Storia di Gela

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Voce principale: Gela.

La storia di Gela ha inizio nel V millennio a.C., quando da piccolo abitato della prima fase dell'età Eneolitica finì per trasformarsi, in età storica, in una delle più importanti colonie greche della Sicilia.

Il nome attuale della città si lega a quello della colonia dorica del VII secolo a.C., che giunse ad estendere il proprio dominio su gran parte dell'isola (fine VI - inizi V sec. a.C.). Durante il periodo federiciano (secondo trentennio del XIII sec. d.C.), si ebbe la seconda fondazione della città, riedificata col nome di Terranova sui ruderi della vecchia pólis ellenica. Tra il XVII e il XIX secolo la città attraversò alterne vicende, limitate al proprio territorio e lontane dai fasti del passato. Grazie a tutta una serie di accadimenti, che hanno avuto vasta eco internazionale, quali lo sbarco alleato del 1943, il rinvenimento delle fortificazioni greche di Capo Soprano (1948), uniche nel loro genere, la scoperta di giacimenti petroliferi nel mare antistante (1956) e, in ultimo, il ritrovamento (1988) della nave più antica che abbia solcato le rotte del Mediterraneo, si sono nuovamente accesi i riflettori su una antichissima città che tanto ha contribuito allo sviluppo della civiltà isolana, restituendole la giusta considerazione che per Storia e Cultura non può non esserle riconosciuta.

Epoca antica[modifica | modifica wikitesto]

Periodo greco[modifica | modifica wikitesto]

Gela, secondo una tradizione derivata da Tucidide, sarebbe stata così chiamata per via di un antico fiume che le scorreva accanto: il fiume Gela (che nasce sette chilometri a nord-ovest da Piazza Armerina).[1]

L'odierna città di Gela (sita nel medesimo luogo dove sorgeva quella antica) vista dalla cittadina di Butera.

Sempre Tucidide dà la notizia che Gela venne abitata inizialmente, intorno all'VIII secolo a.C., da un gruppo di coloni dell'isola di Rodi, provenienti dalla città di Lindo; il suo insediamento, quindi, prima di Gela avrebbe portato il nome di Lindioi (Tucidide, VI 4.3). La scoperta di ceramiche protocorinzie rinvenute sull’acropoli di Gela (sotto i livelli degli edifici più antichi), nella necropoli di Contrada Spina Santa e negli attuali giardini pubblici - un tempo area della necropoli arcaica -, sembra confermare l'antichità della presenza rodiese. Il sito era precedentemente abitato dalle popolazioni indigene della Sicilia.

Tuttavia, la sua fondazione avvenne ufficialmente l'anno 688 a.C. (47 anni dopo la fondazione della più antica colonia di Sicilia, Naxos), quando due ecisti, Antifemo di Rodi ed Entimo di Creta, vi si insediarono con i loro uomini. Pausania il Periegeta ricorda come Gela ebbe fin da subito violenti scontri con la realtà sicana della zona (i Sicani, popolo indigeno stanziatosi in data imprecisata tra la Sicilia centrale e la Sicilia occidentale): il suo ecista Antifemo intraprese una guerra contro la città sicana di Ομϕάκη (Onface), un insediamento poco distante da Gela, senza più precisa collocazione. E, narra Pausania, i gelesi vinsero e debellarono la città, portandosi via anche una statua che si disse era stata fabbricata dal mitico scultore Dedalo (Pausania, VIII, 46, 2, e IX, 40, 4).[1]

Nel corso del VI secolo a.C. grazie alla politica espansionistica dei tiranni di Gela, in particolare Cleandro e soprattutto Ippocrate, la città ebbe una serie di colonie satelliti, fra cui Akragas (Agrigento), e riuscì inoltre a sottomettere diverse città: Kallipolis (secondo alcuni l'odierna Giarre), Leontini (Lentini), Naxos (Giardini-Naxos) e Zancle (Messina).

Ippocrate perì durante le vicissitudini della guerra condotta contro Siracusa, nell'anno 492 a.C., mentre tentava di conquistare Ibla (la cui posizione geografica resta tutt'oggi sconosciuta), dopo aver sottomesso Ergezio (altra collocazione ignota). Egli giungeva da una serie di vittorie, tra le quali va annoverata la sconfitta dell'esercito siracusano nei pressi del fiume Eloro: a quel punto avrebbe potuto anche tentare di soggiogare la polis aretusea, ma contro di lui si volsero gli interventi diplomatici di Corinto e Corcira, venute dalla Grecia in Sicilia per mediare la pace tra Siracusa e Gela. L'accordo portò alla cessione della colonia siracusana di Camarina ai gelesi in cambio della fine delle ostilità con gli abitanti aretusei[2] (secondo altre fonti, invece, a farlo desistere dal proseguire la guerra contro la colonia corinzia furono quei Siculi presso la cui città-capitale egli perse infine la vita[3]).

Siracusa venne tuttavia conquistata diplomaticamente dal successore di Ippocrate; pochi anni dopo la morte di quest'ultimo: nel 485 a.C. il tiranno Gelone riuscì a insinuarsi nel suo governo, approfittando delle lotte di classe che dividevano in quei frangenti la città aretusea: da un lato gli oligarchici Gamoroi (che furono coloro che si recarono a Gela per cercare il suo aiuto politico) e dall'altro gli eredi dei Siculi, i Killichirioi. Gelone, ottenuta abilmente la guida di Siracusa, vi stabilì la propria corte, lasciando Gela al fratello Gerone I, che proseguì l'ambiziosa politica espansionistica.

Tetradracma di Gela
Auriga su biga. CELAS, protrome di toro androprosopo. Rappresenta il fiume Gela.

Nel 480 a.C. Gela e Siracusa parteciparono con un esercito di 5.000 uomini alla battaglia di Imera contro i Cartaginesi, in aiuto a Terone, tiranno di Agrigento. Scomparso Gelone (478 a.C.), il fratello Gerone si stabilì a sua volta a Siracusa e a Gela il potere passò nelle mani del tiranno Polizelo, che forse fu presto deposto e sostituito da un governo democratico, sotto il quale la città accolse diversi profughi espulsi da Siracusa.

La polis dovette affrontare i centri indigeni di Omphake e Kakyron, dove si erano rifugiati alcuni mercenari espulsi dalla città nel 464 a.C. e l’anno successivo contro il centro di Krastos.

Nel 427 a.C. Gela si allea con Himera, Selinunte e Siracusa. Nel 424 a.C. divenne il centro della politica siciliana, ospitando il Congresso di Gela tramite il quale il siracusano Ermocrate tentò di mantenere unite le polis siceliote per evitare ulteriori conflitti. Ma l’invito rimase inascoltato.

Nel 406 a.C. un'armata cartaginese conquistò Agrigento e distrusse Gela, costringendone gli abitanti a riparare a Siracusa. Nel 397 a.C., grazie alla protezione siracusana, la città venne ricostruita. Timoleonte ripopolò la città favorendo l’afflusso di coloni di Coo guidati da Gorgo. In quel periodo la città conobbe una rinascita che vide anche la realizzazione di nuovi quartieri e monumenti, soprattutto nella zona di Capo Soprano.

Nel 311 a.C. venne nuovamente devastata dai Cartaginesi. Nel 317 a.C. Agatocle, sovrano di Siracusa, pose l’assedio alla città conquistandola nel 311 a.C. e facendola diventare una base militare nello scontro contro i Cartaginesi. La città venne temporaneamente liberata dal dominio siracusano nel 309 a.C. tramite Xenodico, ma nel 305 a.C. Agatocle la rioccupò.

Intorno al 287/6 a.C. Gela fu saccheggiata dai Mamertini[4] e, secondo la tradizione, definitivamente distrutta nel 282 a.C. da Finzia, tiranno di Agrigento, che spostò gli abitanti nella città di "Finziade" (l'odierna Licata), da lui costruita proprio per accogliere i Ghelói sfollati.[5] A proposito di questi eventi, gli storiografi moderni propendono per una lettura maggiormente critica delle fonti[6], mostrando più attenzione ai presumibili condizionamenti degli storici dell'epoca. La versione di un Finzia così spietato nei confronti della madrepatria Gela, sarà stata certamente viziata dalla storiografia siracusana (detentrice, allora, del monopolio dell'informazione isolana), per puri interessi di propaganda bellica.[7] A quel tempo, Siracusa era in guerra contro Agrigento e, come sempre accade in ogni conflitto, le parti si screditavano reciprocamente per isolare l'avversario.[8] Le evidenti incongruenze riscontrabili nel racconto della vicenda,[9] tendono a rappresentare Finzia alla stregua di uno spregevole quanto sprovveduto generale: da abile stratega invece qual era, egli non avrebbe non potuto considerare che una decisione così scriteriata, come la cancellazione geografica dell'antica colonia rodio-cretese, gli sarebbe costata non solo la perdita di un eccezionale "avamposto", ma anche parecchi chilometri di territorio in direzione del nemico, a lui favorevoli dal punto di vista tattico e, ancor più, difensivo. Oltretutto, è impensabile che il sovrano agrigentino non avesse messo in conto di poter compromettere gli esiti del conflitto con l'apertura di un secondo fronte di guerra, quello gelese. Ciò induce al sospetto che la cronaca siracusana abbia alterato la verità dei fatti, attribuendo a Finzia un crimine talmente esecrabile, da renderlo inviso agli occhi della comunità siceliota.[10] Per di più, l'attenta lettura delle fonti sembrerebbe spostare verso altri la responsabilità di quella turpe vicenda: sui protagonisti della razzia di cui si è parlato all'inizio di questo paragrafo per esempio, i Mamertini,[11] che per ben lucrare non avrebbero avuto scrupoli nel radere al suolo la città proprio in quell'occasione (287/6 a.C.).[12]

In epoca romana, Gela si era ormai ridotta a un modesto villaggio, sebbene gli scrittori antichi ne ricordassero ancora il glorioso passato. Virgilio, nell'Eneide, cita i "Campi Ghelói", e la città è menzionata anche da Cicerone, Strabone e Plinio.

Durante l'Emirato di Sicilia, i musulmani la indicarono con la locuzione «Città delle colonne», a causa dell'enorme numero di vestigia classiche che si trovavano nel suo territorio, e il fiume che le scorreva a lato, il Gela, «fiume delle colonne».

Epoca medievale[modifica | modifica wikitesto]

Stemma di Gela
Stemma di Gela

Nel 1233 Federico II di Svevia la fece ricostruire chiamandola Terranova e fortificandola con un'ampia cerchia muraria. Non si sa di preciso se la città sia stata dotata di un castello dato che le fonti, a questo proposito risalgono al XVI secolo. Alla seconda metà del XII secolo si attribuisce a difesa dell'abitato, la costruzione del "Castelluccio" (a circa 7 km dal centro). Il Castelluccio, compare in alcuni documenti dell'epoca, come limite di un immenso feudo appartenente a un nobile dell'epoca che avrebbe donato alcune terre in comodato ai monaci benedettini della città di Catania, come penitenza per alcuni peccati. Secondo alcuni la città venne anche chiamata Heraclea perché leggendariamente fondata da Ercole.

Eraclea/Terranova fu città demaniale fino al 1369, quando il re Federico IV di Sicilia la donò a Manfredi III Chiaramonte, ma il nuovo centro già si era messo spontaneamente sotto la tutela della potente famiglia. La situazione fu poco gradita ad Artale Alagona, in guerra con i Chiaramonte, i quali cinsero d'assedio la città che nonostante la sua strenua difesa finì per capitolare. Ritornata poco tempo dopo ai Chiaramonte, questi ne tennero il governo fino al 1392, quando l'ultimo discendente della famiglia, Andrea, fu giustiziato per essersi messo a capo di una congiura contro re Martino che confiscò i suoi beni[13]. Rientrando tra le sue proprietà anche La città di Terranova, questa fu affidata in feudo al barone Pietro de Planellis e dopo una serie di cessioni fu assegnata, nel XV secolo, alla famiglia Aragona-Tagliavia e in seguito ai Pignatelli che la tennero fino all'abolizione della feudalità in Sicilia (1812).

Epoca contemporanea[modifica | modifica wikitesto]

Il Duomo di Gela agli inizi del novecento.

Nel 1799, a Terranova scoppiò un tumulto passato alla storia sotto il nome di "Ribello", nel corso del quale vennero trucidati esponenti della nobiltà locale. Subito dopo l'Unità d'Italia, la città assunse il nome di Terranova "di Sicilia", per distinguersi dalle tante altre con lo stesso nome esistenti sulla penisola, partecipando, verso la fine del secolo, ai moti organizzati dal Movimento dei Fasci Siciliani (1893). Nei primi anni del XX secolo vi abitò giovanissimo Salvatore Quasimodo, al seguito del padre, ferroviere.

Nel 1911 venne realizzato un "pontile sbarcatoio", che, oltre a rappresentare in assoluto la prima costruzione in cemento armato realizzata in città, fu un'opera essenziale per la marineria locale. Ultimato nel 1915 e fatto brillare in parte dai guastatori italiani nell'estate del 1943, per ostacolare lo sbarco degli alleati, il pontile attualmente è inagibile. Nel 1927 la città riprese il suo antico nome di Gela.

Sbarco in Sicilia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Sbarco in Sicilia e Battaglia di Gela (1943).

Le sue coste furono teatro, durante la seconda guerra mondiale, nel luglio del 1943, dello sbarco in Sicilia della 7ª Armata americana. Tremila paracadutisti furono lanciati nell'entroterra. Complessivamente, tenuto conto degli altri punti di sbarco, in 24 ore 160 000 uomini presero terra.

Tra il 10 e l'11 luglio la divisione tedesca "Hermann Goering" e quella italiana "Livorno" contrattaccarono gli americani nella piana di Gela: i contrattacchi dei "gruppi mobili" italiani, reparti motocorazzati costituiti ciascuno da circa 1.500-2.000 uomini, una dozzina di carri o semoventi ed una batteria d'artiglieria, misero in seria crisi le posizioni alleate; circa 20-30 carri Renault R35 di preda bellica del 131º reggimento carri riuscirono a fare breccia, penetrare fin quasi alle spiagge e a combattere in città. Il pericoloso contrattacco italo-tedesco fu sventato dall'ostinata resistenza della 3ª Divisione fanteria e dall'efficace tiro navale.

Gela fu la prima città d'Europa ad essere liberata[14][15]. In contrada Ponte Olivo sorse il cimitero di guerra di Ponte Olivo, ove furono sepolti i caduti della cruenta battaglia di Gela, poi traslati.

Sviluppo turistico[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Lido La Conchiglia.
Una foto dall'alto dello stabilimento balneare, tra gli anni cinquanta e sessanta.
Benito Mussolini impegnato a danzare all'interno dello stabilimento balneare, il 14 luglio 1937.

Presso il lungomare cittadino, tra il 1958 e il 1959 venne costruito uno stabilimento balneare, che fu opera di un importante sviluppo turistico della città. Elevato sul lido "Gela", attivo durante il periodo estivo, la struttura venne istituita dal geometra Filippo Trobia, per un costo totale di 160 milioni di lire.

Ubicata nel mare e sorretta da una base di poderose palafitte piantate nella sabbia, ad una profondità di circa 8/11 metri, la struttura era costituita da calcestruzzo armato e foderata da uno strato spesso di pozzolana bianca. Quest'ultima venne realizzata in modo da resiste a qualsiasi alterazione climatica. Il tetto prendeva la forma di una conchiglia (da qui l'epiteto "La Conchiglia"), composta da pilastri perimetrali e divenne famosa per il suo fascino e la sua particolarità.

Tale struttura fu un importante palcoscenico di molte celebrità della musica, dello spettacolo[16] e di rilevanti figure politiche, come quella del duce Benito Mussolini in visita nella città gelese, in onore dei caduti di guerra il 14 luglio 1937[17][18].

Industrializzazione cittadina[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Polo petrolchimico di Gela e Greenstream.
Una foto del Polo petrolchimico di Gela, nel 2007.

Nel secondo dopoguerra, in un momento di particolare fervore si avviarono i lavori per la realizzazione dell'impianto petrolchimico dell'Eni auspicato da Enrico Mattei. La raffineria, che ha sicuramente aiutato l'economia locale ed in parte l'urbanistica (la costruzione del villaggio di Macchitella) ha prodotto deturpazioni e seri danni all'ambiente ed ha precluso lo sviluppo di altri settori, come quello turistico.

Anni recenti[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Strage di Gela, Stragi di Porto Empedocle, Stidda e Rinzivillo.

Il caotico sviluppo edilizio negli anni successivi, dovuto ad interessi speculativi ed in parte ad una mancanza di controllo delle autorità, ha stravolto l'impianto urbano. Alcune zone, sorte abusivamente senza strade e servizi, hanno prodotto un diffuso senso di sfiducia nei confronti dello stato. In questo contesto la città visse i suoi momenti più bui negli anni ottanta ed in parte novanta del XX secolo, quando si sviluppò nel suo territorio un'associazione di tipo mafioso, chiamata la Stidda.

La città, che ebbe così assegnato il triste titolo di capitale della Stidda, fu segnata da una lunga serie di violenze, attentati ed omicidi, tanto da essere soprannominata "Mafiaville" in un articolo pubblicato nel 1989 dal quotidiano francese Le Monde[19]. La faida mafiosa toccò il suo apice di violenza la sera del 27 novembre 1990, quando Gela salì alla ribalta nazionale (e internazionale) a causa di quattro sanguinosi agguati scattati simultaneamente in diversi punti della città, che divennero tristemente noti come "strage della sala giochi" e provocarono in totale otto morti e undici feriti[20][21].

Solo recentemente Gela, messa al centro di alcuni programmi statali di aiuto al ripristino della legalità ed incentivi allo sviluppo, ha mostrato segni di risveglio. Bloccata (ma non cancellata) la piaga dell'abusivismo con una maggiore attenzione delle autorità competenti, ed alcune zone rivalorizzate, come il centro storico, gli scavi archeologici, il Castelluccio ed il lungomare. Il comune in prima linea è impegnato, insieme a diverse associazioni civiche, in diversi progetti per la educazione alla legalità e soprattutto, nella lotta anti-racket.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Anna Ferrari, Dizionario dei luoghi del mito, 2012.
  2. ^ Lorenzo Braccesi, Hesperìa: Studi sulla Grecità di Occidente. 9, 1998, p. 44.
  3. ^ Daniela Sinatra, Camarina: città di frontiera? in Hesperia 9, a cura di Lorenzo Braccesi, 1998, pp. 53-53.
  4. ^ Diod. XXIII 1.4.
  5. ^ Diod. XXII 2.2.
  6. ^ Emanuele Zuppardo-Salvatore Piccolo, Terra Mater. Sulle sponde del Gela greco, Betania Editrice, Caltanissetta 2005, pp. 162-163.
  7. ^ Emanuele Zuppardo-Salvatore Piccolo, ivi
  8. ^ Il passo di Diodoro, XXII, 2,6, sembra avallare questa tesi: ma poiché [Finzia, ndr] s'era dimostrato tanto sanguinario, tutte le città che erano sotto di lui si ribellarono e cacciarono le guarnigioni che vi aveva poste; e la prima delle città che si ribellò fu Agirio.
  9. ^ Prima fra tutte, l'incredibile donazione alla comunità ghelóa di una città tutta nuova da parte del tiranno di Akragas, nonostante questi avrebbe raso al suolo la loro antica pόlis.
  10. ^ Diodoro, in XXIII,I, ricorda che verso il 287/6 a.C., Gela aveva patito una devastazione proprio da parte dei Mamertini. Lo storico di Agira, vissuto duecento anni dopo questo episodio, aveva ripreso la notizia dagli Annali siracusani, i quali avrebbero manipolato la verità addossando la responsabilità del fatto a Finzia, per comprometterlo dal punto di vista etico. Infatti, la notizia che il tiranno aveva distrutto la propria madrepatria (ritenuta sacrilega in tutto il mondo greco), lo rese inviso alle città a lui federate (parecchie di queste lo abbandoneranno), finendo per fargli mancare la forza necessaria per vincere la guerra contro i Siracusani.
  11. ^ I Mamertini, di origine italica, erano soldati mercenari avidi e crudeli, scesi in Sicilia per mettersi al soldo di Agatocle, re di Siracusa. Morto questi, erano passati al servizio di Finzia, giungendo a rivoltarglisi contro e tentando, senza riuscirvi, di impadronirsi della stessa Agrigento. Costretti a rientrare a Siracusa privi di bottino, si erano trovati a transitare per la città di Gela.
  12. ^ V. Terra Mater..., cit., pp. 162-163.
  13. ^ Denis Mack Smith, Storia della Sicilia Medievale e moderna, ed. Laterza, seconda edizione (1 gennaio 1970); G. Sorge, Mussomeli dall'origine all'abolizione della feudalità, Catania, ed. Niccolò Giannotta, 1910
  14. ^ “Non abbandonare l’archeologia militare”, Mulè: “Regione e Comune recuperino fortini dimenticati”. URL consultato il 25 febbraio 2022.
  15. ^ Gela vorrebbe ricordare l’operazione “Husky”. URL consultato il 25 febbraio 2022.
  16. ^ Gela: il ballo di Mussolini, il successo degli anni Sessanta, il lento declino. «Rischio crollo», scatta il sequestro. URL consultato il 26 febbraio 2022.
  17. ^ Lido La Conchiglia di Gela: un tempo attrazione turistica nella stagione balneare, oggi fuori uso. URL consultato il 26 febbraio 2022.
  18. ^ Gela - La Conchiglia. URL consultato il 26 febbraio 2022.
  19. ^ (FR) Portrait d'une ville sicilienne sous contrôle. Nuit tranquille a "Mafiaville"..., in Le Monde.fr, 3 giugno 1989. URL consultato il 2 settembre 2021.
  20. ^ BATTAGLIA DI MAFIA A GELA È STRAGE - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 2 settembre 2021.
  21. ^ DICIOTTO MINUTI PER UN MASSACRO - la Repubblica.it, su Archivio - la Repubblica.it. URL consultato il 2 settembre 2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • AA.VV: Omaggio a Gela. AGIP, Milano, 1997.
  • Augello Andrea: Uccidi gli italiani. Gela 1943. La battaglia dimenticata. Ugo Mursia ed., Milano 2009.
  • Carloni Fabrizio: Gela 1943. Le verità nascoste dello sbarco americano in Sicilia, Ugo Mursia ed., Milano 2011.
  • Dufour Liliane, Nigrelli Ignazio: Terranova. Il destino della città federiciana. Tecnografica Ed. Vaccaro, Caltanissetta 1997.
  • Hytten Eyvind e Marchioni Marco, "Industrializzazione senza sviluppo. Gela: una storia meridionale", Franco Angeli Editore, Milano,1970.
  • Nigrelli Ignazio: La storia onesta. Saggi di storia medievale su Augusta, Gela e Piazza. Dip. Astra Università di Catania, collana Icosaedro, n 6, Lombardi ed., Siracusa, 2010, ISBN 978-88-7260-228-7
  • Panvini Rosalba: Gelas. Storia e archeologia dell'antica Gela. Soc. Ed. Internazionale, Torino 1996, ISBN 88-05-05501-8.
  • Raccuia Carmela: Gela antica. Storia, economia, istituzioni. Le origini. Società Messinese di Storia Patria, Messina 2000, ISBN 88-87617-40-6.
  • Zuppardo Emanuele-Piccolo Salvatore: Terra Mater. Sulle sponde del Gela greco. Betania Ed., Caltanissetta 2005.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]