Utente:FabiorWikiTIM/Post-verità

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Il termine post-verità è la traduzione dell'inglese post-truth: esso indica quella condizione secondo cui, in una discussione relativa a un fatto o una notizia, la verità viene considerata una questione di secondaria importanza.

Nella post-verità la notizia viene percepita e accettata come vera dal pubblico sulla base di emozioni e sensazioni, senza alcuna analisi concreta della effettiva veridicità dei fatti raccontati: in una discussione caratterizzata da "post-verità", i fatti oggettivi - chiaramente accertati - sono meno influenti nel formare l'opinione pubblica rispetto ad appelli ad emozioni e convinzioni personali.

Il termine, già comparso in precedenza, ha conosciuto un forte incremento del suo utilizzo nelle discussioni relative alla politologia e alla comunicazione politica a seguito di alcuni importanti eventi avvenuti nel 2016 (tra cui il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea e le elezioni presidenziali negli Stati Uniti d'America del 2016[1], al punto che l'Oxford English Dictionary ha deciso di eleggere post-truth come parola dell'anno del 2016[2]).

Definizione[modifica | modifica wikitesto]

Oggi si parla di post-verità in riferimento a una notizia completamente falsa che, spacciata per autentica, sarebbe in grado di influenzare una parte dell'opinione pubblica, divenendo di fatto un argomento reale, dotato di un apparente senso logico. Chi si affida alla post-verità tende a rivangare i propri sentimenti e le proprie paure; chi invece cerca la verità in campo politico ed economico tende a rapportarsi con il mondo reale e con la storia.

Un cartello di protesta contro il presidente statunitense Barack Obama che fa riferimento alla leggenda metropolitana secondo la quale mancherebbe un certificato che accerti la nascita dello stesso negli Stati Uniti.

Differenti possono essere le interpretazioni scientifiche della storia e della realtà, ma, chi cerca la verità, si basa sempre su documenti e fatti accertati. Si potrebbe affermare che il termine post-verità descriva una leggenda metropolitana originatasi da una posizione scettica e diffidente verso dati reali o scientifici, e dalla quale si originano fatti o dati totalmente inventati[3]: se l'intento è quello di delegittimare il comune sentire dell'opinione pubblica mainstream, può degradare in una teoria del complotto[4]; se organizzata a tavolino da chi gestisce i mass media in modo professionale, può dar luogo ad una manipolazione dell'informazione. Attraverso i social media, la possibilità di diffusione di questo tipo di bufala è aumentata in modo esponenziale. La notorietà del termine ci informa inoltre che è in crescita l'attitudine a ritenere come vere alcune notizie palesemente false o alterate, ma dotate di una tale forza emotiva, talmente coincidenti con immaginarie rappresentazioni della realtà di ciascuno, che alla fine queste diventano ciò che ci piace dire e udire.

Uso del termine[modifica | modifica wikitesto]

Origine e uso del neologismo[modifica | modifica wikitesto]

Secondo l'Oxford Dictionary, il termine post-truth fu usato per la prima volta nel 1992[5] sulla rivista statunitense The Nation, in un articolo scritto dal drammaturgo serbo-americano Steve Tesich: egli affermava che la copertura mediatica dello scandalo Iran-Contra e quella della prima guerra del Golfo ebbero minore impatto rispetto a quella dello scandalo Watergate. Ciò -a detta di Tesich- dimostrerebbe che «noi, come popolo libero, abbiamo liberamente scelto di voler vivere in una specie di mondo post-verità».[6].

Nel 2004 il docente americano Ralph Keyes usò il termine "post-truth era" come titolo di un suo libro.[7] Nello stesso anno il giornalista americano Eric Alterman parlò di «politiche ambientali post-verità» e coniò l'espressione «presidenza post-verità» dopo aver analizzato le dichiarazioni fuorvianti fatte dall'amministrazione Bush, a seguito degli attacchi terroristici dell'11 settembre [8].

Il saggista britannico Colin Crouch usò tale termine nel proprio libro, intitolato Post-democrazia, per delineare un modello di politica in cui «le elezioni di fatto esistono e possono cambiare i governi», ma dove «il dibattito elettorale pubblico è uno spettacolo strettamente controllato, gestito da squadre rivali di professionisti esperti nelle tecniche di persuasione, che scelgono solo una piccola gamma di temi da affrontare durante i dibattiti». Crouch attribuiva al «modello di industria pubblicitaria» applicato alle comunicazioni politiche la causa della crisi di fiducia e le accuse di disonestà che pochi anni dopo altre persone associarono con le politiche post-verità.[9]

Successivamente, il termine post-verità ha iniziato ad assumere connotati differenti, inserendosi all'interno di nuove teorie che abbracciano principalmente due materie: la politologia e la comunicazione politica.

Secondo la moderna accezione della post-verità, con politica della post-verità o politica post-fattuale (derivante dall'inglese post-truth politics), s'intende una cultura politica caratterizzata da dibattiti in gran parte contraddistinti da feedback emotivi, scollegati dai tratti principali della politica in discussione: si ricorre anzi alla reiterata affermazione degli stessi argomenti di discussione che ignorano le obiezioni.

Nel 2009 il politologo francese Dominique Moïsi ha intitolato un suo libro Geopolitica delle emozioni, testo nel quale si afferma che la post-verità si propaga nella rete e nei social network: il flusso incontrollato di notizie ci predispone alle bolle mediatiche. Il meccanismo dei followers e dei like non smonta le falsità, al contrario le rinforza. Infine, sempre secondo il politologo, la post-verità, intesa come bufala politica, diventa un monologo ripetuto all'infinito e che si sostituisce al dialogo tra parti avversarie[10].

L'uso contemporaneo del termine è invece da attribuire al blogger David Roberts, che lo usò nel 2010, per una rubrica presente nel sito di informazione online Grist. I politologi hanno riscontrato un'ascesa dell'uso delle politiche post-fattuali, in particolare nei contesti politici americano, inglese, indiano e turco, ma anche in altre aree di discussione. Ciò è stato reso possibile a causa della crescente velocità di diffusione delle notizie, all'uso di fallaci logiche sempre più in auge nei giornali, e alla continua crescita della presenza dei social media nella nostra quotidianità.[11][12]

Anche l'Accademia della Crusca ha studiato il neologismo post-verità: il 25 novembre 2016, in un intervento dal titolo Viviamo nell'epoca della post-verità?[13] , Marco Biffi ha scritto: «La rete ha senza dubbio delineato i connotati fondamentali di questa dimensione oltre la verità. 'Oltre' è il significato che qui sembra assumere il prefisso 'post' (invece del consueto 'dopo'): si tratta cioè di un 'dopo la verità' che non ha niente a che fare con la cronologia, ma che sottolinea il superamento della verità fino al punto di determinarne la perdita di importanza. E, analizzando le modalità in cui il superamento si concretizza di volta in volta, colpisce la vocazione profetica che la parola nasconde tra le sue lettere: la post-verità, infatti, spesso finisce per scivolare nella verità dei post (come è successo spesso sulla rete proprio in relazione alle campagne politiche legate alla Brexit o alle elezioni americane).»

Per Marco Biffi prevale l'uso del sostantivo al femminile, sebbene vi siano anche casi di post-verità al maschile.

Opinioni sulla voce[modifica | modifica wikitesto]

Ha scritto Daniele Bresciani su Il Libraio: «È la tanto citata post-verità, tirata in ballo per le cantonate dei sondaggi pre-Brexit e pre-Trump (di cui parla anche Annamaria Testa su Internazionale). In poche parole c’è chi per mestiere diffonde bufale in rete e se oggi quasi la metà della popolazione sceglie di informarsi (attenzione: il punto è tutto qui: non divertirsi, non scambiarsi le foto delle vacanze, ma informarsi) attraverso i social network il problema esiste.» [14]

Stefano Cecchi riferisce l'opinione di Vivian Schiller, già responsabile delle news di Twitter: «La bufala più grossa ha riguardato Donald Trump. Si sosteneva che costui in campagna elettorale avesse avuto l'endorsement di Papa Francesco. Una notizia così falsa al punto che il giornale che l'avrebbe diffusa per primo, il Denver Guardian, neppure esiste. Eppure per giorni è stata la notizia più letta su Facebook». Continua affermando: «Anche il fatto che Hillary aveva venduto armi all’Isis era una patacca. Eppure è stata la terza notizia più letta sui social Usa in quei giorni».[15]

Annamaria Testa, esperta di comunicazione, ha scritto in un articolo intitolato Vivere ai tempi della post-verità[16] ː «Dovete sapere che i fact checker del Washington Post valutano il grado di verità delle affermazioni assegnando Pinocchi. Un Pinocchio corrisponde a una quasi-verità, due Pinocchi sono una verità con omissioni o esagerazioni, tre Pinocchi sono una quasi falsità, o una verità espressa in maniera molto fuorviante, quattro Pinocchi sono una bufala totale. Infine, un Pinocchio capovolto corrisponde al ritrattare un’affermazione precedente facendo finta di niente, e un segno di spunta (o Geppetto) corrisponde alla pura verità. Bene: nel corso della sua campagna elettorale Trump batte ogni record collezionando ben 59 affermazioni da quattro Pinocchi

Daniele Scalea ritiene che la campagna contro le fake news nasconda la paura dell'establishment contro i cambiamenti e che si debba lasciar affermare la bufala che la Terra sia piatta «affinché l'onesto possa indicarci che il “Re è nudo”, senza per questo rischiare di essere accusato di propinare una bufala o di essere censurato da Facebook e Google».
Mario Pireddu giudica come post-verità l'affermazione secondo la quale l'influenza di notizie false provenienti da Internet possa portare ad una situazione in cui sia impossibile distinguere il vero dal falso. Gli internauti utilizzerebbero difatti «fonti più differenziate rispetto a coloro che si informano con mezzi tradizionali (Tv, radio e giornali), e oggi il fact-checking è più facile, rapido e diffuso di un tempo»[17].

Vladimiro Giacché ritiene che l'istituzione di un organismo governativo di controllo contro le post verità sia equiparabile al ministero della Verità, descritto da Orwell nel romanzo 1984, e controbatte citando esempi di quelle che ritiene siano verità tenute nascoste o ignorate da gran parte dei media.[18]

Secondo Gaetano Azarriti il dibattito deve essere articolato su tre piani: «La disinformazione -ovvero la propaganda-, l’informazione falsa e il pensiero critico. Gli ultimi due sono già regolamentati: se si dà un’informazione falsa esistono sanzioni giuridiche. Il limite del rimedio giudiziario è che arriva tardi, ma c’è. Il pensiero critico deve essere salvaguardato e non può avere limitazioni perché fa parte della sfera delle libertà»[19].

Secondo Zagrebelsky le post-verità non sono così influenti, in quanto «Le bufale del Web sono così dozzinali che chi ha un minimo di conoscenza può facilmente respingerle [...]. Occorrerebbe bloccare gli interventi anonimi sul Web, così sarebbe più facile distinguere chi è credibile e chi no [...]. Le fake news diffuse per turbare l'ordine pubblico sono già ora materia penale. Per il resto, questa storia della post-verità mi pare un discorso falso: come se prima non fosse esistita e avessimo vissuto nel paradiso della verità»[20].

Nel Febbraio 2017, Claire Wardle scrive un articolo su First Draft News, nel quale la studiosa propone di andare oltre il classico significato di notizia falsa o fake news distinguendo ne "l'ecosistema della disinformazione" la misinformazione e la disinformazione[21], tematica affrotata anche in un articolo del sito di osservazione giornalistica Valigia Blu[22].
La misinformazione è l'attività di diffusione involontaria di informazioni false; la disinformazione, al contrario della prima, è la voluta creazione e diffusione di informazioni false per fini commerciali o politici. Per poter comprendere il complesso funzionamento di questo ecosistema, la Wardle sottolinea tre punti fondamentali:

  • Conoscere i diversi contenuti creati e condivisi
  • Conoscere le motivazioni per le quali una fake news viene creata
  • Comprendere il modo in cui il contenuto viene diffuso.

Vengono inoltre definiti sette modi in cui un contenuto falso può essere condiviso nell'ecosistema informativo, in altre parole, sette tipi di disinformazione:

  1. Collegamento ingannevole: quando il contenuto si discosta dal titolo, immagine e/o didascalia
  2. Contesto ingannevole: quando è presente parte di un contenuto reale ma accompagnato da informazioni contestuali false
  3. Contenuto manipolato: quando l'immagine, o l'informazione reale stessa, viene manipolata per trarre in inganno il lettore
  4. Contenuto fuorviante: quando l'informazione è veicolata verso un problema o una persona
  5. Contenuto ingannatore: quando l'informazione viene spacciata come proveniente da fonte realmente esistita
  6. Contenuto falso al 100%: quando l'intero contenuto è del tutto falso e vuole trarre in inganno
  7. Manipolazione della satira: quando l'intento non è di procurare danni, ma il contenuto è comunque satirico ed ingannevole.

Tuttavia, non è sufficiente conoscere solamente le diverse tipologie di contenuti per scomporre il meccanismo di disinformazione. Per questo la studiosa coniuga otto possibili motivazioni che spiegherebbero la creazione dei suddetti fake content, insieme alle precedenti sette voci: profitto, influenza politica, propaganda, faziosità, provocazione, parodia, cattivo giornalismo, interesse particolare.

In un'intervista, pubblicata il 3 gennaio 2017 e rilasciata alla giornalista Virginia Della Sala de Il Fatto Quotidiano, il giornalista televisivo Enrico Mentana ha risposto così alla domanda se a suo parere le fake-news, dunque le post-verità, avessero potuto influenzare gli esiti dell'elezione di Donald Trump e dei referendum britannico e italiano: «L'informazione negativa influenza sempre in qualche modo una campagna elettorale. Si pensi a quella su Berlusconi, fatta per anni. Altro discorso è invece il macigno sulla "post verità": sulle elezioni americane, dall'Italia, era chiaro che le informazioni contro Trump fossero molto più numerose di quelle contro la Clinton. È ridicolo oggi raccontare il contrario. Otto anni fa si leggevano articoli su quanto fosse fico Obama perché usava i social network per la sua campagna. E oggi? Capovolgiamo il concetto solo perché ha vinto Trump? Il termine post-truth è da un lato troppo ingenuo, dall'altro troppo ingegnoso. E comunque è troppo generico. Non è altro che la balla dell'altro, mentre la tua, di balla, passa come una considerazione. Il voto, in realtà, è viscerale: il ritratto arriva dopo. Accattivante o repellente che sia[23]».

Vi sono altresì opinioni che ritengono antidemocratico l'aver coniato il termine post-verità, il cui uso tenderebbe a limitare la libertà di espressione.[24]

Esempi nel mondo dell'arte[modifica | modifica wikitesto]

Il mondo dell’arte ha spesso giocato sul concetto di verità, sulla contrapposizione tra il vero e il falso e su come quest’ultimo possa essere spacciato per verità. Un esempio calzante è fornito da un film del 1997, Sesso & potere, che vede Robert De Niro e Dustin Hoffman - rispettivamente nei panni di Conrad Brean, uno spin doctor, e di Stanley Motss, un produttore cinematografico - giocare con la verità: essi architettano un conflitto immaginario contro l’Albania per distrarre l’opinione pubblica da uno scandalo sessuale che vedeva coinvolto il presidente americano. Grazie alle abilità cinematografiche di Motss, la guerra prende forma, attraverso immagini fittizie veicolate dai media rappresentanti bombardamenti, villaggi in fiamme, profughi in fuga. In questo modo la finzione (la guerra) diventa realtà, solo perché si ha la possibilità di presumere che sia vera[25].

Una situazione analoga si presenta nel primo episodio della serie televisiva britannica The Thick of It, in cui lo spin doctor Malcolm Tucker cerca di convincere il neoeletto ministro Hugh Abbot del fatto che un annuncio mai pronunciato avrebbe potuto improvvisamente diventare reale. [26]. È lo stesso principio che viene applicato dal cosiddetto Ministero della verità (in neolingua Miniver) nel celebre romanzo distopico di George Orwell, ''1984'' . Il romanzo può essere considerato uno degli esempi più validi di post-verità: al suo interno, la realtà non è mai definita, ma viene continuamente distorta per soddisfare le esigenze del Socing. In questo modo, attraverso gli strumenti nelle mani del partito - Ministero della Verità, psicopolizia, neolingua - una guerra dichiarata all’Eurasia può essere improvvisamente sostituita da una guerra contro l’Estasia, senza che rimanga traccia del presunto conflitto con l’Eurasia. Una tale manipolazione della realtà avviene attraverso la modifica o la distruzione di tracce del passato e di documenti storici, ciò che viene definito revisionismo. Data l’assenza di fonti attendibili e di prove, risulta quasi impossibile distinguere la verità dalla menzogna: «Tutto svaniva nella nebbia. Il passato veniva cancellato, la cancellazione dimenticata, e la menzogna diventava realtà»[27].

La Post-verità nell'era della comunicazione di massa[modifica | modifica wikitesto]

In una società mediatizzata -caratterizzata cioè da flussi ininterrotti di informazioni che si accavallano e spesso si contraddicono- la possibilità, per ciascuno, di creare una chiara visione dei fatti servendosi solo di argomenti razionali, è in diminuzione. Cresce, invece, l'interesse per chi inventa e racconta storie: la post-verità sembra essere diventata la chiave per la conquista e per l'esercizio del potere, sia politico sia economico, con una grave ricaduta in termini di abbassamento di livello dell'etica dei media.

Nato in senso strettamente politico, il termine si diffonde anche in altri ambiti e si prepara a contagiare la conoscenza di fenomeni sociali che vanno "oltre" la politica, la questione dell’emigrazione, per esempio, o quella della comunicazione scientifica: «È per ragioni identitarie (...) il rifiuto di ogni sapere, filosofico, tecnico, scientifico, perché su quello si baserebbe il potere delle élite. E quindi la negazione di ogni “verità”, e non certo nel senso popperiano della sua falsificabilità: per cui tutto può andar bene, le scie chimiche, il finto allunaggio della Nasa, i vaccini e l’autismo»[28]. L'effetto sulla pubblica credibilità del metodo sperimentale è dirompente: «Sembra che [...] i fatti accertati non esistano mai o che non esista metodo per accertarli. Ho l’impressione che si sia interrotta la cinghia di trasmissione tra fatti e cittadini, tra fatti e istituzioni, e questo è veramente pericoloso. Come può cambiare un paese che sembra sempre in bilico tra competenze e finzioni?»[29].

Un manifesto sulla Brexit, che riporta informazioni false sulle spese del Regno Unito all'interno dell'UE, esempio di politica post-fattuale.[30].

In politica, “post-verità” descriverebbe opportunamente il tratto principale delle propagande, i cui sostenitori continuerebbero a ripetere il proprio punto di vista, nonostante quest'ultimo risulti essere falso, anche dopo le analisi condotte dai mass media o da esperti indipendenti. La tecnica riscuote interesse ed acquista efficacia soprattutto a ridosso di scadenze elettorali o referendarie, a ridosso cioè di momenti assai delicati, in termini di potenziale influenza sui comportamenti di voto, e nei quali dovrebbe essere massimo l'interesse a preservare anzi la libertà di determinazione dell'elettore.

Durante la campagna referendaria della primavera 2016 sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione Europea, ad esempio, i sostenitori del Leave affermavano insistentemente che l'appartenenza all'Unione costasse al paese 350 milioni di sterline a settimana, iniziando, verso le fasi finali della campagna, ad usare il dato come un reale ammontare netto di denaro inviato direttamente all'UE. All'esito della vicenda, Micheal Deacon, giornalista del The Daily Telegraph, ha riassunto il messaggio centrale delle politiche post-fattuali con la fraseː «I fatti sono negativi. I fatti sono pessimisti. I fatti sono antipatriottici»[32]. Inoltre, Deacon ha aggiunto che le politiche post-verità non hanno bisogno di usare la faziosità o strumenti di negative campaigning, dato che chi usa le politiche post-verità può invece spingere per presentare una «campagna positiva», grazie alla quale le confutazioni fattuali possono essere liquidate come diffamazioni e come allarmismo, e l'opposizione può essere definita faziosa.

Dopo le elezioni presidenziali statunitensi e dopo la vittoria della Brexit, la frequenza d'uso della parola nel 2016 è salita del 2000% rispetto al 2015[13]. Nel 2017 il termine post-verità è stato invocato in seguito alla polemica sull'utilizzo del sintagma "fatti alternativi" utilizzato dalla portavoce presidenziale USA Kellyanne Conway[33].

Matteo Renzi - dopo la sconfitta delle riforme costituzionali in Italia[34] - nel discorso del 5 dicembre 2016 in cui ha annunciato le sue dimissioni da primo ministro, ringraziando i giornalisti, ha loro ricordato che si versa nell'«era della post-verità».

Il Post-Truth è stato applicato come motto politico ad una serie di culture in tutto il mondo, ma tra quelle che spiccano maggiormente ricordiamo Austria, Germania, Nord Corea, Polonia, Russia, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti.

  • Germania

Nonostante già nel 1990 il significato del termine sia stato utilizzato in termini sociologici, nel dicembre 2016 "postfaktisch" viene eletta parola dell'anno dalla società di lingua tedesca, in collegamento all’ascesa del populismo di destra del 2015 nel territorio germanico.[35]

  • India

Amulya Gopalakrishnan, articolista per iI The Times of India, utilizzò il termine in merito alle somiglianze tra il presidente degli Stati Uniti Trump e la Brexit da un lato, e tra il caso dell'Ishrat Jaha ed quello in corso contro Teesta Setalvad dall’altro, dove il revisionismo storico ha dato luogo ad un "vicolo cieco ideologico".[35]

  • Polonia

Un massiccio consolidamento del potere ha avuto luogo all'interno del parlamento polacco come risultato di un intenso e vasto cambio nelle modalità amministrative politiche. Con la recente promulgazione della legge conservatrice, la Polonia sta entrando in un nuovo clima populista che, secondo alcuni oppositori, porterà il paese a divenire un luogo surreale ed insulare. Queste recenti riforme politiche potrebbero indirizzare le istituzioni polacche in un clima di rabbia e diffida verso i media. In una recente lotta, le corti polacche hanno portato ad un aumento esponenziale delle teorie di cospirazione ed altri meccanismi di post-verità puntando all’incremento del livello di consapevolezza della disinformazione circolante all'interno del paese. Molte fonti collegano il sempre più largo utilizzo della politica di post-verità in Polonia ad un aumento niente affatto rapido della legge-giustizia nelle ali integrali della sfera politica polacca.[35]

  • Regno Unito

Il primo uso della frase in politica britannica risale a marzo 2012 da parte di Scottish Labour, il quale, con questo termine intendeva mettere in primo piano la differenza tra il presunto numero di richieste per l’istituzione di una festa nazionale per la Scozia e le statistiche ufficiali di quest’ultima. La politica di post-verità tuttavia è stata identificata come retroattiva nella Guerra in Iraq, in particolare dopo che Tony Blair destò preoccupazione nell’esercito confermando il suo sostegno a favore dell’uso di armi chimiche in Iraq.[35]

  • Stati Uniti

Nella sua formulazione originale, il termine “post-truth” fu usato da Paul Krugman in The New York Times per descrivere la campagna presidenziale del 2012 di Mitt Romney, nella quale venivano esaltate le statistiche su come Barack Obama avesse tagliato le spese degli USA.[35]

Proposte di gestione del fenomeno[modifica | modifica wikitesto]

Il 15 dicembre 2016 Mark Zuckerberg, fondatore e amministratore delegato di Facebook, espone un progetto per arginare la diffusione di notizie false: link condivisi su Facebook potranno essere indicati dagli utenti come forse falsi, attraverso l'opzione segnala post che non dovrebbe essere su Facebook, perché notizia falsa. Segnalazioni ripetute saranno analizzate con il supporto di parti terze. Se la notizia sarà giudicata falsa, perderà visibilità e non potrà essere sponsorizzata. In questo modo si aggirerà la censura, ma gli utenti saranno almeno avvisati. La presidente della Camera Laura Boldrini ha anche lanciato un appello a chi desideri agire contro le notizie false, le bufale, la disinformazione.

In un'intervista al Financial Times, pubblicata il 30 dicembre 2016, il presidente dell'antitrust Giovanni Pitruzzella ha invitato i Paesi dell'Unione Europea a dotarsi di una rete di agenzie pubbliche per combattere la diffusione delle bufale sparse ad arte sul web. Pitruzzella ha spiegato che questo impegno dovrebbe riguardare gli Stati e non essere delegato a social media, come Facebook. Ha suggerito, cioè, la creazione di un nuovo network, composto da agenzie indipendenti, coordinate da Bruxelles e ricalcate sulle agenzie antitrust. Questo network avrebbe lo scopo di individuare le bufale, di imporne la cancellazione e perfino di sanzionare chi le ha create e ne ha organizzato la diffusione via Internet. Si tratterebbe, quindi, di un'entità terza rispetto ad ogni governo in grado di provvedere quando l'interesse pubblico è minacciato. «La post-verità - dichiara Pitruzzella - è uno dei motori del populismo, è una minaccia che grava sulle nostre democrazie. Siamo a un bivio: dobbiamo scegliere se vogliamo lasciare Internet così com'è, un Far West, oppure se imporre regole, in cui si tiene conto che la comunicazione è cambiata. Io ritengo che dobbiamo fissare queste regole e che spetti farlo al settore pubblico»[36].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Sull'"accento speciale" che hanno meritato questi due eventi, nella ricostruzione pubblica del fenomeno, v. Stefano Rolando, Post-verità e dibattito pubblico, Mondoperaio, n. 5/2017, p. 87.
  2. ^ (EN) Word of the Year 2016, su oxforddictionaries.com. URL consultato il 22 gennaio 2017.
  3. ^ Ad esempio, fu messa in dubbio, nel 2008, la nascita di Obama sul suolo statunitenseː una bufala cui molti hanno creduto.
  4. ^ Di bugie di questo tipo è piena la storia: i Protocolli dei Savi Anziani di Sion predisposero la gente ai pogrom degli ebrei e alla Shoah.
  5. ^ Alison Flood, 'Post-truth' named word of the year by Oxford Dictionaries., su theguardian, 15 Novembre 2016. URL consultato il 20 Novembre 2017.
  6. ^ Flood, Alison (15 November 2016)
  7. ^ Ralph Keyes, The Post-Truth Era: Dishonesty and Deception in Contemporary Life, New York, St. Martin's Press, 2004, ISBN 9781429976220.
  8. ^ Tiberio Graziani, Post-verità e postmodernità, su benecomune.net, 26 Gennaio 2017. URL consultato il 20 Novembre 2017.
  9. ^ Colin Crouch, Postdemocrazia, Bari, Gius.Laterza & Figli Spa, 2009, ISBN 9788858105689.
  10. ^ Dominique Moïsi, La géopolitique de l'émotion: Comment les cultures de peur, d'humiliation et d'espoir façonnent le monde, Paris, Flammarion, 2008.
  11. ^ "The post-truth world: Yes, I’d lie to you," The Economist Sept 10, 2016
  12. ^ "Free speech has met social media, with revolutionary results".
  13. ^ a b Componente della Consulenza Linguistica dell'Accademia della Crusca.
  14. ^ Daniele Bresciani, 2 dicembre 2016, su Il Libraio, su illibraio.it. URL consultato il consultato il 21 novembre 2017.
  15. ^ (IT) Stefano Cecchi, Il fascino del falso nell'era 'post verità', su quotidiano.net. URL consultato il 21 novembre 2017.
  16. ^ 22 novembre 2016, su Internazionale.
  17. ^ Daniele Scalea Il peso delle bufale sul web e le difficoltà delle èlite occidentali
  18. ^ Silvia Truzzi Bufale web, Giacché: “Informazione da controllare? Siamo al ministero della Verità, come in ‘1984’ di Orwell”.
  19. ^ SiT, Bufale web, Azzariti: “È impensabile e pericoloso ipotizzare sanzioni”
  20. ^ Zagrebelsky e il voto agli ignoranti Aldo Funicelli, Agorà Vox, sabato 14 gennaio 2017
  21. ^ Claire Wardle, Fake news. It’s complicated., su First Draft News, 16 Febbraio 2017. URL consultato il 16 Novembre 2017.
  22. ^ Angelo Romano, Facile dire fake news. Guida alla disinformazione, su Valigia Blu, 22 Febbraio 2017. URL consultato il 16 Novembre 2017.
  23. ^ Bufale web, Mentana: "Controlli dannosi e inutili. Basterebbe vietare l’anonimato" - Il Fatto Quotidiano, in Il Fatto Quotidiano. URL consultato il 4 gennaio 2017.
  24. ^ Il Fatto Quotidiano: L'opinione di Azarriti costituzionalista de La Sapienza di Roma [1]
  25. ^ Wag The Dog, su Wikiquote. URL consultato il 20 novembre 2017.
    «The war ain't over til I say it's over. This is my picture.»
  26. ^ (EN) Matthew d’Ancona, Ten alternative facts for the post-truth world, in The Guardian, 12 maggio 2017. URL consultato il 20 novembre 2017.
    «Yes, well, the announcement that you didn’t make today - you did»
  27. ^ George Orwell, cap. VII p.79, in 1984, traduzione di Stefano Manferlotti, Cles, Oscar Mondadori, 2015.
  28. ^ Franco Debenedetti, Come si può arginare il populismo di Grillo, Il Sole 24 ore, 30 marzo 2017
  29. ^ Elena Cattaneo, L'Italia della scienza, in Mondoperaio, n. 2/2015, p. 30
  30. ^ Ned Simons (8 June 2016).
  31. ^ Good Morning Britain, Nigel Farage Admits NHS Claims Were A Mistake | Good Morning Britain, 24 giugno 2016. URL consultato il 3 dicembre 2016.
  32. ^ Michael Deacon, In a world of post-truth politics, Andrea Leadsom will make the perfect PM, The Telegraph, 9 luglio 2016.
  33. ^ Alessio Lana, La vittoria di Trump premia Orwell, Corriere della sera, 25 gennaio 2017.
  34. ^ Il testo integrale del discorso di Matteo Renzi dopo la sconfitta al referendum costituzionale, su LaStampa.it. URL consultato il 4 gennaio 2017.
  35. ^ a b c d e WikipediaEN, su en.wikipedia.org.
  36. ^ Pitruzzella (Antitrust) propone network europeo «anti-bufale». Grillo attacca: «Nuova Inquisizione», 30 dicembre 2016, Il Sole 24 Ore, su ilsole24ore.com. URL consultato il 21 novembre 2017.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]