Il libro nero del comunismo

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Il libro nero del comunismo
Titolo originaleLe Livre noir du communisme:
Crimes, terreur, répression
L'autore e curatore Stéphane Courtois
Autore
  • Stéphane Courtois (curatore e autore dell'introduzione, di un capitolo e della conclusione)
  • Nicolas Werth
  • Jean-Louis Panné
  • Andrzej Paczkowski
  • Karel Bartosek
  • Jean-Louis Margolin
1ª ed. originale1997
1ª ed. italiana1998
Generesaggio
Sottogenerestorico, politico
Lingua originalefrancese

Il libro nero del comunismo (Le Livre noir du communisme: Crimes, terreur, répression) è una raccolta di saggi di diversi ricercatori del CNRS francese[1] sui crimini e gli abusi compiuti dai regimi comunisti originariamente pubblicata in Francia nel 1997 dalla Éditions Robert Laffont e curata dallo storico Stéphane Courtois.

Il libro è stato criticato per aver comparato il comunismo al nazismo,[2] per le inaccuratezze storiche e per aver manipolato e ingigantito molti dati sul numero delle vittime.[3][4][2]

Contenuti[modifica | modifica wikitesto]

Il libro contiene una raccolta di dati sui crimini compiuti dai diversi regimi comunisti nel mondo e vi vengono descritte le repressioni messe in atto dagli Stati socialisti, che includono guerre civili, esecuzioni extragiudiziali, deportazioni e carestie. L'enfasi del testo è spesso sul resoconto di tali crimini in termini numerici (in genere ricavati dal lavoro di altri autori) per arrivare a un totale stimato di circa 85 milioni di vittime dei regimi [5]. Nelle fonti sono citati gli autori del Libro nero e quelli usati come fonti dagli stessi.

Il titolo del libro è stato ispirato da Il libro nero di Vasilij Grossman e Il'ja Grigor'evič Ėrenburg, libro pubblicato nel 1944 che denunciava i crimini commessi dai nazisti e dai loro alleati contro la popolazione russa e la comunità ebraica.[6]

Struttura del volume[modifica | modifica wikitesto]

  1. I crimini del comunismo – Stéphane Courtois
  2. Uno stato contro il suo popolo
    1. Violenze, repressioni, terrori nell'Unione Sovietica – Nicolas Werth
  3. Rivoluzione mondiale, guerra civile e terrore
    1. Il Comintern in azione – Stéphane Courtois e Jean-Louis Panné
    2. L'ombra dell'N.K.V.D. in Spagna – Stéphane Courtois e Jean-Louis Panné
    3. Comunismo e terrorismo – Rémi Kauffer
  4. L'altra Europa vittima del comunismo
    1. Polonia, la «nazione nemica» – Andrzej Paczkowski
    2. Europa centrale e sudorientale – Karel Bartosek
  5. Comunismi d'Asia: fra «rieducazione» e massacro
    1. Cina: una lunga marcia nella notte – Jean-Louis Margolin
    2. Corea del Nord, Vietnam, Laos: il seme del drago – Jean-Louis Margolin e Pierre Rigoulot
    3. In Cambogia: nel paese del crimine sconcertante – Jean-Louis Margolin
  6. Il terzo mondo
    1. L'America latina alla prova – Pascal Fontaine
    2. Afrocomunismi: Etiopia, Angola, Mozambico – Yves Santamaria
    3. Il comunismo in Afghanistan – Sylvain Boulouque
  7. Perché? – Stéphane Courtois

Paragrafo "I crimini del comunismo"[modifica | modifica wikitesto]

Questa e l'ultima parte sono scritte direttamente da Stéphane Courtois ed espongono le sue conclusioni; è la sezione più controversa del libro, dove, secondo alcuni, sono stati manipolati e ingigantiti il numero di morti e alcuni fatti. Courtois riporta una quantificazione delle vittime di poco inferiore ai novantacinque milioni di morti così distribuiti:[7]

  • Unione Sovietica: 20 milioni
  • Cina: 65 milioni
  • Vietnam: 1 milione
  • Corea del Nord: 2 milioni
  • Cambogia: 2 milioni
  • Europa dell'Est: un milione
  • America Latina: 150.000
  • Africa: un milione e 700.000
  • Afghanistan: un milione e 500.000
  • Movimento comunista internazionale e partiti comunisti non al potere: circa 10.000.

Successivamente Courtois indica le principali fasi della repressione che in Unione Sovietica sono la fucilazione di decine di migliaia di persone imprigionate senza essere state sottoposte a giudizio e massacro di centinaia di migliaia di operai e di contadini insorti fra il 1918 e il 1922; la deportazione ed eliminazione dei cosacchi del Don nel 1920; la carestia russa del 1921-1923, che ha provocato la morte di 5 milioni di persone; l'assassinio di decine di migliaia di persone nei campi di concentramento fra il 1918 e il 1930; la deportazione tra i due e i 3 milioni di kulaki (o presunti tali) nel 1930-1932; lo sterminio di 7 milioni di ucraini nel 1932-1933 per carestia indotta e non soccorsa (Holodomor); l'eliminazione di quasi 690 000 persone durante le grandi purghe del 1937-1938; e la deportazione di centinaia di migliaia di polacchi, ucraini, baltici, moldavi, bessarabi, tedeschi, tatari, ceceni e ingusci negli anni fra il 1939 e il 1945.

Paragrafo "Violenze, repressioni e terrori nell'Unione Sovietica"[modifica | modifica wikitesto]

Gran parte di questo capitolo, scritto da Nicolas Werth, analizza i crimini che vengono imputati alla dittatura di Iosif Stalin e vi viene anche dettagliatamente descritto il periodo precedente (la rivoluzione e la guerra civile), mentre al periodo successivo (1953-1991) è dedicato un solo paragrafo. Questi sono i principali fatti di sangue indicati da Werth il quale però non dà una stima totale delle vittime, ma fornisce varie stime a volte in contrasto fra loro per i vari episodi di violenza:

  • operazioni anti partigiane dopo la seconda guerra mondiale: poche decine di migliaia vittime
  • carestia dopo la seconda guerra mondiale: mezzo milione di vittime
  • morti nei campi durante la seconda guerra mondiale: mezzo milione
  • morti durante le deportazioni nel corso della seconda guerra mondiale: poche centinaia di migliaia
  • morti fra i prigionieri e i deportati polacchi: qualche centinaio di migliaia
  • giustiziati durante le purghe: settecentomila
  • morti nei campi fra il 1930 e il 1940: quattrocentomila
  • carestia del 1932-1933: sei milioni
  • repressione degli anni venti: alcune decine di migliaia
  • carestia del 1921-1922: cinque milioni
  • morti nei primi anni: alcune decine di migliaia

Accoglienza[modifica | modifica wikitesto]

Il successo editoriale del libro[8][9][10] ha generato una serie di volumi che ne richiamano esplicitamente la formula del titolo, il formato e la grafica, come, ad esempio, Il libro nero del comunismo europeo[11] (2007), sempre di Courtois, Il libro nero del capitalismo, Il libro nero dell'Italia di Berlusconi, Il libro nero di Cuba, Il libro nero della Cina, Il libro nero della guerra in Iraq e Il libro nero degli Stati Uniti; altri esempi di libri con un titolo simile sono Il libro rosso dei martiri cinesi di G. Fazzini o Il libro nero della psicoanalisi tradotto dall'originale francese (a questo è stato risposto da alcuni con L'anti-libro nero della psicoanalisi).

Un tentativo di risposta di segno opposto oltre al Libro nero del capitalismo è stato Il libro rosso del socialismo, pubblicato in Italia nel 1998, che tuttavia ha ottenuto molta meno attenzione del Libro nero del comunismo[senza fonte]. Altri libri di risposta sono Il secolo dei comunismi e Sul libro nero del comunismo. Va menzionato inoltre fra le repliche più interessanti[senza fonte] il saggio dell'intellettuale marxista Domenico Losurdo, Il peccato originale del Novecento. Losurdo ha pubblicato anche Stalin. Storia e critica di una leggenda nera.

Soprattutto in Francia, ma anche in Italia, il libro non ha mancato di essere impugnato nella contesa fra le forze politiche. In genere le destre hanno salutato la sua pubblicazione con favore, mentre le sinistre hanno criticato il progetto editoriale e culturale dell'opera, vista come un attacco all'eurocomunismo o alla sinistra in generale, pretestuosamente associata all'azione dei regimi totalitari di matrice comunista. Nella maggior parte dei casi l'enfasi del libro è più sulla completezza dei dati che sulla loro analisi nel contesto. Fra le sezioni a cui viene accreditato un maggior valore di ricerca storica si deve citare quella sull'Unione Sovietica, scritta da Nicolas Werth.[senza fonte]

Critiche[modifica | modifica wikitesto]

Elemento che ha suscitato polemiche è il paragone che Courtois propone fra nazismo e comunismo, partendo dal dato che il nazismo ha prodotto meno morti del comunismo.[2] L'autore risponde che «il paragone tiene conto delle strutture di potere che si rivelano identiche nel totalitarismo tipico del XX secolo». Due degli undici autori del libro, Nicolas Werth e Jean-Louis Margolin, si sono dissociati da una parte dell'introduzione del curatore, pur continuando a sostenere il resto del libro.[12]

Una delle critiche principali riguarda l'aspetto fondamentale del conteggio delle vittime o l'idea stessa di poter fare storiografia «contando i cadaveri».[senza fonte] Secondo J. Arch Getty 30 milioni di vittime conteggiate da Courtois sarebbero dovute alla carestia cinese del 1959, che per quanto causata dalla politica del regime non sarebbe ragionevole paragonare alle vittime dei campi di concentramento nazisti.[13] Inoltre una parte dei decessi che il libro attribuisce al comunismo riguarda episodi di guerra (seconda guerra mondiale), così come una parte dei 25 milioni attribuiti a Hitler. Noam Chomsky ha osservato che se si applicasse il metodo di Courtois alla storia dell'India dal 1765 al 1947 sotto la dominazione dell’Impero britannico, attribuendo l'alta mortalità alle scelte politiche, si dovrebbe concludere che anche il capitalismo in India sarebbe stato responsabile di cento milioni di morti.[14] Per contro Norberto Bobbio ritiene che «il tentativo di spiegare storicamente il terrore comunista mostra se non altro che, nonostante tutte le critiche mosse al libro dai più zelanti custodi dell'ortodossia, si tratta pur sempre di un libro di storia, se pure con una chiara finalità politica».[15]

Altre critiche riguardano non solo l'introduzione, ma l'impostazione generale dell'opera. In particolare il libro viene accusato di essere motivato da fini propagandistici e non storiografici.[16] Mentre l'articolo di Werth attinge a fonti primarie precedentemente inaccessibili, gli altri capitoli sembrerebbero di spessore scientifico inferiore e sarebbero stati inclusi sostanzialmente all'unico scopo di poter fornire al lettore un dato complessivo più impressionante.[17] L'idea di considerare la storia dell'Unione Sovietica dal 1917 al 1991 come se si trattasse di un periodo politicamente omogeneo («comunista») rappresenta per alcuni autori una semplificazione che si spiegherebbe solo come tentativo di screditare pretestuosamente il socialismo in generale.[18] Secondo Courtois però «il fatto che ci siano state diverse applicazioni del comunismo leninista non cambia affatto la forte identità comune: l'ideologia e la dottrina marxista, il modello di organizzazione bolscevico definito da Lenin sin dal 1902 nella sua opera "Che fare?" e il sostegno incondizionato all'Urss o alla Cina della maggior parte dei partiti comunisti e dei gruppi maoisti». Nello stesso senso vanno le critiche di chi osserva che il libro tratta la storia di nazioni estremamente diverse fra loro e in cui il comunismo fu applicato in modi altrettanto vari, da una prospettiva unica e quindi in modo semplicistico e fortemente riduttivo.[19]

Il libro è stato anche criticato da alcuni per la scarsa contestualizzazione dei dati e per l'estrema semplificazione della complessità del comunismo e della sua storia paragonando governi molto diversi tra di loro esclusivamente nella loro azione criminale[20] e per inserire nel conteggio delle vittime dati quali i vietnamiti uccisi durante la guerra del Vietnam, i soldati morti sul fronte durante la Seconda Guerra Mondiale e i morti a causa di carestie non causate dal governo.[21] Alcuni critici evidenziano infatti come non si faccia minimo accenno alle persecuzioni e agli stermini causati dai regimi di destra (massacri anticomunisti), o alle milioni di vittime del colonialismo degli stati capitalisti, sostenendo che quindi è ingiusto giudicare i regimi comunisti più duramente degli altri. Altri hanno osservano che un Libro nero del capitalismo, un Libro nero del nazismo o un Libro nero del fascismo in cui si raccogliessero tutte le vittime di crimini avvenuti correlabili a queste ideologie non raggiungerebbe totali meno raccapriccianti di quelli mostrati nel Libro nero del comunismo. In effetti diversi Libri neri furono poi pubblicati.

Quando il libro uscì in Italia, Indro Montanelli, rispondendo a un lettore sul Corriere della Sera, espresse alcuni dubbi sulle cifre riportate dagli autori, sostenendo che comunque non avesse rivelato nulla che già non si sapesse (salvo alcuni dati statistici).[22] Lo storico Gianluca Falanga, pur muovendo diverse critiche al libro (in particolare sulle riflessioni di Courtois e sulla sua stima di 100 milioni di morti (cambiata tra l'altro più volte in successive interviste), ribadisce tuttavia che i fatti riportati nell'opera sono attendibili e corredati da ampi riferimenti bibliografici e archivistici.[23]

Edizioni[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ alcuni già collaboratori di François Furet, autore di un precedente libro sull'argomento, Il passato di un'illusione
  2. ^ a b c Risposta al “Libro nero del comunismo” - Le site de Daniel Bensaïd, su danielbensaid.org. URL consultato il 23 febbraio 2022 (archiviato dall'url originale il 23 febbraio 2022).
  3. ^ Ariane Chemin, Les divisions d'une équipe d'historiens du communisme, in Le Monde, 30 ottobre 1997.
  4. ^ Daniel Bensaid, Risposta al "Libro nero del comunismo", in https://www.danielbensaid.org/IMG/pdf/1997_00_03_db_74_it_271.pdf.
  5. ^ L’originaria fascetta di presentazione del libro riportava 100 milioni di morti ma il computo fornito dagli autori all'interno del volume perviene a 85 milioni. Risposta al “Libro nero del comunismo” - Le site de Daniel Bensaïd (danielbensaid.org)
  6. ^ Henry Russo, Stalinism and Nazism: History and Memory Compared, University of Nebraska Press, 2004.
  7. ^ (FR) Stéphane Courtois et al., Les crimes du communisme, in Le livre noir du communism — Crimes, terreur et repression, Parigi, Robert Laffont, 1997, p. 14, ISBN 2-221-08204-4.
  8. ^ Il libro nero del comunismo, su Leftcom, 1º giugno 1998. URL consultato il 23 febbraio 2022.
  9. ^ VOGLIAMO METTERE FINALMENTE IN DISCUSSIONE LA “GLORIOSA MEMORIA” DEL COMUNISMO?, su imgpress, 23 settembre 2021. URL consultato il 23 febbraio 2022.
  10. ^ (ES) Julián Herrero, Stéphane Courtois: «El comunismo bueno solo existe en los sueños», su La Razón, 11 ottobre 2021. URL consultato il 23 febbraio 2022.
  11. ^ I moltissimi scheletri nascosti nell'armadio dei comunisti europei, su ilGiornale.it, 29 ottobre 2016. URL consultato il 23 febbraio 2022.
  12. ^ Vedi l' Intervista a Courtois, su storialibera.it, 10 settembre, 2012. URL consultato l'8 marzo 2022 (archiviato dall'url originale il 10 settembre 2012).
  13. ^ J. Arch Getty, The Future Did Not Work, The Atlantic Monthly, marzo 2000
  14. ^ Noam Chomsky, Counting the Bodies, Specre Zine nr.9, 2000
  15. ^ dall'intervista di Giancarlo Bosetti, «No, non c'è mai stato il comunismo giusto», l'Unità, 3 aprile 1998, p. 7
  16. ^ Daniel Singer, Exploiting a Tragedy, The Nation dicembre 1999
  17. ^ Paul Flewers, recensione del Libro nero, Revolutionary History vol. 7, nr. 4, 2000
  18. ^ Michael Haynes e Rumy Husan, A Century of State Murder?, Pluto Press, 2003.
  19. ^ Ulrich Rippert, A political evaluation of Schwarzbuch des Kommunismus, World Socialist, 15 luglio 1998
  20. ^ Silvio Pons, A proposito del «Libro nero del comunismo», in Contemporanea, vol. 2, n. 1, Società editrice Il Mulino S.p.A., p. 159.
  21. ^ Ronald Aronson, Review: Communism's Posthumous Trial, in History and Theory, vol. 42, n. 2, maggio 2003, pp. 222-243.
  22. ^ Il libro nero del comunismo? Nessuna rivelazione, in Corriere della Sera, 14 marzo 1998. URL consultato il 28 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 10 novembre 2015).
  23. ^ Gianluca Falanga, Non si parla mai dei crimini del Comunismo, collana i Robinson / Letture, Laterza, 2022.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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