Utente:MCarra99/SandboxEsame

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Il Consilium de Emendanda Ecclesia è stato un documento consegnato a Papa Paolo III nel 1537 relativo ai problemi presenti nella Chiesa cattolica e redatto da una commissione da lui nominata circa un anno prima.[1]

La commissione incaricata di analizzare la situazione della Chiesa era presieduta dal cardinale Gasparo Contarini e ne fecero parte: Girolamo Aleandro, Tommaso Badia, Giovanni Pietro Carafa (poi papa Paolo IV), Gregorio Cortese, Federigo Fregoso, Gian Matteo Giberti, Reginald Pole e Jacopo Sadoleto. Il loro rapporto fu letto a Paolo III il 9 marzo 1537 [1] nella la Sala del Pappagallo, al secondo piano del Palazzo Apostolico a Roma.

Paolo III accettò le raccomandazioni ma non si impegnò a sufficienza per ottenere cambiamenti immediati. Il rapporto confidenziale fu pubblicato illegalmente nel 1538 e godette di un'ampia diffusione. Martin Lutero pubblicò una versione tedesca, completata da sarcastiche annotazione ai margini. Il maestro di scuola strasburghese Johannes Sturm analizzò più attentamente il Consilium, plaudendo allo sforzo compiuto dalla Chiesa cattolica per risolvere alcune delle sue più evidenti problematiche, ma mostrando grande preoccupazione nel caso la Chiesa avesse potuto riformarsi senza dare una maggiore importanza al Vangelo.

La seconda parte del testo entra nel cuore del problema, esaminando nei dettagli i "mali" che affliggono la Chiesa: le ordinazioni sacerdotali, celebrate con molta superficialità, ammettendo all'ordine uomini indegni e di "cattivi costumi"; l'attribuzione delle diocesi, da molti vescovi individuate come fonte continua di cespiti e "giovamento delle proprie utilità", non disdegnando tanto il cumulo di altri benefici, tanto il commercio degli stessi in funzione del "mero guadagno".

Le proposte contenute nel Consilium de emendanda ecclesia non trovarono subito attuazione, sebbene molti dei suggerimenti furono alla base delle successive riforme.

Contesto storico

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Il XVI secolo, e in particolare nel periodo che va dall’affissione delle 95 tesi di Lutero a Wittenberg nel 1517, fino alla conclusione del Concilio di Trento nel 1563, conosce sicuramente una grande varietà di proposte riformatrici tra le persone fedeli alla Chiesa romana. Ognuna di queste proposte ha certamente rappresentato un passo verso il piano tridentino di Riforma ecclesiastica, e il Consilium de emendanda ecclesia è sicuramente uno dei più importanti di questi passi: per la prima volta, infatti, un documento ufficiale redatto da prelati denuncia gli abusi della Chiesa nella concessione dei benefici [2].

Se esso viene analizzato con attenzione e confrontato con altri testi di carattere riformistico che intercorrono tra il 1517 e il 1563, fa comprendere come l’opera di Riforma ecclesiastica del XVI secolo in Italia sia un processo incline alla sperimentazione creativa e al compromesso, più che all’imposizione e alla repressione. Il documento è collegato a precedenti richieste di Riforma, e certamente ha alimentato le idee per i decreti finali del Concilio di Trento. Tuttavia, proprio in sede tridentina, le posizioni rigide e bellicose degli autori del Consilium hanno spesso lasciato spazio a ripensamenti e compromessi. Ciò a dimostrazione del fatto che la Riforma nella prima età moderna sia caratterizzata da un lungo processo di negoziazione che ha preso il via dalla Chiesa di Roma, a livello ecclesiastico e teorico, prima ancora che a livello diocesano o locale. Lo studio di testi come il Consilium de emendanda ecclesia ci aiuta dunque a comprendere, insieme all’analisi dell’attuazione riformatrice locale, una parte essenziale della Riforma nella Chiesa romana nel XVI secolo.


  1. ^ a b Bonora, 2001, p. 8.
  2. ^ Paolo Viola, L'Europa moderna. Storia di un'identità, Einaudi, Torino, 2004, p. 95.

Voci correlate

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