Banda della Uno bianca
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La banda della Uno bianca fu un'organizzazione criminale operante in Italia, in particolare nella regione Emilia-Romagna, tra la fine degli anni ottanta e la prima metà degli anni novanta del XX secolo.
Il nome della banda fa riferimento all'automobile Fiat Uno, veicolo utilizzato in alcune delle loro azioni criminali in quanto piuttosto facile da rubare e di difficile identificazione data la sua estrema diffusione all'epoca dei fatti.
I componenti della banda
Roberto Savi
Nato a Forlì, il 19 maggio 1954. Insieme al fratello Alberto è stato un appartenente alla Polizia di Stato presso la Questura di Bologna, rivestiva il grado di assistente capo e ricopriva il servizio di operatore radio nella centrale operativa.
Da giovane milita come attivista nell'organizzazione di destra Fronte della gioventù[1].
Nel 1976 entra in Polizia e prende servizio a Bologna. Per molti anni svolge la funzione di operatore in volante, nel 1992 viene poi trasferito alla centrale operativa per aver punito un giovane ragazzo trovato in possesso di sostanza stupefacente, dopo un'intera notte, insieme ad alcuni colleghi.
Roberto Savi possedeva una collezione di armi, regolarmente registrate, fra cui due Beretta AR 70[2], calibro .222 Remington, versione civile del fucile d'assalto Beretta AR70 calibro 5,56mmx45 (.223 Remington).
Nelle prime fasi delle indagini la procura dispose che venisse compilata una lista dei cittadini dell'Emilia-Romagna possessori di AR 70, da cui risultarono una trentina di individui; da questo elenco emerse che anche Roberto Savi ne possedeva due. Savi, poiché l'arma non era conosciuta alla polizia bolognese, per facilitare il lavoro della scientifica portò ai colleghi uno dei suoi due fucili, quello nuovo che non aveva ancora sparato.[3] Nessuno mai andò a controllare l'altro fucile che deteneva in casa.[4]
Alle indagini fu impressa una decisa svolta con l'arrivo a Bologna del questore Aldo Gianni che in brevissimo tempo individuò i responsabili all'interno delle forze di Polizia bolognesi, procedendo personalmente al loro arresto.[5]
Roberto Savi fu, in ordine di tempo, il primo componente della banda ad essere arrestato, la sera del 21 novembre 1994, mentre si trovava in questura a Bologna. Immediatamente dopo l'arresto disse ai colleghi « Potevo farvi saltare tutti in aria... »[6].
Durante il processo la moglie, che lo sapeva coinvolto nelle vicende criminali ma che non lo ha denunciato, definisce Roberto un uomo strano ed aggressivo, di carattere molto taciturno e schivo, che non frequentava molte persone, a parte i fratelli, e che passava gran parte del suo tempo a giocare con i videogiochi. Diverse volte le aveva puntato la pistola contro per minacciarla. Ai processi Savi stupì tutti per l'estrema freddezza con cui, beffardo e provocatorio, parlava dei reati più atroci da lui commessi; alle domande non rispondeva "sì" o "no", bensì "affermativo" e "negativo".
Il padre di Roberto, Giuliano Savi, si suicidò il 29 marzo 1998 ingoiando sette scatole di Tavor dentro una Uno bianca parcheggiata a Villa Verucchio, 13 chilometri da Rimini[7].
Il 3 agosto 2006 Roberto Savi ha fatto richiesta di concessione del provvedimento di grazia al tribunale di Bologna[8]. La domanda è stata ritirata il 24 agosto dallo stesso Savi a seguito del parere sfavorevole espresso dal procuratore generale bolognese Vito Zincani. Il 1º ottobre 2008 si è risposato con una detenuta olandese del carcere di Monza[9].
Fabio Savi
Nato a Forlì, il 22 aprile 1960: fratello di Roberto, cofondatore della banda. Anche lui, come il fratello, fa domanda per entrare in polizia, ma un difetto alla vista gli pregiudica questa carriera. Dai 14 anni svolge molti lavori saltuari, ha un carattere spavaldo e aggressivo. Insieme a Roberto è l'unico componente presente a tutte le azioni criminali della banda. Fabio viene arrestato qualche giorno dopo il fratello, a 27 chilometri dal confine con l'Austria, mentre tenta di espatriare, bloccato da un'auto della Polizia stradale. Lavorava come carrozziere e camionista, convivendo a Torriana con una ragazza rumena, Eva Mikula, le cui testimonianze si riveleranno decisive nella risoluzione delle indagini. Dopo la condanna all'ergastolo, viene trasferito nel carcere di Sollicciano a Firenze, e in seguito in quello di Fossombrone.
Nel 2001 concede un'intervista al programma di RaiTre Storie maledette, durante la quale dichiara che il movente delle attività criminali della banda era procurarsi denaro[10].
Alberto Savi
Nato a Cesena, il 19 febbraio 1965: fratello minore di Roberto e Fabio. Assieme ai fratelli forma la struttura principale della banda. Fa il poliziotto come Roberto, al momento dell'arresto presta servizio presso il Commissariato di Rimini. Debole di carattere, subisce la personalità dei fratelli maggiori. Sconta la pena dell'ergastolo dal 26 novembre 1994. Dopo 23 anni di carcere ha beneficiato di un permesso premio nel febbraio 2017 al fine di incontrare la madre in gravissime condizioni di salute[11].
Pietro Gugliotta
Nato a Catania, nel 1960: non partecipa alle azioni omicide del gruppo. Viene comunque condannato alla pena di 18 anni di reclusione. Anche lui poliziotto, svolge la funzione di operatore radio alla questura di Bologna assieme all'amico Roberto Savi. Viene scarcerato nel 2008 grazie all'indulto e alla legge Gozzini[12].
Marino Occhipinti
Nato a Santa Sofia, il 25 febbraio 1965: membro minore della banda, prende però parte a un assalto a un furgone della Coop di Casalecchio di Reno, il 19 febbraio 1988, durante il quale muore una guardia giurata e per questo viene condannato alla pena dell'ergastolo. Anche lui poliziotto presso la squadra mobile di Bologna, al momento dell'arresto, avvenuto il 29 novembre 1994, era vice-sovrintendente della sezione narcotici della Squadra mobile. In una recente intervista Marino Occhipinti ha chiesto perdono ai familiari della guardia giurata uccisa. Il giorno 11 gennaio 2012 gli viene concessa la semilibertà[13]; dal 2002 lavora presso una cooperativa[14].
Luca Vallicelli
Poliziotto al momento dell'arresto, avvenuto il 29 novembre 1994, è agente scelto presso la sezione Polizia Stradale di Cesena. Membro minore della banda, partecipa solamente alle prime rapine, che si concludono senza omicidi. Patteggia la pena di tre anni e otto mesi ed è attualmente un uomo libero, nonché destituito dalla Polizia di Stato[13].
Cronologia delle principali azioni criminali
In attività tra il 1987 e fino all'autunno del 1994, la banda commise 103 azioni delittuose,[15] provocando la morte di 24 persone ed il ferimento di altre 102.[16]
1987
La banda cominciò a compiere i suoi crimini dal 1987, dedicandosi nelle ore notturne alle rapine dei caselli autostradali lungo l'Autostrada A14. Il 19 giugno 1987 la banda mise a segno il primo colpo con una rapina al casello di Pesaro, consumata a bordo della Fiat Regata grigia di proprietà di Alberto Savi alla quale avevano apposto una targa falsa; il bottino ammontava a circa 1.300.000 lire.
Subito dopo il primo colpo la banda mise a segno 12 rapine ai caselli in circa 2 mesi.
Nell'ottobre 1987 organizzarono un tentativo di estorsione nei confronti di un autorivenditore riminese, Savino Grossi. I Savi inviarono una lettera a Grossi indicando la procedura per il pagamento. Il rivenditore fece finta di cedere al ricatto ma aveva già avvertito il commissariato di Rimini. Il 3 ottobre Savino Grossi si recò in autostrada con la sua autovettura nascondendo nel suo portabagagli un agente di Polizia, mentre altre autovetture del commissariato di Rimini lo seguivano a breve distanza.
A questa operazione partecipò l'ispettore Baglioni, colui che nel 1994 con le proprie indagini consentirà di scoprire i componenti della banda[17].
Grossi venne contattato dagli estorsori e si fermò nei pressi di un cavalcavia poco prima del casello di Cesena. Con l'intervento della Polizia, scaturì un conflitto a fuoco durante il quale rimase gravemente ferito il sovrintendente Antonio Mosca, che morirà il 29 luglio 1989 dopo un lungo periodo di sofferenza[18]. L'omicidio di Mosca è il primo della lunga serie che commetteranno i componenti della banda[19].
1988
Il 30 gennaio viene ucciso durante una rapina ad un supermercato Giampiero Picello, guardia giurata in servizio a Rimini[20].
Il 20 febbraio resta ucciso Carlo Beccari, anch'egli guardia giurata, in servizio a Casalecchio di Reno in un supermercato. Nella rapina al furgone portavalori rimase ferito anche Francesco Cataldi, collega di Beccari[21].
Il 20 aprile 1988, vengono uccisi due carabinieri, Cataldo Stasi e Umberto Erriu, mentre si trovavano in un parcheggio a Castel Maggiore, nei pressi di Bologna, dopo che gli stessi avevano fermato l'auto dei Savi[22][23]. Per questo omicidio sono stati accertati depistaggi da parte di un carabiniere[24][25].
1989
Nel 1989 viene ucciso durante una rapina ad un supermercato di Corticella Adolfino Alessandri, pensionato di 52 anni che si trovò ad essere testimone oculare della rapina e venne crivellato di colpi[26].
1990
Nel 1990 vengono complessivamente uccise 6 persone.
A Bologna in via Mazzini il 15 gennaio viene ferito gravemente Giancarlo Armorati, pensionato, durante una rapina ad un ufficio postale che causò altri 45 feriti. Morirà un anno dopo per le ferite riportate.
Il 6 ottobre venne ucciso Primo Zecchi, la cui colpa fu quella di annotare il numero di targa della macchina dei criminali[27][28].
Il 23 dicembre 1990 la banda apre il fuoco contro le roulotte che compongono il campo nomadi di Bologna in via Gobetti, provocando 2 vittime (Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina) e alcuni feriti[29].
Il 27 dicembre vengono uccise due persone a Bologna in due diversi episodi di violenza. Cade prima Luigi Pasqui, commerciante di 50 anni, ucciso durante una rapina ad un distributore di Castelmaggiore mentre tentava di dare l'allarme. Pochi minuti dopo uccidono a Trebbo di Reno Paride Pedini, che si era avvicinato alla Uno bianca appena abbandonata con le portiere aperte[30].
Il 1991 e la strage del Pilastro
Il 4 gennaio 1991 intorno alle 22, al Villaggio del Pilastro in Bologna, una pattuglia dell'Arma dei Carabinieri cadde sotto le pallottole del gruppo criminale[31]. La banda si trovava in quel luogo per caso, essendo diretta a San Lazzaro di Savena, in cerca di un'auto da rubare.
All'altezza delle Torri, in via Casini, l'auto della banda fu sorpassata dalla pattuglia dall'Arma. La manovra fu interpretata dai criminali come un tentativo di registrare i numeri di targa e pertanto decisero di liquidare i carabinieri.
Dopo averli affiancati, Roberto Savi esplose alcuni proiettili verso i militari, sul lato del conducente Otello Stefanini[32]. Nonostante le ferite gravi subite, il militare cercò di fuggire, ma andò a sbattere contro dei cassonetti della spazzatura. In breve tempo l'auto dei Carabinieri fu investita da una pioggia di proiettili[33]. Gli altri due militari, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, riuscirono a uscire dall'abitacolo e a rispondere al fuoco, ferendo tra l'altro Roberto Savi. La potenza delle armi utilizzate dalla banda però non lasciava speranze ed entrambi i carabinieri rimasero sull'asfalto. I tre furono finiti con un colpo alla nuca.
Il gruppo criminale si impossessò anche del foglio di servizio della pattuglia e si allontanò dal luogo del conflitto a fuoco. La Uno bianca coinvolta nel massacro fu abbandonata a San Lazzaro di Savena nel parcheggio di via Gramsci ed incendiata; uno dei sedili era sporco del sangue di Roberto Savi, rimasto lievemente ferito all'addome durante il conflitto a fuoco. Il fatto di sangue fu subito rivendicato dal gruppo terroristico "Falange Armata". Tale rivendicazione fu però ritenuta inattendibile, in quanto giunta dopo il comunicato dei mass media. La strage rimase impunita per circa quattro anni. Gli inquirenti seguirono delle piste sbagliate, che li portarono ad incriminare soggetti estranei alla vicenda. Il 20 giugno 1992, sulla base di false testimonianze, furono arrestati i due fratelli Santagata e Marco Medda, tutti pregiudicati e residenti nel quartiere del pilastro. Il 24 gennaio 1995 furono dichiarati estranei ai fatti dalla corte di Assise di Bologna.[34][35][36][37].
In seguito, saranno gli stessi assassini a confessare il delitto durante il processo[33].
Il 20 aprile venne ucciso a Borgo Panigale Claudio Bonfiglioli, benzinaio di 50 anni, vittima di una rapina[38].
Il 2 maggio, in un'armeria di Bologna, vengono uccisi Licia Ansaloni, titolare dell'esercizio, e Pietro Capolungo, carabiniere in pensione[39]. Durante questa rapina, una donna vede Roberto Savi fuori dall'armeria, e dopo la rapina fornisce un identikit agli investigatori. Quando viene mostrato al marito della Ansaloni, questi dichiara che potrebbe somigliare molto a Roberto Savi, suo cliente abituale, poliziotto di Bologna. Nessuno però tra gli investigatori, collega realmente Savi al fatto di sangue[40].
Il 19 giugno perde la vita a Cesena Graziano Mirri, benzinaio e padre di un poliziotto, ucciso davanti agli occhi della moglie durante una rapina nel suo distributore in viale Marconi[41][42].
Il 18 agosto vengono uccisi in un agguato a San Mauro Mare Ndiaj Malik e Babou Chejkh, due operai senegalesi, mentre un terzo, Madiaw Diaw, viene ferito. L'aggressione non è a scopo di rapina, o dovuta alla volontà di eliminare i testimoni di un reato, ma è motivata dalle convinzioni razziste dei membri della banda. Poco dopo il duplice omicidio, l'auto della banda taglia la strada ad una Fiat Ritmo con a bordo alcuni giovani, che inveiscono contro il guidatore della Uno bianca per la manovra azzardata. Dall'auto della banda vengono esplosi colpi di arma da fuoco contro le persone a bordo della Ritmo, che però rimangono illese.[43]
1992
Nel 1992 non si registrano omicidi, ma la banda si rende protagonista di 4 rapine in banca e una in un supermercato[44].
1993
Il 24 febbraio 1993 la banda si rese responsabile dell'omicidio di Massimiliano Valenti[42][45][46], un ragazzo di 21 anni che aveva osservato un cambio macchina della banda dopo una rapina in banca. La banda sequestrò il giovane e lo trasportò quindi in una zona isolata dove fu sottoposto ad una vera e propria esecuzione[47]. Il corpo di Massimiliano Valenti venne ritrovato in un fossato nel comune di Zola Predosa. Dall'esame autoptico effettuato sul suo volto emersero dei fori di proiettili sparati dall'alto verso il basso[48].
Il 7 ottobre viene ucciso a Riale Carlo Poli, elettrauto[49].
1994
Nel 1994 la banda intensificò la sua attività criminale verso gli istituti di credito, rapinandone complessivamente 9 durante l'anno[44].
Il 24 maggio del 1994, viene ucciso il direttore della Cassa di Risparmio di Pesaro Ubaldo Paci, freddato mentre stava aprendo la sua filiale alle otto e un quarto di mattina[50][51].
Le indagini
Agli inizi del 1994 il magistrato di Rimini Daniele Paci costituì un pool di investigatori per risolvere il caso, dopo 7 anni di omicidi e crimini ancora senza un colpevole reale, nonostante un grande numero di arresti nel corso degli anni precedenti, poi dimostratisi errati e fuorvianti.[1][52][53]
Il pool inizialmente non riuscì ad ottenere molto, solo la ricostruzione di un identikit di un bandito, registrato a volto scoperto durante la rapina in banca del 3 marzo 1994. Verso la metà del 1994 il pool dei magistrati riminesi fu sciolto e la direzione delle indagini consegnata ad un pool di magistrati a Roma.
Furono però due poliziotti, l'ispettore Luciano Baglioni e il sovrintendente Pietro Costanza, a seguire la pista giusta. I due poliziotti, facenti parte della Questura di Rimini, avevano collaborato con l'appena sciolto pool di magistrati riminesi. Chiesero alla procura che il lavoro del pool riminese non venisse perso ed avviarono delle indagini autonome, volte a scoprire i componenti della banda della Uno bianca[54].
Il procuratore di Rimini diede loro carta bianca, fu così che Baglioni e Costanza cominciarono a dedicarsi praticamente a tempo pieno alle loro indagini. Misero in atto appostamenti, ricerche, controlli agli istituti di credito rapinati e cercarono di capire le modalità operative della banda. Eseguirono un minuzioso lavoro di studio di ogni singolo delitto commesso dalla banda. Baglioni e Costanza iniziarono a sospettare che i componenti della banda potessero essere persone in seno alle forze dell'ordine, vista l'abilità dimostrata con le armi da fuoco, l'uso in diverse occasioni di armi non facilmente reperibili (ad esempio i fucili Beretta AR 70/90 di Roberto Savi), l'apparente inafferrabilità del gruppo, probabilmente dovuta ad una conoscenza del modus operandi delle forze dell'ordine, le tattiche usate nelle rapine e in casi come la strage del Pilastro, che ricordavano vere e proprie azioni militari, e diversi atteggiamenti tenuti nelle rapine e riferiti dai testimoni. Ciò avrebbe anche spiegato perché i criminali riuscissero sempre ad evitare le pattuglie e i posti di blocco delle forze dell'ordine, oltre che la loro probabile conoscenza di itinerari che permettessero rapide vie di fuga dopo ogni colpo. Baglioni e Costanza fecero poi una considerazione che si rivelerà fondamentale: i banditi conoscevano troppo bene le abitudini dei dipendenti delle banche assaltate; ciò significava che svolgevano una puntigliosa opera di documentazione e di controllo prima di compiere la rapina. Decisero quindi di comportarsi come loro, passando le loro giornate ad appostarsi davanti ad istituti di credito, ubicati nelle zone che i criminali preferivano colpire, in attesa di notare qualche persona sospetta.[3]
Il 3 novembre 1994 Fabio Savi commise un passo falso, eseguì un sopralluogo presso una banca a Santa Giustina nel riminese, davanti alla quale si trovavano appostati Baglioni e Costanza. Savi giunse sul posto con una Fiat Tipo bianca, che però esibiva una targa irriconoscibile per la sporcizia. Ciò destò la curiosità degli investigatori presenti sul posto, che confrontarono la fisionomia del conducente con quella rimasta impressa nei filmati ripresi nelle banche rapinate. Ne riscontrarono una vaga somiglianza e pertanto decisero di seguirlo. Fabio Savi li condusse infine presso la sua abitazione, a Torriana. Da questo momento le indagini subirono uno sviluppo sempre più nitido, fino ad acclarare le responsabilità dei criminali, a cominciare dall'arresto di Roberto Savi.[3]
I presunti rapporti coi servizi segreti italiani
In un'intervista (riportata nel programma televisivo Blu notte - Misteri italiani di Carlo Lucarelli), nella quale un giornalista insinuava che dietro la banda si celassero in realtà i servizi segreti, Fabio Savi, uno dei componenti della banda, negò affermando:
«Dietro la Uno bianca c'è soltanto la targa, i fanali e il paraurti. Basta. Non c'è nient'altro.»
In occasione dell'omicidio di Graziano Mirri, benzinaio e padre di un poliziotto, il senatore Libero Gualtieri denunciò la probabile implicazione di apparati dello stato nella vicenda della Banda della Uno Bianca. Secondo un TG dell'epoca: «La scelta di Cesena quale teatro dell'ultimo delitto può non essere casuale. A Cesena abita il senatore Libero Gualtieri, presidente della commissione stragi ora impegnato sulla vicenda Gladio. Nei giorni scorsi il senatore Gualtieri, prendendo in esame l'assalto criminale all'Emilia Romagna, ha richiamato analogie con l'azione di un gruppo terroristico che nel decennio passato ha provocato una trentina di vittime in Belgio. Risultarono schegge impazzite di organi dello stato sfuggite al controllo.»[56]
Le condanne
I componenti della banda sono stati tutti arrestati. I processi a carico di essa si sono conclusi il 6 marzo 1996 con la condanna a tre ergastoli per ciascuno dei fratelli Savi, un ergastolo a Marino Occhipinti, 28 anni di carcere per Pietro Gugliotta trasformati poi in 18.
Luca Vallicelli, componente minore della banda, patteggia una pena di 3 anni e 8 mesi.
Dopo 14 anni di reclusione, nell'agosto 2008, Pietro Gugliotta è stato messo in libertà grazie all'avvio dell'indulto e alla legge Gozzini.
Nell'ambito del processo alla banda, venne inoltre stabilito che lo Stato versasse ai parenti delle 24 vittime 19 miliardi di lire.[57]
Le richieste di Fabio Savi e lo sciopero della fame
Il 24 settembre 2009, Fabio Savi dopo circa un mese di sciopero della fame presso il carcere di Voghera, viene ricoverato all'ospedale della città per motivi clinici. La motivazione dello sciopero sarebbe la richiesta da parte di Savi di essere trasferito in un carcere più vicino alla sua famiglia e la possibilità di lavorare per provvedere alla stessa[58].
Il 4 gennaio 2010 viene trasferito nel carcere di massima sicurezza di Spoleto.
Nell'ottobre del 2014 chiede di poter usufruire a posteriori del rito abbreviato, che tramuterebbe l'ergastolo in trenta anni[59]. Richiesta che gli venne respinta il 3 dicembre 2014 dalla Corte d'Assise di Bologna.[60]
Il permesso premio per Marino Occhipinti
Il 30 marzo 2010, con un decreto motivato del tribunale di sorveglianza, Marino Occhipinti dopo 16 anni di detenzione usufruisce di un permesso premio di 5 ore per partecipare a una Via crucis a Sarmeola di Rubano, nel Padovano assieme ad altri detenuti e accompagnato da operatori sociali.[61] Il 9 gennaio 2012 viene posto in semilibertà dal Tribunale di Venezia.
La richiesta di scarcerazione da parte di Alberto Savi
Il 23 ottobre 2010 Alberto Savi chiede di poter uscire dopo 16 anni scontati in carcere[62].
Note
- ^ a b QUANTI ERRORI CON LA UNO BIANCA ... La Repubblica 21 aprile 1995
- ^ Dov'è la nostra tragedia? La Repubblica febbraio 2001
- ^ a b c Carlo Lucarelli, La banda della Uno Bianca, Rai, 21 novembre 2001. URL consultato il 22 maggio 2017.
- ^ Per incredibile decisione dei magistrati impegnati nelle indagini, nessuna verifica balistica fu mai disposta sulle armi repertate come insistentemente chiesto dall'allora vice-capo della Squadra Mobile di Bologna, Giovanni Preziosa.(considerazione a cura di Massimiliano Mazzanti op. cit. in bibliografia).
- ^ L'addio ad Aldo Gianni il questore della Uno bianca, Corriere della Sera, 13 gennaio 2005
- ^ Roberto Savi
- ^ Morte del padre
- ^ Uno bianca, Roberto Savi chiede la grazia Corriere della Sera 4 agosto 2006
- ^ Roberto Savi si risposa in carcere La Repubblica 1º ottobre 2008
- ^ «Iniziò per scherzo, finì con 24 delitti» Corriere della Sera 14 ottobre 2001
- ^ Uno bianca, l'avvocato di Alberto Savi: «Il dolore non l'ha mai abbandonato», 6 aprile 2017. URL consultato il 5 settembre 2017.
- ^ Uno bianca: Pietro Gugliotta torna libero per fine pena, su ansa.it, 25 luglio 2008. URL consultato il 27 luglio 2008.
- ^ a b " ma non ammanettatemi davanti ai miei " Corriere della Sera, 30 novembre 1994
- ^ Banda della Uno bianca, al killer vacanza premio nell'hotel di lusso. URL consultato il 5 novembre 2017.
- ^ Elenco delle azioni criminali
- ^ La Banda della «Uno bianca» implora il perdono Il Giornale 5 gennaio 2006
- ^ la banda della uno bianca 2ª parte - YouTube
- ^ Sovrintendente della Polizia di Stato Comm.to di Rimini (Oggi Questura)29 luglio 1989
- ^ Uno bianca in Romagna Altri tre ergastoli per i fratelli Savi Corriere della Sera 7 marzo 1996
- ^ " Fanne un altro di figlio " Corriere della Sera 21 novembre 1995
- ^ ASSALTO AL FURGONE CON UNA BOMBA RESTA UCCISA UNA GUARDIA GIURATA La Repubblica 20 febbraio 1988
- ^ Ferita mai chiusa per i familiari di Umberto Erriu L'Unione Sarda 24 febbraio 1995
- ^ Uno bianca vent' anni per un processo inutile La Repubblica 17 aprile 2008
- ^ Uno bianca: si indaga su un ex carabiniere Corriere della Sera 9 dicembre 1994
- ^ Bianca: un carabiniere aiutò a uccidere 2 colleghi? Corriere della Sera - ottobre 1996
- ^ «Uno bianca», storia maledetta anche in tv Corriere della Sera 4 febbraio 2001
- ^ 3 ottobre 2007 Intitolazione del Giardino della "Noce" a Primo Zecchi
- ^ Quelle "esecuzioni" della Uno bianca, in la Repubblica, 25 febbraio 1993. URL consultato il 21 ottobre 2009.
- ^ TERRORE NEL CAMPO - NOMADI ' CI DIFENDEREMO CON LE ARMI' La Repubblica 27 dicembre 1990
- ^ BOLOGNA NELLA MORSA DELLA VIOLENZA La Repubblica 28 dicembre 1990
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- ^ STEFANINI OTELLO Sito dei dell'Arma dei Carabinieri
- ^ a b http://www.rai.tv/mpplaymedia/0,,Raitre-BluNotte%5E17%5E174610,00.html
- ^ eccidio del Pilastro, strage di mafia Corriere della Sera settembre 1993
- ^ strage del Pilastro: sospettato un quarto uomo Corriere della Sera 13 maggio 1993
- ^ UNA FAMIGLIA DI KILLER PER LA STRAGE DEL PILASTRO ARRESTATO IL TERZO UOMO La Repubblica 10 settembre 1992
- ^ Pilastro, indagini e liti fra polizia e carabinieri Corriere della Sera - Giugno 1992
- ^ 'I KILLER VOGLIONO IMPAURIRE BOLOGNA' La Repubblica 23 aprile 1991
- ^ BANDE ASSASSINE CONTRO BOLOGNA La Repubblica 3 maggio 1991
- ^ La Banda della Uno Bianca La storia siamo noi-RaiTre
- ^ Luigi Spezia, I KILLER DI BOLOGNA UCCIDONO ANCORA, in La Repubblica, 21 giugno 1991. URL consultato il 6 maggio 2014.
- ^ a b Paola Cascella, UNA FIRMA PER QUEL DELITTO, in La Repubblica, 28 febbraio 1993. URL consultato il 6 maggio 2014.
- ^ TROVATE TRACCE DEI KILLER DI RIMINI La Repubblica 29 agosto 1991
- ^ a b Elenco azioni criminali della banda
- ^ QUELLE ESECUZIONI DELLA UNO BIANCA, in La Repubblica, 25 febbraio 1993.
- ^ l'omicidio di Bologna. ancora indizi verso la "Uno bianca" Corriere della Sera 27 febbraio 1993
- ^ TROPPE SPIETATE ANALOGIE A BOLOGNA TORNA L'INCUBO DELLA 'UNO BIANCA' La Repubblica 26 febbraio 1993
- ^ troppe spietate analogie a Bologna torna l'incubo della 'Uno bianca', in la Repubblica, 26 febbraio 1993. URL consultato il 21 ottobre 2009.
- ^ Uno Bianca, quattro ergastoli Corriere della Sera 1º giugno 1997
- ^ sparò il "lungo" della Uno bianca Corriere della Sera 27 maggio 1994
- ^ la banda della Uno bianca torna a colpire: ucciso un bancario Corriere della Sera maggio 1994
- ^ La Banda della Uno Bianca - La storia siamo noi
- ^ al Pilastro sparò la banda dei Savi (4 dicembre 1994) - Corriere della Sera
- ^ Resoconto stenografico della seduta n. 165 Legislatura 14º del 07/05/2002 della Camera dei Deputati della Repubblica Italiana
- ^ Blu notte - Misteri italiani a cura di Carlo Lucarelli, 4a stagione, 6a puntata.
- ^ MIRRI GRAZIANO di Cesena (ucciso dai banditi della UNO BIANCA) cronache tg, Youtube, 19 giugno 1991
- ^ Luigi Spezia, Banda della Uno bianca, lo Stato condannato a pagare 19 miliardi, in la Repubblica, 1º giugno 1997. URL consultato il 21 ottobre 2009.
- ^ Uno Bianca: Savi in sciopero della fame, "la mia famiglia non deve pagare"Corriere della Sera settembre 2009
- ^ Uno Bianca, Fabio Savi chiede lo sconto di penala Repubblica settembre 2009
- ^ Uno Bianca, niente sconto di pena per Fabio Savi
- ^ Il Resto Del Carlino - Bologna - Uno Bianca: permesso premio per Marino Occhipinti
- ^ Uno Bianca: Alberto Savi chiede perdono - Top News - ANSA.it
Bibliografia
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- Massimiliano Mazzanti. Uno Bianca - La banda di Roberto e Fabio Savi. Bologna, Lupo Edizioni, giugno 2008, ISBN 978-88-902343-6-1; ora Minerva Edizioni, Bologna, 2012.
- Sandro Provvisionato. Giustizieri sanguinari. I poliziotti della Uno bianca. Un altro mistero di Stato. Napoli, Pironti, 1995. ISBN 978-88-7937-145-2.
- Carlo Lucarelli. Misteri d'Italia. I casi di Blu notte. Torino, Einaudi, 2002. ISBN 88-06-15445-1.
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- Scuola di Giornalismo di Bologna. La banda della Uno bianca. Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, 2004.
- Antonella Beccaria, Uno bianca e trame nere. Cronaca di un periodo di terrore (PDF), Viterbo, Stampa Alternativa, 2007, ISBN 978-88-6222-006-4. URL consultato il 3 luglio 2010.
- Giovanni Spinosa. L'Italia della Uno Bianca, Chiarelettere, Milano, 2012. ISBN 978-88-6190-259-6
Filmografia
- Uno bianca -, regia di Michele Soavi (2001)
- Una mattina di novembre docu-fiction regia di Fabio Sabbioni, per FORMAT RAI 3 (MIXER DOCUMENTI, produttore esecutivo Brunella Lanaro); durata 34 minuti; 1997. Riprese: Michele Consolo; montaggio: Roberto Ferrari; organizzazione: Giulio Colli (Hirin produzioni). Film tratto dal volume "Baglioni e Costanza. Due investigatori di provincia contro la 'Banda della Uno bianca'", di Marco Melega.
Voci correlate
Collegamenti esterni
- Elenco delle vittime della banda della Uno bianca, su misteriditalia.it.
- Cronologia dei crimini compiuti (PDF), su misteriditalia.it.
- Le cifre terribili della Uno bianca (PDF), su misteriditalia.it.
- La Storia siamo noi - A Sangue freddo, la banda della Uno Bianca, su lastoriasiamonoi.rai.it.
- I poliziotti della "Uno bianca" Misteri d'Italia