alla condizione di ebreo membro di una comunità religiosa formalmente stabilita erano associati speciali diritti e doveri), l'afflusso di ebrei orientali pose un problema peculiare di integrazione con le comunità locali[30]. Gli ebrei tedeschi temevano che gli immigrati dall'Est li squalificassero agli occhi dei connazionali non ebrei, anche perché l’allarme per l'arrivo di ebrei orientali era spesso agitato dalla pubblicistica antisemita contro la minoranza ebraica nazionale. Inoltre, l'ostilità degli ebrei tedeschi dipendeva anche dall'orientamento ortodosso tradizionalista degli ebrei orientali, opposto a quello liberale-riformista prevalente nell'ebraismo tedesco, che creava tensioni nelle vita delle sinagoghe e rivalità nell'ordinazione dei rabbini[31].

Il "culto degli Ostjuden"

Hermann Struck, Luba (Białystok), litografia dal portfolio Skizzen aus Russland. Ostjuden ("Schizzi dalla Russia. Ebrei dell'est") 1916 circa

Tuttavia, l'atteggiamento degli ebrei tedeschi verso i correligionari dell'Est non fu solo segnato da ostilità o disprezzo. Già nell'Ottocento, scrittori come Leopold Kompert e Aron Bernstein avevano raffigurato «con simpatia e calore umano la vita del ghetto, stilizzandola nella Gemütlichkeit in una calda intimità»[32]. Nel Novecento, una peculiare interpretazione della frattura tra ebrei occidentali e orientali si trova nell'opera di quegli intellettuali ebrei che nel Novecento idealizzarono la figura dell'ebreo orientale per farne il protagonista di una forma di vita o di religiosità più autentica e di una resistenza ai valori della società borghese e alla modernizzazione capitalista[33][34]. Tracce di questa ispirazione di fondo possono già essere colte nella corrispondenza di Heinrich Heine[35] e diventano un tema significativo nell'opera di Joseph Roth, nei racconti chassidici di Martin Buber, nell'Alfred Döblin di Viaggio in Polonia[36], e nell'opera dello stesso Kafka, che sarebbe segnata, secondo l'interpretazione di Giuliano Baioni, dalla angosciosa «consapevolezza della frantumazione dell'unità ostjüdisch»[37].

Uno dei principali esponenti del "culto degli Ostjuden" fu Arnold Zweig. Influenzato dalle opere chassidiche di Buber, Zweig si sentiva estraneo all'ebraismo tedesco istituzionale e al sionismo ufficiale[38]. Il suo libro Das ostjüdische Antlitz ("Il volto ebraico orientale") del 1920 era accompagnato dalle illustrazioni di Hermann Struck: «Questo libro parla degli ebrei orientali come qualcuno che ha cercato di vederli»[39]. I ritratti di Struck, di bella fattura, invertivano lo stereotipo: «Il volto dell'ebreo orientale non era orrendo né depravato, ma rifletteva bellezza, forza nascosta e grande sensibilità»[40]. Soprattutto prima della Prima guerra mondiale, gli intellettuali che collaboravano con la rivista Ost und West ("Oriente e occidente") si impegnarono nel fare conoscere agli ebrei tedeschi la cultura degli ebrei orientali[41]. La scoperta dello Ostjude nei campi di sterminio nazisti e un sentimento di fratellanza nei suoi confronti[42] sono anche il tema di una poesia di Primo Levi raccolta in Ad ora incerta[43].

L'ambivalenza[44] degli ebrei tedeschi nei confronti dei correligionari dell'Est trovò un'espressione politica nei dibattiti interni al movimento sionista. Il sionismo si propose di ricomporre la frattura tra ebrei occidentali e orientali all'insegna dell'idea condivisa di una comune identità nazionale del popolo ebraico: com'ebbe a dire Theodor Herzl nel 1897, il sionismo portava con sé la possibilità, prima impensabile, di una «stretta alleanza tra gli elementi dell’ebraismo ultra-moderni e ultra-conservatori ... su una base nazionale»[45]. In concreto questa alleanza poteva essere intesa come soccorso o aiuto degli ebrei orientali da parte dei loro connazionali più fortunati e ricchi, secondo il sionismo "filantropico" di Leon Pinsker, o all'opposto come riscatto dell'ebreo occidentale dalla miseria morale dell'assimilazione e riscoperta dell'autentica identità ebraica impersonata dall'ebreo orientale, secondo il comunista tedesco Moses Hess e secondo il sionista ungherese Max Nordau[46].

L'idealizzazione dell'identità ostjüdisch fu ancora più radicale negli scritti degli esponenti del sionismo "spirituale" (o culturale) come Achad Ha'am, che accusò i leader del sionismo "politico", compreso Nardau, di essere imbevuti di una «cultura straniera» estranea alle radici profonde dell'ebraismo[47]. Anche Nathan Birnbaum rimproverava all’ebraismo occidentale di essere privo di una cultura originale e autonoma[48]. Birnbaum, cui è spesso attribuita la paternità della parola "Ostjude" [49] oltreché della parola "sionismo"[50], aveva invertito l'ordine liberale delle priorità, chiedendo l'emancipazione dell'ebraismo orientale da quello occidentale; contrapponendosi esplicitamente al tentativo del sionismo di "trascendere" l'identità ebraica-orientale, Birnbaum si fece promotore dell'uso della lingua yiddish e negli ultimi anni della sua vita si avvicinò a posizioni religiose ortodosse[51].

Secondo il sociologo Zygmunt Bauman, questa idealizzazione dello Ostjude da parte degli ebrei tedeschi a volte si avvalse del recupero di temi e toni dell'ormai dilagante nazionalismo völkisch, dal riferimento al sangue, al suolo, al radicamento nella comunità all'esaltazione della virilità e del coraggio: «Ancora una volta, gli ebrei orientali si trasformano in un mito interpretato secondo le più recenti preoccupazioni dei loro civilizzati fratelli occidentali»[52].

Joseph Roth, Ebrei erranti

Hermann Struck, Alter Jude (Bialystok), litografia dal portfolio Skizzen aus Russland. Ostjuden ("Schizzi dalla Russia. Ebrei dell'est") 1916 circa

Una descrizione degli ebrei orientali si trova nel saggio di Joseph Roth, Ebrei erranti del 1927[53][54]. Roth, egli stesso ebreo orientale trapiantato a Vienna, afferma di affrontare il tema «con amore, invece che con quella "obiettività scientifica" che è anche detta noia, con la speranza che esistano ancora lettori davanti ai quali non sia necessario difendere gli ebrei "orientali"»:

«L’ebreo orientale non vede la bellezza dell’Oriente. Gli hanno vietato di vivere nei villaggi, ma anche nelle grandi città. È in strade luride e case cadenti che dimorano gli ebrei. Il vicino cristiano li minaccia. Il padrone li bastona. Il funzionario li fa arrestare. L’ufficiale gli spara addosso impunemente. Il cane gli abbaia contro perché si presentano vestiti in un modo che irrita sia gli animali sia gli esseri primitivi. Sono educati in una buia cheder. Fin dalla più tenera infanzia imparano a conoscere il dolore e lo sconforto della preghiera ebraica; la lotta appassionata con un Dio che punisce più di quanto ami, e che ogni piacere lo fa pagare come un peccato; il dovere rigoroso d’imparare e di ricercare l’astratto con occhi giovani e ancora assetati di grandi ideali»

Ebrei erranti racconta il declino dell'ebraismo orientale e la sua dissoluzione in Occidente ed è un grido di allarme contro le illusioni dell'assimilazione[55][56]: «Rinunciarono a se stessi. Si smarrirono. La loro malinconica bellezza li abbandonò e sulle schiene ricurve si depositò, grigio strato di polvere, una mestizia senza senso e un cruccio meschino e privo di ogni tragicità»[57][58].

Note

  1. ^ (EN) Ezra Mendelsohn, The Jews of East Central Europe Between the World Wars, Bloomington, 1983, pp. 6–8, ISBN 0-253-3316-0-9.
  2. ^ (DE) Barbara Hahn, Die Anderen - Ostjuden in Deutschland vor 1933, in Sozialwissenschaftliche Informationen, vol. 18, n. 3, 1989, pp. 163–169.
  3. ^ Kałczewiak 2021, p. 294.
  4. ^ Kałczewiak 2021, p. 294.
  5. ^ Wertheimer 1987, p. 6; Aschheim 1982a, p. 21.
  6. ^ Kałczewiak 2021, p. 288.
  7. ^ Kałczewiak 2021, p. 292; Aschheim 1982b, p. 83.
  8. ^ Bauman 1991, 147/343; Wertheimer 1987, p. 148; Aschheim 1982b, p. 84.
  9. ^ Wertheimer 1987, p. 148.
  10. ^ Kałczewiak 2021, pp. 288 e 297.
  11. ^ Kałczewiak 2021, p. 297.
  12. ^ Kałczewiak 2021, pp. 288.
  13. ^ Kałczewiak 2021, pp. 287 e 290.
  14. ^ Wertheimer 1987, p. 3.
  15. ^ Aschheim 1982a, p. 3.
  16. ^ Wertheimer 1987, p. 6.
  17. ^ Aschheim 1982a, p. 3.
  18. ^ Tobias Grill, "Pioneers of Germanness in the East"?: Jewish-German, German, and Slavic Perceptions of East European Jewry during the First World War, in Jews and Germans in Eastern Europe: Shared and Comparative Histories, 2018, p. 141.
  19. ^ Aschheim 1982a, pp. 4-9.
  20. ^ Aschheim 1982a, pp. 9-11.
  21. ^ Aschheim 1982a, pp. 10-14.
  22. ^ {{Cita|Magris 1989, cap. I.
  23. ^ Vital 1999, pp. 291-297, 310.
  24. ^ Vital 1999, cap IV.
  25. ^ Vital 1999, pp. 298; il dato è notevole se si considera che nel 1840-1880 solo 200.000 ebrei europei erano emigrati oltremare, e che a fine Ottocento la popolazione mondiale ebraica ammontava a circa 11 milioni di persone, di cui più di cinque stanziate nei territori dell'Impero russo.
  26. ^ Aschheim 1982a, p. 37.
  27. ^ Vital 1999, p. 302-304.
  28. ^ Vital 1999, p. 317.
  29. ^ Vital 1999, p. 317.
  30. ^ Vital 1999, pp. 331-332.
  31. ^ Vital 1999, p. 333.
  32. ^ Sonino 1998, pp. 27-28.
  33. ^ Aschheim 1982a, cap. VIII.
  34. ^ Magris 1989, cap. II.
  35. ^ Aschheim 1982a, pp. 185: già nel 1822, una lettera di Heine esprime, assieme al disgusto, anche l'essenza di ciò che in seguito sarà il culto dell'Ostjuden. Dopo aver visitato uno shtetl polacco, scrive della nausea provata «alla vista di queste creature cenciose e sudice», che vivevano in «porcilaie», «chiacchieravano, pregavano e mercanteggiavano», parlando un linguaggio ripugnante, persi in una «rivoltante superstizione»; e tuttavia «nonostante il barbaro berretto di pelliccia che gli copre la testa, e le nozioni ancora più barbare che la riempiono, stimo l'ebreo polacco più della sua controparte tedesca [...] Come risultato del rigoroso isolamento, il carattere dell'ebreo polacco ha acquisito un'unicità [...] L'uomo interiore non è degenerato in un disordinato conglomerato di sentimenti». Traduzione in inglese in Frederic Ewen (a cura di), The Poetry and Prose of Heinrich Heine, New York, The Citadel Press, 1948, pp. 690-691.
  36. ^ Magris 1989, cap. II.
  37. ^ Magris 1989, 28/369, con riferimento al libro di Giuliano Baioni, Franz Kafka. Romanzo e parabola, Milano 1962.
  38. ^ Ashheim 1982, p. 132.
  39. ^ Zweig 1920, p. 9 (Dieses Buch spricht über die Ostjuden als jemand, der sie zu sehen versuchte).
  40. ^ Ashheim 1982, p. 199.
  41. ^ Kałczewiak 2021, p. 288.
  42. ^ Ada Neiger, Itinerario d'uno scrittore ebreo. Una lettura dei saggi di Primo Levi di argomento ebraico (1981-1987), in Luigi Dei (a cura di), Voci dal mondo per Primo Levi. In memoria, per la memoria, Firenze University Press, 2007, p. 137, ISBN 978-88-8453-660-0.
  43. ^ Primo Levi, Ostjuden (7 febbraio 1946), in Ad ora incerta, Milano, Garzanti, 2016 [1984], ISBN 978-88-11-14602-5.
    «Padri nostri di questa terra,

    Mercanti di molteplice ingegno,

    Savi arguti dalla molta prole

    Che Dio seminò per il mondo

    Come nei solchi Ulisse folle il sale:

    Vi ho ritrovati per ogni dove,

    Molti come la rena del mare,

    Voi popolo di altera cervice,

    Tenace povero seme umano.»
  44. ^ Un'interpretazione del rapporto tra ebrei tedeschi e ebrei dell'Europa orientale in termini di "ambivalenza" e di "trappola dell'assimilazione" in Bauman 1991, cap. IV.
  45. ^ Ashheim 1982, p. 81.
  46. ^ Ashheim 1982, cap. IV.
  47. ^ Ashheim 1982, p. 90.
  48. ^ Ashheim 1982, p. 115.
  49. ^ Kałczewiak 2021, p. 294.
  50. ^ Ashheim 1982, p. 114.
  51. ^ Ashheim 1982, p. 114.
  52. ^ Bauman 1991, 147/343.
  53. ^ Roth 1927.
  54. ^ Magris 1989, 12/369.
  55. ^ Aschheim 1982a, p. 247.
  56. ^ Magris 1989, 12/369: "Juden auf Wanderschaft è un grido d’allarme contro l'assimilazione degli ebrei orientali in cammino verso occidente e quindi sul punto di perdere la propria identità e di assumere tutti i vizi della borghesia occidentale, in particolare di quella ebraica liberale".
  57. ^ Roth 1927, 14/89.
  58. ^ (EN) Adam Mars-Jones, The ghetto blaster, in The Guardian, 24 dicembre 2000. URL consultato il 24 aprile 2023.

Bibliografia

Voci correlate

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