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Lo stesso argomento in dettaglio: Economia d'Italia.
Palazzo Mezzanotte sede della Borsa di Milano

Membro del G8, secondo la Banca Mondiale nel 2010 l'Italia rappresenta l'ottava potenza economica del pianeta per PIL nominale assoluto, davanti all'India e dietro al Brasile[1] che diviene la decima se si considera la parità dei poteri di acquisto.[2]

Anche in termini pro-capite, l'Italia è una delle economie più ricche, occupando la 23ª posizione nel mondo (12ª nell'Unione europea)[3] e la 26ª a parità di potere d'acquisto (13ª nell'Unione europea);[4] l'economia italiana occupa un ruolo di rilievo anche nel commercio internazionale, risultando ottava per esportazione ed importazione di merci.[5]

Come tutte le economie avanzate, anche l'economia italiana è fortemente orientata verso il settore dei servizi, che nel 2011 ha rappresentato poco meno dei tre quarti del valore aggiunto (contro poco più del 50% nel 1970).[6] Il tessuto produttivo dell'economia è formato in prevalenza di piccole e medie imprese: quelle di maggiori dimensioni sono gestite in gran parte dalle famiglie fondatrici e, in taluni casi, da gruppi stranieri. Il modello di public company, impresa a capitale diffuso gestita da un management, è poco diffuso.

Dopo una politica fiscale molto espansiva durante gli anni Ottanta, a partire dai primi anni Novanta, l'Italia ha perseguito una politica fiscale molto più rigida, per rispettare i parametri derivanti dall'adesione all'Unione economica e monetaria. Nel 1999 il Paese ha aderito all'euro, che ha sostituito la lira anche nella circolazione cartacea a partire dal 2002.

Negli anni Duemila, l'Italia ha sperimentato tassi di inflazione e di interesse notevolmente più bassi che nei decenni precedenti. Tuttavia, problemi come l'evasione fiscale, l'elevato debito pubblico (120,1% del PIL nel 2011)[7] e la criminalità organizzata continuano ad ostacolare lo sviluppo dell'economia nazionale.

Durante la grave crisi economica iniziata nel 2008 il tasso di disoccupazione in Italia è passato dal 6,1% del 2007 all'8,4% del 2011, il PIL nel 2011 è del 4,5% più basso che nel 2007 e, nello stesso arco di tempo, il debito pubblico è aumentato di 17 punti percentuali rispetto al PIL.[7]

Struttura economica

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Il PIL del 2011 suddiviso tra le principali attività macro-economiche (dati Eurostat)

La tabella che segue dà un'indicazione della struttura economica del Paese mostrando la suddivisione del PIL a prezzi correnti di mercato nel 2011, espresso in milioni di euro, tra le principali attività economiche:[8]

Attività economica Valore del prodotto (mln di €) Quota
Agricoltura, silvicoltura e pesca 27.637 2,0%
Industria in senso stretto 263.598 18,6%
Costruzioni 84.708 6,0%
Commercio, trasporti, settore alberghiero e della ristorazione 292.704 20,7%
Comunicazioni 61.115 4,3%
Settore finanziario e assicurativo 76.276 5,4%
Settore immobiliare 195.406 13,8%
Servizi professionali 121.099 8,6%
Servizi pubblici, difesa, sanità e sociale 240.632 17,0%
Altri servizi 51.256 3,6%
Totale valore aggiunto a prezzi correnti 1.414.431

Settore primario

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Oliveti nel Gargano

Nel corso del XX secolo l'Italia si è trasformata da paese prevalentemente agricolo a paese industriale vero e proprio. Di conseguenza, il settore agricolo (comprensivo di selvicoltura e pesca) ha visto l'occupazione calare drasticamente, passando dal 43% al 3,8% del totale,[9][10] una percentuale minima nel quadro economico nazionale. Oggi, gli occupati in agricoltura sono appena 891.000, in gran parte uomini (71,3 % del totale) e residenti nel Mezzogiorno (46,8% del totale).[11]

La superficie agricola italiana è pari a 17,8 milioni di ettari, di cui 12,7 utilizzati. La superficie agricola utilizzata si concentra soprattutto nel Mezzogiorno (45,7%).[12] Da notare che il 10% della manodopera agricola è straniera.[10]

Nel 2010 il valore complessivo della produzione agricola era pari 48,9 miliardi di euro.[13] Per quanto riguarda la produzione vegetale, che incide per 25,1 miliardi,[14] i maggiori prodotti in termini di valore sono stati il vino (1803 milioni di euro), il granoturco (1434), l'olio (1398) e i pomodori (910). Per quantità prodotte, invece, i prodotti principali dell'agricoltura italiana sono il granoturco (84 milioni di quintali), i pomodori (66), il frumento duro (38) e l'uva da vino (35).[15]

Nel comparto della produzione di origine animale spiccano latte di vacca e di bufala (4.040 milioni di euro per 11.200 migliaia di tonnellate), carni bovine (3.199 e 1.409 rispettivamente), carni suine (2.459 e 2.058) e pollame (2.229 e 1.645).[16]

La produzione complessiva della pesca marittima e lagunare, comprensiva di crostacei e molluschi, si attesta nel 2010 a 2.247 milioni di euro.[13]

Risorse minerarie

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Lo stesso argomento in dettaglio: Legislazione mineraria italiana.

Il territorio italiano presenta giacimenti minerari di varia tipologia che, fino al termine del XX secolo, hanno consentito una fruttuosa produzione di mercurio, antimonio, piombo, zinco, argento, ferro e di minerali quali pirite, fluorite, amianto e bauxite. Successivamente, tuttavia, i giacimenti con un potenziale sfruttamento economico sono diminuiti, e l'attività mineraria rimasta si è concentrata sui sali evaporitici, le marne cementizie, le argille (principalmente bentonite e montmorillonite) e i feldspati, per l'industria ceramica e i refrattari; sempre attiva l'attività estrattiva, tipica per l'Italia, delle numerose cave di marmo ed altre rocce per l'edilizia, l'estrazione di pomice, ossidiana, pozzolana e talco.[17]

Lo stesso argomento in dettaglio: Energia elettrica in Italia ed Energia nucleare in Italia.
Ragusano: pompe di estrazione petrolifera a testa pozzo

L'Italia, rispetto ad altri Paesi dell'Unione europea, presenta una maggiore dipendenza dalle importazioni di materie prime e dagli idrocarburi (gas e petrolio).

Negli anni duemila il settore energetico nazionale è stato interessato da numerosi cambiamenti, come la riforma del mercato elettrico e del gas, lo sviluppo delle fonti rinnovabili, la promozione dell'efficienza, del risparmio energetico e della sicurezza degli approvvigionamenti.

Inoltre, alcuni interventi legislativi del Governo Berlusconi IV avevano preparato il riavvio della produzione di energia nucleare abbandonata negli anni ottanta a seguito di referendum abrogativi indetti dopo il disastro di Chernobyl, ma tali norme sono state poi cancellate dal medesimo Governo a seguito dei referendum abrogativi del 2011.

Nel 2009 la disponibilità interna lorda di energia per fonte e risorsa è stata la seguente:[18]

I giacimenti di idrocarburi italiani sono prevalentemente distribuiti secondo tre sistemi tettonico-stratigrafici:

A causa della mancanza di giacimenti consistenti, la maggior parte delle materie prime e il 75% dell'energia devono essere importati. I giacimenti lucani della Val d'Agri, i più grandi dell'Europa continentale,[19] sono stati scoperti nella prima metà del XX secolo, ma sfruttati solo a partire dagli anni ottanta, fornendo circa il 10% del fabbisogno nazionale.[20]

Nel 2009 la produzione annua di petrolio si aggira sui 53,5 milioni di barili (a fronte di un consumo annuo di 561 milioni)[21] ed è stimato che circa 800 milioni di barili di petrolio si trovino in giacimenti ancora da scoprire.[22]

Il Lingotto di Torino

L'Italia, la cui quota di produzione mondiale nel settore manifatturiero si attesta negli anni duemila attorno al 4%, collocandola al secondo posto in Europa,[23] differisce, rispetto agli altri paesi industrializzati, per una vasta diffusione di piccole e medie imprese di proprietà familiare.[24][25] A partire dal Nord-Est del Paese, si sono affermati i cosiddetti distretti industriali, un modello che ha visto una consistente diffusione lungo la dorsale adriatica, al punto da costituire una delle caratteristiche peculiari dell'economia italiana.[26]

Avanzata e diversificata, l'industria italiana è particolarmente sviluppata nei settori della cantieristica navale, degli elettrodomestici, chimico, farmaceutico, metallurgico, agroalimentare[27][28] e della difesa.[29] Nel settore automobilistico, che assieme al petrolchimico e al siderurgico è stato alla base dell'industrializzazione postbellica del Paese, l'Italia risulta agli ultimi posti in Europa per produzione di automobili[30] (fortemente penalizzata dalla delocalizzazione produttiva)[31] ma mantiene una grande rilevanza a livello europeo e mondiale[32][33] grazie alla presenza del gruppo FIAT, azienda multinazionale che nel 2008 ha prodotto 2.524.325 veicoli in tutto il mondo.[34]

Design e moda

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Lo stesso argomento in dettaglio: Design italiano, Moda italiana e Made in Italy.

Lo stile italiano – soprattutto nel disegno industriale, nell'arredo, nell'auto – si contraddistingue per la mescolanza di fantasia e rigore progettuale e si caratterizza per l'uso di materiali considerati scarti, ma al tempo stesso innovativi.[35] Nato alla fine del XIX secolo,[36] diviene Bel Design tra il 1945 e il 1965 quando nascono la Vespa V98 farobasso, la Innocenti Lambretta, la Iso Isetta, la Fiat 600 e la Fiat Nuova 500 nel campo dei trasporti, la macchina da cucire Mirella della Necchi, la macchina da calcolo elettrica Divisumma 24 di Olivetti e alcuni radioricevitori e televisori progettati per RadioMarelli e Brionvega nel campo degli elettrodomestici. Al design italiano, rappresentato da aziende,[35] scuole di specializzazione[37] e artisti come Gio Ponti, Ettore Sottsass e Bruno Munari, sono dedicati musei[38] e riconoscimenti, come il Premio Compasso d'oro, il più antico e prestigioso premio mondiale di design.[39] La Fiera di Milano, il maggiore polo espositivo europeo, ospita annualmente numerose esposizioni di design di livello internazionale.[40]

Negli anni del miracolo economico italiano nasce e si sviluppa la moda italiana. Agli abiti di alta moda le sartorie affiancano il prêt-à-porter, proponendosi sui mercati internazionali e portando, in collaborazione con l'industria, all'affermazione del made in Italy.[41] Numerosi stilisti, come Valentino, Armani e Versace portano l'Italia ai vertici mondiali per i suoi prodotti[42] mentre Milano e Roma sono annoverate tra le capitali della moda.[43]

Settore terziario

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Lo stesso argomento in dettaglio: Settore terziario.

In Italia il terziario rappresenta il settore più importante dell'economia, sia per numero di occupati (nel 2009 pari al 67% del totale)[44] che per valore aggiunto (il 73,1%).[45]

Turismo, commercio e servizi sono tra le attività chiave per il sistema-paese: secondo l'ufficio studi Confcommercio nel 2009, nel commercio, si contano 1.574.000 imprese pari al 26% delle imprese italiane e oltre 3.457.000 lavoratori. Nei trasporti, comunicazioni, turismo e consumi fuori casa, si contano oltre 603.000 imprese pari al 10% del totale, con un totale di 3.400.000 lavoratori. Servizi alle imprese: 696.000 imprese pari al 11,4% del totale presentano 2.800.000 di lavoratori.[46] I servizi alle imprese sono maggiormente sviluppati e diffusi nelle grandi città e nelle regioni economicamente più avanzate.

Sul finire degli anni ottanta e nel decennio successivo vari fattori, come deregulation, disintermediazione e nuove tecnologie hanno spinto, in linea con l'andamento internazionale, i settori bancario e assicurativo a processi di concentrazione e a forme d'integrazione[47] normati dalla L. 287/90[48] contro gli abusi da posizione dominante. Questi gruppi bancari ricoprono, attraverso la partecipazione azionaria in importanti industrie o società di servizi o tramite la presenza nei patti parasociali aziendali, un ruolo primario nel sistema economico italiano.[49]

Da in alto a sinistra, le Dolomiti, Venezia, i Sassi di Matera e i Faraglioni di Capri
Lo stesso argomento in dettaglio: Turismo in Italia.

Un settore di primaria importanza per l'economia italiana continua ad essere il turismo: secondo il Rapporto Eurispes 2011 occupa poco meno di 2.500.000 di addetti, l'incidenza sul PIL è del 9,5% e la sua quota mondiale si attesta al 4,1%.[50]

Nel 2010 l'Italia, con 43,6 milioni di turisti stranieri annui (in crescita 0,9% rispetto all'anno precedente, dopo un +1,2% nel 2009), è al quinto posto nel mondo dopo Spagna (52,7), Cina (55,7), Stati Uniti (59,7) e Francia (76,8).[51] Anche per quanto riguarda le entrate derivanti dal turismo internazionale, l'Italia si colloca al quinto posto al mondo con 38,8 miliardi di dollari nel 2010 (-3,6% rispetto al 2009, pari ad una crescita del +1,4% se si valutano le entrate in euro).[51]

Rilevanti sono anche i flussi turistici interni. Nel 2011 si sono registrati 68,2 milioni di viaggi di turisti italiani all'interno del Paese, in forte contrazione (-16,5%) rispetto all'anno precedente. Le mete interne preferite dai turisti italiani sono, nell'ordine, Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Lombardia e Veneto.[52]

La rete autostradale italiana
Lo stesso argomento in dettaglio: Trasporti in Italia.

La rete infrastrutturale italiana è costituita da 183.705 km di strade (suddivise in statali, regionali, provinciali e comunali), 6.629 km di autostrade, 16.643 km di ferrovie in esercizio[53] (divisi tra rete estera, rete fondamentale, rete complementare e rete di nodo), 352 porti[54] e 96 aeroporti.[55]

Il trasporto pubblico urbano si serve di tram, filobus, autobus, funicolari, taxi e, nelle maggiori città, di metropolitane. Alcune località, inoltre, data la loro conformazione geografica, si servono anche del trasporto navale.

L'Italia tuttavia non eccelle nel campo dei trasporti, creando dei limiti allo sviluppo e alla competitività, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno. Vari studi comparativi attestano che il paese sconta un ritardo rispetto a molti paesi europei per dotazione infrastrutturale e trasporti.[56]

Divario Nord-Sud

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Lo stesso argomento in dettaglio: Questione meridionale.

Nei decenni successivi all'Unità d'Italia, le regioni settentrionali del Paese, Lombardia, Piemonte e Liguria in particolare, iniziano un processo d'industrializzazione e di sviluppo economico mentre le regioni meridionali rimangono indietro. A causa del crescente divario economico e sociale si comincia a parlare questione meridionale.[57] Lo squilibrio tra Nord e Sud, ampliatosi costantemente nel primo secolo post-unitario, si riduce negli anni Sessanta e Settanta anche attraverso la realizzazione di opere pubbliche, l'attuazione delle riforme agraria e scolastica,[58] l'espansione dell'industrializzazione e le migliorate condizioni di vita della popolazione.[57] Questo processo di convergenza si interrompe invece negli anni Ottanta. Ad oggi, il PIL pro-capite del Mezzogiorno è pari ad appena il 58% di quello del Centro-Nord,[59] mentre il tasso di disoccupazione è più che doppio (6,7% al Nord contro 14,9% al Sud).[60]

Uno studio del Censis attribuisce alla presenza pervasiva di organizzazioni criminali un ruolo importante nel ritardo del Mezzogiorno d'Italia, stimano un perdita annuale di ricchezza del 2,5% nel Mezzogiorno nel periodo 1981-2003 dovuta alla presenza di tali organizzazioni e valutando che senza di esse il PIL pro-capite del Mezzogiorno avrebbe raggiunto quello del Nord.[61]

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AA. VV., L'agricoltura italiana conta 2011 (PDF), INEA, ISBN 978-88-8145-324-5.