Assedio di Capua (211 a.C.): differenze tra le versioni

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* {{Cita libro|autore=Giovanni Brizzi|wkautore=Giovanni Brizzi|titolo=Scipione e Annibale, la guerra per salvare Roma|anno=2007|editore=Laterza|città=Bari-Roma|ISBN=978-88-420-8332-0|cid=Brizzi 2007}}
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* {{cita libro|autore=Guido Clemente|titolo=La guerra annibalica|collana=Storia Einaudi dei Greci e dei Romani|editore=Il Sole 24 ORE|città=Milano|anno=2008|volume=XIV|cid=Clemente 2008}}
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* {{Cita libro|autore=Gianni Granzotto|wkautore=Gianni Granzotto|titolo=Annibale|anno=1991|editore=Mondadori|città=Milano|ISBN=88-04-35519-0|cid=Granzotto 1991}}
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* {{cita libro|autore=Serge Lancel|titolo=Annibale|editore=Jouvence|città=Roma|anno=2002|ISBN=978-88-7801-280-6|cid= Lancel 2002}}
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Assedio di Capua
La Campania romana
La Campania romana (nell'ovale rosso la città di Capua)

parte della seconda guerra punica
Data212-211 a.C.
LuogoCapua - Italia
EsitoVittoria dei Cartaginesi
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
6 legioni + 6 alae
(circa 55/60.000 uomini)
6.000 Campani[1]
30.000 Cartaginesi
Perdite
SconosciutoSconosciuto
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L'assedio di Capua si svolse a più riprese negli anni 212-211 a.C. da parte dei Romani nei confronti dei Campani, alleati di Annibale. Le forze romane erano comandate da due consoli, Quinto Fulvio Flacco e Appio Claudio Pulcro.[2] I Romani, inizialmente sconfitti, riuscirono a ritirarsi in buon ordine. Annibale poté così temporaneamente rompere il blocco romano intorno a Capua. Una vittoria temporanea per i Cartaginesi che non poterono però ad evitare la caduta della città, posta nuovamente sotto assedio l'anno seguente.

Contesto storico

Lo stesso argomento in dettaglio: Seconda guerra punica.

Dopo la schiacciante vittoria a Canne (216 a.C.),[3] Annibale raggiunse i primi importanti risultati politico-strategici. Alcuni centri cominciarono a abbandonare i Romani,[4] come Campani, Atellani, Calatini, parte dell'Apulia, i Sanniti (ad esclusione dei Pentri), tutti i Bruzi, i Lucani, gli Uzentini e quasi tutto il litorale greco, i Tarentini, quelli di Metaponto, di Crotone, di Locri[5] e tutti i Galli cisalpini,[6] e poi Compsa, insieme agli Irpini.[7] Non si arrese invece Neapolis, rimasta fedele a Roma.[8]

Il comandante cartaginese inviò a sud nel Bruzio il fratello Magone con una parte delle sue forze, per accogliere la resa di quelle città che abbandonavano i Romani e costringere con la forza quelle che si rifiutavano di farlo.[9]

Anno 216 a.C.: Annibale in Campania dopo la disfatta romana di Canne

Lo stesso argomento in dettaglio: Monetazione di Capua.

Annibale, invece, con il grosso dell'esercito, si diresse in Campania dove riuscì ad ottenere dopo una serie di trattative la defezione di Capua che a quell'epoca era ancora, per importanza, la seconda città della penisola, dopo Roma.[10] Livio la definisce:

«[...] città lussuriosa per la sua prosperità e per la benevolenza del destino, massimamente corrotta da ogni genere di dissolutezza della plebe, che esercitava la libertà senza limiti.»

Livio riferisce che la città venne consegnata al condottiero cartaginese grazie alla trattativa messa in atto da Pacuvio Calavio, un nobile capuano, il quale teneva sottomesso a sé ed alla plebe, il senato cittadino.[11] Le condizioni del trattato sembra fossero le seguenti:

  • nessun magistrato militare o civile cartaginese avrebbe avuto alcun diritto su di un cittadino campano;
  • nessun cittadino campano era obbligato a fare il servizio militare o potesse esercitare un ufficio contro la sua volontà;
  • Capua continuava a conservare i propri magistrati e le sue leggi;
  • Annibale consegnava ai Campani trecento prigionieri romani, per permettere loro di effettuare uno scambio con quei cavalieri campani che militavano in Sicilia.[12]

I cittadini campani, poi compirono altre azioni di loro iniziativa, come quella di arrestare i prefetti romani degli alleati, oltre ad alcuni cittadini romani, e col pretesto di tenerli sotto custodia, li chiusero nei bagni. A causa del calore asfissiante, morirono tutti in modo atroce.[13] Pochi furono quelli che si opposero all'alleanza campana con Annibale, tra questi ricordiamo Decio Magio, il quale poco dopo venne mandato in esilio; e raggiunte le coste della Cirenaica, venne liberato dal monarca Tolomeo IV, che gli permise di far ritorno a Capua o a Roma. Magio però preferì rimanere in Egitto, sotto la protezione del sovrano della dinastia tolemaica.[14]

Intanto Annibale fece il suo ingresso in città, dove venne ospitato presso i Ninnii Celeri, Stenio e Pacuvio, illustri per nobiltà e ricchezza. Qui Pacuvio Calavio condusse il proprio figlio, strappato a viva forza al fianco di Decio Magio, col quale si era schierato a favore dei Romani. Pacuvio, una volta appreso dal figlio che avrebbe voluto uccidere il condottiero cartaginese, riuscì a distoglierlo da simili propositi, evitando che lo stesso andasse incontro a morte certa.[15] Annibale convocò, quindi, il senato cittadino, lo ringraziò per aver anteposto la sua amicizia all'alleanza con i Romani e promise loro che, una volta terminata la guerra, Capua sarebbe stata a capo dell'Italia e che anche i Romani avrebbero ricevuto dalla stessa nuove leggi.[16]

Campagna di Annibale in Campania 216 a.C. dopo la battaglia di Canne

Annibale, dopo aver ottenuto l'alleanza della seconda città più popolosa della penisola italica, dopo Roma, riprese le operazioni in Campania, tentando invano di sottomettere Neapolis, conducendo il suo esercito nel territorio di Nola con la speranza che anche questa città si arrendesse senza far ricorso alle armi.[17] Fu solo l'arrivo dell'esercito del pretore Marco Claudio Marcello a far cambiare i piani di Annibale,[18] il quale abbandonò Nola e si diresse su Nuceria, che fu saccheggiata e data elle fiamme.[19]

Il condottiero cartaginese, avendo perduto la speranza di poter occupare Nola, dopo un secondo tentativo in cui sembra abbia perduto quasi tremila armati, si diresse su Acerra. Marcello allora fece chiudere le porte e dispose le sentinelle perché nessuno potesse più uscire. Promosse un processo contro quelli che avevano avuto colloqui segreti con il nemico e ne fece decapitare più di settanta per alto tradimento. Dispose inoltre che i loro beni fossero confiscati e divenissero di proprietà del popolo romano e affidò il governo cittadino al senato. Quindi partì anch'egli e pose gli accampamenti sulle alture che sovrastano Suessula.[20]

Il comandante cartaginese, inizialmente tentò di convincere la città di Acerra a consegnarsi volontariamente e arrendersi al lui. Ma quando vide che i suoi cittadini erano risoluti nella loro fedeltà a Roma, decise di porla sotto assedio. Gli Acerrani, avendo capito che la difesa della loro città era alquanto disperata e prima che le trincee poste attorno alla città fossero messe in comunicazione tra loro, preferirono fuggire nel silenzio della notte, attraverso le interruzioni delle trincee cartaginesi, cercando rifugio in quelle città della Campania, ancora alleate a Roma.[21] Annibale, saccheggiata ed incendiata Acerra, quando venne a sapere che il dittatore romano, Marco Giunio Pera, aveva convocato a Casilinum nuove legioni, onde evitare nuove sedizioni a Capua, cercò di anticipare le mosse romane e diresse il suo esercito a Casilinum, che a quel tempo era occupata da una forza di 570 Prenestini, pochi Romani[22] e una coorte di 460 uomini, spinti dalla notizia della disfatta di Canne.[23] Questo numero di armati sembrava sufficiente a difendere le mura di una cittadina tanto piccola, per di più in gran parte circondata dal fiume Volturno. La mancanza di grano però fece sembrare eccessivo il numero di truppe qui asserragliate.[24]

E così Annibale, essendo ormai prossimo a Casilinum, mandò in avanscoperta i Getuli sotto il comando un ufficiale di nome Isalca, per trattare la resa della cittadina, prima in modo amichevole e, in caso negativo, dando l'assalto alla stessa.[25] Le truppe alleate dei Romani, per nulla intimoriti, riuscirono a più riprese a respingere gli assalti dei Cartaginesi, che avevano ormai messo sotto assedio la cittadina.[26] Giunto ormai l'inverno, Annibale preferì fortificare l'accampamento, affinché i Casilini non credessero che avrebbe abbandonato l'assedio, e ritirarsi con il grosso dell'esercito nella vicina Capua.[27]

Ozi di Capua (inverno 216/215 a.C.)

Busto di Annibale (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), uno dei maggiori strateghi della storia antica

Tito Livio racconta che il comandante cartaginese tenne nelle case della città campana le truppe, per la maggior parte dell'inverno. L'esercito cartaginese che spesso e a lungo si era rinvigorito contro ogni disagio umano, non era abituato agli agi della vita cittadina.[28] E fu così che:

«Questi, che nessuna forza nemica aveva fino ad allora vinto, furono corrotti dall'eccessiva comodità e dai piaceri tanto maggiormente, in quanto erano nuovi ai piaceri, ed ora si trovavano immersi in modo sfrenato. Infatti, il sonno, il vino, i banchetti, le prostitute, i bagni, l'ozio, che con l'abitudine si faceva sempre più dolce, fiaccarono talmente tanto il corpo e l'animo dei soldati cartaginesi, che da quel momento in poi, vennero difesi più dalla fama delle vittorie passate che dal loro valore presente.»

Livio critica la scelta di aver trascorso l'inverno a Capua, poiché ritiene che l'esercito cartaginese non ottenne mai più l'antica disciplina. Essi rimasero impigliati in tresche con donne locali. Altri, una volta riprese le marce e le numerose fatiche militari, si sentirono mancare le forze fisiche e psicologiche, quasi fossero tornati ad essere delle semplici reclute. Furono poi molti a disertare per poter far ritorno a Capua, senza aver ottenuto alcuna licenza.[29] Queste affermazioni vennero però contestate dallo storico italiano, Gaetano De Sanctis, il quale attribuì la riscossa romana, non tanto al fatto che i Cartaginesi si rilassarono con i famosi «ozi capuani», ma alla tenacia, disciplina delle armate romane.[30]

Gli uomini di Annibale ebbero finalmente la possibilità di riposare godendo dalla calorosa accoglienza della popolazione locale.[31] La tradizione storiografica romana, in particolare Tito Livio, ha enfatizzato l'importanza di questi cosiddetti "ozi di Capua" che avrebbero compromesso la solidità e la combattività dell'esercito annibalico, fiaccato dalle libagioni e dai piaceri del soggiorno nella città campana.[31] Questa interpretazione tradizionale peraltro non trova riscontro in Polibio ed è stata fortemente messa in dubbio dalla storiografia moderna che la ritiene tendenziosa e sostanzialmente errata; in particolare si è evidenziato come anche dopo l'inverno di riposo a Capua, Annibale e il suo esercito dimostrarono la loro superiorità e furono in grado per altri dieci anni di rimanere in campo in Italia senza subire reali sconfitte e senza che gli eserciti romani riuscissero a cacciarli dalla penisola.[31]

Anno 215 a.C.: da Cuma a Nola

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Cuma (215 a.C.) e Battaglia di Nola (215 a.C.).

Il condottiero cartaginese quindi risalì verso l'importante centro di Casilinum che riuscì a occupare dopo un lungo assedio prolungatosi per alcuni mesi.[32] Contemporaneamente il dittatore romano, Marco Giunio Pera, svernava con l'esercito non molto distante da lui, a Teanum Sidicinum.[33] Claudio Marcello tornò in Campania, dopo che era stato eletto proconsole;[34] allo stesso vennero affidate le due nuove legioni urbane, che furono prima convocate a Cales e poi trasferite nell'accampamento sopra Suessula.[35] Contemporaneamente le due legioni superstiti di Canne vennero condotte in Sicilia con il pretore Appio Claudio Pulcro, mentre quelle siciliane vennero trasferite a Roma.[36]

I due nuovi consoli, Quinto Fabio Massimo Verrucoso e Tiberio Sempronio Gracco, si divisero tra loro l'esercito. A Fabio toccò quello accampato presso Teanum Sidicinum, che in precedenza era stato posto sotto il comando di Marco Giunio Pera; a Sempronio gli schiavi (volones) arruolatisi volontariamente e più di 25.000 alleati che si trovavano non molto distanti da Casilinum.[37] A Marcello venne affidato nuovamente l'esercito che stava a difesa di Nola, presso Suessula, come proconsole.[38]

Il golfo di Napoli e la vicina Cuma (in alto a sinistra) che fu presa d'assedio da Annibale

Frattanto i Campani presero l'iniziativa di ridurre in loro potere la città di Cuma, sollecitando dapprima i Cumani ad abbandonare l'alleanza con i Romani, e poiché che non riuscirono a sortire alcun effetto, provarono ad impadronirsene con l'inganno.[39] A Tiberio Gracco venne inviata un'ambasceria, dove il console veniva informato di ciò che i Campani stavano tramando nei confronti dei Cumani e che, tre giorni più tardi, avrebbero dovuto recarsi presso Hamas ad incontrare il senato e l'esercito riunito campano. Gracco allora consigliò ai Cumani di raccogliere più provviste possibili all'interno della città e di rimanervi. Egli intanto mosse l'intero esercito verso Hamas (che distava 3.000 passi, pari a circa 4,5 km) il giorno prima della celebrazione del sacrificio.[40] La battaglia che ne seguì volse a favore dei Romani e dei Cumani. Furono infatti uccisi più di 2.000 Campani, oltre al loro stesso condottiero, Mario Alfio.[41] Le perdite romane furono invece meno di 100. Gracco, una volta impadronitosi dell'accampamento nemico, si affrettò a ritirarsi dentro le mura di Cuma, per timore che Annibale potesse raggiungerlo rapidamente, essendo lo stesso posizionato sul Monte Tifata, a nord-est di Capua.[42]

Il giorno seguente, il condottiero cartaginese tornò a Cuma con tutte le macchine e pose la città sotto assedio.[43] Neppure Quinto Fabio Massimo Verrucoso, che aveva il castrum presso Cales, aveva osato attraversare il Volturno, intento a prendere di nuovo gli auspici, dove gli aruspici rispondevano che non era facile placare l'ira degli déi.[44] Sempronio, riuscendo a resistere e contrattaccando,[45] costrinse Annibale a togliere l'assedio e far ritorno al Monte Tifata.[46]

Intanto Fabio, una volta compiuti i riti di espiazione dei prodigi, passò il Volturno e condusse il suo esercito ad occupare le città di Combulteria, Trebula e Austicula (da identificarsi probabilmente con Saticula), che erano passate dalla parte dei Cartaginesi. In queste città vennero fatti numerosi prigionieri fra le truppe cartaginesi e campane che le presidiavano.[47] A Nola il senato era favorevole a schierarsi con Roma, mentre la plebe era dalla parte cartaginese e voleva consegnare la città ad Annibale. E affinché i loro tentativi risultassero vani, Fabio aveva condotto l'esercito presso i castra Claudiana, sopra Suessula. Una volta giuntovi, aveva ordinato al propretore (o proconsole) Marcello di recarsi a Nola per presidiarla con le truppe di cui disponeva.[48] Durante l'estate, Marcello condusse frequenti incursioni nel territorio degli Irpini e dei Sanniti Caudini, mettendo tutto a ferro e fuoco, per rinnovare l'antico ricordo delle sconfitte subite nel Sannio da parte dei Romani.[49] E così Irpini e Sanniti inviarono degli ambasciatori ad Annibale per chiederne la protezione militare, ricordando allo stesso che in passato «fummo da soli fin dagli inizi nemici del popolo romano». Essi si lamentavano di essere stati abbandonati dall'alleato cartaginese ai recenti saccheggi del proconsole Marcello.[50] Il condottiero cartaginese li rincuorò, fece loro ricchi doni e promise che a breve sarebbe intervenuto.[51] Lasciata infatti una piccola guarnigione sul Monte Tifata, con il resto dell'esercito marciò in direzione Nola. Qui pose gli accampamenti e lo raggiunse Annone dal Bruzio con dei rinforzi e gli elefanti.[52]

Campagna di Annibale in Campania 215 a.C.

Marcello intanto aveva continuato a condurre i suoi saccheggi, mai in modo imprudente. Egli, infatti, dopo aver ripetutamente esplorato la zona, con la protezione di saldi presidi, aveva condotto le sue incursioni conservandosi la strada aperta per un'eventuale ritirata. Ogni azione era sempre cauta e previdente, come se egli si trovasse di fronte lo stesso Annibale. E quando il proconsole romano venne a sapere che il condottiero cartaginese marciava verso di lui, ordinò ai suoi soldati di rifugiarsi tutti all'interno delle mura dei Nola.[53] La battaglia che ne seguì, fu favorevole ai Romani.[54] Il popolo dei Nolani, prima favorevole ai Cartaginesi, accolse i Romani in modo entusiastico. In quel giorno furono uccisi 5.000 Cartaginesi, 600 furono fatti prigionieri, 18 insegne militari e due elefanti furono catturati; dei Romani ne caddero meno di 1.000.[55] Annibale, dopo aver rimandato Annone nel Bruzio, insieme all'armata con cui era venuto, si diresse verso gli accampamenti invernali in Apulia, ponendo il campo attorno ad Arpi.[56]

Appena Quinto Fabio Massimo Verrucoso venne a sapere che il condottiero cartaginese era partito per l'Apulia, trasportò tutto il grano che era presente a Nola e a Neapolis nei suoi accampamenti sopra Suessula. Dopo averli rinforzati e lasciata un'adeguata guarnigione per l'inverno, mosse il campo in direzione di Capua. Mise quindi a ferro e fuoco le terre della Campania, fino a quando i Campani, furono costretti ad uscire dalle porte e fortificare in campo aperto gli accampamenti davanti alla città.[57]

Avevano 6.000 armati, di cui la fanteria non era adatta alle guerra, mentre la cavalleria era la parte migliore.[1] Si misero così a provocare i Romani ad uno scontro equestre. Livio racconta di un episodio curioso riguardante un nobile di Capua, un certo Cerrino Vibellio, il più valoroso tra i cavalieri campani, il quale sfidò a duello un cavaliere romano, un tal Claudio Asello.[58] Il duello si risolse in un nulla di fatto, poiché il campano, dopo un primo scontro, fuggì all'interno delle mura cittadine inseguito dal romano.[59]

In seguito a quest'ultimo episodio, il console Fabio Massimo mosse il campo arretrando, per permettere ai Campani di fare le semine e non devastò così l'agro campano, se non quando l'erba divenne più alta per fornire il foraggio necessario ai suoi animali.[60] Venne quindi raccolto e trasportato negli accampamenti sopra Suessula, dove pose i suoi accampamenti invernali (hiberna). Comandò, quindi, al proconsole Claudio Marcello di lasciare un'adeguata guarnigione romana all'interno di Nola e di rimandare il resto delle truppe a Roma, in modo da non aggravare troppo le spese sugli alleati.[61] L'altro console, Tiberio Sempronio Gracco, avendo condotto le sue legioni da Cuma a Lucera in Apulia, inviò il pretore Marco Valerio Levino a Brundisium con l'esercito che aveva con sé in precedenza a Lucera, incaricandolo di difendere le coste dell'agro salentino e sorvegliare i movimenti di Filippo V di Macedonia in vista di una possibile guerra con la Macedonia.[62]

Alla fine di quell'anno, Fabio Massimo fece fortificare Pozzuoli, centro commerciale in espansione, e vi pose una guarnigione romana. Poi mosse verso Roma, dove indisse i comizi per la nomina dei nuovi consoli.[63]

Anno 214 a.C.: Annibale viene respinto per la terza volta a Nola

Condotte a termine le cerimonie propiziatorie, i nuovi consoli Quinto Fabio Massimo Verrucoso e Marco Claudio Marcello, relazionarono il Sentato sulla situazione della guerra, sulla consistenza delle forze militari e sulla dislocazione delle truppe. Alla fine venne decretato di condurre la guerra con 18 legioni complessive, arruolandone 6 nuove.[64] In seguito a questi preparativi, gli abitanti di Capua, presi dalla paura, inviarono ambasciatori ad Annibale per pregarlo di tornare presso la loro città. Il condottiero cartaginese pensò che fosse il caso di affrettarsi, affinché i Romani non ne prevenissero le mosse e, partito da Arpi, pose il campo sopra la città sul Monte Tifata nei vecchi alloggiamenti.[65] Qui vennero lasciati i Numidi e gli Ispanici a difesa degli accampamenti e della città, mentre con il resto dell'esercito Annibale si diresse al lago d'Averno, col pretesto di farvi un sacrificio. In realtà egli aveva in mente di attaccare il presidio romano di Puteoli.[66]

Campagna di Annibale in Campania nel 214 a.C.

Fabio, quando venne a sapere che Annibale era partito da Arpi e tornava in Campania, marciò notte e giorno e si ricongiunse al suo esercito. Inviò quindi un dispaccio a Tiberio Gracco, perché muovesse le truppe da Luceria a Beneventum, ed al figlio, il pretore Quinto Fabio, ordinò di partire per l'Apulia e sostituirvi Gracco. Contemporaneamente tutti i pretori partirono per le destinazioni concordate con decreto del senato.[67]

E mentre Annibale si trovava presso il lago d'Averno, vennero dallo stesso alcuni giovani che lo implorarono di recarsi a Taranto per liberare la città dai Romani. Il condottiero cartaginese, dopo averli elogiati e promesso loro che sarebbe intervenuto al momento opportuno, li invitò a tornare a casa per permettere l'attuazione del piano. Egli sapeva che quell'antica colonia greca, non solo era ricca e nobile, ma era posta sul mare, pronta a ricevere l'armata macedone del suo alleato, Filippo V, una volta che avesse deciso di attraversare l'Adriatico e portare la guerra ai Romani in Italia, considerando che Brundisium era in mano al nemico.[68] Compiuto il sacrificio per il quale era venuto, saccheggiò il territorio di Cuma fino a capo Miseno e poi si diresse su Puteoli, pronto ad assalire la guarnigione romana.[69] Erano di presidio alla cittadina 6.000 armati. Era posta in una località sicura non solo per la posizione naturale ma anche per le opere di difesa. Qui Annibale si trattenne per tre giorni, cercando di assalirla da ogni parte. Perduta poi ogni speranza di occuparla, si avviò a devastare le terre intorno a Neapolis, spinto dalla collera per il mancato successo.[70]

All'arrivo nel vicino territorio, la plebe di Nola si ribellò, da tempo ostile ai Romani ed al suo Senato. Vennero quindi ambasciatori ad Annibale, per chiedergli di dirigersi verso la città che si sarebbe certamente arresa a lui. Il console Marcello venne contemporaneamente informato dall'aristocrazia nolana, contraria alla fazione pro-Cartagine, affinché prevenisse i piani del condottiero cartaginese. Marcello allora, in un sol giorno, da Cales giunse a Suessula, dopo una breve esitazione nell'attraversare il Volturno.[71] La notte successiva fece entrare a Nola 6.000 fanti e 300 cavalieri, a difesa del senato, affrettandosi ad occupare la città.[72]

In questi stessi giorni il console Fabio Massimo giunse a Casilinum, pronto ad assaltarla, ora che era occupata da una guarnigione cartaginese; giunsero insieme nei pressi di Beneventum, quasi si fossero accordati, il comandante cartaginese Annone, proveniente dal paese dei Bruzi, e il proconsole Tiberio Gracco, da Lucera.[73] Lo scontro che ne seguì vide Tiberio Gracco vincitore. Il nemico cartaginese, tra morti e fatti prigionieri, perse 15.000 armati, almeno secondo quanto ci tramanda Livio.[74]

Denario con l'effige di
Marco Claudio Marcello
(conio celebrativo)[75]
Dritto: Marco Claudio Marcello Rovescio: tempio tetrastilo con Marcello in toga e un trofeo; ai lati, MARCELLVS COS QVINQ
Denario risalente alla fine del II secolo a.C.

Annibale dopo aver saccheggiato il territorio attorno a Neapolis si diresse su Nola. Marcello venutolo a sapere, mandò a chiamare il propretore Marco Pomponio Matone che si trovava con le sue truppe presso Suessula e si preparò ad andare contro il nemico cartaginese senza esitazioni.[76] La battaglia che ne seguì vide ancora una volta il comandante cartaginese uscirne sconfitto, anche se di misura.[77]

Il giorno seguente i Romani si schierarono nuovamente sul campo di battaglia, Annibale invece rimase negli accampamenti. Il terzo giorno nel silenzio della notte, non avendo più speranza di occupare Nola, impresa che aveva fallito per la terza volta, il comandante cartaginese levò il campo e partì alla volta di Taranto, sperando che almeno questa città tradisse i Romani.[78]

E mentre tutto questo era accaduto tra Benevento e Nola, il console Fabio Massimo aveva posto il campo presso Casilinum, città occupata da una guarnigione di 2.000 Campani e 700 Cartaginesi. Essa era comandata da Stazio Mezio, inviato dal sommo magistrato campano (meddix tuticus), Gneo Magio Atellano. Quest'ultimo aveva armato schiavi e popolani per assalire gli accampamenti romani, mentre il console era impegnato ad assaltare Casilinum.[79] Nulla di tutto ciò era sfuggito a Fabio che aveva mandato a dire al suo collega a Nola che, mentre lui attaccava Casilinum, un altro esercito avrebbe dovuto tenere sotto controllo i Campani. Egli suggeriva a Marcello o di venire egli stesso, dopo aver lasciato a Nola un'adeguata guarnigione, oppure nel caso in cui fosse stato ancora impegnato contro Annibale, avrebbe chiamato il proconsole Tiberio Gracco da Beneventum.[80]

Marcello a questa notizia preferì lasciare a Nola un presidio di 2.000 armati e con il rimanente esercito raggiunse Fabio. Fu così che i due consoli portarono l'attacco a Casilinum. E poiché l'assalto procurò ai soldati romani non poche ferite, Fabio decise di abbandonare l'assalto alla cittadina campana, ritenendola un obiettivo di poco conto.[81] Al contrario Marcello, deciso a portare a termine l'impresa, ottenne che non ci si ritirasse. E mentre avvicinava alle mura le vinea e altre macchine d'assedio, i Campani giunsero a pregare Fabio di permettere loro di ritirarsi sicuri nella vicina Capua.[82] Marcello allora iniziò ad occupare quella porta dalla quale alcuni stavano uscendo e iniziò la strage, prima attorno alla porta e poi all'interno della città. I primi cinquanta Campani che si erano rifugiati presso Fabio, riuscirono a mettersi in salvo raggiungendo Capua. Casilinum venne così occupata grazie ad un colpo di mano, favorita dai discorsi e dal ritardo generato da quelli che chiedevano di essere risparmiati. I prigionieri fatti tra Campani e Cartaginesi vennero inviati a Roma e chiusi nel carcere. I cittadini invece vennero distribuiti tra le popolazioni confinanti per meglio sorvegliarli.[83]

Intanto Tiberio Gracco inviò nell'agro lucano alcune coorti di soldati arruolati in quella regione, sotto il comando del praefectus socium, a saccheggiare il campo dei nemici. Mentre le coorti erano disperse, vennero attaccate da Annone, il quale ottenne una vittoria non meno importante di quella ottenuta da Tiberio poco prima a Beneventum. E subito dopo si era ritirato presso i Bruzi per non essere inseguito da Tiberio Gracco.[84] Marcello tornò indietro poi verso Nola, Fabio si diresse verso il Sannio, per devastare i campi e rioccupare le città che erano passate al nemico. Il paese di Caudium fu tra tutti quello maggiormente devastato: i campi furono incendiati, venne fatta ricca preda di bestiame e uomini. Anche le città di Compulteria, Telesia, Compsa, Fagifula, Orbitanium furono prese con la forza. In Lucania venne occupata la città di Blanda ed in Apulia di Aecae.[85] Da tutte queste città furono presi ed uccisi 25.000 nemici e 170 disertori. Questi ultimi furono inviati a Roma, massacrati nel comizio a colpi di verga e gettati dalla rupe Tarpea.[86] Marcello, una volta tornato a Nola, fu conto da malattia e non poté partecipare alle imprese poco sopra enunciate.[87]

Anno 213 a.C.

Ancora una volta la guerra contro Annibale venne affidata ai due consoli dell'anno: a Fabio Massimo e a Sempronio Gracco[88] E quando entrambi i consoli raggiunsero le loro rispettive destinazioni, 112 nobili cavalieri campani, col pretesto di saccheggiare i campi del nemico romano, uscirono da Capua e giunsero negli accampamenti romani sopra a Suessula.[89] Dopo aver dichiarato chi fossero chiesero di poter conferire con il pretore, Gneo Fulvio Centumalo Massimo. Quest'ultimo permise che dieci di loro, disarmati, fossero ammessi alla sua presenza. Una volta che venne a conoscenza delle loro intenzioni, e cioè che, presa Capua, fossero ad essi restituiti i loro beni, li accolse in amicizia.[90]

Assedio

Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio (storia romana).

Anno 212 a.C.

Mentre Annibale si trovava ancora nei pressi di Taranto, entrambi i consoli, Q.Fulvio Flacco e Appio Claudio Pulcro,[91] erano nel Sannio, con evidente intenzione di assediare Capua. I Campani, intanto, cominciavano a sentire la fame poiché l'esercito romano aveva impedito loro di seminare nei campi prossimi alla loro città.[92]

Inviarono allora dei messi ad Annibale per chiedergli di inviare a Capua il frumento necessario dai luoghi più vicini, prima che giungessero i consoli con i loro eserciti ad occupare i campi e le strade circostanti.[93] Il condottiero cartaginesi ordinò ad Annone di recarsi dal Bruzio in Campania con l'esercito, fornendo ai Campani abbondanti scorte di grano.[94] Annone, nel tentativo di evitare le armate consolari, pose gli accampamenti a 3.000 passi (4,5 km) da Beneventum,[95] ed ordinò che il grano, raccolto durante l'estate presso le popolazioni alleate, fosse portato nel suo accampamento sotto la scorta dei suoi soldati. Informò quindi i Campani di tenersi pronti a ritirare il frumento raccolto, dopo aver radunato da tutti i campi circostanti ogni genere di veicoli e bestie da soma.[96] Livio scrive:

«Il fatto è che da parte dei Campani vi fu la solita indolenza e negligenza; poco più di quattrocento carri e pochi cavalli vennero radunati. Per questo motivo vennero rimproverati aspramente da Annone, poiché neppure la fame, che infiamma le bestie che non possono parlare, poteva stimolare la loro diligenza, il quale fissò un altro giorno per ritirare il frumento con mezzi più appropriati.»

La notizia della qual cosa giunse ai Beneventani, che prontamente inviarono dieci messi ai consoli, accampati nei dintorni di Bovianum.[97] Fu così che il console Fulvio Flacco ebbe l'incarico di dirigersi in Campania. La notte successiva riuscì ad introdursi nella mura di Benevento all'insaputa dei Cartaginesi. Venne poi a sapere che Annone era partito con una parte dell'esercito per raccogliere grano e che 2.000 carri erano giunti per prelevarlo e riportarlo a Capua. Si trattava di una folla disordinata ed inerme di contadini e schiavi, che aveva creato non poca confusione all'interno dell'accampamento cartaginese.[98] Lo scontro che ne seguì, in seguito ad un attacco romano, vide i Cartaginesi uscirne pesantemente sconfitti.[99] Distrutti gli accampamenti nemici, l'esercito romano fece ritorno a Benevento, dove il bottino venne venduto all'asta e poi diviso fra i soldati di ambedue gli eserciti dei consoli. Annone invece, una volta venuto a conoscenza della disfatta del suo esercito, preferì far ritorno nel Bruzio, «più simile a uno che fugge che ad uno che si mette in marcia».[100]

I Campani, avuta notizia della sconfitta cartaginese, inviarono ambasciatori ad Annibale per informarlo che i due consoli si trovavano a Benevento, ad un solo giorno di marcia da Capua.[101] Il condottiero cartaginese provvide subito ad inviare 2.000 cavalieri, per impedire i saccheggi romani nei campi circostanti.[102] Contemporaneamente i due consoli condussero le loro legioni verso il territorio campano per assalire Capua. Per evitare che la città di Benevento rimanesse indifesa, ordinarono a Tiberio Sempronio Gracco di condurre nella città un reparto di [[cavalleria (storia romana)|cavalleria e uno di fanteria leggera, affidando a qualcun altro il comando della sue legioni per continuare l'occupazione della Lucania.[103] Tiberio, poco dopo, venne sopraffatto in un'imboscata nei pressi dei Campi Veteres, tesagli da un certo Flavo Lucano in collaborazione con Magone Barca.[104]

I consoli, entrati in Campania, mentre saccheggiavano i territori circostanti a Capua, furono colti da un'improvvisa sortita dei suoi abitanti e della cavalleria di Magone. Richiamati in fretta i soldati, che si erano sparpagliati per le campagne, ne rimasero uccisi più di 1.500. In seguito i Romani divennero più attenti a difendersi dai pericoli.[105] Annibale mosse anch'egli da Benevento e raggiunse il fratello a Capua, schierando dopo tre giorni l'esercito. Egli era certo che, se in sua assenza pochi giorni prima la battaglia era stata favorevole ai Campani, a maggior ragione i Romani non avrebbero potuto resistere all'assalto dell'esercito cartaginese, tante volte vittorioso.[106] La battaglia che ne nacque vide inizialmente i Romani subire i continui attacchi della cavalleria cartaginese, sommersi dai dardi nemici, fino a quando il segnale di contrattacco romano non produsse una battaglia equestre equilibrata. Ma quando da lontano apparve l'esercito che da poco aveva perduto il proprio comandante Tiberio Sempronio Gracco, ed era ora guidato dal questore Gneo Cornelio Lentulo, tale vista generò in entrambe le parti e contemporaneamente, la paura che si avvicinassero nuovi contingenti nemici.[107] E come racconta Livio:

«Quasi ci fosse stata un'intesa, da una parte e dall'altra fu dato il segnale di ritirata.»

Alla fine della battaglia, i caduti da parte romana furono in numero superiore, a causa dell'iniziale urto della cavalleria cartaginese.[108]

I consoli dopo questo scontro, per tener lontano Annibale da Capua, nella notte seguente si separarono. Fulvio si diresse nel territorio cumano, mentre Claudio in Lucani. Il condottiero cartaginese, incerto inizialmente sul da farsi, decise di inseguire Appio Claudio, che a sua volta portò in giro il nemico come volle, per poi fare ritorno a Capua una seconda volta.[109] Durante la marcia, i Cartaginesi ebbero l'occasione di affrontare un nuovo combattimento a loro favorevole, dove massacrarono un altro esercito romano di 16.000 armati.[110]

Frattanto i consoli, tornati a Capua, ricominciarono ad assediare la città con grandissima violenza raccogliendo e preparando ogni cosa fosse necessaria.[111] A Casilinum fu ammassato il grano; alla foce del Volturno, dove si trova la città omonima, fu fortificata una rocca e posto un presidio romano; anche a Pozzuoli venne messo un presidio per dominare il mare e il vicino fiume.[112] In queste due fortezze sul mare e a Ostia venne portato tutto il frumento che era stato inviato dalla Sardegna e quello che il pretore Marco Giunio Silano aveva raccolto in Etruria, affinché l'esercito romano ne avesse in abbondanza durante l'inverno seguente.[113]

Annibale in pratica non riuscì a conquistare definitivamente nessun territorio italico e, per contro, cominciò a trovare difficoltà ad ottenere aiuti. La situazione strategica inoltre nel 212 a.C. divenne più difficile per il cartaginese; mentre egli era accampato a Salapia, sei legioni romane furono concentrate, al comando dei consoli Appio Claudio Pulcro e Quinto Fulvio Flacco, intorno a Capua che si trovò praticamente assediata e con gravi carenze di approvvigionamento.[114]

I Numidi, assieme alla cavalleria capuana, attaccarono il campo romano, vincendo numerose scaramucce e causando molte vittime. I Romani aspettavano i rinforzi di cavalleria di Gracco e non intrapresero alcuna azione decisiva contro Capua. Comunque, prima che i rinforzi arrivassero, Annibale con il suo esercito si mosse in Campania, e si accampò sul Monte Tifata ad est di Capua. Dopo tre giorni, Annibale offrì battaglia e i Romani accettarono il combattimento. Lo scontro fu un combattimento protratto e nessuno dei contendenti riuscì a prevalere, ma ancora una volta la cavalleria dei Numidi colse notevoli successi su quella romana. Vedendo giungere da Sud dei contingenti di cavalleria, senza che se potesse individuare la nazionalità, le armate si separarono e ritornarono nei rispettivi accampamenti. I cavalieri alla fine risultarono essere la superstite cavalleria di Tiberio Gracco, sotto il comando di Cornelio, suo subalterno, che riuscì a congiungersi con le armate consolari.

Anno 211 a.C.

Nuovo arrivo dell'armata cartaginese

Annibale che aveva accerchiato la palizzata difensiva del proconsole Appio Claudio Pulcro, in un primo momento cercò di provocarlo col fine di farlo uscire a battaglia;[115] non riuscendoci, decise di infastidirlo costantemente, inviando contro i Romani squadroni di cavalleria a lanciare i loro giavellotti all'interno del campo romano, mentre reparti di fanteria cercavano di svellere la palizzata esterna. [116] E malgrado questo nuovo tentativo, i Romani rimasero fermi nella loro decisione, tanto che con la fanteria leggera dei velites respingevano i loro attacchi, mentre la fanteria pesante rimaneva sotto le insegne, proteggendosi dalla pioggia di giavellotti.[117] Secondo invece la versione di Tito Livio, gli scontri davanti alla città di Capua non furono di poco conto come sembra invece narrare Polibio. Sembra vi fu una vera e propria sanguinosa battaglia.[118]

Annibale era insoddisfatto della situazione di stallo che si era andata così a crearsi, poiché non riusciva né a penetrare all'interno delle mura della città sua alleate di Capua, e neppure a provocare a battaglia i Romani.[119] La riflessione che illustra Polibio dà ragione ai Romani, i quali, in una tattica attendista, memori delle pesanti sconfitte subite in battaglie campali, preferivano trincerarsi intorno alla città campana, e quando necessario, muoversi seguendo le armate cartaginesi parallelamente, sempre in zone montane, mai in pianura, non concedendo più al nemico il vantaggio della miglior cavalleria in campo aperto.[120]

«L'esercito romano non aveva il coraggio di uscire in campo aperto per dare battaglia, poiché temeva la cavalleria cartaginese; preferiva starsene nel proprio accampamento, sapendo che la cavalleria, responsabile di tante sconfitte in battaglia [per i Romani], non avrebbe potuto arrecare alcun danno. Al contrario i Cartginesi non potevano rimanere più a lungo accampati con la propria cavalleria, poiché i Romani avevano distrutto tutti i pascoli esistenti nella zona [...].»

Il condottiero cartaginese, temendo che in quella posizione potesse trovarsi intrappolato dall'arrivo dei nuovi consoli, che lo avrebbero così tagliato fuori dai necessari rifornimenti, giunse alla conclusione che era impossibile sbloccare un simile assedio con un attacco di forza.[121] La soluzione che egli escogitò fu quella di marciare in modo rapido e inaspettato contro Roma stessa, provocando negli abitanti un tale spavento, da indurre Appio Claudio a sbloccare l'assedio e correre in aiuto della patria, oppure dividere il proprio esercito, nel qual caso sia le forze inviate a Roma in aiuto, sia quelle lasciate a Capua sarebbero state facilmente battibili.[122]

Fatte queste riflessioni, inviò a Capua un corriere libico, che aveva costretto a disertare per passare nel campo dei Romani e da lì raggiungere la citta, chiusa dall'assedio e quindi inaccessibile per i Cartaginesi. Temeva infatti che gli abitanti di Capua credessero di essere stati abbandonati, accettando di arrendersi.[123] Decise così di scrivere una lettera chiarendo i motivi della sua iniziativa di togliere il campo, e fare in modo che gli abitanti di Capua potessero continuare a resistere all'assedio.[124]

E così Annibale, dopo soli cinque giorni dal suo arrivo a Capua, fece cenare i suoi uomini; lasciati accesi i fuochi, tolse il campo in modo che nessuno si accorgesse di quanto stava accadento, almeno fino all'alba successiva.[125]

Annibale toglie l'assedio e si dirige su Roma

Lo stesso argomento in dettaglio: Incursione di Annibale verso Roma.
Roma al tempo dell'incursione di Annibale (211 a.C.), con i suoi principali monumenti, porte e acquedotti.

Con marce rapide attraversò il Sannio, mentre a Roma ancora stavano pensando all'assedio di Capua. Sempre senza farsi scorgere, superò l'Aniene e pose il proprio accampamento a non più di 40 stadi dalla città di Roma.[126]

Con marce rapide attraversò il Sannio, mentre a Roma ancora stavano pensando all'assedio di Capua. Sempre senza farsi scorgere, superò l'Aniene e pose il proprio accampamento a non più di 40 stadi dalla città di Roma.[127] Quando la notizia giunse in città, la popolazione fu profondamente turbata e impaurita,[128] poiché risultava tanto improvvisa ed inaspettata, considerando che mai prima d'ora Annibale si era avvicinato così tanto alla città. Vi era anche il sospetto da parte degli abitanti di Roma che le legioni fossero state distrutte a Capua.[129]

Annibale a Regium

Annibale, se inizialmente non disperava di prendere la città, una volta venuto a sapere che proprio in quei giorni i Romani stavano arruolando in cittò due nuove legioni, preferì rinunciare al progetto di assaltarla, dandosi invece a compiere scorrerie per la regione circostante, saccheggiando e incendiando ovunque. I Cartaginesi raccolsero così nel proprio accampamento una grande quantità di bottino, poiché nessuno osava contrastarli.[130] Pochi giorni più tardi, il condottiero cartaginese decise di tornare a Capua, sia perché aveva raccolto sufficiente bottino, sia perché riteneva impossibile assediare la citta, ma soprattutto poiché riteneva che il suo piano avesse sortito l'effetto sperato ora che erano trascorsi un numero di giorni sufficiente, costringendo il proconsole Appio Claudio, a togliere l'assedio dalla città campana e correre a salvare la patria, oppure a dividere l'esercito per mantenere Capua sotto assedio e contemporaneamente tornare a Roma. Entrambe le soluzioni sarebbero state di gradimento del condottiero cartaginese.[131]

Il condottiero cartaginese, che in un primo tempo aveva ordinato di marciare di buona lena, quando venne a sapere che Appio Claudio non aveva tolto l'assedio da Capua,[132] preferì dirigersi verso la Daunia (parte settentrionale della Puglia) e il Bruzio, per giungere a Reggio Calabria in modo così improvviso, che per poco non prese la città, ancora fedele ai Romani.[133] Polibio scrive, elogiando il comportamento dei Romani:

«I Romani protessero la loro patria [Roma], e al tempo stesso non tolsero l'assedio [da Capua]. Non solo, essi rimasero saldamente convinti di quello che facevano e continuarono ad assediare con grande risolutezza i Capuani.»

Conseguenze

Non appena Capua cadde nelle mani dei Romani, tutte le altre città che fino a quel momento si erano dimostrate ostili a Roma, entrarono in apprensione e cominciarono a cercare ogni occasione buona per passare dalla parte della Repubblica romana.[134] Lo stesso Annibale si trovò in gravi difficoltà, nell'incertezza di come comportarsi, non potendo gestire tante città da un'unica posizione dov'egli si trovava ed in inferiorità numerica, poiché i Romani disponevano di imponenti forze dislocate quasi ovunque.[135] Si trovò così a dover abbandonare numerosi città alleate al loro destino e a togliere alcune guarnigioni da altre, per il timore che i suoi soldati potessero venire uccisi da una rivolta cittadina.[136] Giuse anche a violare i patti, trasferendo gli abitanti da una città ad un'altra e facendone saccheggiare i beni, tanto che alcuni lo accusarono di empietà e crudeltà.[137]

Note

  1. ^ a b Livio, XXIII, 46.11.
  2. ^ Periochae, 25.7.
  3. ^ Polibio, III, 116, 9.
  4. ^ EutropioBreviarium ab Urbe condita, III, 11.
  5. ^ Livio, XXIV, 1-3.
  6. ^ Livio, XXII, 61.11-12.
  7. ^ Livio, XXIII, 1.1-3.
  8. ^ Livio, XXIII, 1.5-10.
  9. ^ Livio, XXIII, 1.4; Lancel 2002, p. 173.
  10. ^ Polibio, VII, 1, 1-2.
  11. ^ Livio, XXIII, 2-7.
  12. ^ Livio, XXIII, 7.1-2.
  13. ^ Livio, XXIII, 7.3.
  14. ^ Livio, XXIII, 7.4-12 e 10.3-13.
  15. ^ Livio, XXIII, 8-9.
  16. ^ Livio, XXIII, 10.1-2.
  17. ^ Livio, XXIII, 14.5-6.
  18. ^ Livio, XXIII, 14.10-13.
  19. ^ Livio, XXIII, 15.1-6.
  20. ^ Livio, XXIII, 17.1-3.
  21. ^ Livio, XXIII, 17.4-6.
  22. ^ Livio, XXIII, 17.7-8 e 19.17.
  23. ^ Livio, XXIII, 17.13.
  24. ^ Livio, XXIII, 17.14.
  25. ^ Livio, XXIII, 18.1.
  26. ^ Livio, XXIII, 18.2-5.
  27. ^ Livio, XXIII, 18.6-9.
  28. ^ Livio, XXIII, 18.10.
  29. ^ Livio, XXIII, 18.12-16.
  30. ^ De Sanctis 1967L'età delle guerre puniche, vol.III, parte II, pp.212 ss.
  31. ^ a b c Lancel 2002, p. 178.
  32. ^ Livio, XXIII, 18-19; Lancel 2002, pp. 177-178.
  33. ^ Livio, XXIII, 24.5.
  34. ^ Livio, XXIII, 30.19.
  35. ^ Livio, XXIII, 31.3 e 31.5.
  36. ^ Livio, XXIII, 31.4 e 31.6.
  37. ^ Livio, XXIII, 32.1.
  38. ^ Livio, XXIII, 32.2.
  39. ^ Livio, XXIII, 35.2.
  40. ^ Livio, XXIII, 35.10-12.
  41. ^ Livio, XXIII, 35.19.
  42. ^ Livio, XXIII, 36.1.
  43. ^ Livio, XXIII, 36.7.
  44. ^ Livio, XXIII, 36.8-10.
  45. ^ Livio, XXIII, 37.1-6.
  46. ^ Livio, XXIII, 37.7-9.
  47. ^ Livio, XXIII, 39.1-6.
  48. ^ Livio, XXIII, 39.7-8.
  49. ^ Livio, XXIII, 41.13-14.
  50. ^ Livio, XXIII, 42.
  51. ^ Livio, XXIII, 43.1-4.
  52. ^ Livio, XXIII, 43.5-6.
  53. ^ Livio, XXIII, 43.7-8.
  54. ^ Livio, XXIII, 44-45.
  55. ^ Livio, XXIII, 46.4.
  56. ^ Livio, XXIII, 46.8; XXIV, 3.16-17.
  57. ^ Livio, XXIII, 46.9-10.
  58. ^ Livio, XXIII, 46.14.
  59. ^ Livio, XXIII, 47.
  60. ^ Livio, XXIII, 48.1.
  61. ^ Livio, XXIII, 48.2.
  62. ^ Livio, XXIII, 48.3; XXIV, 3.16-17.
  63. ^ Livio, XXIV, 7.10-12.
  64. ^ Livio, XXIV, 11.1-4.
  65. ^ Livio, XXIV, 12.1-3.
  66. ^ Livio, XXIV, 12.4.
  67. ^ Livio, XXIV, 12.5-8.
  68. ^ Livio, XXIV, 13.1-5.
  69. ^ Livio, XXIV, 13.6.
  70. ^ Livio, XXIV, 13.7.
  71. ^ Livio, XXIV, 13.8-9.
  72. ^ Livio, XXIV, 13.10-11.
  73. ^ Livio, XXIV, 14.1.
  74. ^ Livio, XXIV, 14.2-16.19.
  75. ^ Conio celebrativo curato da un discendente di Marcello, per ricordare la conquista della Sicilia (a questo allude il triscele a sinistra), avvenuta nel 212-210 a.C.).
  76. ^ Livio, XXIV, 17.1-2.
  77. ^ Livio, XXIV, 17.3-6.
  78. ^ Livio, XXIV, 17.8.
  79. ^ Livio, XXIV, 19.1-2.
  80. ^ Livio, XXIV, 19.3-4.
  81. ^ Livio, XXIV, 19.5-6.
  82. ^ Livio, XXIV, 19.7-8.
  83. ^ Livio, XXIV, 19.9-11.
  84. ^ Livio, XXIV, 20.1-2.
  85. ^ Livio, XXIV, 20.3-5.
  86. ^ Livio, XXIV, 20.6.
  87. ^ Livio, XXIV, 20.7.
  88. ^ Livio, XXIV, 43.5 e 44.1.
  89. ^ Livio, XXIV, 47.12.
  90. ^ Livio, XXIV, 47.13.
  91. ^ Livio, XXV, 2.4.
  92. ^ Livio, XXV, 13.1.
  93. ^ Livio, XXV, 13.2.
  94. ^ Livio, XXV, 13.3.
  95. ^ Livio, XXV, 13.4.
  96. ^ Livio, XXV, 13.5-6.
  97. ^ Livio, XXV, 13.8.
  98. ^ Livio, XXV, 13.9-10.
  99. ^ Livio, XXV, 13.11-14.12.
  100. ^ Livio, XXV, 14.12-14.
  101. ^ Livio, XXV, 15.1.
  102. ^ Livio, XXV, 15.3.
  103. ^ Livio, XXV, 15.18-20.
  104. ^ Livio, XXV, 16-17.
  105. ^ Livio, XXV, 18.1-2.
  106. ^ Livio, XXV, 19.1-2.
  107. ^ Livio, XXV, 19.3-4.
  108. ^ Livio, XXV, 19.5.
  109. ^ Livio, XXV, 19.6-8.
  110. ^ Livio, XXV, 19.9-17.
  111. ^ Livio, XXV, 20.1.
  112. ^ Livio, XXV, 20.2.
  113. ^ Livio, XXV, 20.3.
  114. ^ Periochae, 25.7; Granzotto 1991, pp. 222-223.
  115. ^ Polibio, IX, 3.1.
  116. ^ Polibio, IX, 3.2.
  117. ^ Polibio, IX, 3.3.
  118. ^ Livio, XXVI, 5.
  119. ^ Polibio, IX, 3.4.
  120. ^ Polibio, IX, 3.7-11.
  121. ^ Polibio, IX, 4.5-6.
  122. ^ Polibio, IX, 4.7-8.
  123. ^ Polibio, IX, 5.1-2.
  124. ^ Polibio, IX, 5.3.
  125. ^ Polibio, IX, 5.7.
  126. ^ Polibio, IX, 5.8-9.
  127. ^ Polibio, IX, 5.8-9.
  128. ^ Polibio, IX, 6.1.
  129. ^ Polibio, IX, 6.2.
  130. ^ Polibio, IX, 6.5-9.
  131. ^ Polibio, IX, 7.1-3.
  132. ^ Polibio, IX, 7.7.
  133. ^ Polibio, IX, 7.10.
  134. ^ Polibio, IX, 26.2.
  135. ^ Polibio, IX, 26.3-5.
  136. ^ Polibio, IX, 26.6.
  137. ^ Polibio, IX, 26.7-8.

Bibliografia

Fonti antiche
Fonti storiografiche moderne