Tumulto dei Ciompi: differenze tra le versioni

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=== La rivolta del 20 luglio 1378 ===
=== La rivolta del 20 luglio 1378 ===


Come raccontano i cronisti, la settimana che precedette il tumulto, a Firenze regnava una calma apparente.<ref>{{cita|Rodolico, 1945|p. 101}}.</ref> Il 19 giungo, ai Priori chiusi in Palazzo Vecchio, era giunta la notizia che per il giorno successivo il popolo minuto aveva intenzione di scendere in piazza armato e attaccare i centri del potere. I Priori allora procedettero con alcuni arresti tra coloro che si ritenevano essere coinvolti nella pianificazione della rivolta. Tra gli arrestati vi fu un certo Simoncino di Bartolomeo, soprannominato "Bugiagatto", che interrogato e sottoposto a [[tortura]] confermò quello che era in programma per il giorno successivo.<ref>{{cita|Rodolico, 1945|p. 104}}.</ref><ref>{{cita|Barbero, 2023|p. 60}}.</ref>
Come raccontano i cronisti, la settimana che precedette il tumulto, a Firenze regnava una calma apparente.<ref>{{cita|Rodolico, 1945|p. 101}}.</ref> Il 19 giugno, ai Priori chiusi in Palazzo Vecchio, era giunta la notizia che per il giorno successivo il popolo minuto aveva intenzione di scendere in piazza armato e attaccare i centri del potere. I Priori allora procedettero con alcuni arresti tra coloro che si ritenevano essere coinvolti nella pianificazione della rivolta. Tra gli arrestati vi fu un certo Simoncino di Bartolomeo, soprannominato "Bugiagatto", che interrogato e sottoposto a [[tortura]] confermò quello che era in programma per il giorno successivo.<ref>{{cita|Rodolico, 1945|p. 104}}.</ref><ref>{{cita|Barbero, 2023|p. 60}}.</ref>


Sebbene l'interrogatorio si fosse tenuto in segretezza, un orologiaio di nome Niccolò, in quel momento presente a palazzo per riparare l'orologio comunale, sentì tutto e appena ebbe occasione di rientrare a casa, all'alba del 20 giugno, andò per le strade di Firenze a gridare a tutti che i Priori stavano ammazzando gli arrestati, invitando quindi la "cattiva gente" (ossia il popolo) ad armarsi per difendersi o sarebbero stati tutti uccisi.<ref>{{cita|Rodolico, 1945|pp. 107-108}}.</ref><ref>{{cita|Barbero, 2023|pp. 62-63}}.</ref> Fu questa la scintilla che fece scattare la rivolta: le campane delle chiese iniziarono a suonare a martello e il popolo minuto accorse nell'attuale [[Piazza della Signoria]] in armi; un anonimo cronista raccontò «E furono in sulla Piazza dei Signori e dissono "O voi ci rendete costoro, o noiv'arderemeo nel Palagio" Il popolo minuto gridava "Viva il popolo e le Arti"».<ref>{{cita|Rodolico, 1945|p. 108}}.</ref>
Sebbene l'interrogatorio si fosse tenuto in segretezza, un orologiaio di nome Niccolò, in quel momento presente a palazzo per riparare l'orologio comunale, sentì tutto e appena ebbe occasione di rientrare a casa, all'alba del 20 giugno, andò per le strade di Firenze a gridare a tutti che i Priori stavano ammazzando gli arrestati, invitando quindi la "cattiva gente" (ossia il popolo) ad armarsi per difendersi o sarebbero stati tutti uccisi.<ref>{{cita|Rodolico, 1945|pp. 107-108}}.</ref><ref>{{cita|Barbero, 2023|pp. 62-63}}.</ref> Fu questa la scintilla che fece scattare la rivolta: le campane delle chiese iniziarono a suonare a martello e il popolo minuto accorse nell'attuale [[Piazza della Signoria]] in armi; un anonimo cronista raccontò «E furono in sulla Piazza dei Signori e dissono "O voi ci rendete costoro, o noiv'arderemeo nel Palagio" Il popolo minuto gridava "Viva il popolo e le Arti"».<ref>{{cita|Rodolico, 1945|p. 108}}.</ref>

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Tumulto dei Ciompi
Giuseppe Lorenzo Gatteri, Tumulto dei Ciompi, 1877, Civici Musei di Storia ed Arte di Trieste
Datagiugno-agosto 1378
LuogoRepubblica di Firenze
Causarivendicazioni di natura economico-sociale
Esitosconfitta dei Ciompi
Schieramenti
Ciompi Governo fiorentino (capeggiato dall'Oligarchia cittadina)
Comandanti
Michele di Lando Giovanni Nicolai
Ugolino del Monte Santa Maria
Fantino Giorgio
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Il tumulto dei Ciompi fu una rivolta di matrice popolare avvenuta nella repubblica di Firenze tra il 20 luglio e il 31 agosto 1378 che vide protagonisti in particolare gli operai salariati della lana, detti appunto "ciompi", insieme ad altri appartenenti al cosiddetto "popolo minuto" come lavoranti, garzoni, piccoli artigiani non appartenenti ad alcuna corporazione. I rivoltosi rivendicarono una loro partecipazione al governo della città, fino a quel momento appannaggio esclusivo del "popolo grasso" ossia i protagonisti della ricca economia fiorentina come banchieri, commercianti, produttori tessili, notai organizzati nelle corporazioni delle arti. Gli eventi avvennero in un periodo difficile della storia di Firenze, contrassegnato dai continui scontri tra guelfi e ghibellini, fallimenti di grandi banchieri, sconfitte militari e epidemie di peste.

Nel 1375 Firenze si trovò impegnata nella Guerra degli Otto Santi contro lo Stato Pontificio, esacerbando le tensioni tra l'influente partito Parte Guelfa, controllato dai magnati (i nobili di antica stirpe), e il governo dei Priori composto dagli esponenti delle Arti maggiori. In tale cotesto, il 18 giugno 1378 il gonfaloniere di giustizia Salvestro di Alamanno de' Medici propose ai priori l'inasprimento degli Ordinamenti di giustizia, una serie di provvedimenti adottati tra a il 1293 e il 1295 attraverso i quali i nobili erano esclusi dal governo della città. Ciò provocò prima la reazione dei magnati contro la proposta di Salvestro seguita da quella delle Arti, a cui si aggiunse il popolo minuto, a difesa invece degli Ordinamenti. La situazione degenerò in saccheggi che vennero sedati la sera del 22 giugno a fatica, ma la situazione rimase molto tesa.

Nelle successive settimane, in un clima di vera paura, la Arti minori e il popolo minuto iniziarono a riunirsi e si fece in loro strada l'idea che attraverso un'insurrezione avrebbero potuto avere finalmente un riconoscimento politico e il diritto di potere accedere alle magistrature cittadine. Ciò avvenne il 28 luglio.

Premesse

La politica e la società della Firenze del XIV secolo

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia di Firenze e Arti di Firenze.
Stemmi di alcune Arti di Firenze

A partire dalla seconda metà del XIII secolo, Firenze aveva iniziato a diventare una delle città più potenti e prospere dell'Europa grazie agli intensi traffici commerciali che andavano dalle ricche fiere della champagne ai grandi mercati del levante.[1] Sull'esempio dell'Arte dei Mercatanti (detta anche "arte dei Calimala"), costituitasi nel 1182 circa, erano nate nel tempo ventuno "arti" (sette maggiori, quattordici minori) ossia associazioni laiche che riunivano gli appartenenti ad una stessa categoria professionale o chi esercitava lo stesso mestiere istituite allo scopo di garantirsi la difesa ed il perseguimento di scopi comuni. Furono proprio le arti ad essere il motore del grande sviluppo economico che Firenze godette per tutto il basso medioevo e proprio per questo le stesse arti riuscirono ad affermarsi ben presto anche come protagoniste della scena politica cittadina.[2][3]

Nel 1282, infatti, venne istituito il Priorato delle Arti (detto anche "Signoria") inizialmente composta da tre priori (facente parte delle arti maggiori) in seguito diventati sei, sorteggiati tra gli appartenenti di tutte e ventuno le arti. Il Priorato, insieme con il capitano del popolo, rappresentava il potere esecutivo e rappresentativo; essi, in carica per due mesi, convocavano i Consigli e sopraintendevano a tutti i pubblici ufficiali della repubblica fiorentina. Nel 1293 ad opera del priore Giano Della Bella vennero approvati gli Ordinamenti di giustizia, per cui per essere sorteggiati al priorato non bastava essere formalmente iscritti a un'Arte ma bisognava anche esercitarla realmente escludendo, così, le famiglie nobili dalle cariche pubbliche. Venne compilato un vero registro in cui erano elencate le famiglie che non potevano ambire alle istituzioni. Inoltre, si istituì la figura del Gonfaloniere di Giustizia con l'incarico di far rispettare gli ordinamenti e punire chi attenta alla stabilità del governo.[4][5]

Una bottega della lana

Ciò segnò l'affermazione del cosiddetto "popolo grasso", ovvero la borghesia composta dai cittadini più facoltosi occupati, ad esempio, come banchieri o notai o nei remunerativi traffici dei tessuti e della produzione della lana.[6] E questo a discapito della classe nobiliare, i "magnati" o i "grandi", considerati dal popolo delle arti come pericolosi perché inclini alla guerra e alle sopraffazioni, tenuti definitamente lontano dai più importanti consigli cittadini in quanto esclusi dai sorteggi.[7]

Il governo della città era dunque pieno appannaggio del popolo ma soltanto di quello inquadrato nelle arti, restavano fuori coloro che lavoravano a servizio delle arti come dipendenti: erano i garzoni, gli apprendisti, gli operai. Questi, detti solitamente "popolo minuto" o "gente minuta", erano la maggior parte dei fiorenti e vivevano in condizioni miserrime di sola sussistenza privati di qualsiasi minima forma di partecipazione al governo della città.[8][9] Moltissimi di loro erano i lavoranti dell'Arte della Lana, la corporazione più importante della Firenze del XIV secolo dopo aver, nei decenni precedenti, superato quella dei Calimala.[10]

I Ciompi

Stemma dei battilani, lavoratori della lana, posto sulla parete esterna della chiesa di Santa Maria dei Battilani

Tradizionalmente con il termine "ciompi" si voleva indicare, nel contesto della Firenze medievale, i salariati, appartenenti soprattutto al settore della lavorazione della lana (addetti alla pettinatura e alla cardatura). Lo storico Alessandro Barbero, in un suo saggio del 2023, ha evidenziato di come tale nome non fosse mai comparso prima degli eventi del 1378 di cui furono protagonisti quando appare in alcune cronache anonime coeve.[11] In ogni caso essi appartenevano al cosiddetto "popolo magro", consistente in braccianti, operai e piccoli commercianti spesso immigrati dal contado per soddisfare la necessità di lavoro a basso costo. Privi di qualsiasi forma di rappresentanza, le condizioni economiche del "popolo magro" erano caratterizzate da estrema precarietà. I Ciompi, assieme ad altri mestieranti più umili rappresentavano uno dei gradini più bassi della scala sociale dell'epoca: non godevano di alcuna rappresentanza ed erano per questo esclusi da una qualsiasi gestione politica della società.

L'etimo di "ciompi" sembra derivare dal verbo "ciompare", sinonimo di battere, picchiare, percuotere e siccome una delle operazioni iniziali della lavorazione della lana consisteva nel batterla con un bastone per favorire il distacco dei mazzeri (Nodi della lana o grumi di sporco presenti prima della cardatura o pettinatura) di pelo e permetterne poi la cardatura quelli che battevano, "ciompavano", venivano perciò definiti ciompi. Essi avevano come luogo di ritrovo la chiesa di Santa Maria dei Battilani in via delle Ruote (oggi sconsacrata)

Antefatti

Firenze nel 1352

Il sistema politico fiorentino che aveva permesso l'affermazione del popolo grasso e la sostenuta crescita economica non fu però esente da problemi che vennero alla luce sopratutto nel contesto della crisi del XIV secolo che colpì tutta l'Europa. Innanzitutto, l'aver escluso il ceto dei nobili dal governo cittadino aveva indebolito Firenze sul piano militare in quanto erano proprio i magnati, con le loro tradizioni cavalleresche, ad essere i veri esperti della guerra e ciò ebbe ovvie ripercussioni in politica estera. La possibilità di armare il popolo minuto non poteva essere presa in considerazione per il pericolo di rivolte e il reclutamento di truppe mercenarie, oltre ad essere molto oneroso, si dimostrò spesso inefficace.[12]

In aggiunta alla difficoltà di difendere con le armi gli interessi cittadini, il prestigio del popolo grasso era andato a declinare a causa della grave crisi economica che attanagliava Firenze culminata nel 1343 quando due dei più importanti banchieri cittadini, i Bardi e i Peruzzi, fallirono a causa del mancato pagamento dei prestiti che avevano concesso al re Edoardo III d'Inghilterra per sostenere le spese della guerra dei cent'anni.[13]

Cacciata del Duca d'Atene, affresco nel Carcere delle Stinche, ora in Palazzo Vecchio

Le difficoltà militari, la crisi economica e gli incessanti scontri con i ghibellini (Firenze era da molto tempo guelfa) portarono le autorità fiorentine a chiamare il duca d'Atene, Gualtieri VI di Brienne, come podestà considerata super partes perché straniero (francese) e non legato ad alcuna fazione. Gualtieri intraprese una politica aggressiva garantendosi il sostegno del popolo minuto e dei magnati, un'inedita alleanza basata sull'odio verso il popolo grasso. Inoltre Gualtieri adottò misure moderatamente favorevoli ai ceti subalterni, permettendo agli scardassieri di formare squadre di armati, ai tintori e ai saponai di creare una loro arte autonoma e venne promesso ai tintori di avere tre propri consoli. Queste misure, oltre all'evidenza che Gualtieri mirasse all'insaturazione di una signoria cittadina, portarono al ripensamento da parte dei magnati che, insieme al popolo grasso, lo scacciarono dalla città il 26 luglio 1343, soltanto dieci mesi dalla sua nomina.[14]

La cacciata di Gualtieri non fu indolore e i primi tumulti si ebbero nell'autunno già l'anno dopo[15], quando furono prontamente soffocati senza sopire però il malcontento. Nel maggio 1345 il cardatore Ciuto Brandini organizzò uno sciopero e delle adunanze per le vie della città, ma il tentativo di associare i propri compagni di lavoro in una "fratellanza" che raccogliesse le adesioni di operai e artigiani fallì:[15] arrestato con i figli il 24 maggio 1345, fu mandato a morte per decapitazione.[15] L'esperienza di Ciuto può essere considerata l'antesignana di quanto sarebbe succederà poco più di trent'anni dopo.

Il tumulto

Preludio

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra degli Otto Santi.
Caterina da Siena cerca di convincere papa Gregorio IX a tornare in Italia. L'effettivo rientro del pontefice sarà la causa della Guerra degli Otto Santi che metterà in crisi la politica fiorentina, preludio al tumulto del 1738

Nonostante gli Ordinamenti di Giustizia, i magnati non erano affatto estranei alla scena politica della firenze del trecento. Essi erano riuniti nel partito Parte Guelfa che godeva di grande potere e influenza in città. Parte Guelfa aveva la prerogativa di stilare delle liste di coloro che fossero stati sospettati di essere ghibellini e questi, detti "ammoniti", venivano di fatto esclusi da ogni incarico pubblico con gravissime ripercussioni personali. Ciò rappresentava a tutti gli effetti un «formidabile strumento di controllo della politica cittadina» da parte dei nobili.[16][17][18]

Nonostante la predominanza dei guelfi a Firenze, quindi tradizionalmente dalla parte del papa, nel 1375 la repubblica aveva iniziato una guerra contro il papa stesso, detta guerra degli Otto Santi, scoppiata a causa della volontà di Gregorio XI, in procinto di rientrare a Roma dopo il periodo avignonese, di riconquistare la sua influenza sull'Italia centrale. L'elite di governo fiorentina si trovò quindi spaccata tra un partito guelfo contrario alla guerra e una magistratura straordinaria, dal popolo soprannominata "degli Otto Santi" (composta da esponenti del popolo grasso), nominata per sovrintendere alle operazioni militari.[19][17][20]

Nel 1378, ad esasperare la situazione, Parte Guelfa incrementò le "ammonizioni" contro i proprio nemici minacciando gli stessi Otto Santi che, con la guerra oramai in procinto di terminare, erano consapevoli di poter essere anche loro accusati di ghibellinismo in quanto schierati in guerra contro il papato. In risposta, il 18 giugno il gonfaloniere di giustizia e priore Salvestro di Alamanno de' Medici propose al collegio dei priori di inasprire l'applicazione degli Ordinamenti di Giustizia da tempo di scarsa effettività pratica. Constato l'ostruzionismo dei priori, faceti parte di quel popolo grasso talmente arricchito da non trovarsi più in conflitto con i magnati e anzi desideroso di non farseli inutilmente nemici, Salvestro saltò l'usuale procedura appellandosi al Consiglio del popolo, questo composto anche dalle Arti minori, che votò favorevolmente con soli 73 voti contrari su 239.[21][22][17]

Palazzo Vecchio a Firenze, il palazzo in cui nel XIV secolo si riunivano i Priori

Quando i magnati vennero a conoscenza di ciò che accadeva a palazzo dei Priori (l'attuale "palazzo Vecchio") presero le armi e si radunarono a Palagio di Parte Guelfa pronti a bloccare l'iniziativa di Salvestro. Tuttavia, ciò ebbe l'effetto di far armare anche il popolo delle Arti minori, a cui ben presto si aggiunse anche quello delle Arti minori, che il 22 giugno scese in piazza.[23] In breve la situazione degenerò, la folla in tumulto iniziò a mettere a fuoco le case di alcuni esponenti del Popolo Grasso accusati di aver tradito il Popolo per essere stato troppo vicini alla Parte Gulfa; vennero assaltate, tra le altre, le case di Lapo da Castiglionchio, Piero degli Albizi, Carlo Strozzi, dei Soderini, dei Buondelmonti, dei Guadagni. Alle Arti rivoltose si aggiunse anche il popolo minuto privo di qualsiasi rappresentanza (operai, salariati, lavoranti,...), dandosi a saccheggi che coinvolsero anche monasteri di Santa Marita Novella, Santa Maria degli Angeli, Santa Croce.[24][25]

L'ordine in città tornò già alla sera del 22, dopo alcune esecuzioni capitali di rivoltosi, ma la situazione rimase molto tesa. Nei giorni successivi i ricchi si rifugiarono nelle loro case, le botteghe si blindarono, il tradizionale palio di San Giovanni Battista del 24 giugno non venne disputato né si festeggiò la ricorrenza del santo.[26] Il 1° luglio vennero sorteggiati dei nuovi priori, la cerimonia si svolse in sordina senza l'abituale scampanio per evitare di aizzare la folla. Le autorità operarono molti arresti di coloro che erano sospettati di aver preso parte ai saccheggi.[27][28] Ma il popolo della Arti Minori e il popolo minuto aveva oramai preso consapevolezza di possedere una propria forza e «nelle convulse settimane successive costoro, riuniti in assemblee, pensarono a un’insurrezione per ottenere, per la prima volta nella storia della città, un riconoscimento politico e il diritto di potere accedere alle magistrature».[17][29]

La rivolta del 20 luglio 1378

Come raccontano i cronisti, la settimana che precedette il tumulto, a Firenze regnava una calma apparente.[30] Il 19 giugno, ai Priori chiusi in Palazzo Vecchio, era giunta la notizia che per il giorno successivo il popolo minuto aveva intenzione di scendere in piazza armato e attaccare i centri del potere. I Priori allora procedettero con alcuni arresti tra coloro che si ritenevano essere coinvolti nella pianificazione della rivolta. Tra gli arrestati vi fu un certo Simoncino di Bartolomeo, soprannominato "Bugiagatto", che interrogato e sottoposto a tortura confermò quello che era in programma per il giorno successivo.[31][32]

Sebbene l'interrogatorio si fosse tenuto in segretezza, un orologiaio di nome Niccolò, in quel momento presente a palazzo per riparare l'orologio comunale, sentì tutto e appena ebbe occasione di rientrare a casa, all'alba del 20 giugno, andò per le strade di Firenze a gridare a tutti che i Priori stavano ammazzando gli arrestati, invitando quindi la "cattiva gente" (ossia il popolo) ad armarsi per difendersi o sarebbero stati tutti uccisi.[33][34] Fu questa la scintilla che fece scattare la rivolta: le campane delle chiese iniziarono a suonare a martello e il popolo minuto accorse nell'attuale Piazza della Signoria in armi; un anonimo cronista raccontò «E furono in sulla Piazza dei Signori e dissono "O voi ci rendete costoro, o noiv'arderemeo nel Palagio" Il popolo minuto gridava "Viva il popolo e le Arti"».[35]

Già dalla sera precedente i Priori avevano fatto schierare in piazza alcune decine di soldati mercenari (circa un'ottantina raccontano le cronache) e invitato le Arti con le loro bandiere a raggiungerli armati per difendere il Palazzo e il governo della città. Tuttavia, le Arti quella mattina non si fecero vedere e i soldati, davanti ad una così vasta folla, stettero immobili sopraffatti dalla situazione.[36] La piazza fu così in mano al popolo minuto, in particolare agli operai della lana che da quel momento sembrerebbe iniziano ad essere chiamati i "Ciompi". Termine dispregiativo, essi infatti non si riconobbero mai con tale nome, secondo la Cronaca fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani ne facevano parte gli «scardasseri, pettinatori, vergheggiatori, lavatori, purgatori e rivenditori ed altre membri».[37][17]

I Priori, spaventati e sorpresi dal non poter contare sul supporto delle Arti, dopo un acceso dibattito tra di loro decisero di liberare Simoncino e gli altri arrestati.[38] Ma alla folla questo non bastò e iniziarono ad assaltare le case dei ricchi, considerati traditori del Popolo; i capi della rivolta vietarono tuttavia i saccheggi minacciando di impiccare chiunque si fosse abbandonato a ciò. Poco dopo in piazza iniziarono a giungere anche le Arti minori che, sebbene non condividessero i medesimi obiettivi del popolo minuto, anch'esse avevano da recriminare al potere e ai soprusi perpetrati da Parte Guelfa e dagli esponenti delle Arti maggiori considerati collusi con i magnati.[39]

La giornata del 20 giugno si concluse con i festeggiamenti degli insorti e con la creazione di oltre sessanta nuovi cavalieri tra gente del popolo, una pratica tipica riservata alla nobiltà che però in quel contesto servì, probabilmente, come riconoscimento della sovranità popolare. Selvestro dè Medici fu uno tra questi uomini che vennero addobbati a cavaliere.[40][41]

I giorni seguenti

Il Palazzo del Podestà, oggi conosciuto come Palazzo del Bargello a Firenze

Calata la sera, la folla andò ad accamparsi. Durante i disordini alcuni rivoltosi erano riusciti ad impadronirsi del Gonfalone di Giustizia ed ora era custodito gelosamente nel palazzo di messer Stefano di Broye. Per un uomo del medioevo le bandiere rivestivano un ruolo molto importate: sotto di esse si riunivano le truppe in battaglia, contraddistinguevano le contrade cittadine, erano il simbolo del governo cittadino. Possedere quella del Gonfaloniere di Giustizia dava alla folla un senso di legittimità come rappresentate del comune.[42] Nel frattempo continuavano le assemblee per preparare le richieste da porre ai Priori.[43][44]

Il giorno successivo, il 21 luglio, passò senza particolari degni di cronaca: un violento temporale bloccò qualsiasi iniziativa creando nei Priori l'aspettativa che la folla si potesse disperdere. Ma ciò non avvenne e il 22 luglio i Ciompi erano ancora padroni della piazza. Questi chiesero ufficialmente a tutte le altre Arti di unirsi a loro e, più o meno convintamente, queste lo fecero ad eccezione dell'Arte della Lana la quale, come nota lo storico Alessandro Barbero, «coerentemente si dissocia dall'insurrezione dei propri operai».[45][46] Venne allora assaltato il Palazzo del Podestà (oggi conosciuto come "Palazzo del Bargello) e una volta aver lasciato fuggire il Podestà incolume, venne issata sulla sommità la bandiera dell'Arte dei Fabbri (raffigurante due tenaglie) mentre alle finestre vennero appese le insegne di tutte le altre Arti, sempre ad eccezione di quella della lana. Nell'occasione vennero anche dati alle fiamme i numerosi documenti contenuti nel palazzo con il preciso scopo di cancellare tracce di debiti e processi pendenti in cui i rivoltosi potevano essere implicati.[47][48]

Fatto del palazzo del podestà il loro quartier generale, il popolo insorto presentò due petizione ai Priori, una da parte delle Arti e una da parte del popolo minuto, segno che sebbene fossero scesi in piazza insieme, i due gruppi non erano poi così uniti.[49] I rappresentanti delle Arti chiesero in particolare che fossero ristabilite e osservate le precedenti disposizioni degli Ordinamenti di Giustizia che limitavano il potere di Parte Guelfa e che coloro che erano stati "ammoniti" fossero riammessi agli uffici pubblici.[50] Più articolate le richieste del popolo minuto, il cui nome per la prima volta compare in un atto pubblico ufficiale sancendone una concretezza politica che prima di allora mai aveva avuto. Oltre a richieste relativi a sgravi fiscali, alla sospensione di procedimenti penali contro di loro e alla concessione a spese del comune di un locale dove tenere le adunanze, i minuti chiesero soprattutto di potersi costituire in una propria Arte e che due Priori dovessero essere scelti tra di loro e che anche la carica di Gonfaloniere di Giustizia gli spettasse a turno.[51][52]

Nel frattempo tra i Priori chiusi in Palazzo Vecchio regnava la paura e l'incertezza sul da farsi. Non trovando una soluzione alcuni di loro, compreso il Gonfaloniere di Giustizia Luigi Guicciardini lasciarono il Palazzo contravvenendo all'obbligo di risiedervi senza interruzione per tutto il mandato e quindi di conseguenza equivaleva a rinunciare all'incarico. Caduti i Priori, il Palazzo venne conquistato senza vittime ad eccezione dell'odiato bergello, messer Nuto, che nella sua funzione di funzionario di polizia non si era risparmiato nel perseguitare i popolani; scovato dalla folla venne impiccato per i piedi.[53][54][55]

Il governo di Michele Lando

La statua di Michele di Lando presso la Loggia del Mercato Nuovo, Firenze

Michele di Lando tuttavia non fu un abile uomo politico. Trovatosi improvvisamente a gestire un grande potere, fu continuamente bersagliato da richieste sempre maggiori dal popolo magro e venne messo in cattiva luce per l'alleanza con alcuni membri del più ricco popolo grasso (tra i quali soprattutto Salvestro de' Medici). Già in discredito verso gli operai che rappresentava, fu costretto a prendere misure di repressione contro l'ondata di violenza che essi andavano scatenando, con ritorsioni contro la nobiltà. Il malcontento verso la sua figura aumentò in poche settimane, soprattutto quando venne chiesta e non concessa la cancellazione del debito verso i datori di lavoro. Fu allora che i rappresentanti della vecchia oligarchia fecero cerchio per isolare la fazione dei Ciompi, ormai disgregata internamente e abbandonata dallo stesso Michele di Lando.

Il "popolo grasso" si alleò con quello minuto (la piccola borghesia), e il 31 agosto un numeroso gruppo di Ciompi, stabilitisi in piazza della Signoria, fu cacciato con facilità dalle forze combinate delle altre arti. La corporazione dei Ciompi venne abolita, Michele di Lando esiliato (sebbene non perseguitato, venendo anzi nominato Capitano di Volterra) assieme alle famiglie più compromesse con la rivolta, e fece da capro espiatorio il vinattiere Ciardo di Berto, che fu decapitato. Entro il 1382 la dominazione del "popolo grasso" era di fatto restaurata.

Conseguenze e analisi storica

Filippo Villani dà una viva descrizione del fallimento del tumulto:

«I Ciompi se ne andarono sì come gente rotta, et senza capo et sentimento, perché si fidavano et furono traditi da loro medesimi»

Niccolò Machiavelli nelle Istorie fiorentine raccontò la rivolta con una serie di didascalie e dialoghi inventati che riflettevano le posizioni dei protagonisti, mutuate attraverso il suo punto di vista.

Il controllo delle grandi famiglie sulla vita politica cittadina di Firenze durò fino alla metà del Quattrocento, quando i Medici instaurarono, con ritardo rispetto ad altre analoghe situazioni in Italia, una Signoria di fatto.

Note

  1. ^ Rodolico, 1945, p. 1.
  2. ^ Rodolico, 1945, p. 2.
  3. ^ Barbero, 2023, p. 45.
  4. ^ Barbero, 2023, pp. 45, 48-49.
  5. ^ Rodolico, 1945, p. 9.
  6. ^ Barbero, 2023, p. 44.
  7. ^ Rodolico, 1945, p. 8.
  8. ^ Barbero, 2023, pp. 45-47.
  9. ^ Rodolico, 1945, p. 29.
  10. ^ Rodolico, 1945, pp. 2, 4.
  11. ^ Barbero, 2023, pp. 63-64.
  12. ^ Rodolico, 1945, pp. 30-31.
  13. ^ Rodolico, 1945, pp. 32-33.
  14. ^ Rodolico, 1945, pp. 33-38.
  15. ^ a b c Brandini, Ciuto, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  16. ^ Rodolico, 1945, pp. 67-68, 72.
  17. ^ a b c d e Tumulto dei Ciompi, in Enciclopedia machiavelliana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2014.
  18. ^ Barbero, 2023, pp. 49-50.
  19. ^ Rodolico, 1945, pp. 76-79.
  20. ^ Barbero, 2023, p. 52.
  21. ^ Rodolico, 1945, pp. 83-88.
  22. ^ Barbero, 2023, pp. 52-54.
  23. ^ Barbero, 2023, pp. 53-55.
  24. ^ Barbero, 2023, p. 56.
  25. ^ Rodolico, 1945, pp. 91-92.
  26. ^ Barbero, 2023, pp. 57-59.
  27. ^ Rodolico, 1945, p. 97.
  28. ^ Barbero, 2023, pp. 60-61.
  29. ^ Rodolico, 1945, p. 99.
  30. ^ Rodolico, 1945, p. 101.
  31. ^ Rodolico, 1945, p. 104.
  32. ^ Barbero, 2023, p. 60.
  33. ^ Rodolico, 1945, pp. 107-108.
  34. ^ Barbero, 2023, pp. 62-63.
  35. ^ Rodolico, 1945, p. 108.
  36. ^ Rodolico, 1945, pp. 108-109.
  37. ^ Rodolico, 1945, pp. 102-103.
  38. ^ Barbero, 2023, p. 64.
  39. ^ Barbero, 2023, pp. 64-65.
  40. ^ Rodolico, 1945, pp. 110-11.
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Bibliografia

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