Omicidio di Sergio Ramelli: differenze tra le versioni

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L'atipicità degli imputati suscitò molto interesse per la stampa, tanto che per consentire di presenziare a tutti i giornalisti accorsi venne concesso ad alcuni di loro di seguire il processo dall'interno di una delle celle presenti nell'aula.<ref>[http://www.cdrc.it/Archivio_Ramelli/Articoli/IlCorsera17_3_87.html Articolo sul ''Corriere della sera'', 17 marzo 1987].</ref> Antonio Belpiede, Giuseppe Ferrari Bravo e Giovanni Di Domenico si dichiararono estranei ai fatti ma gli ultimi due ritrattarono in seguito, mentre Brunella Colombelli ammise di aver fatto parte della struttura del movimento, ma affermò di non essere stata a conoscenza dei piani dell'omicidio né della sua organizzazione.
L'atipicità degli imputati suscitò molto interesse per la stampa, tanto che per consentire di presenziare a tutti i giornalisti accorsi venne concesso ad alcuni di loro di seguire il processo dall'interno di una delle celle presenti nell'aula.<ref>[http://www.cdrc.it/Archivio_Ramelli/Articoli/IlCorsera17_3_87.html Articolo sul ''Corriere della sera'', 17 marzo 1987].</ref> Antonio Belpiede, Giuseppe Ferrari Bravo e Giovanni Di Domenico si dichiararono estranei ai fatti ma gli ultimi due ritrattarono in seguito, mentre Brunella Colombelli ammise di aver fatto parte della struttura del movimento, ma affermò di non essere stata a conoscenza dei piani dell'omicidio né della sua organizzazione.


Castelli, Montinari, Colosio, Scazza e Cavallari invece, pentiti, confessarono l'operato scrivendo alla madre del giovane, chiedendo il perdono e offrendo e depositando presso un notaio un risarcimento di 200 milioni di lire. Il risarcimento fu rifiutato dalla donna. Al processo gli aggressori dichiararono che intendevano causare leggere ferite al militante avversario, scelto a caso tra quelli della zona. Affermarono inoltre che la notorietà di Ramelli quale simpatizzate di destra aveva portato a lui e che l'azione era stata richiesta esplicitamente dal responsabile del servizio d'ordine della colonna di Avanguardia Operaia legata a Città Studi, Roberto Grassi (morto suicida nel 1981).
Castelli, Montinari, Colosio, Scazza e Cavallari invece, pentiti, confessarono l'operato scrivendo alla madre del giovane, chiedendo il perdono e offrendo e depositando presso un notaio un risarcimento di 200 milioni di lire. Il risarcimento fu rifiutato dalla donna. Al processo gli aggressori dichiararono che intendevano causare al militante avversario, scelto a caso tra quelli della zona, leggere ferite. Cosa discutibile, in quanto si trattava di studenti di medicina che picchiavano ripetutamente il cranio di un ragazzo con chiavi inglesi Hazet 36 del peso di 3,5 kg l'una<ref>{{Cita news|url=http://www.linkiesta.it/it/blog-post/2012/04/29/sergio-ramelli-lepoca-delluccidere-un-fascista-non-e-un-reato/5913/|titolo=Sergio Ramelli, l’epoca dell’“uccidere un fascista non è un reato”|data=2012-04-29|accesso=2016-11-09}}</ref>. Affermarono inoltre che la notorietà di Ramelli quale simpatizzate di destra aveva portato a lui e che l'azione era stata richiesta esplicitamente dal responsabile del servizio d'ordine della colonna di Avanguardia Operaia legata a Città Studi, Roberto Grassi (morto suicida nel 1981).


Il commando era stato aggregato tra alcuni degli aderenti al movimento Avanguardia Operaia, prendendo militanti che nemmeno conoscevano Ramelli:<ref>Maurizio Grigo e Guido Salvini, nell'Ordinanza di rinvio a giudizio: «Non solo era sconosciuta la vittima. Nessuno degli imputati era stato fisicamente aggredito o anche solo minacciato da persone di destra nella zona, per cui quanto essi si accingevano a compiere costituiva più che una scelta razionale, un autentico atto gratuito».</ref> il gruppo nelle intenzioni era stato inviato per ferire il giovane causandogli qualche giorno di prognosi, ma la situazione era sfuggita di mano. Dopo esser venuti a conoscenza del fatto che Ramelli era in coma, alcuni membri del commando tra cui Montinari (principale pentito al processo) smisero la militanza. Altri invece parteciparono lo stesso, alcuni mesi dopo, all'assalto del bar di Largo Porto di Classe, ritrovo abituale di simpatizzanti di destra.<ref>[http://www.cdrc.it/Archivio_Ramelli/Articoli/AVVENIRE25_3_87.html Articolo su L'Avvenire, 25 marzo 1987]</ref>
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[[File:Via Ramelli a Sanremo.JPG|thumb|Strada Ramelli a [[Sanremo]] (IM)]]
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Alcuni degli allora studenti di medicina, nonostante le vicende giudiziarie, hanno fatto carriera sino a ricoprire incarichi ospedalieri.<ref>{{Cita web|url=http://www.ospedaleniguarda.it/professionisti-e-aziende/i-nostri-medici/profilo/Scazza-Claudio|titolo=l|cognome=Srl|nome=Studiolabo|sito=www.ospedaleniguarda.it|accesso=2016-11-09}}</ref><ref>{{Cita news|url=http://www.barlettaviva.it/notizie/l-ospedale-di-barletta-avra-una-sala-parto-per-urgenze-e-cesarei/|titolo=L'ospedale di Barletta avrà una sala parto per urgenze e cesarei. Nella Giornata della Donna l'inaugurazione al 'Dimiccoli'.|pubblicazione=barlettaviva.it|accesso=2016-11-09}}</ref>


== Note ==
== Note ==

Versione delle 02:52, 9 nov 2016

Sergio Ramelli

Sergio Ramelli (Milano, 6 luglio 1956Milano, 29 aprile 1975) è stato un militante e fiduciario[1][2] del Fronte della Gioventù (organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano), vittima di un violento assassinio politico avvenuto nel 1975 a opera di militanti della sinistra extraparlamentare legati ad Avanguardia Operaia. All'epoca del fatto, Ramelli, diciottenne, era studente di chimica industriale all'ITIS “Ettore Molinari” di Milano.

Contesto scolastico

Nei primi mesi del 1975 l'ITIS “Molinari” di Milano, analogamente a quanto avveniva in molte scuole superiori e università italiane, era teatro di accesi scontri politici tra studenti di destra e di sinistra. L'edificio scolastico, risalente ai primi anni sessanta, non permetteva un adeguato controllo dell'ordine pubblico interno e, in ragione di ciò, si era guadagnato la reputazione di luogo a rischio.

L'aggressione

Le posizioni politiche di Sergio Ramelli, fiduciario[1][2] del Fronte della Gioventù, erano ben note nell'istituto, in quanto da lui stesso più volte pubblicamente professate. Esse gli procurarono due aggressioni in un breve lasso di tempo, che lo spinsero, nel febbraio 1975, a lasciare il “Molinari” per proseguire l'anno scolastico in un istituto privato.[3]

Secondo quanto reso noto in seguito da sua madre, Sergio Ramelli, in un tema scolastico, espresse posizioni di condanna delle Brigate Rosse, aggiungendovi una nota di biasimo verso il mondo politico per il mancato cordoglio istituzionale verso la morte dei militanti padovani del MSI Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, uccisi durante un assalto delle Brigate Rosse alla sede del MSI avvenuto l'anno precedente (17 giugno 1974). Il tema, dopo essere stato sottratto al professore, fu successivamente apposto su una bacheca scolastica e usato come “capo d'accusa” in una sorta di “processo politico” scolastico istituito contro Ramelli dagli altri studenti. Sergio Ramelli fu accusato di essere fascista.[4]

Il 13 marzo 1975 Ramelli era di ritorno alla sua abitazione, in via Amadeo a Milano; parcheggiato il suo motorino poco distante, in via Paladini,[5] si incamminò verso casa. All'altezza del civico 15 di detta via Paladini Ramelli fu assalito da un gruppo di persone armate, si seppe in seguito, di chiavi inglesi,[6] e colpito ripetutamente al capo; a seguito dei colpi ricevuti perse i sensi e fu lasciato esangue al suolo.[5] La testimonianza resa durante il processo da Marco Costa è la seguente:[7]

«Ramelli capisce, si protegge la testa con le mani. Ha il viso scoperto e posso colpirlo al viso. Ma temo di sfregiarlo, di spezzargli i denti. Gli tiro giù le mani e lo colpisco al capo con la chiave inglese. Lui non è stordito, si mette a correre. Si trova il motorino fra i piedi e inciampa. Io cado con lui. Lo colpisco un'altra volta. Non so dove: al corpo, alle gambe. Non so. Una signora urla: "Basta, lasciatelo stare! Così lo ammazzate!" Scappo, e dovevo essere l'ultimo a scappare.»

A sua volta Giuseppe Ferrari Bravo rese la seguente testimonianza:[7]

«Aspettammo dieci minuti, e mi parve un'esistenza. Guardavo una vetrina, ma non dicevo nulla. Ricordo il ragazzo che arriva e parcheggia il motorino. Marco mi dice: "Eccolo", oppure mi dà solo una gomitata. Ricordo le grida. Ricordo, davanti a me, un uomo sbilanciato. Colpisco una volta, forse due. Ricordo una donna, a un balcone, che grida: "Basta!". Dura tutto pochissimo... Avevo la chiave inglese in mano e la nascosi sotto il cappotto. Fu così breve che ebbi la sensazione di non aver portato a termine il mio compito. Non mi resi affatto conto di ciò che era accaduto.»

Pochi minuti dopo l'aggressione, un commesso vide il corpo coperto di sangue di Sergio Ramelli e allertò la portinaia del palazzo di via Amadeo dove il giovane abitava. La portinaia, riconosciuto Ramelli, avvertì la polizia e i soccorsi medici; un'autoambulanza portò d'urgenza Sergio Ramelli all'Ospedale Maggiore; lì fu sottoposto a un intervento chirurgico della durata di circa cinque ore allo scopo di ridurre i danni causati dai colpi inferti alla calotta cranica.[8]

Nel corso dell'assemblea consiliare al Comune che fece seguito all'aggressione di Ramelli, l'allora sindaco Aldo Aniasi dovette fronteggiare una turbolenta seduta nel corso della quale, a fronte della condanna istituzionale di prammatica dell'aggressione e alle risentite stigmatizzazioni dell'accaduto dei partiti di destra, vi fu, tra il pubblico presente, chi applaudì alla notizia del fatto e rivolse fischi al rappresentante del MSI Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse che aveva in quel momento la parola.[9]

Il decorso post-operatorio di Sergio Ramelli fu caratterizzato da periodi di coma alternati ad altri di lucidità; le complicazioni cerebrali comunque indotte dall'aggressione lasciarono i sanitari dubbiosi sul recupero delle piene funzionalità fisiche di Ramelli, segnatamente l'uso della parola.[10] La morte sopraggiunse a troncare ogni speranza 48 giorni dopo l'aggressione, il 29 aprile 1975.[10]

Le violenze e le aggressioni contro esponenti missini

Mentre Ramelli si trovava in coma negli stessi giorni a Milano continuarono le aggressioni rivolte contro esponenti della destra. Il 16 aprile 1975 un gruppo di estremisti di sinistra assalì tre giovani del FUAN che stavano effettuando un volantinaggio. Antonio Braggion (iscritto anche ad Avanguardia Nazionale), rifugiatosi nella propria vettura, sparò contro gli aggressori uccidendo lo studente Claudio Varalli. Il 17 aprile fu aggredito l'avvocato Cesare Biglia, allora consigliere provinciale del Movimento Sociale, che dovette subire in ospedale un delicato intervento chirurgico. La moglie, che era insieme a lui, fu ferita alla gamba.

Il 18 aprile il sindacalista della CISNAL Francesco Moratti, ex combattente della RSI e invalido di guerra, fu anch'egli ricoverato in ospedale dopo essere stato picchiato e lasciato in terra mentre i locali in cui si trovava venivano dati alle fiamme. Anche un cameriere di nome Rodolfo Mersi, un panettiere di nome Rinaldo Guffanti e un giovane liberale, Pietro Pizzorno, furono ricoverati in ospedale al reparto craniolesi dopo aver subito aggressioni con chiavi inglesi.[11]

Il 28 aprile, un giorno prima che Ramelli morisse, un gruppetto staccatosi da un corteo della sinistra si recò presso la casa della famiglia Ramelli, dove fece delle scritte sui muri e affisse un manifesto in cui si minacciava il fratello Luigi Ramelli di morte se non fosse sparito entro 48 ore[12].

Il funerale

Giorgio Almirante e Franco Servello portano la bara di Ramelli

I funerali ebbero luogo nella Chiesa dei Santi Nereo e Achilleo. Il feretro di Sergio arrivò in chiesa quasi di nascosto perché le autorità locali avevano vietato il corteo funebre e gli estremisti di sinistra avevano minacciato di usare delle chiavi inglesi contro eventuali partecipanti.

La Presidenza della Repubblica (carica all'epoca ricoperta da Giovanni Leone) partecipò inviando una corona di fiori. Ai funerali presenziò l'allora segretario del MSI Giorgio Almirante, e nel corso della celebrazione delle esequie quattro militanti di destra furono denunciati per apologia del fascismo in ragione dei saluti romani rivolti al feretro; successivamente, a cerimonia terminata, circa 30 giovani, inneggiando alla figura del Duce, cercarono di raggiungere una vicina sede del PCI, ma furono dispersi dalla polizia. A seguito dei tafferugli che nacquero dagli scontri con le forze dell'ordine altri tre militanti furono incriminati per manifestazione sediziosa e apologia del fascismo.

Nel frattempo, dalle finestre delle aule della Facoltà di Medicina che danno su Piazzale Gorini, alcuni giovani con i volti coperti da fazzoletti rossi fotografarono i partecipanti al funerale.[13] Molte delle foto scattate quel giorno sarebbero poi state ritrovate nel cosiddetto "covo di viale Bligny".[14]

Le indagini

La pista studentesca

Le deposizioni dei testimoni, Ernesto De Martini, che aveva inseguito alcuni membri del gruppo per qualche centinaio di metri, e una donna anziana che aveva assistito alla scena, portarono a dedurre che l'aggressione fosse stata compiuta da due persone, di cui una con una sciarpa bianca, entrambe sui 18-20 anni, col sostegno di un gruppo più numeroso (8 o 10 persone). Il commando aveva agito a piedi ed era fuggito verso via Venezian, in Città Studi. Le prime indagini portarono a ipotizzare che gli esecutori dell'azione fossero studenti dell'Istituto Molinari, che la mattina prima avevano tenuto una manifestazione politica al provveditorato di Milano.

Fu fermata una decina di giovani, e furono identificati tre studenti che avevano frequentato la stessa classe di Ramelli prima che quest'ultimo si trasferisse in un altro istituto scolastico.[15][16][17] I tre studenti furono sospettati perché non erano rientrati dopo la manifestazione. Come s'è detto, Ramelli aveva avuto problemi per la sua militanza, fino a essere stato "condannato" da un'assemblea studentesca, e, all'atto della rinuncia agli studi presso l'istituto, anche verso i genitori vi era stato un atto d'intolleranza da parte d'alcuni studenti. Nel quartiere, era noto come fascista.

Ricerche nei gruppi della sinistra extraparlamentare

Anita Pozzoli Ramelli durante la deposizione del 22 aprile 1982

La questura dopo alcuni accertamenti di rito ritenne i fermati estranei ai fatti, e continuò le indagini nell'ambito dei gruppi dell'estrema sinistra attivi nel quartiere di Città Studi, una zona in cui Ramelli era stato visto effettuare affissioni abusive di manifesti del Fronte della Gioventù.[18] Inoltre, il commando era stato seguito fino alla zona dove probabilmente il gruppo aveva un sostegno o una base. Le indagini negli ambienti della sinistra più estrema portarono a una debole pista, che indicava negli assassini dei membri del collettivo del Casoretto, una piccola e poco rilevante organizzazione locale legata a Lotta Continua.

Durante un colloquio informativo con gli inquirenti il 3 novembre 1982, il militante di destra Walter Sordi (già noto alle forze dell'ordine per altri fatti) affermò che l'omicidio di Sergio Ramelli era stato considerato riconducibile al gruppo di sinistra noto col nome di Collettivo "Casoretto". Pertanto un commando dei NAR guidato da Gilberto Cavallini aveva deciso di ucciderne il capo Andrea Bellini. Secondo le testimonianze del Sordi, il commando dei NAR era effettivamente giunto a Milano, ma il progetto non era stato portato a termine per mancanza di tempo. Altre testimonianze, di persone vicine al collettivo Casoretto, riconducono invece la mancata vendetta del NAR sul Bellini al fatto che la vittima designata si presentò con estremo ritardo sul luogo dell'agguato.

Sordi non portò prove a sostegno della colpevolezza del collettivo "Casoretto", e la pista fu immediatamente abbandonata.[19] Già dalle prime indagini emerse come vi fosse dell'antagonismo tra gli "informatori" della polizia e il gruppo del collettivo, e la pista fu classificata come un vago tentativo di depistaggio. Alcuni membri del collettivo tuttavia sostennero la tesi fornendo informazioni imprecise o false. Anche l'alibi del principale indiziato del gruppo, tal Francesco Grasso, apparve agli inquirenti come un alibi di comodo per coprire qualcuno. Due giovani, i fratelli Bellini, furono interrogati, ma non convinsero i giudici: finirono in seguito col rifugiarsi in Bulgaria.

Solo anni dopo, durante l'interrogatorio a Mario Ferrandi e Ciro Paparo, due militanti di gruppi armati transitati per il Casoretto, emerse un'ulteriore pista che indicava come mandante la formazione di Avanguardia Operaia. I due non escludevano vi potessero essere uomini interni al collettivo, ma sostenevano che la matrice ideologica fosse legata ad Avanguardia Operaia. La tesi fu confermata da colloqui con altri esponenti di movimenti minori, ma intanto stavano emergendo le deposizioni dei pentiti di Prima Linea.

Il covo di viale Bligny

Le indagini rimasero quiescenti finché non vennero prese in carico dai giudici istruttori Maurizio Grigo e Guido Salvini. Intanto, il giudice Guido Viola istruì alcune indagini per appurare le responsabilità di Avanguardia Operaia in altri fatti di violenza. Nel dicembre 1985, durante le indagini che avevano fatto séguito alle confessioni di tre pentiti legati alla colonna bergamasca di Prima Linea, gli inquirenti rinvennero in un appartamento di Viale Bligny uno schedario contenente dati di oltre 10.000 persone considerate militanti neofascisti, di organizzazioni rivali o comunque in qualche modo potenziali obiettivi di attentati. In particolare si ritrovano molte fotografie delle persone presenti al funerale di Sergio Ramelli, corredate da schede personali sugli amici dello stesso e indicazioni circa il bar Porto di Classe.[20]

Oltre alle schede complete di descrizioni, abitudini, relazioni e contatti, furono rinvenute 5.000 fotografie. Insieme a questo materiale, vi erano numerosi documenti relativi alla creazione delle Brigate Rosse nel 1977-1978, e materiale per l'addestramento militare. Lo schedario, nato nei primi anni settanta a opera di Avanguardia Operaia e poi passato ad altre organizzazioni (tra cui Democrazia Proletaria), era in possesso di Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo (cui era intestato l'appartamento), due militanti della sinistra extraparlamentare.

I pentiti bergamaschi

I tre pentiti erano Sergio Martinelli, Michele Viscardi e Maurizio Lombino. Il Martinelli, in carcere coi due, aveva saputo da Lombino che l'omicidio di Ramelli era stato voluto da militanti da Avanguardia Operaia, e che una ragazza conosciuta da Lombino e all'epoca studentessa a Milano vi era stata coinvolta: rilasciò una deposizione a metà del 1985, rendendo noti i fatti agli inquirenti. Il Viscardi confermò la deposizione, e ricordò che la ragazza, nota solo col nome di Brunella, risiedeva in Svizzera.

Lombino infine confermò, dichiarando di aver saputo del fatto direttamente da esponenti del movimento e di aver avuto un'ulteriore prova dalle parole di una studentessa di biologia con cui aveva una relazione all'epoca dei fatti. Lombino confermò il nome, ma non diede un cognome. La donna fu identificata in Brunella Colombelli, che, dopo essersi laureata, era andata a lavorare come ricercatrice universitaria a Ginevra; tuttavia, a metà del 1985, la Colombelli si trovava in Nicaragua per le ferie estive, ed era residente in Svizzera: le due cose rendevano impossibile il fermo e l'interrogatorio della donna.

Le indagini proseguirono all'interno del gruppo che costituiva le file di Avanguardia Operaia nel 1975: un esponente del movimento, Francesco Cremonese, confermò la struttura dell'organizzazione nell'Università degli Studi di Milano, che vedeva come capi Giovanni Gioele Di Domenico per la facoltà di agraria, Roberto Grassi a fisica e Marco Costa a medicina, tutti sottoposti a Giuseppe Ferrari Bravo, che teneva le redini dell'organizzazione. Il Cremonese affermò che la squadra di agraria era quella più attiva, ma che Ramelli era stato aggredito da un nucleo di studenti di medicina per ordine dei capi delle altre sezioni, che volevano incoraggiare una maggiore partecipazione dell'appena ristrutturato e ingrandito gruppo della facoltà medica.

I primi arresti

Approfittando di un rientro in Italia della Colombelli, Grigo e Salvini ne disposero il fermo il 14 settembre 1985. Dopo un primo interrogatorio, fu accusata di favoreggiamento e falsa testimonianza, e trattenuta in Italia: in un secondo momento, affermò di aver assistito a un discorso sul pestaggio del giovane, ma di non avervi partecipato. Il 16 settembre, dopo una serie di deposizioni della Colombelli, furono arrestati diversi ex-militanti di Avanguardia Operaia.

Il processo

Gli imputati

Il 16 marzo 1987 prese avvio il processo per gli assassini. Vennero imputati per i fatti dieci persone tra preparatori, mandanti ed esecutori. Gli imputati furono:

  • Claudio Colosio, Franco Castelli, Giuseppe Ferrari Bravo, Luigi Montinari, Walter Cavallari, Claudio Scazza: medici praticanti in diverse discipline, studenti all'epoca dei fatti; ad essi si aggiunse Brunella Colombelli, unica donna tra gli accusati, divenuta ricercatrice;
  • Giovanni Di Domenico, al momento dell'arresto consigliere in forza a Democrazia Proletaria a Gorgonzola;
  • Antonio Belpiede, capogruppo del PCI a Cerignola (Foggia);
  • Marco Costa, che con Ferrari Bravo gestiva l'archivio segreto.

Il gruppo era una parte del Servizio d'Ordine di Avanguardia Operaia nella facoltà milanese di medicina. Alcuni degli imputati vennero processati anche per altri tentati omicidi e violenze.[21] Secondo la ricostruzione operata dagli inquirenti, i due aggressori sarebbero stati Marco Costa e Giuseppe Ferrari Bravo, che avrebbero attaccato il giovane con delle chiavi inglesi. I due all'epoca appartenevano ad un ristretto gruppo noto come gli idraulici proprio per via delle grosse chiavi inglesi usate per compiere le aggressioni. Di Domenico sarebbe stato il mandante e il pianificatore dell'azione, mentre Colombelli avrebbe avuto il ruolo di sorvegliante della vittima. Castelli, Colosio e Montinari avrebbero dovuto sorvegliare la zona e dare l'allarme in caso di pericolo. Gli altri avrebbero avuto ruoli variabili nella preparazione dell'azione e in altre violenze[22]

Le accuse comprendevano omicidio volontario, tentato omicidio, sequestro di persona, associazione sovversiva, danneggiamento. In tutto, per il caso di Ramelli, per la faccenda di via Bligny e per l'assalto ad un bar milanese costato tre feriti, vennero imputate 25 persone. Il ruolo di avvocato per la famiglia della vittima venne sostenuto da Ignazio La Russa, avvocato ed esponente di destra, all'epoca segretario provinciale missino.[23] Durante il processo, svoltosi regolarmente nonostante alcuni rinvii per questioni di salute del presidente della Corte d'Assise Antonino Cusmano e per disguidi tecnici, Democrazia Proletaria istituì un piccolo presidio presso Piazza Fontana, raccogliendo circa cento persone, mentre i vertici del partito presenziarono al processo.

Le dichiarazioni degli imputati

Inaugurazione di un cippo a Ramelli nel 2002 a Ospedaletti alla presenza del ministro Gianni Alemanno

Nel 1987 il MSI svolse un corteo con circa 500 partecipanti che si concluse sotto casa di Ramelli; nel corso di questo, secondo il quotidiano comunista L'Unità, vi furono intimidazioni e gesti provocatori che attrassero l'attenzione della stampa e di rappresentanti politici.[24][25] Agli imputati, vista la loro posizione, fu concesso di recarsi in tribunale con mezzi propri e senza scorta delle forze dell'ordine, e fu permesso loro di uscire per lavorare durante i giorni di arresti domiciliari.[24]

L'atipicità degli imputati suscitò molto interesse per la stampa, tanto che per consentire di presenziare a tutti i giornalisti accorsi venne concesso ad alcuni di loro di seguire il processo dall'interno di una delle celle presenti nell'aula.[26] Antonio Belpiede, Giuseppe Ferrari Bravo e Giovanni Di Domenico si dichiararono estranei ai fatti ma gli ultimi due ritrattarono in seguito, mentre Brunella Colombelli ammise di aver fatto parte della struttura del movimento, ma affermò di non essere stata a conoscenza dei piani dell'omicidio né della sua organizzazione.

Castelli, Montinari, Colosio, Scazza e Cavallari invece, pentiti, confessarono l'operato scrivendo alla madre del giovane, chiedendo il perdono e offrendo e depositando presso un notaio un risarcimento di 200 milioni di lire. Il risarcimento fu rifiutato dalla donna. Al processo gli aggressori dichiararono che intendevano causare al militante avversario, scelto a caso tra quelli della zona, leggere ferite. Cosa discutibile, in quanto si trattava di studenti di medicina che picchiavano ripetutamente il cranio di un ragazzo con chiavi inglesi Hazet 36 del peso di 3,5 kg l'una[27]. Affermarono inoltre che la notorietà di Ramelli quale simpatizzate di destra aveva portato a lui e che l'azione era stata richiesta esplicitamente dal responsabile del servizio d'ordine della colonna di Avanguardia Operaia legata a Città Studi, Roberto Grassi (morto suicida nel 1981).

Il commando era stato aggregato tra alcuni degli aderenti al movimento Avanguardia Operaia, prendendo militanti che nemmeno conoscevano Ramelli:[28] il gruppo nelle intenzioni era stato inviato per ferire il giovane causandogli qualche giorno di prognosi, ma la situazione era sfuggita di mano. Dopo esser venuti a conoscenza del fatto che Ramelli era in coma, alcuni membri del commando tra cui Montinari (principale pentito al processo) smisero la militanza. Altri invece parteciparono lo stesso, alcuni mesi dopo, all'assalto del bar di Largo Porto di Classe, ritrovo abituale di simpatizzanti di destra.[29]

Le condanne

Il 16 maggio 1987 la II Corte d'Assise di Milano assolse Di Domenico per insufficienza di prove e dichiarò Cavallari estraneo ai fatti. Tutti gli altri imputati furono ritenuti colpevoli di omicidio preterintenzionale in quanto venne di fatto riconosciuta l'accettazione del rischio di uccidere insito nell'atto di violenza, ma non la volontarietà dell'atto. Marco Costa ricevette 15 anni e 6 mesi di reclusione; Giuseppe Ferrari Bravo 15, entrambi per aver materialmente colpito Ramelli. Claudio Colosio ricevette 15 anni; Antonio Belpiede 13 anni; Brunella Colombelli 12 anni (per aver indicato al commando di Avanguardia Operaia il luogo e l'ora in cui colpire); Franco Castelli, Claudio Scazza e Luigi Montinari 11 anni.

Largo Ramelli a Ospedaletti (IM)

Per le schedature ritrovate nel "covo di viale Bligny" e l'assalto al bar di largo Porto di Classe avvenuto pochi giorni dopo Ferrari Bravo e Di Domenico ricevettero rispettivamente ancora 11 e 10 anni. La condanna non soddisfece il Pubblico Ministero, che contestò il rigetto del ben più grave omicidio volontario in favore dell'omicidio preterintenzionale, per cui venne depositato un ricorso. Il 2 marzo 1989 la II sezione della Corte d'Assise d'Appello, presidente Renato Cavazzoni, accolse le richieste del PM e nonostante l'accusa fosse mutata in omicidio volontario, venne tuttavia riconosciuta l'attenuante del concorso anomalo, che ridusse sensibilmente le pene.

Costa quindi passò da 15 anni a 11 e 4 mesi; Ferrari Bravo da 15 a 10 e 10 mesi; 7 anni e 9 mesi a Colosio invece che 15; 7 anni invece di 13 a Belpiede; 6 anni e 3 mesi a Castelli, Colombelli, Montinari e Scazza invece degli 11 o 12 iniziali. Insoddisfatta, la parte civile ricorse in Cassazione per ottenere il riconoscimento della premeditazione e quindi un aggravio delle pene. Il 22 gennaio 1990 la I sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, rigettò la richiesta e i ricorsi della difesa, confermando le sentenze di secondo grado. Costa e Ferrari Bravo tornarono in carcere, anche per via delle condanne aggiuntive a quella per Ramelli, mentre gli altri imputati poterono usufruire di un condono e di pene alternative per via della loro condizione sociale e della loro ridotta pericolosità.

Contesto

Già nel novembre 1974 tre militanti di Avanguardia Operaia (tra cui Di Domenico) furono arrestati dalla polizia poiché trovati in possesso ciascuno di chiavi inglesi di notevoli dimensioni. Gli stessi ritornavano da un'aggressione in cui avevano ferito due persone a causa dell'acquisto di un giornale di destra da parte di uno dei due.[30] Nonostante i pantaloni di Di Domenico fossero sporchi di sangue, egli giustificò il fatto con la sua abitudine a mangiarsi la pelle attorno alle unghie.[31] Al termine del breve dibattimento i tre furono assolti.

L'assalto al bar Porto di Classe

Il 31 marzo 1976 lo stesso servizio d'ordine di Avanguardia Operaia che sarebbe poi risultato coinvolto nell'omicidio di Sergio Ramelli assaltò il bar Porto di Classe poiché considerato un abituale ritrovo della destra.[32] Per l'occasione al servizio d'ordine di Avanguardia Operaia si aggregano anche i Comitati antifascisti. Il locale scelto fu devastato e incendiato, tutte le vetrine furono infrante e sette avventori furono feriti. Tre di essi furono ridotti in gravi condizioni e uno restò invalido per tutta la vita. All'assalto parteciparono anche Marco Costa[33] e Giuseppe Ferrari Bravo.[34]

L'omicidio di Enrico Pedenovi

Lo stesso argomento in dettaglio: Omicidio di Enrico Pedenovi.

Il 29 aprile 1976, mentre si stava recando ad una commemorazione organizzata dal Movimento Sociale Italiano per ricordare Ramelli, un commando dei Comitati Comunisti Rivoluzionari uccise Enrico Pedenovi, esponente milanese dell'MSI.

Avvenimenti successivi

Strada Ramelli a Sanremo (IM)
Murales dedicato a Ramelli realizzato sul luogo dell'aggressione

Alcuni degli allora studenti di medicina, nonostante le vicende giudiziarie, hanno fatto carriera sino a ricoprire incarichi ospedalieri.[35][36]

Note

  1. ^ a b Gli hanno sprangato la testa perché era di destra - Tra la vita e la morte lo studente picchiato con sbarre di ferro., in La Notte, 14 marzo 1975. URL consultato il 30 aprile 2013.
  2. ^ a b Negli istituti scolastici in cui il Fronte della Gioventù era presente, era nominato un responsabile detto fiduciario.
  3. ^ Milano, gravissimo studente aggredito da ultrà di sinistra, in Corriere della Sera, 14 marzo 1975. URL consultato il 19 aprile 2009.
  4. ^ (PDF Intervista alla sig.ra Ramelli ed estratti della sentenza di condanna degli autori dell’omicidio (PDF), su lorien.it, p. 6. URL consultato il 19 aprile 2009 (archiviato dall'url originale il 27 settembre 2007).
  5. ^ a b Gli hanno sprangato la testa perché era di destra, in la Notte, 14 marzo 1975. URL consultato il 19 aprile 2009.
  6. ^ Guido Passalacqua, Quando a Milano la chiave inglese faceva politica contro i fascisti, articolo su Repubblica del 20 settembre 1985:"Hazet 36, fascista dove sei". L'Hazet era la chiave inglese preferita dai servizi d'ordine dei gruppuscoli milanesi, un attrezzo d'acciaio lungo quanto un avambraccio. Lo slogan risuonava ossessivo nei cortei, scandito fino alla nausea... Per Milano la chiave inglese era il simbolo di quello che negli anni successivi al mitico sessantotto si chiamava Antifascismo militante.
  7. ^ a b Luca Telese, Cuori neri, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006, pag. 297.
  8. ^ Aggrediti due fascisti, uno è in fin di vita all'ospedale (GIF), in Avvenire, 14 marzo 1975. URL consultato il 19 aprile 2009.
  9. ^ Gli echi a Palazzo Marino, in la Notte, 14 aprile 1975. URL consultato il 19 aprile 2009.
  10. ^ a b È morto Ramelli, in la Notte, 29 aprile 1975. URL consultato il 19 aprile 2009.
  11. ^ Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini, Francesco Grillo e Paolo Severgnini, Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura, editore Lorien, 2001, pag. 39.
  12. ^ Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini, Francesco Grillo e Paolo Severgnini, Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura, editore Lorien, 2001, pag. 17
  13. ^ Leo Siegel, Ramelli, un morto che fa paura, in Candido, 5 maggio 1975.
  14. ^ Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini, Francesco Grillo e Paolo Severgnini, Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura, editore Lorien, 2001, pagg. 47 e seguenti.
  15. ^ Articolo su La Notte, 14 marzo 1975.
  16. ^ Articolo su L'Avvenire, 14 marzo 1975.
  17. ^ Ricostruzione dei fatti. Il testo è a tratti di parte.
  18. ^ Articolo su La Notte, 29 aprile 1975.
  19. ^ Maurizio Grigo e Guido Salvini, nell'ordinanza di rinvio a giudizio: «Anche le indagini svolte negli ambienti della destra eversiva non portavano a nulla di concreto. Infatti Walter Sordi, già appartenente a formazioni eversive dell'estrema destra e poi attestato su una scelta di collaborazione con la giustizia, riferiva in data 3 novembre 1982 che il gruppo facente capo al noto Gilberto Cavallini aveva deciso di uccidere Andrea Bellini, in quanto responsabile dell'omicidio Ramelli e che tale progetto non era stato portato a termine solo per mancanza di tempo. Tuttavia anche il Sordi non era in grado di spiegare i motivi sui quali si basava l'asserita responsabilità del Bellini e ancora una volta le indagini non approdavano a nulla di concreto».
  20. ^ Maurizio Grigo e Guido Salvini, nell'Ordinanza di rinvio a giudizio: «Infatti:
    • si rinvengono numerose fotografie dei funerali di Sergio Ramelli con ingrandimenti delle persone presenti.
    • si rinvengono schede e indicazioni su amici di Ramelli, cui era stata sottratta l'agendina e sulle perquisizioni ai danni di studenti di destra del Molinari ad opera degli amici degli "schedatori".
    • si rinvengono indicazioni sul bar Porto di Classe e sui suoi frequentatori.
    È evidente allora, e ben lo sanno i dirigenti del servizio d'ordine del tempo, che quanto avveniva non avveniva a caso, ma faceva parte di una indicazione politica generale e preordinata».
  21. ^ Articolo su La Notte, 16 marzo 1987.
  22. ^ La Notte, 23 marzo 1987.
  23. ^ ARCHIVIO RAMELLI - Il Secolo d'Italia, "La madre di Ramelli: voglio solo giustizia", 28/2/87
  24. ^ a b Articolo su L'Unità, 17 marzo 1987.
  25. ^ Articolo su L'Unità, 17 marzo 1987.
  26. ^ Articolo sul Corriere della sera, 17 marzo 1987.
  27. ^ Sergio Ramelli, l’epoca dell’“uccidere un fascista non è un reato”, 29 aprile 2012. URL consultato il 9 novembre 2016.
  28. ^ Maurizio Grigo e Guido Salvini, nell'Ordinanza di rinvio a giudizio: «Non solo era sconosciuta la vittima. Nessuno degli imputati era stato fisicamente aggredito o anche solo minacciato da persone di destra nella zona, per cui quanto essi si accingevano a compiere costituiva più che una scelta razionale, un autentico atto gratuito».
  29. ^ Articolo su L'Avvenire, 25 marzo 1987
  30. ^ Maurizio Grigo e Guido Salvini, nell'Ordinanza di rinvio a giudizio: «Nel novembre 1973, una domenica mattina, al termine di un "presidio antifascista" contro una riunione del MSI, che peraltro non aveva dato luogo ad alcun incidente ed era sorvegliata dalle forze dell'ordine, Di Domenico, Cavallari e il già citato Puma vengono arrestati in zona Città Studi perché trovati in possesso di tre chiavi inglesi di notevoli dimensioni. Gli stessi sono reduci dal luogo (piazza Piola) ove poco prima un gruppo di una ventina di persone del servizio d'ordine, di ritorno dal "presidio", ha brutalmente aggredito e ferito due persone (tali Mazzotti e Coluccini) "colpevoli" una di aver acquistato un quotidiano di destra e l'altra di essere intervenuta a difesa dell'amico».
  31. ^ Maurizio Grigo e Guido Salvini, nell'Ordinanza di rinvio a giudizio: «Cavallari ha anche spontaneamente ricordato la storiella che effettivamente il Di Domenico aveva raccontato ai magistrati per giustificare la presenza di macchie di sangue sui pantaloni al momento dell'arresto, sangue che secondo tale imputato sarebbe fantasiosamente derivato dall'abitudine di mangiarsi la pelle intorno alle unghie».
  32. ^ Luca Telese, Cuori neri, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006, pag. 314. Dalla testimonianza di Claudio Guarisco, membro del commando: «Il bar di largo Porto di Classe andava colpito, si dovevano spaccare le vetrine e dare fuoco al locale. Ci dissero che bisognava raggiungere la zona alla spicciolata».
  33. ^ Luca Telese, Cuori neri, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006, pag. 314. Dalla testimonianza di Marco Costa, membro del commando: «Rimasi fuori dal bar, come studente di Medicina avrei dovuto soccorrere i compagni che si fossero fatti male».
  34. ^ Luca Telese, Cuori neri, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 2006, pag. 314. Dalla testimonianza di Giuseppe Ferrari Bravo, membro del commando: «Attesi con la 500 nel cortile di Chimica. I compagni tornarono divisi in due tronconi, e io raccolsi le chiavi inglesi in una borsa e le portai nell'abbaino di viale Bligny».
  35. ^ Studiolabo Srl, l, su www.ospedaleniguarda.it. URL consultato il 9 novembre 2016.
  36. ^ L'ospedale di Barletta avrà una sala parto per urgenze e cesarei. Nella Giornata della Donna l'inaugurazione al 'Dimiccoli'., in barlettaviva.it. URL consultato il 9 novembre 2016.

Bibliografia

  • Guido Giraudo, Andrea Arbizzoni, Giovanni Buttini, Francesco Grillo e Paolo Severgnini, Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura, EFFEDIEFFE edizioni, 1997. ISBN 88-85223-14-1
  • Luca Telese, Cuori neri. Dal rogo di Primavalle alla morte di Ramelli, Sperling & Kupfer, 2006.
  • Le Vere Ragioni, 1968/1976: atti di un convegno organizzato da Democrazia Proletaria nel 1985.
  • Giorgio Melitton, Per memoria di Sergio Ramelli, 1995: il racconto di un suo professore.

Voci correlate

Collegamenti esterni

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