Tentativi di colonizzazione della Polonia

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I tentativi di colonizzazione polacchi comprendono tutti i progetti immaginati dalla Polonia sia come Stato autonomo sia sotto dominazione straniera compiuti in un arco temporale ristretto tra il Cinquecento e il Novecento. La Polonia non possedette mai formalmente territori coloniali, anche se nel corso della sua storia si susseguirono spedizioni assai improvvisate a propositi quasi riusciti. In particolare, la Polonia andò molto vicina all'acquisizione di territori oltremare in maniera indiretta attraverso le azioni del Ducato di Curlandia e Semigallia, una circoscrizione amministrativa della Confederazione polacco-lituana.

Confederazione polacco-lituana[modifica | modifica wikitesto]

La nobiltà polacca si interessò al colonialismo già a metà del XVI secolo. In un accordo contrattuale firmato con il re Enrico di Valois (da cui il nome articoli enriciani), gli aristocratici ottennero il permesso di stabilirsi in alcuni territori d'oltremare del Regno di Francia, ma dopo la decisione di Valois di preferire la corona di Parigi e tornare in patria il proposito si arenò.[1]

Ducato di Curlandia e Semigallia[modifica | modifica wikitesto]

Sulla base dell'unione di Vilnius (28 novembre 1561), Gottardo Kettler, ultimo Gran maestro dell'ordine di Livonia, istituì il Ducato di Curlandia e Semigallia a ridosso del mar Baltico e divenne il suo primo duca. L'entità politica divenne da quel momento un vassallo del Regno polacco e perse la passata autonomia. Poco dopo, in virtù dell'Unione di Lublino (1º luglio 1569), il Granducato finì assorbito dalla Confederazione polacco-lituana.[2]

Alcuni territori coloniali per conto del Ducato di Curlandia e Semigallia furono acquisiti dal suo terzo duca e nipote di Gottardo, Jacob Kettler. Durante la sua giovinezza e durante i suoi studi all'estero fu ispirato dalla ricchezza che giungeva in vari Paesi dell'Europa occidentale dalle loro colonie. Di conseguenza, Kettler stabilì una delle flotte mercantili più grandi d'Europa, con i suoi porti principali a Windau (oggi Ventspils) e Libau (oggi Liepāja).[2] La Confederazione non si concentrò mai sulle aspirazioni coloniali del Ducato di Curlandia, anche se nel 1647 Kettler incontrò il re Ladislao IV Vasa e suggerì la creazione di una società commerciale congiunta, che sarebbe stata attiva in India. Tuttavia il monarca, a quell'epoca colpito da una malattia che lo avrebbe portato alla morte l'anno seguente, non si mostrò interessato e ciò spinse Kettler ad agire da solo.[1]

Nuova Curlandia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Colonizzazione curlandese delle Americhe.
Trinidad e Tobago su una mappa del mondo

La prima colonia fondata da Jacob risultò la Nuova Curlandia (Neu-Kurland) sull'isola dei Caraibi di Tobago. Tuttavia, i tre tentativi iniziali di dare vita a un insediamento stabile (1637, 1639 e 1642) fallirono.[3] Il quarto, avvenuto nel 1654, sembrò avere successo, ma alla fine nel 1659 si insediò sull'isola un gruppo di coloni olandesi che entro prestò in competizione. La Curlandia riconquistò l'isola dopo il trattato di Oliva nel 1660, ma la abbandonò nel 1666.[3] Tentò brevemente di ristabilirvi delle colonie nel 1668 e nel 1680, rimanendovi fino al 1683.[3] L'ultimo tentativo, nel 1686, durò fino al 1690.[2]

Gambia[modifica | modifica wikitesto]

Insediamenti curlandesi in Africa
Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del Gambia.

Nel 1651, la Curlandia acquistò l'isola James (allora chiamata di Sant'Andrea dagli europei) da una tribù locale, dando vita a Fort James e rinominando l'isola. La Curlandia prese anche altre terre locali, tra cui l'isola di Santa Maria (l'odierna Banjul) e Fort Jillifree.[4] La colonia esportava zucchero, tabacco, caffè, cotone, zenzero, indaco, rum, cacao, gusci di tartaruga, uccelli tropicali e le loro piume. I governatori mantennero buoni rapporti con la gente del posto, ma entrarono in conflitto con altre potenze europee, principalmente Danimarca, Svezia e Province Unite. Gli olandesi annessero i territori della Curlandia in Africa, ponendo fine alla loro presenza nel continente.[2]

Toco[modifica | modifica wikitesto]

L'ultimo tentativo dei curlandesi di stabilire una colonia coinvolse l'insediamento vicino alla moderna Toco, su Trinidad, nelle Piccole Antille.[2]

La Polonia sotto la dominazione straniera[modifica | modifica wikitesto]

Spedizione in Camerun[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1882, quasi un secolo dopo che avevano avuto luogo le spartizioni della Polonia, un nobile polacco e ufficiale della flotta imperiale russa, tale Stefan Szolc-Rogoziński, organizzò una spedizione in Camerun.[5][6] A livello ufficiale si trattava di una spedizione esplorativa, ma ufficiosamente la spedizione stava cercando un luogo in cui una comunità polacca potesse essere fondata all'estero. Non godeva di alcun appoggio ufficiale dall'Impero russo, né dal fantoccio Regno del Congresso facente capo a San Pietroburgo, ma era sostenuto da un certo numero di polacchi influenti, tra cui Bolesław Prus e Henryk Sienkiewicz. Il 13 dicembre 1882, accompagnato da Leopold Janikowski e Klemens Tomczek, Rogoziński lasciò il porto francese di Le Havre, a bordo della nave Lucja Malgorzata, con bandiera francese e polacca.[6][7] La spedizione si rivelò un fallimento e l'uomo fece ritorno in Europa, cercando di raccogliere più fondi per il suo progetto. Alla fine, a seguito della seconda spedizione, Rogoziński decise di trasferirsi a Parigi, dove morì il 1 dicembre 1896.[6]

Nel frattempo, il Camerun venne lentamente annesso dall'Impero tedesco. Nel 1884 Rogoziński aveva sottoscritto un accordo con un rappresentante britannico, ai sensi del quale doveva fornire sostegno ai trattati che aveva firmato con i capi del Camerun, ma l'anno successivo, al Congresso di Berlino, il governo britannico decise di non perseguire alcuna pretesa nella regione e accettò le rivendicazioni tedesche.[6]

Seconda Repubblica di Polonia[modifica | modifica wikitesto]

La Polonia riacquisì l'indipendenza dopo la prima guerra mondiale. Sebbene la colonizzazione non costituì mai un obiettivo importante della Seconda Repubblica di Polonia, alcune organizzazioni come la Lega marittima e coloniale promossero l'idea di creare colonie polacche. L'associazione traeva le sue origini dall'organizzazione Polska Bandera (bandiera polacca) fondata il 1 ottobre 1918.[8] Essa incoraggiò l'acquisto di terre da parte di emigranti polacchi in luoghi come il Brasile e la Liberia.[8] Considerato l'aumento dell'influenza della marina mercantile polacca nelle politiche governative, nonostante la lunga e continua campagna propagandistica tramite pubblicazioni, mostre, discorsi, investimenti, ecc. volta ad ottenere sostegno pubblico non riuscì mai a portare avanti i suoi piani volti a ottenere un territorio coloniale per la Polonia.[8] In un simile contesto, nel 1926 fu fondata a Varsavia la Società Coloniale (Towarzystwo Kolonizacyjne). Il suo compito appariva quello di dirigere gli emigranti polacchi in Sud America, con il risultato che presto divenne presto attiva anche in quella regione geografica, principalmente nello stato brasiliano di Espírito Santo.[9] Il governo sovvenzionò l'istituzione riservandole 200.000 złoty a titolo di finanziamento pubblico.[10]

Alcuni storici, come Tadeusz Piotrowski, caratterizzarono le politiche del governo a sostegno degli insediamenti polacchi tra le due guerre nell'odierna Ucraina e Bielorussia come colonizzazione (si pensi agli osadnik, veterani biancorossi pagati per insediarsi nei territori di confine noti come Kresy).[11] In un contesto squisitamente teorico, un accademico polacco sostenne che i progetti di insediamento della sua nazione, in particolare l'affare liberiano, andavano considerati come un'opportunità. Inoltre, gli africani andavano visti come persone che potevano fornire solo manodopera nei lavori pesanti, nell'agricoltura e, tuttalpiù, ricoprire ruoli economici e politici inferiori, come nel caso degli afro-americani nel Nuovo Sud. Tali progetti, proseguiva la teoria, avrebbero riservato priorità delle vite europee su quelle degli africani, con ovvie implicazioni in termini economici e razziali.[12] Al contrario, diversi storici polacchi e polacco-americani attribuiscono meno motivazioni razziste ai propositi della Polonia sull'Africa e sull'America Latina. Essi sottolineano che i tentativi in gran parte economici della Polonia di acquisire materiali tropicali non disponibili nell'Europa continentale sono stati intrisi di discorsi coloniali controproducenti, ma ancora popolari in tutta l'Europa dell'epoca.[13] I progetti polacchi, politicamente meno espansionistici di quanto possano sembrare, giocarono un discreto ruolo nelle politiche estere polacche non solo in relazione alla questione dell'emigrazione ebraica, ma anche nelle relazioni con la Germania.[14]

Morska Wola, colonia polacca nello stato di Paraná, in Brasile

Le seguenti regioni sono state prese in considerazione per la colonizzazione polacca durante il periodo interbellico:

  • Brasile (regione di Paraná): l'emigrazione polacca in quella regione iniziò già prima della prima guerra mondiale, con circa 150.000 polacchi residenti nella zona negli anni '30 (18,3% del totale).[15] L'azione di insediamento incoraggiata dal governo cominciò lì nel 1933, dopo che l'associazione marittima e coloniale, insieme ad altre organizzazioni, aveva acquistato un totale di 250.000 ettari di terreno. Il governo brasiliano, temendo che i polacchi potessero pianificare l'annessione di una fetta del Brasile, reagì molto rapidamente, limitando le attività delle organizzazioni polacche. Poiché il governo di Varsavia non volle intervenire, il progetto terminò alla fine degli anni '30.[1]
  • Perù (vicino al fiume Ucayali): nel gennaio del 1928, una spedizione polacca si diresse verso la zona dell'Ucayali, allo scopo di verificare le possibilità di creare degli insediamenti per agricoltori su diverse migliaia di ettari di foresta pluviale. Poco dopo, arrivarono i primi coloni, ma a causa della Grande depressione, il governo di Varsavia cessò di finanziare l'azione. Le donazioni private apparivano insufficienti e, inoltre, i polacchi giunti compresero presto che le condizioni locali erano assai peggiori di quelle pubblicizzate. Nel 1933, il contratto con i peruviani andò rescisso e, affinché si evitasse lo scandalo internazionale, tutti i coloni fecero ritorno in Polonia.[16]
  • Angola: il 14 dicembre 1928, la Lega marittima e coloniale inviò una spedizione in Angola, allora una colonia portoghese. Il piano era volto a cercare di portare quanti più immigrati polacchi possibile, provando poi ad acquistare un determinato territorio dai portoghesi. Tuttavia, dopo un lustro, uno dei primi pionieri in Angola, Michal Zamoyski, scrisse: "Personalmente, non persuaderei nessuno a vivere in Angola". Le condizioni di vita erano difficili, i profitti erano marginali e l'idea fu abbandonata.[1]
  • Liberia: i governi liberiano e polacco avevano buoni rapporti grazie al sostegno polacco alla Liberia nella Società delle Nazioni. Nell'autunno del 1932, l'organizzazione internazionale elaborò un piano che prevedeva di trasformare la Liberia in un protettorato governato da uno dei membri della Società delle Nazioni.[17][18] Il piano era il risultato delle politiche interne della Liberia, dove la schiavitù appariva diffusa. Poiché la Polonia non era considerata dai liberiani come un paese con aspirazioni coloniali, alla fine del 1932 un inviato non ufficiale del governo della nazione africana, il dottor Leo Sajous, venne a Varsavia per chiedere aiuto. Nell'aprile 1933 fu firmato un accordo tra la Liberia e la Lega marittima e coloniale.[17][18] Gli africani decisero di affittare un minimo di 60 ettari di terra agli agricoltori polacchi per un cinquantennio. Alle imprese polacche si conferì lo status di nazione più favorita e Varsavia venne autorizzata a fondare una società per sfruttare le risorse naturali della Liberia. Il governo liberiano invitò coloni dalla Polonia nel 1934: in totale, i liberiani concessero ai coloni polacchi 50 piantagioni, con un'area totale di 30 km² circa.[17][18] Nella seconda metà del 1934, sei contadini biancorossi partirono per la Liberia: Gizycki, Szablowski, Brudzinski, Chmielewski, Januszewicz e Armin.[19] Il progetto non ricevette il pieno sostegno dal governo polacco, ma solo delle associazioni a favore delle politiche colonialiste; solo poche decine di polacchi accettarono quell'offerta (a causa delle richieste liberiane che i coloni portassero capitali significativi) e le loro imprese si rivelarono, per la maggior parte, non redditizie. L'originale dell'intesa è andato perduto, ma, secondo alcune fonti, esisteva un protocollo segreto che consentiva alla Polonia di arruolare 100.000 soldati africani.[17][18] Il coinvolgimento polacco in Liberia fu duramente contrastato dagli Stati Uniti, i quali ebbero un ruolo nell'acquisizione dell'indipendenza della Liberia. A seguito della pressione americana, nel 1938 il Ministero degli affari esteri polacco chiuse l'ufficio della Lega Marittima e Coloniale a Monrovia.[1][13]
  • Mozambico: i piani per la colonizzazione del Mozambico erano legati agli investimenti commerciali di alcune imprese polacche verso la fine degli anni '30 e non andarono mai oltre il normale investimento straniero (acquisizione di terreni agricoli e miniere).
  • Madagascar: l'idea di acquisire la colonia francese del Madagascar da parte del governo polacco fu discussa nel 1926, ma l'idea venne ritenuta irrealizzabile.[4][20] L'idea tornò in auge negli anni '30, quando si propose che gli ebrei polacchi, i quali si riteneva dominassero le professioni polacche, fossero incoraggiati a emigrare. A un certo punto, il ministro degli Esteri polacco Józef Beck propose senza mezzi termini che il Madagascar fosse utilizzato come "discarica" per la popolazione ebraica in "surplus" concentrata in Polonia.[21] Il governo polacco propose il piano di emigrazione ebraica in Madagascar alla Società delle Nazioni nel 1936 e inviò una delegazione per valutarne la fattibilità sull'isola nel 1937.[21] La Francia, cercando di rafforzare i suoi legami con la Polonia e scoraggiare la cooperazione polacco-tedesca, partecipò all'impresa alla presenza del funzionario francese Marcel Moutet.[21] Varsavia spedì una delegazione speciale in Madagascar, sotto il comando dell'esercito polacco Mieczyslaw Lepecki. Il proposito ricevette agli occhi della stampa l'etichetta di fallimento poco dopo la spedizione del 1937[22] o come terminato dalla campagna di Polonia nel settembre del 1939 (piano Madagascar).[23]
  • Tanganica e Camerun: vari autori polacchi, non supportati dal governo, espressero interessi in questa regione, in quanto in parte scoperti da Stefan Szolc-Rogoziński. Sempre secondo tale corrente, l'Europa aveva un debito generale nei confronti della Polonia per la guerra polacco-sovietica e quindi vi era bisogno che andasse saldato.[24]
  • Anche la Palestina era considerata una destinazione plausibile per gli ebrei polacchi. Il colonnello Józef Beck, poi Ministro degli Affari Esteri, sostenne il proposito.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e La Polonia e il colonialismo, su Focus, 27 aprile 2008. URL consultato il 22 settembre 2021.
  2. ^ a b c d e Dariusz Kołodziejczyk, La Repubblica polacca ha avuto colonie in Africa e in America?, su Mówią wieki, 24 febbraio 2012. URL consultato il 22 settembre 2021 (archiviato dall'url originale il 24 febbraio 2012).
  3. ^ a b c (EN) Amanda Sumner, New Courland, Tobago: A GIS analysis of a 17th-century settlement, in Honours Undergraduate Theses, n. 313, 2018, pp. 6-14. URL consultato il 23 settembre 2021.
  4. ^ a b Paola di Marzo, Polonia: l'isola di Kunta Kinte e l'operazione Madagascar, su eastjournal.net, 11 marzo 2015. URL consultato il 22 settembre 2021.
  5. ^ Stefan Szolc-Rogoziński - ricercatore del Camerun, su Polskie Radio, 14 aprile 2021. URL consultato il 22 settembre 2021.
  6. ^ a b c d Mateusz Będkowski, La spedizione di Stefan Szolc-Rogoziński in Camerun e i sogni polacchi di colonie, su histmag-org, 14 aprile 2016. URL consultato il 22 settembre 2021.
  7. ^ Stefan Szolc-Rogoziński (1861-1896), su kalisz.pl. URL consultato il 22 settembre 2021.
  8. ^ a b c (EN) Taras Hunczak, Polish Colonial Ambitions in the Inter-War Period, in Slavic Review, vol. 26, n. 4, dicembre 1967, pp. 648-656.
  9. ^ (EN) Piotr Puchalski, Emigrants into colonists: Settlement-oriented emigration to South America from Poland, 1918-1932, in Journal of Modern European History, DOI:10.1177/1611894421992682.
  10. ^ (EN) Anna Reczyńska, For Bread and a Better Future: Emigration from Poland to Canada 1918-1939, Multicultural History Society of Ontario, 1996, p. 142, ISBN 978-09-19-04570-5.
  11. ^ (EN) Anna Bikont, The Crime and the Silence, Farrar, Straus and Giroux, 2015, p. 179 (nota 1), ISBN 978-03-74-71032-3.
  12. ^ Bolaji Balogun, Polish Lebensraum: the colonial ambition to expand on racial terms (PDF), in Ethnic and Racial Studies, vol. 41, n. 14, ottobre 2017, p. 2561–2579, DOI:10.180/01419870.2017.1392028. URL consultato il 22 settembre 2021.
  13. ^ a b (EN) Piotr Puchalski, The Polish mission to Liberia, 1934-1938: Constructing Poland's colonial identity, in The Historical Journal, vol. 60, n. 4, dicembre 2017, pp. 1071–1096, DOI:10.1017/s0018246x16000534.
  14. ^ (PL) Zbigniew Bujkiewicz, Aspiracje kolonialne w polityce zagranicznej Polski, Zielona Góra, Lubuskie Towarzystwo Naukowe, 1998.
  15. ^ (EN) J. Zubrzycki, Polish Immigrants in Britain: A Study of Adjustment, Springer Science & Business Media, 2013, p. 243, ISBN 978-94-01-19783-0.
  16. ^ Michał Jarnecki, Peruwiańska porażka i próba jej naprawy [Fallimento peruviano e il tentativo di risolverlo], n. 44, 2014, DOI:10.11649/sn.2014.008.
  17. ^ a b c d Sogni polacchi di colonialismo: Liberia, su afryka-org.translate.goog, 26 dicembre 2010. URL consultato il 22 settembre 2021.
  18. ^ a b c d Rafał Kuzaki, Imperialismo polacco, Liberia e...Scelte andate male, su ciekawostkihistoryczne-pl.translate.goog, 4 giugno 2011. URL consultato il 22 settembre 2021.
  19. ^ (EN) Piotr Puchalski, The Polish mission to Liberia, 1934–1938: constructing Poland's colonial identity, vol. 60, n. 4, Cambridge University Press, 20 marzo 2017.
  20. ^ (EN) Lova Rakotomalala, The Nazi plan to relocate Jews to Madagascar, one of World War II's forgotten 'what ifs', su pri.org, 29 gennaio 2016. URL consultato il 23 settembre 2021.
  21. ^ a b c (EN) Vicki Caron, Uneasy Asylum: France and the Jewish Refugee Crisis, 1933-1942, Stanford University Press, 1999, p. 152, ISBN 978-0-8047-4377-8.
  22. ^ (EN) Joseph Marcus, Social and political history of the Jews in Poland, 1919-1939, Walter de Gruyter, 1983, ISBN 978-90-279-3239-6.
  23. ^ (EN) M. Jarnecki, Madagascar in Polish colonial ideas and plans, in Sprawy Narodowościowe, n. 28, 2006, pp. 89-101. URL consultato il 23 settembre 2021.
  24. ^ Paweł Fiktus, Il concetto di "colonia" e "colonialismo" nel discorso politico e giuridico della Lega marittima e coloniale[collegamento interrotto], pp. 111-121. URL consultato il 23 settembre 2021.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (PL) Marek Arpad Kowalski, Kolonie Rzeczypospolitej, Bellona, 2006, pp. 368.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]