Cesare Mori

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Cesare Mori (Pavia, 22 dicembre 1871 - Udine, 6 luglio, 1942) fu un prefetto prima e durante il fascismo e senatore del Regno. È passato alla storia col nome di Prefetto di Ferro.

Infanzia e giovinezza

Cresciuto in un orfanotrofio, fu riconosciuto dai suoi genitori naturali nell'ottobre del 1879. Studiò presso l'Accademia Militare di Torino, ma avendo sposato una ragazza, Angelina Salvi, che non disponeva della dote richiesta dai regolamenti militari dell'epoca, dovette dimettersi. Passò quindi in Polizia, operando prima a Ravenna, poi, nel 1904, a Castelvetrano, in provincia di Trapani.

Le prime esperienze in Sicilia

Mori cominciò subito ad agire energicamente, usando quegli stessi metodi decisi, inflessibili e poco ortodossi che riprenderà - con un'autorità ed una libertà di azione incomparabilmente superiori - molti anni dopo in tutta la Sicilia. Compì numerosi arresti e sfuggì a vari attentati.

Scrisse il Procuratore Generale di Palermo:

«Finalmente abbiamo a Trapani un uomo che non esita a colpire la mafia dovunque essa si alligni. Peccato, purtroppo, che vi siano sempre i cosiddetti "deputati della rapina" contro di lui...»

Mori fu quindi trasferito a Firenze nel gennaio del 1915, con la carica di vicequestore. In seguito ad un inasprimento della situazione in Sicilia, coincidente con l'inizio della guerra, vi fu rimandato al comando di squadre speciali mirate ad una campagna contro il brigantaggio. Nel corso dei suoi rastrellamenti, Mori si distinse ancora una volta per i suoi metodi energici e radicali. A Caltabellotta, in una sola notte, fece arrestare più di 300 persone[1]; nel complesso, ottenne risultati molto positivi. Quando i giornali parlarono di "Colpo mortale alla mafia", Mori dichiarò ad un suo collaboratore:[2]

«Costoro non hanno ancora capito che i briganti e la mafia sono due cose diverse. Noi abbiamo colpito i primi che, indubbiamente, rappresentano l'aspetto più vistoso della malvivenza siciliana, ma non il più pericoloso. Il vero colpo mortale alla mafia lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d'india, ma negli ambulacri delle prefetture, delle questure, dei grandi palazzi padronali e, perché no, di qualche ministero.»

Promosso e decorato con medaglia d'argento al valore militare, Mori passò successivamente a Torino come questore, poi a Roma e a Bologna.

Bologna e lo squadrismo fascista

Nel 1922, con la carica di prefetto di Bologna, Cesare Mori fu - da ligio servitore dello Stato deciso ad applicare la legge in modo inflessibile - tra i pochi membri delle forze dell'ordine ad opporsi allo squadrismo dei fascisti.

L' escalation della tensione politica avvenne in seguito al ferimento di Guido Oggioni, fascista e vicecomandante della "Sempre Pronti", mentre tornava da una spedizione punitiva contro i "rossi", e all'uccisione di Celestino Cavedoni, segretario del Fascio. Mori si oppose alle rappresaglie violente e alle spedizioni punitive dei fascisti, inviando contro di loro la polizia, e fu per questo ampiamente contestato. Ad un ufficiale che gli confessava di supportare la "gioventù nazionale" di Mussolini, Mori avrebbe risposto equiparando i fascisti ai "rossi"[3] :

«Gioventù nazionale un corno! Quelli sono dei sovversivi come gli altri.»

A causa di questi precedenti, con l'ascesa al potere del Fascismo Mori cadde in disgrazia e fu dispensato dal servizio attivo. Si ritirò in pensione nel 1922 a Firenze, assieme alla moglie.

La lotta alla Mafia

Per la sua fama di uomo energico e di uomo non-siciliano (non in contatto con la mafia locale) ma conoscitore della Sicilia, fu richiamato in servizio all'inizio di giugno del 1924 dal ministro dell'Interno Federzoni ed inviato come prefetto a Trapani, Sicilia, dove arrivò il 2 giugno 1924 e dove rimase fino al 12 ottobre 1925. Come primo provvedimento ritira subito tutti i permessi d'armi, e nel gennaio 1925 nomina una commissione provinciale che provvede ai nullaosta che rende obbligatori per il campieraggio e la guardiania, attività tradizionalmente controllate dalla mafia.

Dopo l'ottimo lavoro a Trapani, su ordine di Benito Mussolini fu nominato prefetto di Palermo, con poteri straordinari su tutta l'isola, con l'incarico di sradicare la mafia con qualsiasi mezzo. Si insediò quindi a Palermo il 22 ottobre dello stesso anno e vi rimase fino al 1929. Questo il testo del telegramma inviatogli da Mussolini:

«...vostra Eccellenza ha carta bianca, l'autorità dello Stato deve essere assolutamente, ripeto assolutamente ristabilita in Sicilia. Se le leggi attualmente in vigore la ostacoleranno, non costituirà problema, noi faremo nuove leggi...»

Qui attuò una durissima repressione verso la malavita e la mafia, colpendo anche bande di briganti e signorotti locali. Il 1° gennaio 1926 compì quella che è probabilmente la sua più famosa azione, e cioè l'occupazione di Gangi, paese roccaforte di numerosi gruppi criminali. Con numerosi uomini dei Carabinieri e della Polizia passò quindi al rastrellamento del paese casa per casa, arrestando banditi, mafiosi e latitanti vari. I metodi attuati durante quest'azione furono particolarmente duri e Mori non esitò ad usare donne e bambini come ostaggi per costringere i malavitosi ad arrendersi. Fu proprio per la durezza dei metodi utilizzati che venne soprannominato Prefetto di Ferro.

Con metodi più o meno simili, che ricordavano molto la cosiddetta "lotta al brigantaggio" post-risorgimentale, Mori continuò la sua azione per tutto il biennio 1926-27. Anche nei tribunali le condanne per i mafiosi cominciarono a essere durissime. Ben presto però le sue indagini cominciarono a svelare i rapporti esistenti tra mafiosi e uomini del vecchio Stato risorgimentale, ed entrò anche in conflitto con l'elemento di maggior spicco del nuovo fascismo palermitano, Alfredo Cucco, che riuscì a fare espellere dal partito, e quindi dalla vita pubblica, nel 1927. Nel 1929 Mori fu collocato a riposo per anzianità di servizio e il 16 giugno fu nominato senatore del Regno su proposta di Mussolini, mentre per tutta Italia la propaganda dichiarava orgogliosa che la mafia era stata sconfitta.

Risultati dell'azione di Mori

Ancora oggi si discute sui metodi impiegati da Mori nella sua lotta al fenomeno mafioso. È indubbio che la sua azione fu vigorosa ed efficace: ebbe la fama di personaggio scomodo per la sua capacità di colpire molto in alto, senza curarsi dell'opposizione di molti fascisti della prima ora. Alla fine degli anni venti, il "prefetto di ferro" era un personaggio estremamente noto ed alcune sue imprese, che la macchina propagandistica del regime copriva di consensi plebiscitari, erano giunte a rasentare la popolarità di Mussolini. Cesare Mori non si fece problemi nemmeno a perseguire (con il consenso del Duce) sia l'uomo più in vista del fascismo in Sicilia, Alfredo Cucco, sia l'ex ministro della Guerra, il potente generale Antonino Di Giorgio.

I cardini principali dell'azione di Mori - forte della carta bianca che gli era stata attribuita, e assistito da uomini quali il nuovo Procuratore Generale di Palermo da lui nominato, Luigi Giampietro, e il delegato calabrese Francesco Spanò - furono:

  • Cogliere un primo importante successo con un'operazione in grande stile per riaffermare l'Autorità dello Stato e dare un segnale forte (l'occupazione di Gangi).
  • Riottenere l'appoggio della popolazione impegnandola direttamente nella lotta alla mafia.
  • Creare un ambiente culturalmente ostile alla mafia, combattendo l'omertà e curando l'educazione dei giovani e stimolando la ribellione contro la mafia
  • Combattere la mafia nella consistenza patrimoniale e nella rete di interessi economici.
  • Ripristinare il normale funzionamento e sviluppo delle attività produttive della Sicilia
  • Condannare con pene severe e implacabili i criminali sconfiggendo il clima di impunità.

La sua strategia si basava anche sul seguente schema: i mafiosi appartenevano essenzialmente al ceto medio rurale (gabelloti, campieri, guardiani e sovrastanti) e tenevano in soggezione sia i grandi proprietari, sia i ceti più poveri. Eliminato il "ceto medio mafioso", i latifondisti si sarebbero liberati del doppio ruolo di vittime dei mafiosi e, al tempo stesso, di bersagli della rabbia popolare che li vedeva in combutta con la mafia.

L'azione di Mori si rivelò in tutta la sua clamorosa efficacia sin dal primo anno: nella sola provincia di Palermo gli omicidi scesero da 268 nel 1925 a 77 nel 1926, le rapine da 298 a 46, e anche altri crimini diminuirono drasticamente.[4]

Pentiti mafiosi hanno riconosciuto il grave stato di difficoltà nella mafia dopo quegli anni. [5]

Mori non si occupò solo degli strati più bassi della mafia, ma anche delle sue connessioni con la politica - sciogliendo, tra l'altro, il Fascio di Palermo ed espellendo Cucco, che pure era membro del Gran Consiglio del Fascismo.

Dopo il suo congedo, vi fu ben presto una recrudescenza del fenomeno mafioso in Sicilia. Come scrisse nel 1931 un avvocato siciliano in una lettera indirizzata a Mori:[6]

«Ora in Sicilia si ammazza e si ruba allegramente come prima. Quasi tutti i capi mafia sono tornati a casa per condono dal confino e dalle galere...»

In realtà i vertici della mafia avevano piegato il capo sotto la repressione, e colsero l'occasione della sbarco degli Alleati in Sicilia, per rialzare la testa, con gli Americani che spesso li misero ai vertici delle amministrazioni locali siciliane, come sicuri antifascisti.

Ultimi anni

Come senatore continuò a occuparsi dei problemi della Sicilia, sui quali seguitò a rimanere ben informato, ma ormai senza potere effettivo e sostanzialmente emarginato ("La misura del valore di un uomo è data dal vuoto che gli si fa dintorno nel momento della sventura" scrisse l'ex prefetto).

La sua abitudine di sollevare il problema della mafia era vista con fastidio dalle autorità fasciste, tanto che fu invitato a "non parlare più di una vergogna che il fascismo ha cancellato".[7] Mori scrisse le sue memorie nel 1932 e il suo libro più famoso fu Con la mafia ai ferri corti (ripubblicato nel 1993 dall'editore Pagano di Napoli).

Si ritirò infine a Udine dove mori nel 1942, dimenticato da tutti, in un'Italia ormai avviata verso i drammi della Seconda guerra mondiale.

È sepolto nel Cimitero di Pavia.

Mori nella letteratura e nel cinema

Note

  1. ^ Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, Mondadori, 1975.
  2. ^ Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, Mondadori, 1975.
  3. ^ Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, Mondadori, 1975.
  4. ^ Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, Mondadori, 1975.
  5. ^ Pino Arlacchi, Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone, Mondadori, 1992.
  6. ^ Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, Mondadori, 1975.
  7. ^ Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro, Mondadori, 1975.

Bibliografia

  • Arrigo Petacco, Il prefetto di ferro. L'uomo di Mussolini che mise in ginocchio la mafia, Milano, Mondadori, 1975.
  • Pino Arlacchi, Gli uomini del disonore. La mafia siciliana nella vita del grande pentito Antonino Calderone, Milano, Mondadori, 1992.
  • Giuseppe Tricoli, Il fascismo e la lotta contro la mafia, Palermo, ISSPE, 1986
  • Cesare Mori, Con la mafia ai ferri corti, Milano, Mondadori, 1932
  • Matteo Di Figlia, Alfredo Cucco, storia di un federale, Palermo, Mediterranea, 2007

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