Storia dell'omosessualità in Perù

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Ceramica erotica del Museo Larco, a Lima.

La storia dell'omosessualità in Perù è giunta fino ai giorni nostri, nonostante la conquista spagnola del paese, grazie ad alcune ceramiche erotiche (in spagnolo: huacos eróticos) rappresentanti rapporti omosessuali e a diverse testimonianze storiche relative alla repressione sessuale applicata alle popolazioni locali da parte dei conquistadores.

Arrivo dei conquistadores e messa al bando dell'omosessualità[modifica | modifica wikitesto]

Una volta arrivati gli spagnoli, nel XVI secolo, rimasero sbalorditi dalle pratiche sessuali degli indigeni. Il viceré Francisco de Toledo e i prelati furono sconvolti nello scoprire che l'omosessualità era accettata nella società, che la popolazione indigena non proibiva il sesso prematrimoniale e che riteneva che la castità femminile non avesse un'importanza particolare.[1]

Questa visione della sessualità fu soppressa. Uno dei più famosi uomini di chiesa di epoca coloniale del Perù, il gesuita José de Acosta, scrisse nel 1590:[2]

«C'è un altro grave errore... che è profondamente radicato nel cuore dei barbari. La verginità, che è vista con stima e onore da tutti gli uomini, è deprecata da quei barbari come qualcosa di vile. Fatta eccezione per le vergini consacrate al Sole o l'Inca (l'aclla), tutte le altre donne sono considerate di minore importanza quando sono vergini, e quindi, quando possibile, si danno al primo uomo che trovano.»

Lo storico Maximo Terrazos descrive come gli spagnoli si rapportavano a questa sessualità nativa con la loro fede cattolica:[1]

«Toledo ordinò di evangelizzare i nativi e di "arrestare e punire chi aveva avuto una relazione sessuale fuori dal matrimonio sancito dalla Chiesa con una pena di 100 frustate" per persuadere gli indigeni a eliminare questa usanza "così dannosa e perniciosa". Toledo emise diversi decreti volti a creare quasi una segregazione totale tra i sessi in pubblico. Le violazioni erano punibili con 100 frustate e due anni di servizio negli ospedali di stato pestilenziali. Sotto l'Inquisizione, portata in Perù nel 1569, gli omosessuali potevano essere bruciati sul rogo»

Solo nel 1837 l'omosessualità, in Perù, venne depenalizzata.[3]

Ceramiche[modifica | modifica wikitesto]

Nell'arco di 800 anni le culture centrali precolombiane, in particolare la Moche, hanno creato almeno decine di migliaia di ceramiche (spagnolo: huacos). Molte di queste ceramiche mostrano persone impegnate in rapporti lesbici e omosessuali.[4]

Le ceramiche più famose appartengono alle culture Moche e Chimu.

Distruzione[modifica | modifica wikitesto]

Molte delle ceramiche, insieme alla maggior parte delle icone indigene, sono state distrutte. Negli anni settanta del XIX secolo, Toledo e i suoi consiglieri clericali si organizzarono per eliminare la sodomia, la masturbazione e una pratica sociale comune che, approssimativamente tradotta dal nativo quechua, significa "matrimonio di prova". Come descrive Terrazos, "non si poteva parlare di tali usanze perché erano considerate [pornografiche]". Erano proibiti a causa del "tabù imposto dalla religione cristiana secondo cui gli uomini fanno sesso solo per la procreazione e che le donne non provano piacere sessuale".[1]

Sopravvivenza[modifica | modifica wikitesto]

Nonostante questo sforzo organizzato per distruggere questi artefatti, molti di essi sono sopravvissuti fino ai giorni nostri. Per decenni, le ceramiche erotiche sono state chiuse al pubblico, e furono accessibili solo a un gruppo elitario di scienziati peruviani. Occasionalmente e con riluttanza sono stati messi a disposizione a selezionati ricercatori stranieri provenienti dagli Stati Uniti e dall'Europa. Il Museo Larco di Lima, in Perù, è famoso per la sua galleria di ceramiche erotiche precolombiane.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Rick Vecchio, Erotic Ceramics Reveal Dirty Little Secret, in LA Times, Los Angeles, LA Times, 7 marzo 2004. URL consultato il 1º dicembre 2009.
  2. ^ Irene Silverblatt, Family Values in Seventeenth-Century Peru, in Elizabeth Hill Boone e Tom Cummins (a cura di), Native traditions in the postconquest world, Washington, D.C., Dumbarton Oaks, 2 ottobre 1992, p. 71, ISBN 0-88402-239-0. URL consultato il 28 novembre 2009.
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  3. ^ Where is it illegal to be gay?, in BBC News. URL consultato il 23 febbraio 2014.
  4. ^ Paul Mathieu e Catherine Hess, Sex Pots: Eroticism in Ceramics, New Brunswick, New Jersey, Rutgers University Press, 2003 [2003], pp. 23–28, ISBN 0-8135-3293-0. URL consultato il 1º dicembre 2009.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]