Disease mongering: differenze tra le versioni

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Uno studio di tipo [[metanalisi]] della [[Cochrane Collaboration|Cochrane]] pubblicato nel 2006 sostiene l'inutilità dello screening di massa del [[tumore alla mammella
Uno studio di tipo [[metanalisi]] della [[Cochrane Collaboration|Cochrane]] pubblicato nel 2006 sostiene l'inutilità dello screening di massa del [[tumore alla mammella
]] nella donna, non avendo esso dimostrato un'utilità sulla sopravvivenza su una popolazione di mezzo milione di donne popolazione.<ref name="pmid11687128">{{cite journal | author = Olsen O, Gøtzsche PC | title = Screening for breast cancer with mammography | journal = Cochrane Database Syst Rev | volume = | issue = 4 | pages = CD001877 | year = 2001 | id = PMID 11687128 | doi = 10.1002/14651858.CD001877 | url = | issn = | accessdate = 2015-08-26}}</ref>
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*«Una stima ragionevole è che con lo screening si ottiene una riduzione del 15% corrispondente ad una riduzione del rischio assoluto di 0,05%.»
*« Lo screening ha portato al 30% di sovradiagnosi e conseguenti sovratrattamenti, con un aumento del rischio assoluto di questi del 0,5%. »
* «Ogni 2000 donne invitate allo screening durante i 10 anni, ... a 10 donne sane, cui non sarebbe stato diagnosticato il tumore se non ci fosse stato lo screening, saranno state trattate inutilmente.»
*«Inoltre, più di 200 donne sperimenteranno importante disagio psicologico per molti mesi a causa di risultati falsamente positivi. »
*«Non è quindi chiaro se lo screening fa più bene che male. »
*«Per garantire che le donne siano pienamente informati sia benefici che rischi prima di decidere o meno di frequentare lo screening, abbiamo scritto un volantino evidence-based per i laici che è disponibile in diverse lingue su www.cochrane.dk.»
L'indagine ha considerato un panel di circa 600 000 donne in un arco temporale di 13 anni.

Successivamente Gøtzsche PC e Jørgensen KJ. del Nordic Cochrane Centre, Rigshospitalet, di Copenhagen scrivono:<ref name="pmid23737396">{{cite journal | author = Gøtzsche PC, Jørgensen KJ | title = Screening for breast cancer with mammography | journal = Cochrane Database Syst Rev | volume = 6 | issue = | pages = CD001877 | year = 2013 | id = PMID 23737396 | doi = 10.1002/14651858.CD001877.pub5 | url = | issn = | accessdate = 2015-08-26}}</ref>

Lo screening del tumore al seno, con una riduzione della mortalità del 15% ma con una sovra diagnosi e sovratrattamento de 30% si traduce nel fatto che nell'arco di 10 anni avremo ridotto la possibilità di un tumore al seno a 10 donne. Ma più di 200 donne avranno uno stress psicologico ed un ansia importante con uno stato di incertezza protratto per anni a causa di un risultato dello screening falsamente positivo.
Inoltre: {{quote | Recenti studi osservazionali mostrano più sovradiagnosi che nelle prove e molto poca o nessuna riduzione dell'incidenza dei tumori avanzati con lo screening.|Gøtzsche PC e Jørgensen KJ. del Nordic Cochrane Centre, Rigshospitalet, di Copenhagen<ref name="pmid23737396"/>}}


=== Prevenzione del cancro del colon ===
=== Prevenzione del cancro del colon ===

Versione delle 09:43, 26 ago 2015

Copertina di una collezione di articoli sull'argomento pubblicati sul Public Library of Science - Medicine [[1]

«Il nostro sogno è produrre farmaci per le persone sane. Questo ci permetterebbe di vendere a chiunque.»

L'espressione disease-mongering o Corporate disease mongering[3] o traslando commercialization of disease[4] '[5] (in italiano: mercificazione della malattia o commercializzazione della malattia), indica l'utilizzo di particolari strategie di marketing, finalizzate all'introduzione di un protocollo terapeutico o nuove procedure diagnostico/terapeutiche o di un farmaco già pronto o prossimo all'immissione in commercio. Ciò attraverso una opportuna campagna di sensibilizzazione finalizzata all'introduzione di quadri clinici non strettamente patologici, per indurre il consumatore e/o paziente alla ricerca di una soluzione alle sue "presunte" malattie, che lo rendono comunque sofferente, allo scopo di generare nuovi mercati di potenziali pazienti.[3]

I soggetti che normalmente beneficiano dall'utilizzo di queste strategie sono le aziende farmaceutiche, i medici e le loro organizzazioni professionali e quelle dei consumatori, gli oggetti di queste strategie sono i consumatori, gruppi particolari di pazienti o intere classi sociali.

Questo fenomeno ha fatto sorgere la necessità di istituzionalizzare una forma di prevenzione chiamata prevenzione quaternaria, termine coniato da Jamoulle, al fine di prevenire e ridurre le conseguenze del disease mongering.[4]

Esso può essere definito come:

«"azione intrapresa per identificare pazienti a rischio di overmedicalization, per proteggerlo da nuova invasione medica e suggerirgli interventi, che sono eticamente accettabili", questo concetto è ormai accettato in varie branche della medicina.»

Cenni storici

Il concetto di malattia è un concetto molto scivoloso.[7]

«Con il termine "non-malattia" si intende "un processo umano o un problema che alcuni hanno definito come una condizione medica, ma in cui le persone possono avere risultati migliori se il problema o il processo non viene definito in questo modo.»

Senza con ciò dire che la sofferenza delle persone che soffrono di queste "non-malattie" non sia realmente autentica, ma solamente che le stesse persone soffrono più di quanto non soffrirebbero per malattie realmente riconosciute come tali.[7] Gli autori di queste affermazioni in una indagine condotta su 570 persone nel 2002, ha rilevato che vi sono 200 condizioni umane ritenute patologie, ma molte di queste sono condizioni fisiologiche e non patologiche secondo l'accezione medica (di seguito l'elenco delle prima 20 individuate):[7]

  • Orecchie grandi (a sventola)
  • Canizie
  • Bruttezza
  • Parto
  • Allergia al 21 ° secolo
  • Jet lag
  • Infelicità

«Alcune di queste non-malattie già appaiono in classifiche ufficiali di malattia, e alcune che attualmente (N.d.T. 2002) non sono ufficialmente tali forse lo saranno presto.»

La prima volta che questo termine è stato usato fu nel 1992, quando lo scrittore Lynn Payer lo usò, per la campagna del colluttorio contro l'alitosi (alito cattivo) Listerine della Johnson & Johnson.[8] Secondo lo scrittore le metodiche comuni a tutte queste pratiche di disease mongering prevedono:

  1. Affermare che normali esperienze umane sono anormali e quindi bisognose di cure.
  2. Riconoscere una sofferenza che spesso non è presente.
  3. Ricondurre la definizione di malattia come presente nel più ampio numero di persone possibile.
  4. Ricondurre le causa di una malattie ad una qualche vaga carenza o ambiguo squilibrio ormonale.
  5. Creare opportune campagne di pubbliche relazioni associate ad una malattia.
  6. Dirigere l'elaborazione di discussione pubblica per una determinata malattia.
  7. Abusare intenzionalmente di statistiche prodotte per esagerare i benefici del trattamento.
  8. Proporre end point clinici scientificamente oggetto di dubbi nel campo della ricerca medica.
  9. Produrre campagne pubblicitarie che suggeriscono un trattamento senza effetti collaterali (o gravi effetti collaterali).
  10. Suggerire con la pubblicità la presenza di un sintomo normalmente comune come una malattia grave.

L'alitosi, la condizione che ha indotto Payer a coniare l'espressione "disease mongering", non è semplicemente un stigma sociale immaginato, ma può derivare da un ampio spettro di condizioni mediche, condizioni che vanno da un'infezione batterica del gengive ad una insufficienza renale. Questa condizione oggi è riconosciuta dal consiglio scientifico della American Dental Association come "una condizione riconoscibile che merita attenzione professionale".[9] In altri termini l'automedicazione con un colluttorio può nascondere la presenza di gravi patologie delle quali l'alitosi è un sintomo riconoscibile (patognomonico) per il medico.

Il giornalista scientifico Ray Moynihan[10][11] sottolinea come fattore aggravante è la sempre maggiore consapevolezza del consumatore verso la propria salute, consumatore che è diventato più attivo, più informato sui rischi e benefici ed ha meno fiducia dell'autorità medica, essendo per altro meno disponibile ad accettare passivamente il potere del medico sul proprio corpo. Questa erosione della fiducia del parere medico rafforza la necessità di vasto controllo pubblico sul ruolo di indirizzo che l'industria ha in questi processi.[12]

Egli individua quattro aspetti cruciali per comprendere il disease mongering:

«Alcune forme di "medicalizzazione" possono ora essere meglio descritte come "disease mongering", questo si fa per espandere i confini della malattia curabile e conseguentemente espandere i mercati per nuovi prodotti.
Le alleanze tra l'industrie farmaceutiche, i medici e i gruppi di pazienti sono finalizzate ad utilizzare i media per inquadrare le condizioni mediche come fenomeni diffusi e gravi.
Il disease mongering può trasformare disturbi ordinari in problemi medici, facendo vedere sintomi lievi come gravi; oppure vedendo dei potenziali rischi come malattie.
Le informazioni sulla malattia finanziate da aziende dovrebbero essere sostituite da informazioni indipendenti.»

Conflitto d'interessi privato/pubblico

Approfittando delle politiche di deregolamentazione, post-1980, l'industria farmaceutica ha cominciatoa programmare una pipeline di farmaci orientata a farmaci che sono utili nel miglioramento del cosiddetto lifestile (stile di vita), e il conseguentemente anche il marketing verso una sempre maggiore pubblicità rivolta ai consumatori e non solo o soltanto rivolta, come prima accadeva, alla classe medica. I giornalisti giocano un ruolo chiave nel «stuzzicare l'appetito» del pubblico verso quelle le notizie mediche facendo da cassa di risonanza ad ogni nuova scoperta e ai suoi trattamenti.[13]

Da tempo si osserva il tentativo in Europa, e non solamente, di deregolamentare la pubblicità dei farmaci in modo simile agli Stati Uniti.[14][15]

L'industria farmaceutica si difende sotto questa affermazione di principio:

«L'industria lavora per sviluppare farmaci, non le malattie.»

Ruolo della stampa medica

Va considerato preliminarmente che in diversi paesi al mondo, contrariamente all'Italia, è possibile fare direttamente pubblicità ai farmaci attraverso i mass media.

Ricercatori Francesi nel 1990 hanno rilevato che solo in 41 su 141 annunci, pubblicati su riviste mediche e paramediche volte a personale sanitario nell'Africa francofona, le indicazioni erano assenti in 5 (3,5%), e in 42 (29,8%) la pubblicità era esagerata. Gli effetti collaterali non sono stati menzionati affatto in 37 (26,2%); allo stesso modo, le controindicazioni erano assenti da 30 (21,3%), ed incomplete in 19 (13,5%). Gli autori della ricerca concludono sostenendo che: «è chiaro che le aziende farmaceutiche non sempre seguono un codice di comportamento etico e che spesso sfruttano la mancanza di controlli efficaci nei paesi in via di sviluppo».[17]

Negli USA la FDA ha regolamenta la pubblicità sui farmaci; ricercatori della UCLA hanno studiato, nel 1992, le pubblicità farmaceutiche attraverso la stampa valutandone la conformità di tali annunci pubblicitari alle norme vigenti Food and Drug Administration (FDA). Essi hanno rilevato che nel 30% dei casi, due o più revisori sono in disaccordo con l'affermazione delle aziende farmaceutiche inserzioniste quando sostengono che il farmaco è da ritenere il "farmaco di scelta." Nei titoli degli annunci pubblicitari il 32% di questi inducono in errore il lettore circa efficacia. Inoltre, nel 44% dei casi, i revisori hanno ritenuto che la pubblicità porterebbe ad una prescrizione impropria di un farmaco, se un medico non avesse altre informazioni diverse rispetto quelle contenute nel messaggio pubblicitario. Infine, i revisori della ricerca non avrebbero assolutamente raccomandato la pubblicazione del 28% degli annunci pubblicitari e gli stessi avrebbero richiesto importanti revisioni nel 34% delle affermazioni fatte, prima della pubblicazione.[18]

Una valutazione delle pubblicità di farmaci pubblicati in riviste mediche da tre revisori indipendenti ha raggiunto la conclusione che, basandosi esclusivamente sulle informazioni presentate, in queste pubblicità di farmaci è possibile arrivare ad avere prescrizioni inappropriate nel 44% dei casi.[19]

Villanueva et al. hanno valutato che le notizie riguardanti gli ipolipemizzanti e i farmaci antipertensivi, pubblicati in riviste mediche spagnole, sono per il 44% delle dichiarazioni promozionali, perchè prive di citazione scientifica a sostegno della stesse.[20]

Una ricerca condotta negli USA su 69 riviste psichiatriche, ha valutato la reperibilità delle fonti, rispetto le affermazioni fatte. In quest'indagine del 2008 condotta presso il Dipartimento di Psicologia della Metropolitan State University, St. Paul, Minnesota si è constatato che poco più della metà delle affermazioni pubblicitarie (50,2%) ha fornito una qualche fonte raggiungibile da poter essere utilizzata per verificare la veridicità dell'affermazione. Quando le fonti sono state trovate queste hanno sostenuto correttamente le affermazioni citate nel 65% delle volte (95% CI: 61,0-69,1). Mentre le affermazioni riguardanti l'efficacia dei farmaci sono stati sostenute da fonti solo nel 53,2% dei casi (95% CI: 46,2-60,2). Il tentativi di ottenere dati citati dagli archivi delle aziende farmaceutiche raramente hanno raramente successo. Gli autori della ricerca concludono sostenendo che «una maggiore regolamentazione di tale pubblicità è giustificata.»[21]

A Basilea in Svizzera una ricerca ha indicato che il 53% di tutte le affermazioni fatte dalla industrie farmaceutiche, pubblicate in importanti riviste scientifiche, non sono supportate dagli studi di riferimento o quando presenti sono citati sulla base di informazioni potenzialmente di parte. Gli autori dello studio concludono sostenendo che« i medici non dovrebbero fidarsi delle affermazioni di farmaci pubblicitarie, anche quando sembrano fare riferimento a studi scientifici.»[22]

Ruolo di Big Pharma

Da rilevare come alcuni di queste condizione sopraindicate, si siano negli anni via via medicalizzate sempre di più grazie all'offerta di nuovi trattamenti farmacologici, chirurgici (chirurgia estetica e nuove tecniche di chirurgia mininvasiva) e altro.

In questo un ruolo decisivo ha avuto la grande industria farmaceutica mondiale (Big Pharma), infatti,

«L'aumento di contatti segnalato tra i medici e l'industria farmaceutica, anche se non esistono dati in letteratura per quanto riguarda i potenziali conflitti di interessi finanziari per gli autori di linee guida di pratica clinica (CPG). Queste interazioni possono essere particolarmente rilevanti poiché (le Linee Guida) CPGs sono progettate per influenzare la pratica di un gran numero di medici.
...
L'80% degli autori aveva una qualche forma di interazione con l'industria farmaceutica.»

Tipicamente big pharma agisce negli approcci di marketing secondo alcune procedure definite che sono causa di desease mongering. Tra queste secondo Ray Moynihan:[12]

  1. La calvizie, che è un fenomeno fisiologico, o al più un disturbo comune, trattato come problema medico.
  2. La sindrome dell'intestino irritabile che è un sintomologia solitamente lieve, trattata come malattia grave.
  3. La fobia sociale che è un problema personale o sociale trattato come situazione medica.
  4. L'osteoporosi concettualizzata come un rischio di malattia.
  5. Stime di prevalenza di una malattia per massimizzarne le dimensioni come problema di salute: ne è un esempio la disfunzione erettile.

Calvizie

Scala di hamilton per la calvizie

A tal proposito, a titolo di esempio, si può ricordare il ruolo assunto dalla Upjohn per la calvizie con il Minoxidil; infatti, una semplice ricerca su Pubmed indica un'esplosione della produzione scientifica riferita all'uso del minoxidil nella calvizie a partire degli anni 80, in concomitanza delle scoperte riguardanti il potenziale terapeutico di questo principio attivo nella alopecia androgenetica.[24]

Il progressivo scemare della produzione scientifica sul minoxidil a partire dal 1987, si può spiegare, a conferma di quanto prima detto, con la perdita di interesse da parte della stessa Upjohn per la scadenza internazionale del brevetto del minoxidil (brevetto N° US 3,461,461);[25] e con la successiva genericazione del farmaco, causa di un calo importante dei profitti per la multinazionale americana e quindi il conseguente abbandono dell'interesse della stessa per la ricerca sulla calvizie.

Successivamente con l'utilizzo della finasteride nella calvizie si è assistito ad un aumento sui media (N.d.t. in Australia) del messaggio:[12]

«L'azienda sostiene che gli uomini hanno il legittimo diritto di essere messo al corrente delle opzioni scientificamente dimostrate capaci di fermare la perdita di capelli ... .»

Ciò con l'evidente e palese intento di sollevare l'interesse dei calvi verso le possibili opzioni terapeutiche, pur senza agire direttamente con la pubblicità su di essi, ma sfruttando il canale medico come fattore sensibilizzante i possibili consumatori.[27]

Disordine ipoattivo del desiderio sessuale

Un altro caso di diesease mongering è legato all'uso del Flibanserin nel Disordine ipoattivo del desiderio sessuale (HDSS) delle donne in premenopausa/menopausa.[28] Circostanza che ha messo in evidenza come le lobby del pharma possono in qualche modo influenzare anche la potente FDA.[29][30][31][32][33]

«La creazione e la promozione di "disfunzione sessuale femminile" FSD (Female sexual Disease) è un caso da manuale di disease mongering da parte dell'industria farmaceutica e da altri agenti di medicalizzazione, come i giornalisti della salute e della scienza, gli operatori sanitari, agenzie di relazioni pubbliche e imprese di pubblicità, organizzazioni di ricerca a contratto, e gli altri soggetti dell'industria della medicalizzazione

La medicalizzazione della sessualità ha inizio a partire dagli anni 1970, quando si cominciò per la prima volta a veder l'apprendimento e l'educazione come chiavi per la soddisfazione sessuale. Dal 1980 la natura delle ricerche sul sesso e le sue competenze hanno cominciato a spostarsi verso una nuova "medicina sessuale" grazie al crescente interesse della classe medica e grazie anche alle nuove tecnologie diagnostiche in ambito urologico e sopratutto all'interesse dell'industria farmaceutica.[13]

La storia di questo disturbo ha un inizio nel maggio 1997 quando a Cape Cod in una conferenza, sponsorizzata da aziende farmaceutiche, dal tema: "Funzione sessuale: valutazione negli studi clinici", ha inizio il percorso storico del disturbo, così come oggi esso è inteso.[34]

La Pfizer, è stata il principale promotore della FSD 1997-2004, quando era in corso il suo tentativo di avere approvato il Viagra per il trattamento del disturbo sessuale femminile dell'eccitazione; tentativo poi fallito per gli scarsi risultati trial clinici con il sildenafil nell'indicazione.[13]

Il direttore del Kinsey Institute, ha detto al BMJ:

«"La storia recente dello studio di disfunzione sessuale femminile è un classico esempio di partenza da un qualche preconcetto, e non basata sull'evidenza; la categorizzazione diagnostica disfunzioni sessuali delle donne, sulla base del modello maschile, richiede quindi ulteriori ricerche per basarsi su tale ipotesi.»

Un altro momento segno distintivo della storia FSD, è lo sviluppo di un cerotto a base di testosterone per il trattamento del desiderio sessuale ipoattivo, cerotto mai approvato dalla FDA per questa indicazione per mancanza di dati sulla sicurezza a lungo termine. Nel 2004 da disturbo dell'eccitazione sessuale femminile diventa desiderio sessuale ipoattivo rendendo così l'uso del testosterone legato alla patologia. Jan Shifren stima che un quinto di tutte le prescrizioni di prodotti a base di testosterone nell'uso approvato per gli uomini sono effettivamente scritti (off-label) per le donne.[35]

Disfunzione erettile

Sileno e il caprone - kyathos attico a figure nere

Nell'indagine del BMJ del 2002, queste due condizioni sono individuate al XVII posto, alla più generica circostanza: ansia per le dimensioni del pene e/o invidia del pene. Sia il sildenafil e i suoi derivati (inibitori delle fosfodieterasi) nella disfunzione erettile, che nel caso della eiaculazione precoce la Dapoxetina, sono esempi di riuscite campagne di marketing riconducibili nel disease mongering; in un contesto medico che riguarda la sfera sessuale.

In tutti questi casi si tratta di molecole che rispondono ad ampi bisogni di "salute" da parte della popolazione maschile. Ritenere, però, che il sildenafil (Viagra) e i suoi simili, siano usati solamente secondo i precisi e rigidi criteri medici di trattamento della disfunzione erettile, contrasta con una ormai rilevante letteratura scientifica sull'uso ricreazionale degli inibitori della fosfodiesterasi-5.[36][37][38]

La creazione dell'entità "disfunzione erettile", come un disturbo medico grave, diffuso, e curabile si è sviluppato con l'introduzione del Viagra. Infatti, esso è stato lanciato nel 1998 con una campagna di pubbliche relazioni a livello mondiale senza precedenti, come Joel Lexchin descrive in un numero di PLoS Medicine.[13][39]

Le ricerche mediche sul testosterone nel trattamento della disfunzione erettile e sullinvecchiamento sono un altro possibile caso di disease mongering.[40]

Negli USA, in Canada e in Nuova Zelanda dopo il 2010 si è avuto un aumento esplosivo delle vendite di testosterone nell'⋅invecchiamento e nei problemi correlati. I farmaci a base di testosterone sono stati studiati e approvati nelle forme di ipogonadismo con bassi livelli di testosterone endogeno. Suggerendo, però, che bassi livelli di testosterone sono correlati con l'invecchiamento e la bassa libido maschile si è fatta una "indebita" pressione sulla popolazione circa la possibilità di "risolvere" un problema tipico dell'età. Inoltre, è stato tentato agendo sulle categorie di medici specialisti di spostare il valore patologico del livello serico del testosterone circolante. [41]

Eiaculazione precoce

La dapoxetina, invece, è il risultato di un processo registrativo di un farmaco che come altri della stessa classe farmacologica (antidepressivi) ha attività sulla capacità di controllare la eiaculazione precoce, infatti è molto ampia la letteratura scientifica che riguarda l'uso degli antidepressivi farmaci in questa problematica maschile.[42][43][44][45][46]

Osteoporosi

Fobia sociale

Sindrome da deficit di attenzione e iperattività

Sindrome dell'intestino irritabile

Pandemia influenzale

Vance M.A. della Butler University, College of Pharmacy and Health Sciences di Indianapolis, sostiene che spese enormi nella preparazione di vaccini antiinfluenzali hanno prodotto pochi benefici dimostrabili e qualche danno, indipendentemente dalle risorse sprecate; ciò grazie a meccanismi di disease mongering, insieme ad una diffusa paura dell'influenza, ci si dovrebbe opporre con vigore a ciò.[47]

In Australia è stata condotta un'indagine su come i media hanno diffuso notizie circa la epidemia influenzale del 2009, gli autori della ricerca hanno concluso che: «raramente sono stati contestualizzati i quotidiani conteggi dei tassi di infezione e i commenti sulle variazioni del livello di allerta pandemica ciò per meglio aiutare le persone a capire meglio per la propria persona il rischio».[48]

In generale è accettata l'idea che contro l'epidemia influenzale sono richieste la partecipazione non solo dei sistemi sanitari nazionali ma anche di tutta la società.[49]

Diabete

In data 26 agosto 2015 un lancio giornalistico sottolinea la possibilità di prevedere con grande anticipo l'insorgenza del diabete in soggetti predisposti.[50]

«... appare chiaro quale sia l'importanza di diagnosticare prontamente questa condizione, per poterla affrontare e trattare immediatamente, modificando lo stile di vita, correggendo i fattori di rischio e assumendo una terapia farmacologica adeguata, dove necessario. E tutto questo, idealmente, anche prima che la malattia si sia manifestata.»

Ruolo di lobby mediche

Disegno Atzeco di una nascita

In un'accezione ampia di Disease-mongering va anche inquadrato il ruolo di lobby di interessi di tipo sanitario e non solo farmaceutico. Intendendo per lobby di interesse medico il ruolo di sanitari e non, che influenzano o impongono consapevolmente oppure no, una medicalizzazione, nel senso più ampio della parola, scegliendola loro tra le possibili opzioni nei confronti di una non-malattia. Ciò accade sopratutto quando il confine tra la non-malattia ed un potenziale stato di patologia nella stessa è molto labile. Un esempio eclatante è dato dall'evento naturale del parto della donna.[51][52][53]

Infatti, il ruolo che nelle società occidentali ha raggiunto la medicalizzazione del parto,[54][55] e maggiormente in Italia, è un dato ampiamente noto.[56][57] Questa circostanza risponde ad una logica di medicina difensiva ma anche ad una logica di risposta dei sistemi di organizzazione sanitaria (ospedali e/o cliniche), verso l'utenza femminile e ciò anche, in Italia, con ampie differenze regionali. Questo fatto è ancor più vero se ci si riferisce al discrepante dato esistente in letteratura scientifica sulle percentuali di parto spontaneo e di parto cesareo rispetto le gravidanze a rischio.[56][58]

I medici, in particolare gli urologi hanno trovato nella medicina sessuale, rispetto le classiche patologie del distretto genito-urinario, un'importante opportunità di carriera, dal momento che l'avvento della litotripsia e dei farmaci efficaci per la malattia prostatica benigna ha ridotto il loro spazio chirurgico.[13]

Prevenzione del tumore alla prostata

Prevenzione del tumore alla mammella

Uno studio di tipo metanalisi della Cochrane pubblicato nel 2006 sostiene l'inutilità dello screening di massa del [[tumore alla mammella ]] nella donna, non avendo esso dimostrato un'utilità sulla sopravvivenza su una popolazione di mezzo milione di donne popolazione.[59]

Una successiva metanalisi della Cochrane pubblicato nel 2011 ad opera di Gøtzsche PC e Nielsen M. responsabili del Nordic Cochrane Centre, Rigshospitalet, di Copenhagen afferma quanto segue:[60]

  • «Una stima ragionevole è che con lo screening si ottiene una riduzione del 15% corrispondente ad una riduzione del rischio assoluto di 0,05%.»
  • « Lo screening ha portato al 30% di sovradiagnosi e conseguenti sovratrattamenti, con un aumento del rischio assoluto di questi del 0,5%. »
  • «Ogni 2000 donne invitate allo screening durante i 10 anni, ... a 10 donne sane, cui non sarebbe stato diagnosticato il tumore se non ci fosse stato lo screening, saranno state trattate inutilmente.»
  • «Inoltre, più di 200 donne sperimenteranno importante disagio psicologico per molti mesi a causa di risultati falsamente positivi. »
  • «Non è quindi chiaro se lo screening fa più bene che male. »
  • «Per garantire che le donne siano pienamente informati sia benefici che rischi prima di decidere o meno di frequentare lo screening, abbiamo scritto un volantino evidence-based per i laici che è disponibile in diverse lingue su www.cochrane.dk.»

L'indagine ha considerato un panel di circa 600 000 donne in un arco temporale di 13 anni.

Successivamente Gøtzsche PC e Jørgensen KJ. del Nordic Cochrane Centre, Rigshospitalet, di Copenhagen scrivono:[61]

Lo screening del tumore al seno, con una riduzione della mortalità del 15% ma con una sovra diagnosi e sovratrattamento de 30% si traduce nel fatto che nell'arco di 10 anni avremo ridotto la possibilità di un tumore al seno a 10 donne. Ma più di 200 donne avranno uno stress psicologico ed un ansia importante con uno stato di incertezza protratto per anni a causa di un risultato dello screening falsamente positivo.

Inoltre:

«Recenti studi osservazionali mostrano più sovradiagnosi che nelle prove e molto poca o nessuna riduzione dell'incidenza dei tumori avanzati con lo screening.»

Prevenzione del cancro del colon

Ipertensione lieve o ipercolesterolemia lieve

Note

  1. ^ PLOS Collections : Article collections published by the Public Library of Science - Disease mongering Collection, su ploscollections.org.
  2. ^ Luciano Rubini, Malattie, farmaci e profitti, su unipd.it, Università di Padova, 26 luglio 2013.
  3. ^ a b Moynihan R, Heath I, Henry D, Selling sickness: the pharmaceutical industry and disease mongering, in BMJ, vol. 324, n. 7342, 2002, pp. 886–91, DOI:10.1136/bmj.324.7342.886, PMID 11950740.
  4. ^ a b (Spanish; Castilian) Martínez González C, Riaño Galán I, Sánchez Jacob M, González de Dios J, [Quaternary prevention: containment as an ethical necessity], in An Pediatr (Barc), vol. 81, n. 6, 2014, pp. 396.e1–8, DOI:10.1016/j.anpedi.2014.04.029, PMID 24907862. Lingua sconosciuta: Spanish; Castilian (aiuto) Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "pmid24907862" è stato definito più volte con contenuti diversi
  5. ^ Fast science: la mercificazione della conoscenza scientifica e della comunicazione, Editoriale Jaca Book, 2008, pp. 213–, ISBN 978-88-16-40839-5.
  6. ^ Bajwa SJ, Kalra S, Takrouri MS, Quaternary prevention in anesthesiology: Enhancing the socio-clinical standards, in Anesth Essays Res, vol. 8, n. 2, 2014, pp. 125–6, DOI:10.4103/0259-1162.134470, PMID 25886213.
  7. ^ a b c d e (EN) What do you think is a non-disease? | The BMJ, su bmj.com, BMJ, 2002; 324 (7334). (15-22 Febbraio).
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Bibliografia

Voci correlate

Collegamenti esterni