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Ritratto di Giovanni Antonio Antolini – Opera a olio su cartone (Collezione privata).

Giovanni Antonio Antolini (nato a Castel Bolognese il giorno 11 settembre 1753,[1] e deceduto a Bologna in data 11 marzo 1841), è stato un architetto, ingegnere, insigne studioso di vestigia architettoniche, trattatista, urbanista precursore dell’urbanistica italiana moderna, docente presso le Istituzioni universitarie della Repubblica Cisalpina sia a Bologna che a Pavia.

Tra i più noti esponenti italiani dell’architettura neoclassica, e incluso tra «le glorie dell’arte lombarda»,[2] il bolognese Antolini fu architetto di S.M. Imperiale e Reale Napoleone Bonaparte e occupa un posto di primaria importanza per la storia dell’architettura che, nel passaggio tra Illuminismo e Risorgimento, ebbe come fulcro nodale l’Età napoleonica. Aperto alle idee libertarie dapprima, poi alla complessa avventura repubblicana e imperiale, egli fu uno dei più avvertiti interpreti delle trasformazioni culturali che le nuove idee d’Oltralpe richiesero anche all’arte edificatoria e all’urbanistica italiane, conducendo una stagione professionale ininterrotta e proficua sino a tarda età.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Figlio del notaio Gioacchino Antolini e dell’imolese Giovanna Francesca Tagliaferri (ma, in alcuni documenti, anche: Tagliaferro), Giovanni Antonio a dodici anni rimase orfano del padre e, con la protezione della famiglia dei conti Ginnasi di Castel Bolognese, proseguì la propria istruzione sino al conseguimento della laurea presso l’Archiginnasio di Bologna dove ottenne, con lode, il grado di architetto ingegnere.

A Roma e nelle Legazioni pontificie (1775-1797)[modifica | modifica wikitesto]

Avendo successivamente acquisito anche la specializzazione in Idrostatica, poco più che ventenne Giovanni Antonio venne chiamato a Roma dove fu incaricato di seguire alcune attività di prosciugamento delle Paludi Pontine dal 1775 al 1777, anno in cui sarà dispensato da tali responsabilità poiché colpito da febbri malariche. Risale a questo periodo l’inizio dei suoi studi antiquari condotti su numerosi edifici antichi in cui egli avrebbe esaminato i rapporti dimensionali e strutturali, l’impiego di tecniche e di materiali, i dettagli costruttivi ecc., adottando le procedere dello scienziato che, con metodo autoptico, ricerca in profondità la vera essenza dell’architettura, le sue trame evolutive e le sue più segrete armonie.

Fino a tutto il secondo decennio del XIX secolo Antolini esercitò tali indagini, poi restituite con la parola scritta in opere di letteratura scientifica e architettonica, e con il disegno e rilievo tecnico, a partire dal 1785.[3] Le osservazioni antiquarie, le esercitazioni di architettura civile e le proposte progettuali, che gli procurarono ottime remunerazioni e un immediato e rilevante successo internazionale, in questo periodo gli furono specificamente sollecitate da una committenza cosmopolita di aristocratici facoltosi di passaggio per Roma. È l’epoca in cui gli emissari della Corte Pietroburghese «proposero al giovine egregio di seguirli a Pietroburgo»; ma i gravosi impegni familiari indussero Giovanni Antonio a rifiutare il trasferimento nella «capitale della Moscovia» e lo persuasero a personalmente raccomandare, per tale prestigioso incarico, l’amico Giacomo Quarenghi «che fu da’ principi gradito, perché da lui proposto».[4]

Rimasto nei territori delle Legazioni pontificie, qui dal 1775 al 1797 svolse la propria opera professionale, così come annotato in alcuni suoi puntuali curricula manoscritti.[5] Enumerando le attività ritenute meritevoli di nota, in tali documenti Antolini riferiva di aver presentato a Papa Pio VI Giovanni Angelico Braschi «de’ Disegni per la Sagrestia di S. Pietro» in Vaticano, che furono apprezzati e gli valsero «un’annua pensione» di quarantotto scudi elargitagli da Sua Santità. Inoltre dichiarava di aver progettato e coordinato i lavori per la realizzazione di opere pubbliche e private, di strade, ponti, opifici ecc. Tra i molti incarichi commissionatigli, si segnalano quelli assolti per il Cardinale Duca di York (Enrico Benedetto Stuart, suo primo protettore) per il quale eresse alcuni edifici a Frascati; e per Monsignor Giuseppe Vinci, delegato apostolico, per il quale progettò l’orfanotrofio e gli ospedali di Fabriano; mentre per il conte Cardinale Francesco Carrara dal 1787 si occupò dei restauri e della fabbricazione degli orfanotrofi e degli ospedali sia di Todi che di Perugia.[6]

A Roma si era unito in matrimonio con Anna Balestra,[7] e nell’agosto del 1787 a Roma nacque il figlio Filippo. Successivamente, tra il 1788 e il 1791, Giovanni Antonio portò a termine opere di ingegneria idraulica anche a Bettona, a Spello, a Cannara; ed elaborò una cartografia tematica di Assisi, città dove progettò e seguì la realizzazione di alcuni fabbricati, tra i quali l’edificio fornito di portici ubicato nella piazza principale. Ancora come ingegnere idraulico, a Todi nel 1792 progettò e governò le opere realizzate per l’attraversamento del torrente Puglia; fornì i pareri tecnici e le consulenze progettuali che gli erano state richieste anche dalla Comunità di Città di Castello e di Jesi, dove avrebbe perfezionato tutti gli “ordigni idraulici”. Dal 1796 al 1798 ancora a Jesi gli furono affidati vari incarichi, quali il progetto per l’ampliamento[8] della residenza dei marchesi Pianetti (Palazzo Pianetti, 1796); la ristrutturazione interna del santuario della Madonna delle Grazie (1797); e il progetto richiesto dalla Deputazione del «Teatro Nuovo» (1798). Inoltre, nello stesso periodo, assumeva ulteriori incarichi progettuali, tra i quali il teatro da erigersi nella città di Camerino, e alcune opere da realizzarsi in Romagna: a Faenza e a Castel Bolognese.

È infatti datato al 1796 il primo documento che testimonia la fugace presenza di Antolini nel territorio faentino dove, tra l’altro, esaminò lo stato di navigabilità del Canale Naviglio e compose due progetti per la costruzione di un Arco Trionfale commissionatogli come monumento per onorare Napoleone Bonaparte; un terzo progetto fu poi elaborato nel 1800 allo scopo di riedificare il manufatto celebrativo dopo la sua distruzione, avvenuta nel 1799 per mano degli Austriaci: la ricostruzione ebbe inizio ma, a causa di un ambiente sociopolitico ostile al Bonaparte, fu ben presto sospesa definitivamente.[9] Alcune proposte progettuali formulate per le committenze di Jesi furono coeve a quelle richiestegli a Faenza dove, negli anni 1797 e 1798, Antolini fu interpellato per ideare il Nuovo Borgo fuori Porta Imolese, ossia la riqualificazione territoriale dell’intera area contigua all’Arco Trionfale faentino. Ancora ad Antolini si rivolsero i conti Laderchi per la ristrutturazione interna del palazzo di città (Palazzo Laderchi) e per il progetto del nuovo villino di campagna;[10] così come i conti Milzetti, per i quali Giovanni Antonio elaborò il progetto per la ristrutturazione interna del palazzo cittadino (Palazzo Milzetti, che nel 2001 è stato dichiarato Museo nazionale dell’Età neoclassica in Romagna), dove le spazialità interne furono rimodellate e aggiornate secondo un’evoluta concezione razionalista, funzionalista ed estetica.[11]

Nello stesso periodo Antolini risultava impegnato anche nel progetto per l’adeguamento funzionale della chiesa faentina intitolata a Santo Stefano che, essendo stata sconsacrata, venne assegnata al Circolo costituzionale cittadino;[12] nell’elaborazione del progetto per il nuovo ospedale di Castel Bolognese[13] e, qualche mese più tardi, nella progettazione richiestagli dal conte Milzetti per un nuovo fabbricato a destinazione mista, agricola e insieme residenziale, da ubicarsi nella campagna faentina: il progetto verrà completato tra il 1801 e il 1802[14] ma l’edificio non fu costruito perché i Milzetti, in rapida ascesa sociale, lasciarono definitivamente la Romagna e si trasferirono a Milano chiamati alla corte del Viceré d’Italia Eugenio di Beauharnais.

Ospedale degli Infermi, Castel Bolognese. Progettato da Giovanni Antonio Antolini e iniziato nel 1802, l'edificio venne ultimato e inaugurato nel 1813. Foto Paolo Monti, 1968.

In questi anni Giovanni Antonio sembra essere infaticabile e ubiquo, e la sua biografia è già connotata da quel caratteristico e intenso dinamismo che avrebbe poi qualificato l’intera sua vita. In realtà egli può assumere gran parte degli incarichi di progettazione che gli sono proposti poiché è assiduamente coadiuvato dal fratello minore Paolo, esperto anche nella decorazione architettonica,[15] che rappresentò il costante collegamento con la committenza romagnola: infatti è Paolo Antolini l’intermediario mediante il quale sono recapitati i disegni e le comunicazioni epistolari, ed è a Paolo che sono affidati interi cantieri nel mentre Giovanni Antonio già risiedeva in Lombardia e si diceva «chiamato da suoi premurosi interessi fuori da Faenza».[16]

Risoluto nel voler promuovere i canoni e gli stilemi di una rinnovata (e ideologica) estetica architettonica basata sui princìpi di simmetria, euritmia e funzionalità, dove la razionalità diviene strumentazione pratica per il controllo della realtà in quanto esatta applicazione di princìpi selezionati con arte e tecnica sapiente, dopo aver trascorso oltre un ventennio a calcare e a respirare la polvere di numerosi cantieri Antolini operò un progressivo distacco dalle procedure semplicemente esecutive che sovente scelse di tralasciare e superare, delegandole a stimati colleghi di fiducia. Tale modus operandi era già divenuto palese: quando non costretto a occuparsi della fase cantierabile, negli anni della maturità egli avrebbe privilegiato la progettazione pura e la riflessione erudita. Emerge in maniera molto evidente un crescente disinteresse per la mera prassi gestionale, mentre si afferma in modo sempre più esplicito il suo principio di autorità culturale, sancito nel 1803 con l’attribuzione della prima Cattedra attivata per l’insegnamento delle materie architettoniche nell’università bolognese moderna, riformata dalla legislazione napoleonica.

Gli incarichi governativi e le attività didattiche (1798-1815)[modifica | modifica wikitesto]

Sul finire del secolo la Repubblica Cisalpina e la Consulta governativa invitarono gli architetti a un concorso di idee per la progettazione di piramidi da erigersi nello spazio del Lazzaretto di Milano, perseguendo finalità celebrative rivolte a commemorare le virtù eroiche dei Caduti francesi e italiani. Inoltre era richiesta anche «una colonna per monumento di gloria al generale in capo. Il premio in ambedue i concorsi fu aggiudicato all’architetto Antolini»,[17] così come egli stesso, oramai quasi ottuagenario, annotava nel 1830 all’interno della Biografia dell’architetto Giovanni Antonio Antolini, scritta da sé medesimo: memoria autobiografica molto parziale e concisamente narrata (con alcuni refusi) che sarebbe stata pubblicata postuma, oltre un decennio più tardi, dal conte Carlo Emmanuele Muzzarelli sul Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti.

Già dal 1798 Antolini si era trasferito stabilmente a Milano, essendo stato nominato tra i cinque componenti della Direzione Generale Idraulica della Repubblica Cisalpina. Ed essendo l’autore di tutti i monumenti eretti e da erigersi nella Repubblica Cisalpina, nel 1799 gli venne sollecitata una ulteriore proposta progettuale concernente la piazza celebrativa che, a Milano, si intendeva realizzare nel sito occupato dal Castello Sforzesco. Accolta tale incombenza, nel dicembre del 1800 egli consegnò lo studio di massima del suo progetto, che denominò Foro Bonaparte e che, qualche mese più tardi (1801), presentò personalmente a Napoleone. Con tale piano di lavoro, eccezionalmente concepito alla scala urbanistica, Antolini era già orientato a valutare il decentramento dei servizi della città, le cui criticità (dovute anche all’aumento della popolazione residente) erano divenute imperiose. Raccogliendo quelle istanze sociali e perseguendo ideali di ricerca funzionale e tipologica, Antolini propose la realizzazione di un vero e proprio quartiere dove la serie organica di nuovi edifici era precisata non soltanto per ospitare le solennità dal contenuto celebrativo ma anche abitazioni di carattere privato e mansioni specialistiche, direttive e operative, finalizzate alla gestione della cosa pubblica.

Esaminato, discusso e approvato «quel vasto singolare progetto»[18] in ogni suo elemento costitutivo, si procedette prontamente alla modifica della odonomastica stradale urbana, titolando già il luogo con la denominazione Foro Bonaparte.[19] Con una cerimonia solenne venne posata la prima pietra fondamentale (pietra angolare), ma in breve si registrarono impedimenti di carattere politico e di ‘campanile’ che determinarono una repentina interruzione dei lavori di cantierizzazione. La vasta ideazione antoliniana era già stata «accolta dal pubblico, presa in considerazione dagl’intendenti, e decretata dalla Legge» (così come lo stesso Antolini scriveva[20] nel settembre del 1802), ma la costruzione del Foro venne comunque sospesa, nonostante il governo avesse già assegnato sei milioni di franchi per la costruzione degli organismi architettonici destinati alla pubblica e alla privata utilità. Supponendo che il nodo critico derivasse dall’alto costo preventivato, Antolini presentò una seconda versione della sua proposta progettuale considerevolmente ridotta al fine di ridimensionare gli oneri. Ma evidentemente il problema non risiedeva soltanto nell’ammontare della spesa presunta. Infatti, nel settembre del 1803, dopo due anni di polemiche, l’amministrazione milanese decise di accantonare definitivamente il progetto per il Foro Bonaparte.

Disegni del Foro Bonaparte – Frontespizio di una serie delle Tavole di progetto
Foro Bonaparte - Planimetria generale
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. II – Veduta del Foro Bonaparte, presa dalla Città
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. III – Veduta della Barriera del Sempione e Foro Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. IV – Facciata principale dell’edificio situato nel centro del Foro Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. V – Monumento (…) per eternare la memoria dell’Eroe Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. VI – Pianta della Dogana, nel Foro Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. VII – Spaccato della Dogana, Facciata della Dogana e delle Terme, nel Foro Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. VIII – Spaccato, Facciata, Piante di una delle otto Sale per la Pubblica Istruzione, nel Foro Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. IX – Pianta delle Terme, nel Foro Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. X – Spaccato dell’Esedra, Spaccato della sala delle Terme, Spaccato delle Terme nel Foro Bonaparte, sulla linea AB.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. XI – Spaccato, Facciata posteriore, Piante della Borsa nel Foro Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. XII – Spaccato, Facciata posteriore, Piante del Museo nel Foro Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. XIII – Spaccato per il lungo del Pantheon, Facciata del Pantheon, Teatro, Borsa e Museo, Piante del Pantheon nel Foro Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. XIV – Spaccato per il lungo, Spaccato per il traverso, Piante del Teatro nel Foro Bonaparte.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. XV – Pianta di uno dei dodici Colonnati nel Foro Bonaparte (…), Pianta della Barriera al Foro Bonaparte, da cui ha principio la Via del Sempione.
Disegni del Foro Bonaparte – Tav. XVI – Dettagli delle Cornici all’esteriore degli Edifici del Foro Bonaparte, in Milano.

Nel medesimo periodo Antolini terminava di redigere il suo trattato sull’Ordine corinzio[21] e veniva nominato architetto della Veneranda fabbrica del Duomo di Milano. Svolse questo incarico di grande rilievo per pochi mesi, sino al 1803, poiché con l’inizio dell’anno accademico fu confermato in ruolo di Professore di Architettura, componente della Commissione permanente di Architettura e della Commissione permanente di Prospettiva presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nel mese di novembre dello stesso anno Antolini è documentato essere in docenza già attiva presso l’Università di Pavia e presso l’Università di Bologna, mentre l’anno successivo, e precisamente in data 18 settembre 1804, verrà eletto accademico onorario anche dell’Accademia di Belle Arti di Firenze.

Nell’aggiornamento degli schemi stilistici e formali impostati sul rigore geometrico era riconosciuta all’architettura antoliniana una precisa valenza didattica, un inequivocabile significato anche pedagogico. Per tale ragione, e in virtù della sua straordinaria notorietà, studenti provenienti da luoghi e da Stati diversi giungevano nelle aule universitarie per assistere alle sue lezioni, tanto che «col crescere della diffusione della fama delle sue lezioni teoriche bolognesi, egli era praticamente entrato nel mito negli ultimi anni del periodo napoleonico: i nuovi studenti di architettura e i più giovani docenti si entusiasmavano di fronte alle sue idee e alle sue opere».[22] Lo stesso Antolini testimonia che frequentarono i suoi corsi più di cinquecento giovani, e dai suoi numerosi carteggi epistolari riemerge un insegnante sollecito, intento a mantenere vitale il rapporto di affettuosa stima con i suoi studenti migliori.

Nel volgere di pochi mesi, alle attività didattiche e teoretiche si aggiunse l’importante serie di incarichi governativi, tutti compiuti sotto il segno di un destino imperiale. In breve Giovanni Antonio Antolini era divenuto l’architetto ufficiale della Rivoluzione. Tenuto in alta considerazione da Bonaparte che, con invito personale datato 21 maggio 1805, lo convocò a Milano per presenziare alla propria cerimonia di incoronazione a Re d’Italia (Regno Italico, 1805-1814), nell’agosto del 1805 Antolini venne nominato Architetto Regio e Ispettore dei Reali Palazzi e Palazzo Te di Mantova. Ma, oltre a essere oberato dagli obblighi correlati alla docenza e al nuovo ruolo, fin dal 1805 Antolini risultava essere impegnato con l’amico Pietro Giordani anche nella redazione dell’opera Descrizione del Foro Bonaparte che pubblicò qualche mese più tardi, nel 1806. Nello stesso anno fu nominato Architetto Ispettore della Corona per il Palazzo Caprara di Bologna; e, ancora, dichiarò di aver concluso i lavori eseguiti a Venezia, a Stra e a Bologna per il Principe Viceré, mentre nel 1807 decise di affidare il progetto per le Procuratie Nuovissime di Venezia alla direzione esecutiva dell’architetto modenese Giuseppe Maria Soli.

A tale riguardo occorre rammentare che alle molteplici e complesse attività di carattere progettuale e direttivo svolte per i palazzi veneziani, del Brenta, di Bologna, Modena e Mantova, l’Imperiale e Reale architetto Giovanni Antonio Antolini seguitò ad affiancare la didattica nelle aule universitarie. Pertanto, pressato dai troppi incarichi che la Corona gli aveva commissionato «contemporaneamente alla sua qualità di professore» (come egli stesso confermerà anche nella memoria autobiografica redatta nel 1830 e pubblicata nel 1842, un anno dopo la sua morte), iniziò a delegare questi prestigiosi impegni professionali assegnandoli ai colleghi che maggiormente stimava e, sino al cessare del Regno Italico, mantenne per sé soltanto il Palazzo Ducale di Modena avendo «per propria generosità rinunciato i precedenti ad altri architetti».[23]

Sono datati all’agosto del 1812 i primi contatti di Antolini con il Principato napoleonico governato da Felice Baciocchi ed Elisa Bonaparte Baciocchi (principessa di Lucca e Piombino; duchessa di Massa e Carrara e, dal 1809, granduchessa di Toscana) che gli richiesero un parere concernente sia il progetto di un palazzo da costruirsi a Lucca, sia il piano per un nuovo quartiere denominato Contrada Elisa. Nel mese successivo Antolini è trattenuto ancora in Toscana, poiché impegnato nell’elaborazione del «Rapporto sugli oggetti d’arte fatti fare dalla Duchessa nei suoi Stati» che, infine, avrebbe consegnato il giorno 17 settembre 1812.[24]

Avendo ultimato la stesura di un testo concepito come sussidio tecnico per gli studenti iscritti al primo anno dei corsi di architettura civile, nel 1813 diede alle stampe il suo Idee Elementari di Architettura civile per le Scuole del Disegno, di Giovanni Antolini, architetto di S.M. Imperiale e Reale. Nello stesso anno la presenza di Antolini è testimoniata a Bologna e inoltre a Milano, dove fu nominato Membro della Commissione incaricata per la progettazione del monumento da realizzarsi sul Colle del Moncenisio in onore del Bonaparte. Nello stesso periodo, il figlio Filippo (che già da tempo aveva iniziato a coadiuvare il celebre padre), concluse il corso di studi per laurearsi architetto, gratificato dalla stima tributatagli anche da Antonio Canova.[25] Non appena concluso l’anno accademico, come di consueto Giovanni Antonio Antolini si recò in Toscana dove trascorse il periodo estivo. Dalla lettera che il 20 agosto 1814 scrisse a un amico affiorano le sue preoccupazioni, e appare pienamente consapevole di come si risolverà l’incertezza politica di quei «dubitosi tempi» che lo vedranno intento anche a coltivare rapporti professionali con la ricca borghesia mercantile di Livorno.[26]

Nella memoria autobiografica redatta nel 1830 e pubblicata postuma (nel 1842, op. cit.), Antolini menzionerà un’ulteriore importante esperienza progettuale da collocarsi in questo periodo: nel 1815, infatti, il governo egiziano gli aveva affidato l’incarico di concepire il «vasto edifizio della filatura de’ cotoni per il gran Cairo d’Egitto, che doveva contenere le numerose macchine a tal uopo inventate, fatte costruire e spedite dal celebre meccanico signor cav. Morosi».[27] Ma a Bologna la temperie era cruciale: in particolare tra il 1813 e il 1815 si sottostette al continuo avvicendarsi del governo napoleonico e del governo pontificio. La precarietà della situazione politica si risolse nel luglio del 1815, quando si pervenne al definitivo reintegro dell’autorità pontificia. Tale rinnovato assetto comporterà l’epurazione del Corpo accademico bolognese: nell’ottobre del 1815, infatti, sarà revocata la Cattedra a Giovanni Antonio Antolini e a tutti gli accademici filo-bonapartisti.

«Lavoro direi quasi come se fossi giovane. Ringraziato sia il cielo...» (1816-1841)[modifica | modifica wikitesto]

Personalità politicamente molto impegnata, Antolini si era formato alla fine del secolo XVIII ed era «imbevuto di cultura rivoluzionaria», inoltre negli anni romani era entrato in contatto con la Massoneria (e affiliati a tale associazione segreta furono alcuni tra i suoi molti committenti) ed era anche fortemente ispirato dalle idee dei razionalisti francesi dai quali avrebbe «assorbito un’idea dell’architettura come di cosa pertinente ai compiti dello Stato, quest’ultimo essendo immaginato come espressione dell’unanimismo popolare, e che dunque del popolo rappresenti la volontà, i valori, la cultura, memori degli eventi rivoluzionari e degli eroi che ne sono stati protagonisti».[28]

In definitiva egli si riconosceva politicamente nelle posizioni del giacobinismo espresse in seno alle assemblee rivoluzionarie, e nei princìpi egualitari. A causa di queste sue posizioni filo-bonapartiste, il revisionismo generale attuato dalla Restaurazione tentò di offuscarne la fama, le opere, il talento e i meriti. Una damnatio memoriae diretta alla distruzione metodica di tutto quanto agìto nell’esistenza in vita da Giovanni Antonio Antolini venne avviata in modo tale che il suo nome non pervenisse alla posterità. E davvero in tempi relativamente recenti è stato deplorato come Antolini fosse addirittura del tutto sconosciuto a una parte della cultura ufficiale della nostra nazione, a tal punto che il suo nome si sarebbe potuto cercare, ma «inutilmente anche in molte enciclopedie»,[29] mentre in altre pubblicazioni ancora si leggono dati errati o approssimativi che ne licenziano la vita e l’operato in appena qualche riga, assegnandolo a un destino di mortificazione correlato alla caduta del Bonaparte. Ma, in opposizione a tali sommarie congetture, destituite di ogni fondamento e del tutto arbitrarie, il suo vorticoso ritmo lavorativo né si arrestò nel 1816, né mai lo vide docente presso l’Accademia di Belle Arti di Brera a partire da questa data, come tanta critica storiografica va ancora – erroneamente – ripetendo.[30]

È pur vero che già dal 1816 Antolini aveva nuovamente fissato la propria residenza nel capoluogo lombardo (dove, tra l’altro, progettò l’adeguamento del portico del Palazzo della Ragione di Milano), ma nello stesso periodo risultava impegnato anche nel programmare i sopralluoghi per la campagna di studio e rilievo architettonico che intendeva operare sui ruderi Veleiati, nel territorio piacentino.[31] L’affaticamento derivante da quella prolungata e disagevole avventura antiquaria fu narrato dallo stesso Antolini nel 1817, in uno scritto in cui riferiva: «dopo il mio ritorno mi sono sentito addosso il peso della straordinaria, e colla mia età incompatibile fatica che ho fatto sul campo Veleiate, cui un avido trasporto su quelle scoperte mi destò ogni attività: la qual fatica mi ha dato e mi dà ora tuttavia qualche incomodo».[32]

Oltre a ciò, nello stesso periodo era occupato nell’impostare una «metafisica teorica» dell’architettura ineccepibile poiché verificata nella prassi. Colto progettista integrale e deciso sostenitore di un’architettura moralmente e civilmente impegnata, in effetti Antolini ebbe anche il merito di aver revisionato criticamente la «metafisica teorica» dell’architettura, vale a dire quella particolare configurazione teoretica che è ancora trattato ma, nel contempo, è già manuale operativo.[33] A quest’urgenza era pervenuto esaminando i princìpi di architettura civile che Francesco Milizia aveva pubblicato nel 1785 per i Tipi della Remondini. Rilevando le molte affermazioni scientificamente inammissibili, contraddittorie e insufficienti, Antolini ritenne imperativo dover correggere e integrare quel trattato di Milizia con proprie «osservazioni ed aggiunte», allo scopo di offrire «incremento dell’arte» e, soprattutto, «sicurezza di studio nella gioventù». Per tale ragione a questa prima edizione antoliniana pubblicata nel 1817 con il titolo: Osservazioni ed aggiunte ai Principii di Architettura civile di Francesco Milizia. Proposte agli studiosi ed amatori dell’Architettura dal Prof. Giovanni Antolini, va riconosciuto un rilevante interesse culturale poiché con essa è inaugurata la tradizione didattico-formativa del trattato di architettura scientificamente fondato, ossia della «teorica sicura a seguirsi».[34]

A questi suoi programmi editoriali e divulgativi continuò ad affiancare una regolare attività progettuale ed esecutiva. Conclusa la lunga stagione degli incarichi governativi, infatti, Antolini tornò a esercitare tali attività precipue per le facoltose famiglie di aristocratici che intendevano riconfigurare le proprie abitazioni, rimodernandole tecnologicamente e morfologicamente. Egli stesso lo conferma nel novembre del 1818, scrivendo all’architetto romagnolo Luigi Rossini: «ho salute, e, lavoro direi quasi come se fossi giovane. Ringraziato sia il Cielo».[35] Dunque l’attività professionale di Antolini proseguiva proficuamente, e ancora una volta era orientata sia a soddisfare le insistite richieste di committenze private, sia a fornire consulenze di carattere tecnico e progettuale anche al suo gruppo di discepoli architetti e ingegneri con i quali mantenne sempre un dialogo costante tramite l’intreccio di ricchi rapporti epistolari.

Negli anni la reputazione di Antolini si era talmente tanto consolidata anche in Francia che nel 1820 fu prescelto quale Membro straniero dell’Accademia Reale di Belle Arti dell’Istituto Reale di Francia, a Parigi. Accolta con sorpresa la notizia dell’attribuzione di tale importante riconoscimento, «il più brillante onore al quale un artista possa aspirare, quello di essere associato al primo corpo letterario e scientifico del mondo civile», Antolini tempestivamente da Milano inviò ad Antoine Chrysostome Quatremère De Quincy, segretario perpetuo dell’Académie des beaux-arts, il suo commosso ringraziamento in cui volle esprimere la propria soddisfazione e la propria gratitudine per questa «inattesa ed eclatante ricompensa a una vita trascorsa interamente nella cultura dell’arte di Vitruvio e di Palladio».[36]

Tra la fine del primo e l’inizio del secondo decennio del secolo fu interpellato anche per la progettazione della Loggia del Mercato e della cupola nel «duomo nuovo» di Brescia (cattedrale di Santa Maria Assunta), poi disegnata dall’architetto milanese Luigi Cagnola con la consulenza tecnica di Antolini e messa in opera dal bresciano Rodolfo Vantini. In questo periodo le attività svolte da Antolini nei territori piemontesi e lombardi furono numerose: a titolo esemplificativo deve essere citata la sua presenza a Intra,[37] nella ristrutturazione della villa “La Torre” già appartenuta al conte Giuseppe Prina, Ministro delle Finanze del Regno d’Italia; e a Brescia, dove Antolini diresse il progetto per la lunga e complessa ristrutturazione (1821-1823) del palazzo di città del generale napoleonico e barone dell’Impero Teodoro Lechi. Oltre a tali incarichi professionali eseguiti per i committenti privati, nel 1826 fu nuovamente chiamato a rivestire un ruolo di carattere pubblico, essendo nominato Membro della Commissione giudicatrice del concorso per la Porta urbica orientale di Milano. Nello stesso anno a Porretta Terme (Bologna) fu inaugurato lo stabilimento termale cosiddetto “Donzelle”, costruito su progetto di Giovanni Antonio e Filippo Antolini, con il contributo di Giovanni Battista Martinetti.

I serrati rapporti professionali con i territori piemontesi e lombardi si allentarono verso la fine del secondo decennio, poiché nel frattempo Giovanni Antonio aveva consolidato relazioni particolarmente favorevoli anche con gli ambienti della Corte granducale di Toscana. Di fatto era stata considerata l’eventualità di rimuovere Pasquale Poccianti dall’incarico pertinente l’acquedotto Cisternone o Gran Cisterna di Livorno, e nel 1827 venne avanzata la proposta di affidare la direzione dei lavori ad Antolini presentato come «uno dei primi ingegneri dell’Europa».[38] In una sorta di affiancamento progettuale, che registra il fondamentale coinvolgimento di Antolini anche nell’ideazione della facciata dell’edificio in cui è evidente l’indubbio stigma antoliniano,[39] ebbe così inizio la decennale collaborazione tra Poccianti e Antolini per la costruzione del Cisternone: una collaborazione attuata tramite una fitta corrispondenza epistolare intercorsa tra i due progettisti e, inoltre, per mezzo di lunghi e ripetuti soggiorni di Giovanni Antonio in Toscana.

Negli stessi anni Antolini ebbe alcuni cantieri aperti in Romagna (dove, a causa dei troppi impegni assunti, nel 1827 rifiutò un incarico in territorio forlivese) e, in particolare, la sua presenza è testimoniata a Cesena: qui nel 1828 fu incaricato di progettare anche la chiesa dedicata a San Bartolomeo che, ultimata nel 1839, deve essere considerata una tra le ultime architetture antoliniane.[40] Nel 1829 Antolini si trasferì nuovamente in Lombardia e, forse perché tenuto in osservazione dalle milizie governative, decise di non segnalare in alcun modo la propria presenza; a tal punto che per ben oltre due mesi non comunicò nemmeno con i familiari più stretti (così come asserito dal figlio Filippo, all’interno di una missiva), residenti a Bologna. Al conte Muzzarelli, che tra il 1829 e il 1830 aveva impostato il progetto editoriale della Biografia degli illustri italiani viventi (ma l’opera venne sospesa per sopravvenute difficoltà politiche) e aveva richiesto direttamente agli interessati di trasmettere il proprio profilo biografico, Antolini rispose dicendosi grato per tale onore e, tuttavia, impossibilitato a un rapido riscontro a causa di una sua temporanea infermità; ripresosi dalla quale, infine spedì, da Milano, il proprio elaborato datato 15 agosto 1830 (che, come detto, sarà pubblicato dopo dodici anni, nel 1842, op. cit.).

Sebbene già settuagenario, Antolini proseguì le attività di progettazione, di riscrittura e di revisione della propria produzione letteraria. Erudito e divulgatore rigoroso, in questo periodo volle riesaminare tutte le proprie fatiche editoriali rieditandole in una seconda edizione milanese, dal 1828 e fino al 1832. Nel 1828 fu pubblicato Il Tempio di Ercole in Cori, in versione corretta e accresciuta di Tavole iconografiche; e, nello stesso anno, Il Tempio di Minerva in Asisi (sic), in versione emendata e accresciuta con una Disamina d’altri antichi monumenti; nel 1829, le Idee elementari di Architettura civile in edizione accresciuta di una nuova Appendice; mentre datano al 1831 Le rovine di Veleja. Nel 1832 vide la luce la prima edizione milanese dei Princìpj di Architettura civile di Francesco Milizia,[41] dove ancora una volta il suo contributo è dichiaratamente orientato a comporre un esemplare equilibrio tra momento ideativo e momento tecnico, poiché i trattati di architettura non possono disancorarsi dalla materia ma devono essere avvalorati dalla prassi e scientificamente legittimati.[42]

Per di più, nella medesima epoca Antolini risultava impegnato nella definizione di nuove Tavole illustrative del progetto per il Foro Bonaparte, per il quale lavorava anche alla stesura di un nuovo testo descrittivo – Nuova Descrizione del Foro Bonaparte – con l’intenzione di farne «un breve Trattato teorico-pratico» da dare alle stampe. Ma quel proposito sarebbe rimasto lungamente inesaudito, nonostante ripetuti contatti con i potenziali editori.[43] Gli ideali libertari che continuava a propugnare affiorano in vari carteggi epistolari ma, soprattutto, emergono ben evidenti proprio dal manoscritto della Nuova Descrizione del Foro Bonaparte: oltre alle aspirazioni più peculiari del Risorgimento, qui si leggono chiaramente i caratteri del suo pensiero fortemente connotato in senso socialista egualitario. A tale proposito, e a titolo esemplificativo, si consideri che con questo progetto Antolini anticipava un’educazione scolastica erogata su larga base partecipativa alla cittadinanza con otto edifici destinati a ospitare le Sale di pubblica istruzione (a ogni quartiere milanese era destinata una scuola), insistendo anche sulla necessaria, e piena, gratuità degli spettacoli teatrali da elargirsi alla popolazione con propositi educativi.

Seppur con breve cenno, occorre ricordare che nello Stato pontificio e a Milano il periodo risorgimentale era critico già all’inizio del 1821, e dopo i primi moti insurrezionali anche dalle aule universitarie si continuava a incitare a un presente di aperta rivolta, senza temere la cruenta repressione attuata nel tentativo di soffocare il patriottismo liberale. Nel febbraio del 1831, nel capoluogo emiliano, dove Antolini era tornato a risiedere, si proclamò il nuovo Governo Provvisorio della Città e Provincia di Bologna e si costituì lo Stato delle Province Unite Italiane, con il quale si decretava la fine del potere temporale del Papa. Ma nel volgere di un solo mese le truppe austriache ripristinarono lo status quo ante con la feroce uccisione degli insorti, e subito dopo la tragica conclusione dei moti del 1831 si diffuse la notizia della morte di Giovanni Antonio Antolini, oramai ottantenne. E, in conseguenza dell’apprensione e del clamore originati dalla propagazione della drammatica notizia, Antolini scrisse all’amico e collega Poccianti il 22 marzo 1832, per rassicurarlo, per confortarlo e dimostrare che egli era ancora «vivo, sano, scrivente».[44]

Datano al 1832 e al 1833 le diverse permanenze di Antolini a Firenze e Livorno. Precisamente da Firenze nell’aprile del 1832 scrisse all’editore milanese Carlo Gorla proponendogli la ristampa dei trattati di Leon Battista Alberti, Francesco Milizia, Andrea Palladio, Vincenzo Scamozzi, Sebastiano Serlio, Marco Vitruvio Pollione. Inoltre, nello stesso periodo compose il «Rapporto» che gli era stato richiesto dal Granduca Leopoldo II di Toscana in relazione ai progetti di bonifica del lago di Bientina, uno tra i più estesi laghi della Toscana. Nel 1833 era in trattative con l’editore Gaetano Schiepatti (o Schieppati) per la riedizione delle Tavole illustrative del Foro Bonaparte, e nuovi contatti per consulenze sono testimoniati in territorio pisano nel 1834 e, successivamente, a Lucca e a Firenze (nel giugno 1835 si ha infatti notizia di una non meglio precisata collaborazione di Antolini con l’architetto Cesare Lazzarini di Lucca). Anche nel 1836 e nel 1837 trascorse alcuni mesi in Toscana, in una prolungata permanenza a Livorno e a Firenze dove l’anziano architetto da tempo intratteneva ottimi rapporti con la Corte Lorenese, di «certo agevolati dalla sua appartenenza alla Massoneria»,[45] come confermato anche dall’onorificenza di Cavaliere nell’Ordine del Merito sotto il Titolo di San Giuseppe (noto anche come Ordine di San Giuseppe) che gli fu conferita in data 27 marzo 1833.

In questa sua età più senile il patriarca Giovanni Antonio ebbe la gratificazione di assistere ai numerosi successi professionali raccolti dai suoi studenti e, soprattutto, dal figlio Filippo che fu architetto e ingegnere molto attivo a Bologna e in Romagna. Di tale periodo occorre citare almeno il 1839, anno che segnò un momento rilevante nella vita degli Antolini poiché anche il nipote Federico (figlio di Filippo e della bolognese Carlotta Emiliani) intraprese gli studi per divenire architetto e ingegnere, e appena quattordicenne fu ammesso al corso di Elementi di Ornato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Nello stesso anno furono ultimati i lavori della chiesa cesenate progettata da Giovanni Antonio, mentre a Filippo fu affidato il progetto per la costruzione del nuovo Teatro comunale di Bagnacavallo. Inoltre fu tributato un ulteriore importante riconoscimento pubblico a Giovanni Antonio il 25 aprile 1839, quando fu nominato «Socio d’Arte per Acclamazione» dell’Accademia di Brera – I.R. Accademia delle Belle Arti in Milano, nella quale già dal giugno 1801 era stato dichiarato Socio del Corpo accademico con specifico Atto del Governo.

Anche da ciò si desume che, nei decenni, il principio di autorità antoliniano non soltanto non si era affievolito ma persisteva, così come la sua creatività orientata a dare attuazione ai molti progetti editoriali programmati per un futuro prossimo. Aveva già preso contatti con alcuni editori al fine di revisionare e attualizzare i più noti trattati di letteratura architettonica, e poi per editare una nuova versione del progetto del Foro Bonaparte. E, oltre a tali idee propositive, negli ultimi tempi rimarcava anche l’esigenza di formulare un inventario di almeno «cinquecento capitelli»,[46] selezionati dalla viabilità porticata bolognese, allo scopo di restituirne i caratteri morfologici con una serie di Tavole iconografiche. Ma tali e tanto impegnativi progetti, forse anche già intrapresi, non poterono che rimanere incompiuti poiché la sua vita volse al termine il giorno 11 marzo 1841, a Bologna, in età di 87 anni e 6 mesi.[47] Presso il cimitero monumentale della Certosa di Bologna rimase tumulato in “nicchia” per diciotto anni, fino a quando Federico Antolini (nipote di Giovanni Antonio) ne fece traslare la salma per riunire in un unico sepolcro i resti mortali del nonno con la salma del padre Filippo che, improvvisamente colpito da paralisi, era spirato nell’aprile del 1859.

Descrizione fisica[modifica | modifica wikitesto]

Giovanni Antonio Antolini fu «piccolo della persona, ma franco, vivace e con tutti benevolo».[48] Una sua raffigurazione dettagliata è fornita da Giovanni Ricordi che, agli albori del XIX secolo, ne delineò un ritratto efficace nel contempo intendendo narrare la struttura epica del progetto per il Foro Bonaparte. L’architetto bolognese è qui rappresentato in età matura, ed è circondato dai segni che chiariscono le ragioni della sua notorietà. Derivandogli, questa, certamente dalle opere di letteratura architettonica pubblicate; dalle affermazioni conseguite nei concorsi di progettazione architettonica istituiti nel periodo napoleonico; dalle attività didattiche svolte nelle Istituzioni universitarie; dai molti incarichi governativi assunti e, in particolare, dal progetto per il Foro Bonaparte che, sebbene mai costruito, tuttavia nel ritratto si staglia contro l’orizzonte.

Giovanni Antonio Antolini Professore d'Architettura.

Nell’apparato scenico, infatti, i profili del Foro Bonaparte si riconoscono alle spalle di Antolini, mostrati in lontananza, mentre la planimetria del Foro si legge chiaramente tracciata sul disegno che egli ha dispiegato davanti a sé.[49] Un piccolo ma notevole ritratto è poi quello dipinto a olio su cartone nel periodo compreso tra il 1825 e il 1830 circa: si tratta di un’opera attribuita al periodo giovanile di Giuseppe Molteni (firmata «Molteni F.»), definita di eccezionale importanza poiché è l’unica finora conosciuta che raffigura Giovanni Antonio Antolini il cui aspetto era noto soltanto attraverso disegni e incisioni.[50]

Il progetto per il Foro Bonaparte (Milano, 1800)[modifica | modifica wikitesto]

Fasti, vicende, paradossi[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1799 Giovanni Antonio Antolini assunse l’impegno di elaborare il progetto per una piazza celebrativa che, a Milano, si intendeva realizzare nel sito occupato dal castello. Il 16 dicembre 1800 fu consegnato lo studio di massima di tale progetto, denominato Foro Bonaparte, che Antolini presentò personalmente a Napoleone qualche mese più tardi, il 7 maggio 1801. L’innovativa e imprevedibile proposta progettuale intendeva celebrare la gloria di Napoleone non con un semplice vuoto urbano, così come richiesto, ma con la realizzazione di un vero e proprio quartiere dinamico e vitale, costituito dai seguenti quattordici organismi architettonici: otto scuole o Sale per il «pubblico insegnamento»; la Borsa; la Dogana; il Museo; il Famedio o Pantheon; le Terme; il Teatro; oltre al palazzo centrale, da adibirsi a sede del governo,[51] e agli edifici previsti per la residenza e per le caserme.

La dimensione totale del sito era determinata da due raggi virtuali che si dipartivano dal centro: l’uno, di m 310 a segnare la circonferenza esterna; l’altro, di m 285 a segnare quella interna. In tal modo la superficie del Foro milanese, se comparata a quella di piazza San Pietro (Vaticano), era data in un rapporto di 6 a 1. Le linee generali rappresentavano dunque un «colossale cerchio» disegnato intorno al castello, e con questo «segno forte e senza precedenti» che suscitò ammirazione e stupore, il progetto antoliniano suggerì il necessario decentramento di alcuni servizi urbani «riconsacrando simbolicamente, attraverso quel tracciato circolare di ascendenza cosmica, il luogo deputato della nuova città».[52] Contenuto entro limiti ben definiti, dove con ritmica regolare gli edifici sono ubicati sul bordo perimetrale, il quartiere colloca in sequenza ordinata quelle funzioni urbane che devono essere fatte oggetto di rinnovate considerazioni sociali ed economiche, politiche e urbanistiche.

Confrontandosi con i nodi cruciali del suo tempo, al centro delle sue preoccupate riflessioni Antolini pose l’inadeguatezza dell’istruzione scolastica e il degrado, non solo urbano. Predispose otto edifici destinati all’istruzione dei ceti popolari e, avendo recepito le diverse istanze e le urgenze della città, ravvisò alcune priorità tra le quali la necessaria salubrità e igiene della popolazione cui dare risposta mediante la costruzione del complesso termale. Inoltre pose attenzione risolutrice anche alle occorrenze scaturite dalle negoziazioni e dallo scambio mercantile, da effettuare nella Borsa; al traffico e allo stoccaggio delle merci, da svolgere nella Dogana; alla conservazione degli oggetti d’arte meritevoli, da esporre nel Museo; alla trasmissibilità dei valori spirituali ed etici, presentati nel Famedio o Pantheon, dove il concetto di Patria, Onore e Virtù avrebbe dovuto delineare il carattere dei più nobili esempi da cui trarre ispirazione e ammaestramento. Con un’ultima indicazione progettuale, pertinente l’educazione morale e la ricreazione della cittadinanza, infine Antolini determinava anche le caratteristiche del Teatro, attrezzato per le rappresentazioni sceniche.[53]

Nella genesi del progetto per il Foro Bonaparte appare evidente l’adesione agli ideali civili e civici della rivoluzione: un’adesione che intendeva contrastare le disuguaglianze sociali e i privilegi dell’antico regime. Permeata da una forte impronta etica maturata nell’ambito di un processo culturale di matrice illuminista, la complessa proposta antoliniana per il Foro Bonaparte, che si originava «da un impianto ideologico di tutto rispetto»,[54] non fu elaborata per adeguarsi al vivere della Corte o della “società di Corte”, né per essere incensata da una cerchia di eruditi, ma per porsi come «vero specimen di quella società nuova»[55] costituita da una borghesia emergente per la quale Antolini aveva organicamente concepito i luoghi deputati alle diverse attività di carattere pubblico e privato, vale a dire non soltanto per le funzioni celebrative, ma anche per quelle amministrative, abitative, lavorative e ricreative. Il Foro Bonaparte, infatti, è l’esito di una riflessione condotta su piani diversi che in esso convergono. Al fine di conferire al quartiere intensità e continuità di vita, il progetto poi prevedeva anche una serie di abitazioni in cui poter alloggiare senza disagio, e «con decenza», mille e più persone. Inoltre erano stati precisati i giardini d’uso pubblico e gli spazi a verde privato, i monumenti, i percorsi per le passeggiate al coperto, i viridari ecc., in un comparto periurbano conchiuso e rivolto al proprio interno.

Sebbene di respiro urbanistico, nel Foro Bonaparte le articolazioni spaziali degli edifici furono già risolte con dettagli architettonici, rappresentati sia in pianta e sia in alzato. Oltre a stabilire ogni particolare, anche decorativo, in effetti Antolini indicò tutti i diversi materiali da adottare nella costruzione, tra i quali pose la verità, la convenienza e la comodità, quali elementi immateriali ma necessari unitamente alla luce e all’acqua che, pertanto, risultano anch’essi materiali costitutivi dell’intero progetto. Per tale ragione il Foro Bonaparte sarebbe stato esaminato e soppesato per oltre un secolo con una legittimazione accademica perdurante a tal punto che, pure fuori dalle aule universitarie, le esercitazioni didattiche ne avrebbero previsti l’analisi e il ridisegno di tutti gli elaborati grafici. Di fatto sono dichiarate le valenze educative delle Tavole illustrative del Foro, programmaticamente e ripetutamente rielaborate negli anni a scopo didattico, alle quali Antolini affidò il compito di tradurre, con segni rigorosi e scientifici, il momento ideativo in progetto di architettura. Le Tavole non soltanto costituiscono la raffigurazione degli edifici proposti ma, in accordo con le consuetudini culturali del tempo, «si fanno testo esse stesse, divengono momento ermeneutico per comunicare scelte e significati, per esplicitare canoni e regole, per desumere e verificare metodiche».[56]

Approvato l’intero progetto, ne fu decretata l’esecuzione con Legge del 30 Nevoso dell’Anno IX Repubblicano (16 febbraio 1801) del calendario rivoluzionario francese; il governo assegnò sei milioni di franchi per la realizzazione del Foro Bonaparte; nel marzo iniziarono i primi lavori di sbancamento dell’area e venne inviata a Parigi una serie di nuovi disegni di progetto; e nel mese successivo si procedette alla posa della prima pietra, durante la festa solenne celebrata il 10 Fiorile dell’Anno IX Repubblicano (30 aprile 1801). Per conferire sacralità a tale cerimonia venne allestito un effimero architettonico dove un vasto podio, fumigante d’incensi, reggeva l’altare su cui poggiava la prima pietra «fondamentale» del Foro.[57] Al fine di celebrare quell’evento, dalla Zecca di Milano fu coniata una medaglia commemorativa: nel recto era inciso un busto femminile con la dicitura: «Repubblica Cisalpina – 1801»; nel verso: «Pace celebrata – Foro Bonaparte fondato – Anno IX».[58] Ciò nonostante si determinò l’improvvisa interruzione dei lavori già avviati per la costruzione del Foro. Ipotizzando che il motivo degli impedimenti traesse origine dai rilevanti oneri previsti, nel 1802 Antolini presentò una diversa e diminuita ipotesi progettuale avente lo scopo di ridurre il costo complessivo. Ma inutilmente, poiché l’attuazione del progetto venne continuamente dilazionata sino alla sospensione definitiva. E, dopo due anni di polemiche, nel settembre del 1803 l’amministrazione milanese decise di accantonare per sempre il discusso progetto antoliniano.

Nel 1801 un ulteriore paradosso aveva contrassegnato le vicende concernenti il Foro di Milano, quando venne portata a compimento la prima planimetria generale della città condotta con esattezza scientifica dal cartografo Giacomo Pinchetti, e incisa da Giuseppe Caniani, che nel tessuto edilizio ricalcava le linee del Foro Bonaparte. Fondatamente legittimato dall’approvazione governativa, già conferita al progetto antoliniano, nonché dalle opere avviate per la costruzione, Pinchetti ne avrebbe cartografato l’idea inserendo il tracciato perimetrale del Foro Bonaparte nella rappresentazione planimetrica della città. In tal modo, la visione immaginifica dell’impianto architettonico venne descritta come già presente, al pari di tutti gli altri edifici misurati e raffigurati. Ma, viceversa, nel paesaggio urbano milanese il Foro Bonaparte non esisteva. Qualche anno più tardi, condividendo i criteri ispiratori di Antolini, la Commissione di Ornato ne avrebbe poi inserito il progetto (del 1800) all’interno del piano urbanistico (del 1807), e con tale scelta ne fu nuovamente avvalorata l’efficacia progettuale mentre da più parti, vanamente, si sollecitava l’attuazione di uno studio socioeconomico e politico complessivo sulla città da operarsi davvero alla scala urbanistica.

La fama che circondava il Foro milanese non si attenuò, nemmeno dopo la morte del suo autore, avvenuta nel 1841. Ed essendo un progetto ancora tanto ammirato, l’architetto Federico Antolini, nipote di Giovanni Antonio, in data 9 marzo 1867 presentò domanda di ammissione all’Esposizione Universale di Parigi al fine di parteciparvi esibendo una versione della prima proposta (quella cosiddetta “completa”) del Foro Bonaparte che, a distanza di ben sessantasette anni dalla sua ideazione, sarebbe stato presentato in «un Volume a guisa di Album legato in pelle».[59] E addirittura dopo circa ottanta anni l’elaborazione concettuale del Foro Bonaparte si trovò nuovamente al centro del dibattito milanese: questa rilevante proposta, certamente datata negli stilemi proposti (poiché radicati nell’oramai lontana alba del secolo) era ancora viva e autorevole per i cospicui contenuti di carattere urbanistico, quali: analisi della densità della popolazione residente, delle necessarie attrezzature sociali, dei criteri della loro eventuale ripartizione ecc.

La singolare circostanza è riferita nel 1882 da Luigi Malvezzi che, dichiarandone i meriti, cita Antolini tra le glorie dell’arte lombarda. Il progettista del Foro Bonaparte fu così ricompreso tra gli artisti «che veramente contribuirono alla gloria della Lombardia», e fu onorato con tale riconoscimento poiché aveva ideato «un progetto grandiosissimo, magnifico».[60] Ponendo in luce l’effettiva attualità del Foro Bonaparte, la cui utilità era ritenuta indubitabile, a tale proposito Malvezzi affermava che: «in questi giorni una Società di azionisti era intenzionata di eseguire in parte il progetto Antolini coll’aprire uno stradone in linea retta dal Duomo alla piazza del Castello (…). Io la consiglio ad insistere nel lodevolissimo proposito, che se è contrariato dai tecnici e dagl’invidiosi, è però nel voto di tutta la popolazione, che se non ha molta scienza è però dotata di molto buon senso».[61]

In effetti nel corso dei decenni si erano susseguiti vari piani e progetti, ma nessuno avrebbe dimostrato caratteri di competenza multidisciplinare rivolta alla risoluzione delle problematiche già in essere. L’analisi del sistema urbano e territoriale su cui era imperniato il progetto antoliniano era dunque ancora essenziale e il Foro Bonaparte aveva continuato a narrare la vastità della dimensione simbolica di un’utopia giacobina, connotandosi quale «metaprogetto più illustre e tra i più celebrati».[62] Dopo quasi un secolo si tornò allora a riesaminare quel quartiere napoleonico che era rimasto presente nella memoria collettiva, in quanto opportunità risolutrice di questioni strutturali urbane sempre più pressanti. Le indicazioni progettuali di Antolini apparvero efficaci poiché, in effetti, erano guidate «da un sano criterio fondamentale: spostare il centro politico e commerciale dal vecchio nucleo cittadino» allo scopo di realizzare un quartiere tutto nuovo, «moderno e monumentale, degna sede di una capitale all’infuori del groviglio di vecchi fabbricati al Duomo, proprio della vecchia città di provincia».[63]

Al di là dei caratteri morfologici e tipologici degli edifici, logicamente concepiti e radicati all’interno del contesto culturale del progettista, di fatto la ratio del progetto complessivo indicava alcuni possibili modi per sgravare di funzioni la fitta maglia del connettivo urbano consolidato, e la sua «saggia soluzione urbanistica» era stata formulata a partire da una attenta considerazione d’insieme in cui sono già resi espliciti il valore programmatico e i segni di una scienza nuova, ancora in nuce: l’urbanistica. Sebbene fosse trascorso quasi un secolo, quella proposta progettuale per Milano, anche se «rimasta sulla carta» e mai effettivamente attuata, si era comunque confermata come un rilevante impulso orientato ad avviare una riflessione sulle trasformazioni che la città avrebbe dovuto affrontare. Partendo da tali analisi, e traendo conclusioni conseguenti, per questa ragione la storiografia critica già nella prima metà del secolo scorso avrebbe assegnato a Giovanni Antonio Antolini il ruolo di precursore dell’urbanistica italiana moderna, poiché con il progetto milanese del Foro Bonaparte aveva contribuito «in misura notevole, per la saggia soluzione urbanistica che offriva, nel determinare i futuri sviluppi della città».[64]

Modelli stilistici e poetica antoliniana[modifica | modifica wikitesto]

Da tempo la storiografia[65] ha accordato a Giovanni Antonio Antolini un generale riconoscimento per l’impegno profuso nella diffusione di un linguaggio neoclassico, il cui rigorismo logico sintattico avrebbe agito sulla formazione poetica di numerosi colleghi architetti e ingegneri, influenzando chiaramente personalità come Luigi Cagnola, Carlo Amati, Leopoldo Laperuta, Pietro Bianchi, Pasquale Poccianti, Giuseppe Jappelli, Lorenzo Nottolini. Ed Antolini era certamente ancorato ai precetti di Vitruvio, Alberti, Palladio e Milizia, ma ne volle superare i dettami perentori. Ciò emerge ben evidente dalle pagine della letteratura architettonica: se è vero che ogni fabbricato di rilevante interesse dovrà essere scrupolosamente disegnato e accuratamente esaminato dagli studenti di architettura, nei suoi scritti egli sostiene che, tuttavia, non tutti gli edifici dell’antichità possono essere valutati come modelli stilistici da ossequiare acriticamente, poiché in molti di essi vi sono sproporzioni ed errori di vario tipo, anche esecutivo. E, in tal caso, prenderli ad esempio sarebbe sconsiderato e del tutto inammissibile.[66]

Svolgendo con esattezza scientifica indagini antiquarie su edifici dell’antichità, e/o sui loro ruderi, ravvisò una pericolosa incompetenza in ambito tecnico e tecnologico in alcuni autori della più celebre trattatistica architettonica. Da tali valutazioni sviluppò l’idea di un tipo di didattica innovativa che necessariamente comparasse gli enunciati alla prassi. Per tale ragione affiancò alle lezioni dottrinali le specifiche operative della pratica costruttiva, «conducendo pur anche i suoi scolari ad ascoltare qualche lezione sul luogo degli edifizi, mostrando loro così col fatto il risultato delle teorie».[67] E, inoltre, perseguendo la medesima finalità si dedicò a correggere le molte imprecisioni della «metafisica teorica» dell’architettura che Milizia aveva pubblicato nella seconda metà del Settecento, dando alle stampe una serie di revisioni, «osservazioni ed aggiunte» (1817, prima edizione; 1832, seconda edizione) che, nel corso di un intero secolo, per architetti e ingegneri avrebbero rappresentato il principale ausilio di riferimento nell’esercizio della professione.

Persuaso che «l’artista di genio e di giudizio non dee avere scrupoli, ma liberamente sapere spaziare col genio quando occorre»,[68] per le attività compositive e progettuali Antolini rifiutò i repertori architettonici ed estetici precostituiti (già entrati nel gusto corrente) e la loro banale riproposizione stilistica, viceversa affermando l’importanza della creatività originale. Pertanto il metodo compositivo di Antolini adotta colte citazioni linguistiche estratte dal codice del classicismo archeologico, ma è liberamente declinato e mai dogmatico. Con soluzioni originali egli persegue un rinnovamento dove le suggestioni provenienti dall’antico sono rielaborate, ed elementi di cultura romana, greca, egizia, albertiana, palladiana ecc. si fondono ai simboli esoterici della Fratellanza massonica e agli emblemi del repertorio decorativo napoleonico imperiale.

L’erudita coerenza lessicale antoliniana è senz’altro radicata nello storicismo, eppure dichiara un pensiero disponibile a superare i limiti imposti da pseudo-regole accademiche. Operando sempre nel rispetto essenziale e vincolante delle tre leggi delle proporzioni (armonica, geometrica e aritmetica), il suo lessico architettonico esprime, inoltre, evidenti contenuti di: adesione ai caratteri tipologici di riferimento; solidità reale e apparente; funzionale struttura distributiva, e rigorismo formale governato secondo la nota triade delle categorie vitruviane (firmitas, o solidità della costruzione; utilitas, o destinazione d'uso; venustas, o bellezza dell'intero organismo architettonico). Tali princìpi furono confermati e riepilogati da Antolini stesso nella sua età più tarda, in occasione di una possibile edizione conclusiva della Nuova Descrizione del Foro Bonaparte. Nel manoscritto, infatti, sono organicamente esplicitati questi fondamenti della sua filosofia progettuale, ossia quei «principii, ai quali la ragione obbliga l’Architetto, come legge inconcussa, da osservare quante volte che, non voglia cervelloticamente operare».[69] In tal modo Antolini perviene a un’ingegnosa poetica, autenticamente originale e, pertanto, perfettamente riconoscibile poiché di matrice archeologica ma sostenuta dalle ragioni della nuova coscienza illuminista.

Se dall’ideale riformista ed egualitario si originava un preciso orientamento culturale e quel suo impegno etico che riconosce al ruolo sociale dell’architetto una responsabilità civile nei confronti della collettività e dello spazio costruito, in effetti anche nell’adozione di particolari costrutti architettonici Antolini rivela intenti moralizzatori. Ad esempio una componente essenziale della sua poetica è l’uso dell’Ordine dorico che evoca il nucleo teorico di austerità, di valenza etica significante rigore e severità, espressione simbolica del nuovo sistema politico. E nel Foro milanese, che è la «città del Dorico», l’Ordine che lo innerva è precisamente un Dorico marziale e giacobino, concepito per questa «complessa, teorematica macchina milanese» secondo due modalità che impiegano un tipo “minore”, semplificato e destinato alle residenze; e un tipo “maggiore”, che appare costituito da una trabeazione più ricca, prescelto per gli edifici specialistici a destinazione pubblica.[70]

Qualificati da una peculiare «secchezza ed elementarità di stile»,[71] gli elaborati grafici antoliniani non indulgono mai nel pittoresco ma offrono una rappresentazione severa, decontestualizzata e atemporale, ma tecnicamente ineccepibile e dunque già operativa. Gli oggetti architettonici sembrano organismi semplici poiché tracciati con linee pulite ed essenziali, ma in realtà il linguaggio architettonico di Antolini è ermetico e comprensibile soltanto per chi possieda i codici sapienziali necessari a decodificarne le scelte, soprattutto volumetriche, e i molteplici livelli della comunicazione. Si evidenzia in tal modo un razionalismo storicizzato, connotato semanticamente e politicamente, nel quale la valenza allegorica e la linearità sintattica contribuiscono a determinare la funzione educativa, propria alla “buona” architettura. Impiegando coerentemente le tecniche e i materiali della sua epoca, Antolini compone un lessico personale tutto meditato, fondativo di uno stile dottrinale, neoclassicista eppure autonomo negli orientamenti formali i cui tratti distintivi indicano una carica allusiva polisemica in precisi rimandi citazionali culturali: storici, simbolici, iniziatici, etici, didascalici.[72]

Sono questi requisiti di complessità che si compenetrano a un apparente minimalismo plastico-architettonico ma rilevante nelle implicazioni concettuali misteriosofiche evidenti, ad esempio, nel prostilo esastilo; nella geometria degli impianti ellittici, circolari e ottagonali;[73] nel tema urbano della vasta piazza ordinativa; nell’uso della luce, con la quale rischiarare le tenebre; nella caratteristica mistica compositiva delle ampie scalee, per mezzo delle quali salire ed elevarsi per raggiungere le architetture; nelle colonne binate negli invasi architettonici, precisati in riferimento alla semantica salomonica del tempio; nei rapporti cromatici nei temi decorativi dedicati ai solstizi e agli equinozi, alle gerarchie celesti, al mito di Ulisse ecc.

Approvando e condividendo i precetti che il nuovo movimento culturale francese di riforma ribadiva per porre fine al Barocco e intraprendere la necessaria rinascita anche estetica dell’architettura, nel lessico antoliniano assumono primaria importanza le sottolineature linguistiche che condannano le ricche partiture di ornato. Ne consegue un ulteriore dettame che egli prescrive e che emerge chiaro in quel suo «progettare erudito e timido»:[74] la “buona” architettura dovrà limitare allo stretto necessario ogni ornamentazione esterna (che comunque dovrà consentire la leggibilità delle partizioni interne) e, soprattutto, la funzione decorativa dovrà essere resa muta al riguardo di ciò che di opulento e segreto l’edificio racchiude al proprio interno, giacché «le pareti della Rivoluzione tacciono».[75] In tal senso, infatti, Antolini esorta ad attenersi alle tre leggi delle proporzioni e a un uso ponderato degli apparti decorativi, ricordando che «il pregio degli edifizi» non consiste nella loro imponenza, «nei gran massi di pietre, e molto meno nella folla degli ornamenti gettati alla rinfusa, ma nelle buone proporzioni e nella giustezza delle parti, che abbiano per scopo l’imitazione della natura abbellita dall’arte».[76]

Attestati di merito[modifica | modifica wikitesto]

  • Accademico d’Onore dell’Accademia Clementina dell’Istituto delle Scienze e delle Belle Arti della città di Bologna.
  • Accademico d’Onore della R. Accademia di Belle Arti di Carrara.
  • Accademico d’Onore dell’Accademia di Belle Arti di Parma.
  • Accademico fra i Professori dell’Accademia delle Belle Arti di Firenze.
  • Cavaliere nell’Ordine del Merito sotto il Titolo di San Giuseppe, insignito da S.A.I. e R. il Granduca di Toscana.
  • Membro della Accademia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti.
  • Membro Corrispondente dell’Accademia Reale delle Belle Arti dell’Istituto di Francia.
  • Socio Corrispondente dell’Accademia del Subasio in Assisi.
  • Socio Corrispondente della R. Accademia delle Belle Arti di Napoli.
  • Socio d’Arte per acclamazione della I.R. Accademia delle Belle Arti in Milano.
  • Socio Onorario della I.R. Accademia delle Belle Arti in Milano.

Letteratura architettonica pubblicata da G.A. Antolini[modifica | modifica wikitesto]

  • 1785 - L’Ordine dorico, ossia il Tempio d’Ercole nella città di Cori, Stamperia Pagliarini, Roma, 1785.
  • 1801 - Progetto del Foro Bonaparte da erigersi in Milano nel luogo del demolito castello, ordinato dalla Legge 30 Nevoso Anno IX Rep.no. In 24 Tavole in rame, Calcografia Antolini, Milano.
  • 1802 - Piano economico-politico del Foro Bonaparte. Presentato coi Disegni al Comitato di Governo della Repubblica Cisalpina. Il dì 25. Frimale Anno IX Repub., Agnelli, Milano, 9. Brumale Anno X. Repubblicano.
  • 1803 - Il Tempio di Minerva in Assisi, confrontato colle Tavole di Andrea Palladio, Destefanis, Milano, 1803.
  • 1806 - Descrizione del Foro Bonaparte, Co’ Tipi Bodoniani, Parma, 1806.
  • 1806 - Foro Bonaparte da erigersi sull’area delle fortificazioni del Castello di Milano secondo la Legge 20 gennaio 1801. In 24 Tavole, Tip. Bodoniana, Parma, 1806.
  • 1813 - Idee Elementari di Architettura civile per le Scuole del Disegno, di Giovanni Antolini, architetto di S.M. Imperiale e Reale, Marsigli, Bologna, 1813.
  • 1817 - Osservazioni ed aggiunte ai Principii di Architettura civile di Francesco Milizia. Proposte agli studiosi ed amatori dell’Architettura dal Prof. Giovanni Antolini, Stella, Milano, 1817.
  • 1819 - Le rovine di Veleia misurate e disegnate da Giovanni Antolini, Parte I, Società Tipografica de’ Classici Italiani, Milano, 1819.
  • 1822 - Le rovine di Veleia misurate e disegnate da Giovanni Antolini, Parte II, Società Tipografica de’ Classici Italiani, Milano, 1822.
  • 1828 - Il Tempio di Ercole in Cori. Edizione seconda emendata in vari luoghi ed accresciuta di Tavole, Società Tipografica de’ Classici Italiani, Milano, 1828.
  • 1828 - Il Tempio di Minerva in Asisi (sic), confrontato colle Tavole di Andrea Palladio. Edizione seconda, emendata ed accresciuta di una Disamina d’altri antichi monumenti, Società Tipografica de’ Classici Italiani, Milano, 1828.
  • 1829 - Idee Elementari di Architettura civile per le Scuole del Disegno. Edizione seconda accresciuta di un’Appendice, Società Tipografica de’ Classici Italiani, Milano, 1829.
  • 1831 - Le rovine di Veleia. Edizione seconda, Società Tipografica de’ Classici Italiani, Milano, 1831.
  • 1832 - Principj di Architettura civile di Francesco Milizia. Prima edizione milanese illustrata per cura del professore architetto Giovanni Antolini, Ferrario, Milano, 1832.
  • 1842 - Biografia dell’architetto Giovanni Antonio Antolini, scritta da sé medesimo, a cura di Monsignor Carlo Emmanuele Muzzarelli, in Giornale Arcadico di Scienze, Lettere ed Arti, tomo XCI, voll. 271-272-273, aprile-maggio-giugno, Tipografia delle Belle Arti, Roma, 1842.

Disegni del Foro Bonaparte[modifica | modifica wikitesto]

  • (s.d., ma 1801) - Disegni del Foro Bonaparte. Le Tavole sono conservate a Parigi, presso la Biblioteca nazionale di Francia, Deposito dei libri rari.
  • 1806 - Progetto sul Foro, che doveva eseguirsi in Milano, dell’Architetto Professore Giovanni Antolini. In 24 Tavole in rame, Nuova edizione della Edizione esistente, Parma, 1806. Milano, presso i Fratelli Bettalli, Contrada del Cappello, Num. 4027.
  • (s.d., ma 1807 circa) - Opera d’Architettura, ossia progetto sul Foro, che doveva eseguirsi in Milano, del Professore Architetto Giovanni Antolini. In 24 Tavole in rame. Milano, dai Fratelli Bettalli, Contrada del Cappello, Num. 4031.
  • (s.d., ma 1830 circa) - G.A. Antolini, inventore; Luigi Viganò, disegnatore. Disegni / del / Foro Bonaparte / Progetto / del Celebre Professore Architetto / Giovanni Antolini/ Bolognese/ Decretata l’esecuzione il 30 Nevoso anno IX repubbl.o / da / Napoleone Bonaparte / 1° Console della Repubblica Francese Italiana/ ed in occasione della solenne festa per la pace celebrata costituita/ 10 Fiorile anno IX rep.no / venne collocata la prima pietra del Foro dai Cittadini Governanti Sommariva, Visconti e Ruga. La serie di XVI Tavole (incompleta, poiché manca la Tavola I) è conservata presso il Castello Sforzesco di Milano, Civica Raccolta delle Stampe “A. Bertarelli”.
  • (s.d., ma 1830 circa) - Nuova Descrizione del Foro Bonaparte. Unitamente alle relative Tavole iconografiche (la serie di XXVI Tavole risulta incompleta poiché priva della Tavola XXV), il manoscritto antoliniano è conservato presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, Gabinetto Disegni e Stampe.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Campori G. (a cura di), Lettere artistiche inedite, pubblicate per cura di Giuseppe Campori. Soliani, Modena, 1866. IT\ICCU\RMR\0016919.
  • Comandini A. (a cura di), Cospirazioni di Romagna e Bologna nelle memorie di Federico Comandini e di altri patrioti del tempo (1831-1857). Con documenti inediti, per cura di Alfredo Comandini. Zanichelli, Bologna, 1899. IT\ICCU\LO1\0310680.
  • Dezzi Bardeschi M., «E Voi avrete la gloria di aver colto nel segno»: Giovanni Antolini, Pasquale Poccianti e la facciata del Cisternone di Livorno, in Aa.Vv., Pasquale Poccianti architetto (1774-1858). Studi e ricerche nel secondo centenario della nascita (Bibbiena, dicembre 1974), Centro Di, Firenze, 1974. IT\ICCU\UFI\0140073.
  • Dezzi Bardeschi M., L’architettura dei morti, dai Giacobini all’Unità. Considerazioni lungo la Via Emilia, in Gli architetti del pubblico a Reggio Emilia dal Bolognini ai Marchelli: architettura e urbanistica lungo la Via Emilia (1770-1870), a cura di M. Pigozzi. Catalogo della mostra (Reggio Emilia, maggio-giugno 1990). Grafis, Bologna, 1990. IT\ICCU\UBO\0081035.
  • Frulli C., «Necrologia», in Il Solerte: Foglio settimanale di Scienze, Lettere, Arti, Teatri e Mode, n. 50, 13 aprile 1841. Tipografia Bortolotti, Bologna, 1841. IT\ICCU\TO0\0195536.
  • Godoli E., Progetti per Venezia di Giovanni Antonio Antolini, in Architettura in Emilia-Romagna dall’Illuminismo alla Restaurazione, a cura di C.L. Anzivino. Atti del convegno (Faenza, dicembre 1974). Comune di Faenza – Università degli Studi di Firenze Istituto di storia dell’architettura, Firenze, 1977. IT\ICCU\UMC\1008781.
  • Kannès G., Un progetto di concorso ma non di esecuzione: il Foro Bonaparte tra l’Antolini e il Canonica, in Milano parco Sempione: spazio pubblico, progetto, architettura (1796-1980), a cura di M.G. Folli e D. Samsa. Catalogo della mostra (Triennale di Milano, Catasto del disegno, 1980). Clup, Milano, 1980. ISBN 88-7005-458-6.
  • Kannès G., «Un acquerello per il Foro Bonaparte in Milano ed altri inediti di Giovanni Antonio Antolini», in Storia della città. Rivista internazionale di storia urbana e territoriale, n. 22, aprile-giugno 1982. Mondadori-Electa, Milano, 1982. IT\ICCU\RAV\0034021.
  • Maltese C., Storia dell’arte in Italia. 1785-1943. Einaudi, Torino, 1960. IT\ICCU\RMS\1736057.
  • Malvezzi L., Le Glorie dell’Arte lombarda, ossia Illustrazione storica delle più belle opere che produssero i Lombardi in pittura, scultura ed architettura dal 590 al 1850. Compilata dall’Abb. Cav. Prof. Luigi Malvezzi. Agnelli, Milano, 1882. IT\ICCU\RAV\0252791.
  • Martinola G., «Notizie sull’architetto G.A. Antolini», in Archivio Storico Lombardo. Società storica lombarda, Castello Sforzesco, Milano. 1945-1946-1947, vol. X, fasc. I-IV, 1947. IT\ICCU\LO1\0016597.
  • Marziliano M.G., Giovanni Antonio Antolini, architetto e ingegnere (1753-1841). Con prefazione di Guido Nardi. Gruppo Editoriale Faenza Editrice, Faenza-Bologna, 2000 (prima edizione), 2003 (seconda edizione). ISBN 88-8138-057-9.
  • Marziliano M.G. (a cura di), Architettura e Urbanistica in Età Neoclassica: Giovanni Antonio Antolini (1753-1841). Atti del primo congresso internazionale di Studi antoliniani nel secondo centenario del progetto per il Foro Bonaparte (Bologna 25 settembre 2000 – Faenza 26 settembre 2000). Gruppo Editoriale Faenza Editrice, Faenza-Bologna , 2003. Con Presentazione di Graziano Trippa, e con Prefazione di Andrea Emiliani, gli Atti raccolgono i contributi di: Gabriele Albonetti, Fabiola Bernardini, Giovanna D’Amia, Erminio Ferrucci, Eugenio Gentili-Tedeschi, Ezio Godoli, Gianluca Kannès, Franco Laner, Maria Giulia Marziliano, Gianni Mezzanotte, Gabriele Morolli, Guido Nardi, Alessandra Pfister, Nullo Pirazzoli, Giuliana Ricci, Aurora Scotti. In Appendice Documentaria è qui restituita la versione integrale della Nuova Descrizione del Foro Bonaparte: il manoscritto compilato da Giovanni Antonio Antolini e predisposto per essere dato alle stampe ma rimasto inedito (op. cit.). Il libro degli Atti è stato realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per i Beni Librari e gli Istituti Culturali. ISBN 88-8138-043-9.
  • Marziliano M.G., «Il progetto per il Foro Bonaparte: una grande concezione artistica, una saggia soluzione urbanistica», in Sezione aurea: cultura, arte, ricerca, Milano, n. 1, gennaio-giugno 2014. ISSN 2284-3841.
  • Mezzanotte G., Architettura Neoclassica in Lombardia. Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1966. IT\ICCU\RAV\0053009.
  • Mezzanotte P., L’età napoleonica (1796-1814), in Aa.Vv., Storia di Milano. Fondazione Treccani degli Alfieri per la storia di Milano, Milano, vol. XIII, 1959. IT\ICCU\RAV\0220245.
  • Mezzanotte P., Bascapè G.C., Milano nell’arte e nella storia: storia edilizia di Milano. Guida sistematica della città. Con prefazione di R. Calzini. Sotto gli auspici della Fondazione Giovanni Treccani degli Alfieri per la storia di Milano. Bestetti, Milano, 1948. IT\ICCU\MOD\0303093.
  • Scotti Tosini A., Il Foro Bonaparte: un’utopia giacobina a Milano. Con introduzione di W. Oechslin e tr. inglese di R.E. Wolf. Ricci, Milano, 1989. ISBN 88-216-0126-9.
  • Vaccolini D., «Giovanni Antonio Antolini», in L’Album. Giornale Letterario e di Belle Arti. Tipografia delle Belle Arti, Roma, 19 giugno 1841.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Data accertata mediante l’individuazione dell’atto di battesimo nei registri della Parrocchia Arcipretale di San Petronio, in Castel Bolognese. Cfr. Emiliani G., Gli uomini illustri di Castel Bolognese. Appunti biografici di Giovanni Emiliani. Per le Nozze Dal Prato-Sangiorgi, Tipografia Marabini, Faenza, 1883.
  2. ^ Così come recita il titolo dell’opera pubblicata da Malvezzi, 1882.
  3. ^ In tal modo, con la sua prima opera di letteratura architettonica il giovane Antolini si inseriva nella «disputa del Dorico», allora di piena attualità. Cfr. Mezzanotte, p. 254, 1966.
  4. ^ Frulli, p. 412, 1841.
  5. ^ Conservati presso la Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolta Piancastelli, Romagna Carte, Autografi.
  6. ^ Per l’approfondimento delle particolari vicende occorse nel territorio tudertino, cfr. Bernardini, Giovanni Antonio Antolini a Todi dal 1787: storia di alcune committenze, in Marziliano (a cura di), Architettura e Urbanistica in Età Neoclassica: Giovanni Antonio Antolini (1753-1841), pp. 295-311, 2003.
  7. ^ In tal modo Giovanni Antonio Antolini divenne cognato del noto architetto romano Vincenzo Balestra, fratello di Anna e direttore dell’Accademia della Pace. Artista particolarmente abile nel disegno, Vincenzo Balestra fu invitato a partecipare alle opere di rilievo archeologico (1800-1803) condotte ad Atene, al seguito di Lord Thomas Bruce, settimo conte di Elgin e undicesimo conte di Kincardine, nella missione che portò i marmi del Partenone al British Museum. Cfr. Gallo L., Lord Elgin and Ancient Greek Architecture: The Elgin Drawings at The British Museum, Cambridge University Press, New York, 2009.
  8. ^ A causa di problemi finanziari, correlati all’indeterminatezza degli scenari politici, tuttavia la ristrutturazione dell’edificio temporaneamente rimase puro esercizio di intenzioni e fu avviata soltanto nella metà del secolo successivo. Cfr. Marziliano, Giovanni Antonio Antolini, architetto e ingegnere (1753-1841), 2000.
  9. ^ L’Arco Trionfale di Faenza venne realizzato mediante due ipotesi progettuali susseguenti: la proposta iniziale era governata dalla massima economia, così come preteso dalla committenza faentina in un primo momento; ma temendo il giudizio critico di Napoleone, successivamente fu richiesta la revisione del progetto per accrescere la massa del monumento. Eretto sotto la direzione esecutiva di Paolo Antolini, fratello di Giovanni Antonio, l’Arco fu inaugurato nel 1797 e fu abbattuto dagli Austriaci due anni più tardi, nel 1799. Nel 1800, di concerto con il collega Giovanni Battista Martinetti, Giovanni Antonio elaborò un nuovo e diverso progetto (il terzo) finalizzato alla riedificazione dell’Arco. Tuttavia ne fu innalzato soltanto un metro, poi «la costruzione restò abbandonata, e, a poco a poco, venne pareggiata al suolo». Cfr. Comandini, p. 106, 1899.
  10. ^ Per la costruzione di tale edificio, Giovanni Antonio Antolini affidò la direzione esecutiva a Giacomo Albertolli, riservandosi di approvare il suo operato. Cfr. Marziliano, p. 50, 2000.
  11. ^ Per gli approfondimenti di carattere architettonico, semiologico e tecnologico inerenti l’edificio, in particolare cfr. il capitolo Lessico poietico in Palazzo Milzetti: téchne e progetto, in Marziliano, pp. 123-141, 2000.
  12. ^ Il disegno, a inchiostro acquerellato, è conservato presso l’Archivio di Stato di Faenza, vol. V, n. 16, ed è stato presentato a Roma, alla mostra «L’Italia nella Rivoluzione 1789-1799». Cfr. Benassati G., Rossi L. (a cura di), L’Italia nella Rivoluzione 1789-1799, Grafis, Casalecchio di Reno, pp. 307, 309, 3013-3014, 1990. SBN IT\ICCU\CFI\0133599. Catalogo della mostra alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. Nella stessa occasione sono stati presentati anche i seguenti disegni di G.A. Antolini: Pianta generale del Foro Bonaparte, Prospetto generale del Foro Bonaparte e Spaccato dei bagni pubblici, che si conservano alla Biblioteca comunale dell'Archiginnasio di Bologna, Gabinetto Disegni e Stampe, Fondo Disegni Autori Vari, nn. 1342-1344.
  13. ^ Così come già era avvenuto per l’Arco Trionfale di Faenza, la costruzione dell’ospedale progettato da Giovanni Antonio Antolini venne affidata alla direzione esecutiva del fratello Paolo: posata la prima pietra nel 1802, le parti strutturali e la copertura della fabbrica ebbero termine già nel 1803 ma l’ospedale di Castel Bolognese sarà ultimato e solennemente inaugurato soltanto nel 1813.
  14. ^ Datato al 1802, e noto a Giacomo Albertolli già dal 1801, l’elaborato grafico presenta rimandi citazionali al lessico palladiano anche per quanto concerne la funzione ancillare dei due corpi di fabbrica laterali. Cfr. Marziliano, p. 53, 2000.
  15. ^ Nel 1812 Paolo Antolini entrò a far parte della celebre “Bottega” diretta da Felice Giani (pittore, decoratore, incisore), con il quale Giovanni Antonio collaborò ripetutamente.
  16. ^ Ms., B. 55, Fasc. 5, Archivio di Stato di Faenza, Archivio Moderno, Lettere Diversi.
  17. ^ Antolini, p. 346, 1842.
  18. ^ Antolini, p. 346, 1842.
  19. ^ Dopo oltre due secoli è tuttora vigente nello stradario milanese, dove inspiegabilmente compare con due titolazioni: quella corretta o Foro Bonaparte, e quella impropria o Foro Buonaparte.
  20. ^ Ms. 25/301, Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolta Piancastelli, Romagna Carte, Autografi.
  21. ^ Dopo il trattato sull’Ordine dorico, pubblicato nel 1785, nel 1803 Antolini diede alle stampe la prima edizione del suo trattato sull’Ordine corinzio in cui sono esaminati gli aspetti del rilievo archeologico e sono posti in evidenza alcuni errori, anche di restituzione grafica, compiuti da Palladio. Cfr. Antolini G., Il Tempio di Minerva in Assisi confrontato colle Tavole di Andrea Palladio Architetto di Vicenza, da Giovanni Antolini architetto, Stamperia di G.G. Destefanis, Milano, 1803. La seconda edizione, emendata e accresciuta, sarà pubblicata nel 1828.
  22. ^ Dezzi Bardeschi, p. 41, 1974.
  23. ^ Frulli, p. 415, 1841.
  24. ^ Questa Relazione va identificata con l’Itinerario delle Osservazioni fatte dal Professore Antolini, Architetto di S.M.I. e R. Napoleone I, nel suo viaggio da Firenze a Carrara, sopra varii Monumenti d’arte antichi, del Medio evo e moderni: umiliato a S.A.I. la Gran Duchessa di Toscana, Principessa di Lucca e Piombino, Massa e Carrara. Conservato nell’Archivio di Stato di Lucca, il documento è pubblicato integralmente in Zamboni S., Un progetto per Lucca di Giovanni Antolini, in Aa.Vv., Atti e memorie, Accademia Clementina, Nuova Serie, 20-21, Bologna, 1987.
  25. ^ Scrivendo a Leopoldo Cicognara, nel 1813 Antonio Canova ne tesseva gli elogi affermando: «Il bravo Antolini ha mandato per saggio un progetto veramente ingegnoso, e ammirabile. Io sono pure costretto di render giustizia allo studio e al talento di questo eccellente alunno, che fa tanto onore alla sua Accademia». Cfr. Campori, p. 392, 1866.
  26. ^ Godoli, Antolini e la Toscana, in Marziliano (a cura di), p. 82, 2003.
  27. ^ Antolini, p. 346, 1842.
  28. ^ Gentili-Tedeschi, Una storia neoclassica: il Foro Bonaparte e il Piano Regolatore di Milano del 1807, in Marziliano (a cura di), p. 189, 2003.
  29. ^ Ricci, L’Editore al Lettore, in Scotti Tosini, p. 13, 1989.
  30. ^ Marziliano (a cura di), p. 27, 2003.
  31. ^ Gli esiti di tali complesse indagini archeologiche saranno dati alle stampe con il titolo: Le rovine di Veleja misurate e disegnate da Giovanni Antolini Professore di Architettura (prima edizione: prima parte pubblicata nel 1819, seconda parte pubblicata nel 1822; seconda edizione: 1831).
  32. ^ Campori, p. 457, 1866.
  33. ^ A tale riguardo, in particolare cfr. il capitolo Letteratura architettonica antoliniana e ordinamenti di metafisica teorica, in Marziliano, pp. 151-184, 2000.
  34. ^ Antolini, p. X, 1817.
  35. ^ Ms. 25/13, Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolta Piancastelli, Romagna Carte, Autografi.
  36. ^ Ms. 25/240, Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolta Piancastelli, Romagna Carte, Autografi.
  37. ^ Kannès, p. 87, 1982.
  38. ^ Godoli, op. cit., in Marziliano (a cura di), p. 85, 2003.
  39. ^ Dezzi Bardeschi, p. 40, 1974; Godoli, op. cit., in Marziliano (a cura di), p. 90, 2003.
  40. ^ Costruito con la direzione esecutiva di Maurizio Brighenti (Ingegnere Capo di Cesena e allievo di Antolini), e oggi intitolato a San Bartolo, l’edificio di culto ha patito pesanti manomissioni nella seconda metà del Novecento, e non soltanto delle decorazioni dell’invaso spaziale, motivo per il quale della originaria morfologia (1839) non rimane alcuna intelligibilità. Se la chiesa cesenate evidenzia atti manutentivi di totale irriverenza e alterazione, diverso destino avrà la chiesa progettata a Bologna dal figlio Filippo e intitolata a San Giuseppe. Essendo frequente oggetto di diligenti cure e restauri, infatti il tempio bolognese (1844) esprime valenze architettoniche pressoché integre. Cfr. Marziliano M.G., San Giuseppe ai Cappuccini: un progetto di eccellenza culturale di Filippo Antolini (1787-1859), in Sernicola R. (a cura di), San Giuseppe ai Cappuccini, Assessorato alla Cultura del Comune di Bologna, «Bologna dei Musei», Edisai, Ferrara, pp. 33-43, 2001.
  41. ^ Il titolo completo dichiara che l’opera è illustrata per cura del Professore Architetto Giovanni Antolini, ma qui con il termine “illustrata” non si deve cadere nell’inammissibile equivoco: il contributo di Antolini non è certamente di tipo grafico vignettistico. In realtà si tratta della seconda edizione delle Osservazioni ed aggiunte antoliniane ai princìpi di Milizia, dove «con più mature riflessioni» Antolini volle perfezionare le sue annotazioni già edite nel 1817; e, inoltre, aggiungere «quarantatré osservazioni tutte nuove; ed un metodo geometrico-pratico per costruire le volte».
  42. ^ Si consideri il giudizio di valore sfavorevole che emette Antolini nei confronti dei trattatisti privi di adeguata formazione tecnica e tecnologica. Ciò risalta evidente anche in una annotazione posta a margine nel suo più tardo aggiornamento dei Principj del Milizia dove, pur stimando Vitruvio, ne individua i gravi limiti e ne prende le distanze affermando: «Vitruvio inveiva, scriveva regole e precetti: intanto altri architetti fabbricavano maestosi edifizj, sovranamente belli, che noi ammiriamo e cerchiamo d’imitarli: e se noi fabbricassimo secondo alcune regole e precetti vitruviani: Oh dio!». Cfr. Antolini, p. 23, 1832.
  43. ^ Ritenendo verosimile che il manoscritto e le Tavole siano rimasti a giacere inediti nella Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna per oltre un secolo, nel 1974 ne furono portati alla stampa alcuni brani, estratti a parziale commento delle Tavole. Cfr. Fregna R., Godoli E., «Una raccolta inedita dei disegni del Foro Bonaparte», in Parametro. Rivista mensile internazionale di architettura & urbanistica, n. 27, pp. 8-15, giugno 1974. Unitamente alle relative Tavole iconografiche (la serie di XXVI Tavole è incompleta poiché priva della Tavola XXV: Veduta prospettica del Foro), il manoscritto è conservato presso la Biblioteca dell’Archiginnasio, Gabinetto Disegni e Stampe, Fondo Disegni Autori Vari, Cartella 9, nn. 1342-1344. È ora pubblicato integralmente da Marziliano (a cura di), in Appendice Documentaria, pp. 317-414, 2003.
  44. ^ Dezzi Bardeschi, p. 46, 1974.
  45. ^ Godoli, op. cit., in Marziliano (a cura di), p. 91, 2003.
  46. ^ Frulli, p. 415, 1841.
  47. ^ Marziliano, p. 59, 2000.
  48. ^ Frulli, p. 415, 1841.
  49. ^ Firmato da Giovanni Ricordi, il ritratto di Giovanni Antonio Antolini è conservato presso la Civica Raccolta delle Stampe “A. Bertarelli”, Castello Sforzesco, Milano (Sezione ritratti, Vol. BB 38). Ascrivibile al primo decennio del XIX secolo, e rimasto inedito per circa due secoli, è ora pubblicato da Marziliano, p. 198, 2000. Un analogo ritratto, del tutto simile al precedente nella rappresentazione, è il disegno a china intitolato Portrait du Professeur d’Architecture Monsieur Antolini (vergato «C. de Paris 2°»): anch’esso risulta privo di data, ed è conservato a Parigi presso la Biblioteca Nazionale di Francia, Dipartimento delle Stampe e della Fotografia.
  50. ^ Apparso in tempi recenti nelle disponibilità di noti antiquari milanesi, il ritratto è ora confluito in collezione privata. Cfr. Orsini Arte e Libri, Catalogo annuale – Sezione Arte, Milano, pp. 19-21, 2007.
  51. ^ «Nel centro della Piazza l’Architetto vi mantiene, quasi senza mutamento sostanziale, quell’antico Edifizio, siccome ha solidità e forma regolare, e non di sconvenevole all’intento di farvi la sede del Principato; ornandolo però coll’arte sua, acciò acquisti aspetto degno di tanta maestà; e perda quello del terrore di cui fù una volta luogo». Cfr. Antolini, Nuova Descrizione del Foro Bonaparte, in Marziliano (a cura di), p. 327, 2003.
  52. ^ Dezzi Bardeschi, p. 267, 1990.
  53. ^ Marziliano, p. 49, 2014.
  54. ^ Gentili-Tedeschi, Una storia neoclassica: il Foro Bonaparte e il Piano Regolatore di Milano del 1807, in Marziliano (a cura di), p. 188, 2003.
  55. ^ Scotti, Giovanni Antonio Antolini e Felice Giani: riflessioni sui disegni del Foro Bonaparte, in Marziliano (a cura di), p. 207, 2003.
  56. ^ Marziliano, p. 61, 2014.
  57. ^ La scena fu documentata anche da Luigi Viganò nel frontespizio dell’album che, in sedici pregiate Tavole acquerellate (ma attualmente risulta mancante la Tavola I.) intende rappresentare l’intero progetto del Foro Bonaparte. La serie è conservata presso il Castello Sforzesco di Milano, Civica Raccolta delle Stampe “A. Bertarelli”, Albo I.-1. Sebbene privo di data, in ragione della particolare conformazione dei caratteri alfabetici impiegati nella descrizione del frontespizio, il corpus iconografico di Viganò è riconducibile al 1830 circa. È stato integralmente pubblicato da Marziliano, pp. 60-75, 2000.
  58. ^ Mezzanotte, p. 488, 1959.
  59. ^ Ms. 25/300, Biblioteca Comunale di Forlì, Raccolta Piancastelli, Romagna Carte, Autografi.
  60. ^ Malvezzi, p. X, 1882.
  61. ^ Malvezzi, pp. 271-272, 1882.
  62. ^ Marziliano, p. 53, 2014.
  63. ^ Mezzanotte, Bascapè, p. 86, 1948.
  64. ^ Mezzanotte, Bascapè, p. 87, 1948.
  65. ^ Mezzanotte, Bascapè, 1948; Maltese, 1960.
  66. ^ «L’esempio non assolve dall’errore che si commetterebbe, e il citarlo sarebbe una magra scusa, perché non vi sono abusi, capricci, sbagli in architettura, che non abbiano esempi nei monumenti greci e romani: ma chi cecamente (sic) li segue, pecorescamente cammina. Vuol essere ragione, sapere, e non imitazione soltanto, ma esattezza nell’ordine, giustezza nelle riflessioni, discernimento nella critica per distinguersi e per piacere». Cfr. Antolini, p. IX, 1829.
  67. ^ Antolini, p. 344, 1842.
  68. ^ Antolini, p. 17, 1817.
  69. ^ Con il consueto fine didattico, Antolini compose infine una sorta di breviario elencando tali precetti: «Primo – Ogni edificio dee vestire un carattere suo proprio, tale che, a prima vista, si distingua dagli altri. (…) Secondo – In ogni edificio la solidità deve non solo esservi, ma mostrarsi, affinché non si abbia ad indovinare o restar dubbiosi intorno alla stabile sussistenza delle cose architettate, che si presentano all’osservazione. (…) Terzo – Deve il comodo mostrarsi coll’ordinazione e colla disposizione delle parti. (...) Quarto – Ogni edificio acciò comparisca bello deve sottostare alle leggi della simmetria, dell’euritmia e del decoro». Cfr. Antolini, Nuova Descrizione del Foro Bonaparte, in Marziliano (a cura di), Appendice Documentaria, pp. 342-345, 2003.
  70. ^ Morolli, “Col seme in corpo delle mie vaste idee”. L’architettura pensata di Giovanni Antolini: gli Ordini e le idee. In particolare, cfr. il paragrafo che concerne «Il Foro di Napoleone (1801): la città del Dorico», in Marziliano (a cura di), pp. 126-136, 2003.
  71. ^ Kannès, p. 109, 1980.
  72. ^ A tale riguardo, in particolare cfr. il capitolo Intenzionalità espressiva, in Marziliano, pp. 77-94, 2000.
  73. ^ L’Arte Reale (la Massoneria) considera la geometria una scienza “sacra”, una prova della potenza divina, dato che è posta all’origine dell’arte edificatoria. A proposito di alcune figure geometriche qui richiamate, a puro titolo esemplificativo si rammenti che «l’ottagono è figura costituita da otto triangoli isosceli e simbolizza l’eterno movimento dei cieli, i quattro elementi e la rigenerazione; il cerchio e l’ellissi sono considerati metafore dell’armonia cosmica e del moto solare». Cfr. Marziliano, p. 92, 2000.
  74. ^ Mezzanotte, p. 241, 1966.
  75. ^ «La geometria ha avuto il sopravvento sul principio dell’animazione barocca e, nella sua rigidità, nulla lascia intravvedere all’esterno. (...) Le pareti della Rivoluzione tacciono: appena si rinuncerà al piacevole strumento dell’architettura descrittiva, le intenzioni che son sottese agli edifici non saranno più riflesse esteriormente. Il costume, il modo di vita sembrano avvilupparsi in un nuovo ritegno». Cfr. Kaufmann E., Three Revolutionary Architects: Boullée, Ledoux, Lequeu, The American Philosophical Society, Philadelphia, 1952; tr. it. di Grandi M. e Saredi V., Tre architetti rivoluzionari: Boullée, Ledoux, Lequeu. Introduzione all’edizione italiana di Teyssot G., Angeli, Milano, pp. 292-293, 1976.
  76. ^ Antolini, p. 13, 1803.

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