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Offensiva ligure di von Melas
Fanti francesi all'assalto durante l'assedio di Genova
DataAprile-Giugno 1800
LuogoLiguria e valle del Var
EsitoVittoria imperiale
Modifiche territorialiMomentanea conquista della Liguria da parte dell'Austria
Schieramenti
Comandanti
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L'offensiva ligure di von Melas è stata una rapida sequenza di operazioni militari avvenute nell'aprile del 1800. L'esercito imperiale austriaco, guidato per l'appunto dal generale Michael von Melas, intraprese una coraggiosa e ben organizzata offensiva con l'obiettivo di cacciare le truppe francesi del generale Andrea Massena dai passi montani che occupavano e schiacciarli contro la costiera ligure.

Dopo una lunga serie di battaglie, che videro coinvolte numerose unità da entrambi i lati, ad emergere come vincitore del conflitto furono proprio gli austriaci, che riuscirono a separare in due tronconi l'Armata d'Italia e a porre sotto assedio la città di Genova, dove Massena si era rifugiato assieme al grosso dell'esercito.

L'assedio, prolungatosi per oltre un mese, permise alle truppe dell'Armata di Riserva, guidate dal Primo Console della Repubblica francese Napoleone Bonaparte, di attraversare le Alpi con un'epica marcia e di entrare nella Pianura Padana per tagliare le linee di comunicazione nemiche, forzandoli a scendere in campo nella decisiva battaglia di Marengo.

La campagna di Suvorov

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Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna italiana di Suvorov.

Le forze francesi, inizialmente guidate da Schérer non trovarono grandi successi nelle loro prime operazioni contro le truppe imperiali austriache. Le prime due battaglie di Verona e di Magnano terminarono solo con una vittoria parziale ed una netta sconfitta per i francesi, permettendo alle truppe di Kray di avanzare verso il Mincio, nell'attesa che i rinforzi russi promessi dallo zar Paolo I arrivassero in Italia. Questi erano circa 20 000 uomini, comandati dal temibile ed esperto generale Suvorov. Giunto a Vienna, questi venne nominato feldmaresciallo dell'esercito austriaco e venne affidato a lui il comando delle forze austro-russe in Italia.

Il generale Suvorov entra a Milano

L'impatto dato dall'arrivo dei russi fu notevole: arrivato a Verona il 15 aprile, Suvorov e i suoi vennero accolti da folle festanti, che li accoglievano come dei liberatori. Il 19 giugno si erano già messi in marcia ed avevano superato il Mincio. Dopo un brevissimo assedio, conquistarono Brescia due giorni dopo e si diressero verso l'Adda, dove le linee francesi erano poste a bloccare la loro avanzata. La superiorità numerica delle forze austro-russe sarebbe forse stata sufficiente da sola per ottenere la vittoria, ma la disposizione scriteriata delle forze francesi lungo tutta la lunghezza del fiume facilitò il lavoro delle forze del maresciallo russo. Nell'arco di tre giorni, dal 26 al 28 aprile, una lunga serie di avvenimenti ebbe luogo: Schérer si dimise, lasciando il proprio posto al suo secondo, il generale Moreau; i russi attaccarono la divisione di Sérurier a Lecco, spingendola sulla riva opposta del fiume mentre il giorno seguente le forze austriache attraversarono in massa il fiume, scontrandosi ferocemente con i repubblicani. A nulla servirono gli sforzi di Moreau per tentare di respingere l'ondata di uomini che attraversavano l'Adda: la linea francese, sul punto di crollare, abbandonò la posizione, ritirandosi verso il Piemonte, mentre Sérurier, isolato e circondato, resistette ancora un giorno prima di capitolare e consegnare per intero la sua divisione ai russi. Due giorni dopo, le forze della coalizione entrarono trionfalmente a Milano, ripristinando il controllo austriaco sulla zona dopo due anni.

La battaglia della Trebbia

Nelle due settimane successive, i russi tentarono più volte di raggiungere ed ingaggiare i francesi: gli scontri di Bassignana e di Marengo, tuttavia, furono più favorevoli ai repubblicani, che ottennero una vittoria ed un pareggio. Conclusa questa seconda battaglia, con il Piemonte in aperta insurrezione e le forze di Suvorov sulle loro tracce, i francesi di Moreau si allontanarono dalla pianura, rifugiandosi sulle montagne della Liguria, bloccando i vari passi montani che permettevano il collegamento tra la costa e l'entroterra. Queste stesse montagne vedranno i francesi fare avanti ed indietro i francesi più e più volte nel corso del successivo anno, sempre respinti dalle forze della coalizione. La prima discesa delle truppe francesi dalle Alpi coincise con l'abbandono del Piemonte da parte dell'esercito di Suvorov, direttosi verso l'Emilia per affrontare l'Armata di Napoli del generale MacDonald. In quel frangente, Moreau ed i suoi uomini riuscirono a sollevare momentaneamente il blocco a cui era sottoposta Tortona e a sconfiggere le forze di Bellegarde, rimanendo in pianura ad attendere l'arrivo dei commilitoni. La congiunzione delle due armate effettivamente avvenne, ma solo un mese dopo a Genova: Suvorov era riuscito a fermare l'avanzata dei repubblicani sulla Trebbia, infliggendo loro pesantissime perdite e riuscendo a disintegrare completamente la coesione dell'Armata di Napoli, che giunse nel capoluogo ligure stanca, demoralizzata e senza la minima organizzazione. Ovviamente, alla notizia della vittoria degli austro-russi, Moreau fece immediatamente ritorno sulle sicure montagne liguri.

La battaglia di Novi

Un secondo tentativo di tornare ad occupare il Piemonte fu tentato in agosto. Dalla Francia erano stati inviati due giovani generali, Joubert e Championnet, ognuno con un folto gruppo di rinforzi. Il primo, destinato a prendere il comando dell'Armata d'Italia, arrivò a Genova e organizzò le sue forze per rientrare in Piemonte nella zona di Tortona, recentemente posta sotto assedio dai russi, mentre il secondo sarebbe arrivato da nord, passando tra i valichi delle Alpi Graie. Il loro piano era di cogliere Suvorov in una morsa e sconfiggerlo in un'unica battaglia campale. Lo spirito combattivo di Joubert, lo portò a muoversi verso il nemico: attraversò gli Appennini e si diresse verso Novi, che occupò in attesa di Championnet, sperando di poter liberare Tortona al più presto. La forte posizione difensiva della città impedì agli austro-russi di attaccare immediatamente. La situazione rimase invariata per qualche giorno. Il 15 agosto, però, Suvorov si decise ad attaccare: la battaglia, particolarmente sanguinosa, perdurò per quasi tutti il giorno e vide gli alleati strappare un'altra decisiva vittoria. Le perdite per i francesi furono notevoli e fra di esse vi era lo stesso Joubert, morto nelle prime ore del combattimento. Moreau, sostituendosi al defunto Joubert, ritirò i resti delle sue forze sulle montagne. Pochi giorni dopo Tortona cadde.

Suvorov al passo del San Gottardo

L'unica buona notizia per i francesi era che l'equilibrio delle forze stava per cambiare: le divisioni interne alla coalizione, dove non c'era un piano d'azione comune ma ogni sovrano valutava solo i propri interessi, avevano portato gli austriaci a chiedere che Suvorov venisse mandato in Svizzera. Questa decisione, molto più politica che militare,allontanava il grande generale dal teatro di guerra finora più proficuo per gli alleati e garantiva che l'unica influenza sull'Italia settentrionale fosse quella austriaca. Seppur contrariato, Suvorov obbedì. Verso la metà di settembre lui e i suoi uomini marciarono vero le montagne elvetiche, lasciando la Pianura Padana nelle capaci mani del generale austriaco von Melas.

Championnet alla guida dell'Armata d'Italia

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Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Genola e Assedio di Cuneo (1799).

La partenza dei russi dall'Italia coincise con l'arrivo nelle valli piemontesi dell'esercito dell'Armata delle Alpi, il corpo di Championnet, giunto in forte ritardo a causa di problemi logistici non indifferenti. Championnet inizialmente occupò alcune città nei pressi di Torino ma, venuto a conoscenza dei movimenti di von Melas verso Cuneo, si diresse a sud per rafforzare l'esercito di Moreau ed impedire la caduta della città. Von Melas non venne sconfitto, ma le due battaglie di Fossano e Savigliano servirono allo scopo di rallentare la sua avanzata e ritardare i suoi progetti per la presa della fortezza. I francesi, ad ogni modo, furono costretti ad abbandonare la pianura e ritirarsi sulle Alpi, dove si riorganizzarono al meglio. Avendo ricevuto formalmente il comando dell'esercito d'Italia dal Direttorio dopo la scomparsa di Joubert, Championnet chiese a Moreau di poter esercitare la sua autorità e prendere il posto del defunto collega. Moreau accettò e si diresse immediatamente verso la Francia per raggiungere il fronte del Reno, dove gli era stato promesse un altro posto di comando.

Jean-Etienne Championnet

Dopo aver cacciato gli austriaci dalla Riviera di Levante in seguito alla battaglia del Passo di Bracco,[1] Championnet iniziò a progettare un'offensiva nelle pianure piemontesi. Il suo desiderio di fama e gloria e la preoccupazione che il suo posto potesse essere preso da Napoleone Bonaparte, nel frattempo ritornato dall'Egitto, lo spinsero a prendere la decisione, alquanto azzardata, di perseguire in questo ambizioso progetto.[2][N 1] Affidato il fianco destro al suo luogotenente Saint-Cyr, che si diresse verso Novi, Championnet scese con il resto dell'esercito verso Cuneo, marciando poi lungo la strada che collegava la fortezza piemontese alla città di Torino, che egli sperava di conquistare. Mentre Saint-Cyr riportava delle incoraggianti vittorie, lo stesso non si poteva dire del centro e dell'ala sinistra dell' esercito francese: Grenier era stato sconfitto a Centallo da von Melas negli ultimi giorni di ottobre. Il generale austriaco venne a cozzare contro le forze di Championnet nei pressi di Genola il 4 novembre: l'incontro fu del tutto casuale, ma la metà superiorità numerica delle forze austriache fu sufficiente a causare la rotta dei repubblicani. Iniziata la ritirata, con Melas decise di inseguire ed incalzare i suoi nemici, colpendoli ad ogni occasione possibile. Nei dieci giorni successivi i francesi indietreggiarono costantemente, Dino a che, sconfitti per l'ennesima volta a Mondovì furono costretti ad abbandonare la pianura e a lasciare scoperta la città di Cuneo.

Il primo tentativo di conquista di Genova
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Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Torriglia.

Una menziona apposita deve essere rivolta alla battaglia di Torriglia e agli eventi ad essa collegati, dato che l'intera offensiva delle armate austriache dell'anno successivo si basarono sugli stessi principi su cui era stata progettata quest'ultima operazione invernale.

Dopo aver preso la città di Cuneo, la stagione invernale era oramai alle porte e le operazioni da entrambi gli schieramenti erano giunte ad una sosta forzata: i passi montani tra Piemonte e Liguria venivano puntualmente ricoperti dalle nevi, divenendo del tutto inagibili. Per questo motivo, von Melas aveva portato la maggior parte delle sue truppe nei quartieri invernali di Torino e Bellinzona, preparandosi a ricominciare la guerra la primavera dell'anno successivo.[3] Due divisioni fecero eccezione: quella di Klenau, stanziata nella valle della Trebbia, e quella di Hohenzollern, rimasta ad Alessandria, erano state rinforzate con un cospicuo numero di uomini e mandate a creare una testa di ponte in Liguria. Sebbene molti dei passi fossero bloccati dalle condizioni meteorologiche avverse, alcuni valichi della Riviera di Levante erano ancora praticabili e potevano essere usati dalle truppe austriache per penetrare in Liguria.[4]

Hohenzollern e Klenau tentarono di attuare un piano ideato da von Melas: le forze francesi di stanza a Genova sarebbero state distratte da Hohenzollern, che avrebbe attaccato prima Novi, poi Gavi ed infine si sarebbe diretto contro il Passo della Bocchetta mentre Klenau sarebbe avanzato dalla Riviera di Levante, sbaragliando la debole resistenza delle poche truppe rimaste.[4] Saint-Cyr, che aveva preso il comando delle forze repubblicane in attesa dell'arrivo del sostituto di Championnet, era riuscito ad interrogare alcuni soldati repubblicani provenienti da Novi, intuendo le intenzioni dei due comandanti austriaci, rafforzò le proprie posizioni sul Passo della Bocchetta, negando ad Hohenzollern la possibilità di agire. Questi rimase sostanzialmente inattivo per l'intera durata dell' operazione, attendendo l'arrivo di rinforzi.[5]

Il 14 e 15 dicembre Klenau iniziò la propria offensiva, respingendo le forze repubblicane fino alle mura di Genova. Sperava che i genovesi si sollevassero contro i francesi, aprendo le porte della città, ma ciò non accadde. Il 16 dicembre, Saint-Cyr radunò la propria divisione e parte di quella di Watrin e marciò sul monte Creto, diretto verso il monte Capenardo, dove erano accampati diversi battaglioni austriaci sotto il comando del maggiore Paulich. Questi vennero sbaragliati: la maggior parte dei soldati imperiali venne presa prigioniera o cadde in battaglia. Minacciato sul fianco e sulla retroguardia, Klenau fu costretto a tornare sui suoi passi ed intercettare la colonna francese prima che colpisse le sue retrovie o il suo fianco. Si incontrarono presso Torriglia. Dopo un duro combattimento, i francesi si diedero alla fuga. Ciononostante, gli austriaci dovettero abbandonare l'offensiva: le loro forze sulla costa erano state colpite dai francesi e messe in fuga, il collegamento con Hohenzollern era stato distrutto e rimasto da solo, Klenau non poteva prendere Genova.[4]

L'arrivo di Massena in Liguria

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Dopo le dimissioni di Championnet, il neonato organo del consolato aveva l'arduo compito di trovare una nuovo comandante per l'Armata d'Italia. Non era una scelta semplice. Come testimoniato dallo stesso Championnet e dai suoi ufficiali, le condizioni in cui versava l'esercito francese in Italia erano pessime: non c'erano razioni di cibo, vestiti adatti e le paghe mancavano da mesi. La disciplina era tenuta a malapena e diserzioni ed ammutinamenti si verificavano piuttosto di frequente. Serviva un generale di prestigio, che riuscisse a risollevare con la fama del suo nome il morale delle truppe e con il suo talento le sorti della guerra. Un generale simile non era affatto semplice da trovare: Joubert era morto ad agosto, Moreau era appena stato affidato al fronte del Reno, Jourdan era impopolare tra le truppe e Brune era impegnato in Vandea. L'unico volontario presentatosi per il ruolo era il generale Marbot, palesemente non qualificato per un lavoro così complesso e delicato. Agli occhi di Napoleone, l'unica scelta plausibile e possibile era quella di Massena, vincitore dei russi in Svizzera:[6] aveva servito per anni in Italia, quindi conosceva sia il territorio sia gli uomini che sarebbe andato a comandare, ed il suo talento era cristallino.[N 2]

L'esercito francese, ridotto a circa 25 000 [7] uomini venne diviso in due ale: la destra era comandata da Soult e proteggeva la Riviera di Levante, a partire da Recco e Torriglia, giungendo sino a Savona mentre la sinistra, affidata al generale Suchet, proteggeva il resto del confine tra Liguria e Piemonte, tutta la Riviera di Ponente,[8] da Noli sino a Nizza.[9] La scelta di Massena di porre il suo quartier generale a Genova è comprensibile ma comunque controversa.[10] Il valore strategico del porto di Genova era sicuramente immenso, dato che le provviste francesi arrivavano prevalentemente via mare, e mantenere il possesso della città era dunque fondamentale per gli approvvigionamenti, ma con un ala sinistra così lunga e carente di uomini come quella a guardia delle Alpi Marittime, non era possibile sperare di riuscire a respingere un nemico numericamente superiore,[11] come lo erano gli austriaci in quel momento, con il concreto rischio che Genova potesse restare isolata.[10]

Oltre ai nemici esterni, Massena si doveva anche occupare di quelli dentro le mura di Genova: nel corso degli ultimi due anni si era andata a formare una forte fazione antifrancese, che più volte aveva causato insurrezioni e rivolte, come accaduto in val Bisagno o Fontanabuona. Il generale Marbot, che aveva il comando in attesa dell'arrivo di Massena, tentò di reprimere le rivolte, ma ottenne solo dei timidi risultati. Tali moti proseguirono dai giorni di febbraio sino a giugno inoltrato. Tra gli esponenti della fazione ostile alla presenza repubblicana vi era Giovanni Assereto, uomo genovese che aveva disertato l'esercito francese per quello austriaco. Inizialmente, con raggiri ed inganni, era riuscito a guadagnarsi la fiducia di Moreau e a farsi promuovere generale di brigata ma quando questi scoprì che Assereto intratteneva dei rapporti con gli austriaci, lo esiliò immediatamente. Assereto, descritto come un uomo mediocre e litigioso ma affamato di gloria, si fece promotore di numerose rivolte e sollevazioni, aizzando la popolazione locale contro i soldati francesi, sebbene non sempre le sue macchinazioni dessero dei risultati concreti.[12] Il timore di rivolte fu una costante paura per il generale Massena, che in seguito adottò ogni misura affinché non potessero ripetersi.

Il piano austriaco

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Teatro di guerra del 1800 in Nord Italia

Se il generale Massena si illudeva di sostenere una guerra difensiva fino all'arrivo dei rinforzi che il governo gli prometteva, il suo avversario non glielo avrebbe certamente permesso. Dopo la presa di Cuneo, la totale mancanza di vettovaglie e l'estrema stanchezza delle truppe avevano forzato von Melas ad estendere il suo esercito tra Piemonte, Lombardia, Toscana e la zona del Bolognese. Queste misure, completamente inadatte in ogni altra circostanza e possibili solo grazie allo stato di debolezza delle armate francesi, gli permisero di ricostruire le sue truppe, di integrarle con nuovi rinforzi e di riparare il suo equipaggiamento. Indipendentemente da tanti vantaggi, questa diffusione diede alle forze imperiali l'occasione di accumulare inaspettatamente una massa di forze tale da poter affrontare direttamente i francesi al ritorno della bella stagione.[13]

L’opportunità di farlo con successo si presentò molto presto. Giunsero infatti informazioni riguardanti i movimenti dei francesi e la loro condizione. Se le forze di Massena era ridotte molto male e oramai erano alla mercé degli austriaci, nel mezzo della Francia, Napoleone stava radunando dei rinforzi per venire in soccorso del suo generale.[N 3] Date queste premesse, vi era ogni pretesto per attaccare in forze la Liguria, che ospitava un nemico malridotto e in disperato bisogno di rinforzi, prima che dalla Francia giungessero forze nuove e fresche per riprendere la lotta. Von Melas si era accontentato di trasmettere alla fine di gennaio al Consiglio aulico le relazioni ricevute su presunti assembramenti a Martigny nel Vallese. Il suo capo di stato maggiore Zach propose di impadronirsi di Genova e della Liguria, di conquistare la contea di Nizza, e di fermarsi sulla linea del Var, decisamente più corta di quella dell'Argentera fino a Sestri Levante. L'operazione avrebbe liberato per sempre l'esercito imperiale dal grave inconveniente di affrontare contemporaneamente Genova e la Svizzera.[14]

Incoraggiato in questo progetto dal generale genovese Assareto, il quale, non contento di comunicare agli Imperiali la situazione dei repubblicani, propose anche un attentato su Savona e Vado, von Melas decise di passare all'offensiva. Sia per intuito sia per esperienza, comprendendo i sostanziali vantaggi di un'operazione contro la sinistra francese, decise di fare semplici dimostrazioni nella Riviera di Levante e di dirigere i suoi principali sforzi contro Savona, per impadronirsi dell'importante porto di Vado ed isolare completamente Genova, separando del tutto l'ala destra dal resto dell'esercito. L'esecuzione di questo piano, inizialmente prevista per le ultime settimane di febbraio, fu rinviata di oltre un mese fino ai primi giorni di aprile.[15]

Giunto finalmente l'ordine di procedere, von Melas interruppe i preparativi necessari per l'attacco alla Liguria. Secondo questo piano, concordato tra Zach ed i capi dello squadrone inglese, il grosso della cavalleria, la maggior parte dell'artiglieria e 5000 fanti rimasero in Lombardia o Piemonte, agli ordini di Kaim. 15000 combattenti si radunarono nella Val Trebbia davanti a Bobbio, agli ordini del generale Ott. La divisione del conte Hohenzollern, con 7 battaglioni e 40 squadroni, si radunò tra Tortona e Pozzolo Formigaro. Il corpo da battaglia, forte di 3 battaglioni, 12 squadroni, con 12 pezzi da tre, stabilito presso Acqui, sotto l'immediata guida di von Melas, doveva risalire la Val Bormida, e giungere ai piedi del versante occidentale dell'Appennino, tra Mallare e Carcare. Elsnitz, alla testa dell'ala destra, riunita a Ceva in numero di 8 battaglioni, 5 squadroni e 8 pezzi da montagna, fu incaricato di dirigersi via Carcare verso Altare, nello stesso momento in cui von Melas avrebbe fatto attaccare Montenotte per poter sopraffare la sinistra francese.[16]

Il piano progettato da von Melas si basava su un'assunzione rivelatasi poi errata: il generale austriaco credeva che non fosse possibile che i francesi riuscissero a costruire una nuova armata che, sfruttando la sua assenza, potesse entrare in Pianura Padana. Era convinto che , dopo aver sconfitto i francesi per numerose volte, questi fossero rimasti senza leve. Evidentemente, stava sottovalutando l'influenza che Napoleone aveva sui cittadini francesi, che accorsero numerosi, sia veterani sia nuove reclute, per partecipare alla spedizione del loro generale.[11]

Nei primi giorni di aprile, le truppe austriache ripresero le ostilità, attaccando le postazioni francesi su tutta la linea del fronte allo stesso tempo.

Blocco navale di Genova

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Battaglia di Cogoleto

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Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Cogoleto.

L'assedio di Genova

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Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Genova (1800).

Dopo che le forze di Suchet erano state respinte sulla valle del Var, quel che rimaneva dell'Armata d'Italia, sotto la guida di Massena, era completamente circondato dalle forze della coalizione: a terra le forze austriache circondavano Genova su tre lati mentre sul mare era la Marina britannica ad impedire che potessero arrivare una qualsiasi forma di supporto alle truppe francesi.

Capitolazione di Massena a Cornigliano presso Genova nel giugno 1800, Myrbach, 1906

Così messo, Massena non vide altra soluzione che tentare di resistere all'assedio della città portuale. La sfida si dimostrò molto ardua fin da subito: non potendo ricevere alcune tipo di rifornimento e dovendo sfamare circa 30 000 uomini e quasi il doppio dei civili, le riserve di cibo della città iniziarono ad esaurirsi molto presto ed i suoi occupanti furono presto costretti alla fame. Massena fece il possibile per razionare le scorte e permettere ai suoi uomini di resistere a lungo all'assedio, ma questo non fu sufficiente. Il generale francese, decidendo di condividere le asperità che pativano le sue truppe, finì per ammalarsi gravemente, sebbene non in maniera tale da rischiare la propria vita.

L'arrivo di Napoleone

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Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna d'Italia (1800).
Napoleone attraversa il passo del Gran San Bernardo, Jacques-Louis David, 1805

Nel frattempo, sfruttando il fatto che il grosso dell' esercito austriaco fosse impegnato in Liguria, il generale Bonaparte ne approfittò per condurre una nuova armata francese, l'Armata di Riserva, oltre alle Alpi, passando per il Passo del Gran San Bernardo e attraverso alla Val d'Aosta, fino a giungere nel cuore della pianura Padana, alle spalle degli austriaci. Dirigendosi verso Milano invece che verso la Liguria, per sollevare Massena dall'assedio che lo cingeva, Napoleone minacciò di tagliare le vie di comunicazione dell'esercito austriaco e di marciare direttamente verso il cuore dell'impero, ora che le armate che dovevano difenderlo erano troppo lontane per poterlo fermare.

Von Melas, che fino a quel momento aveva svolto un egregio lavoro come comandante, comprese di aver commesso un grave errore e fu costretto a firmare una convenzione con l'armata comandata da Massena. Nonostante i francesi fossero sul punto di arrendersi, per accelerare la partenza delle proprie truppe verso l'armata di Napoleone, von Melas dovette concedere termini di resa piuttosto generosi nei confronti degli sconfitti. Ritornato in Piemonte, stabilì la propria base operativa ad Alessandria e in pochi giorni sfidò la sorte attaccando le truppe di Bonaparte il 14 giugno nei pressi di Marengo. La battaglia, decisiva nel suo esito, si concluse con una rocambolesca e costosa vittoria per le truppe francesi, portando di lì a breve ad un armistizio che conclude definitivamente la guerra sul fronte italiano.

Note esplicative

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  1. ^ Championnet era noto per il suo pessimo carattere, che gli era già costato il posto di comando dell'Armata di Napoli. Aveva ottenuto l'incarico soprattutto per la conoscenza dell' Italia acquisita nella sua breve campagna tra il 1798 ed il 1799 e temeva che Napoleone, generale decisamente più popolare ed esperto del luogo, potesse fare pressioni sul Direttorio affinché l'Armata d'Italia venisse restituita all'uomo che l'aveva resa celebre.
  2. ^ Massena aveva servito nell'Armata d'Italia dal 1792 al 1797, anni duranti i quali aveva fatto carriera rapidamente. Aveva riportato vari successi sia da solo (come a Saorgio), sia sotto la supervisione di Napoleone, del quale fu un eccellente sottoposto.
  3. ^ Gli austriaci intuirono che i repubblicani stessero preparando dei rinforzi da inviare in Liguria, immaginando che si trattasse di soldati che arrivassero dal Midi, seguendo approssimativamente la linea della costa come già fatto per tutta la durata della guerra, ma la formazione e l'arrivo dell'Armata di Riserva da nord era completamente fuori dalle loro previsioni. Anzi, come affermato da Roberts, nel libro Napoleone il Grande, pp. 305-306, la formazione dell'Armata di Riserva era stata compiuta in massima segretezza. Nemmeno Moreau, comandante delle armate del Reno, era alla conoscenza dei piani di Napoleone.

Note bibliografiche

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  1. ^ Saint-Cyr, pp. 20-23.
  2. ^ Jomini XV, pp.330-331.
  3. ^ Botta, p. 388.
  4. ^ a b c (EN) Enrico Acerbi, The 1799 Campaign in Italy: The Last Battles & the End of the Directory’s Wars August-December 1799, su napoleon-series.org.
  5. ^ Coppi, pp. 288-289.
  6. ^ Gachot, pp. 6-12.
  7. ^ 30000 secondo Jomini XVI, p. 49.
  8. ^ Botta, pp. 412-413.
  9. ^ Coppi, p. 382.
  10. ^ a b Jomini XVI, pp. 50-51.
  11. ^ a b Botta, p. 413.
  12. ^ Chiama, pp. 141-143.
  13. ^ Jomini XVI, p. 51.
  14. ^ Jomini XVI, pp. 51-52.
  15. ^ Jomini XVI, pp. 52-53.
  16. ^ Jomini XVI, pp. 53-54.