Governo Minghetti I

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Governo Minghetti I
StatoBandiera dell'Italia Italia
Presidente del ConsiglioMarco Minghetti
(Destra storica)
CoalizioneDestra storica
LegislaturaVIII
Giuramento24 marzo 1863
Dimissioni28 settembre 1864
Governo successivoLa Marmora II
28 settembre 1864
Farini La Marmora II

Il Governo Minghetti I è stato in carica dal 24 marzo 1863[1] al 28 settembre 1864 per un totale di 554 giorni, ovvero 1 anno, 6 mesi e 4 giorni.

Compagine di governo[modifica | modifica wikitesto]

Appartenenza politica[modifica | modifica wikitesto]

Partito Presidente Ministri Totale
Destra storica 1 9 10

Composizione[modifica | modifica wikitesto]

Carica Titolare
Presidenza del Consiglio dei ministri
Presidente
del Consiglio dei ministri
Marco Minghetti (Destra storica)
Ministero Ministri
Affari Esteri Emilio Visconti Venosta (Destra storica)
Agricoltura, Industria e Commercio Giovanni Manna (Destra storica)
Lavori Pubblici Luigi Federico Menabrea (Destra storica)
Interno Ubaldino Peruzzi (Destra storica)
Istruzione Michele Amari (Destra storica)
Guerra Alessandro Della Rovere (Destra storica)
Marina Orazio Di Negro (Destra storica)
(fino al 21 aprile 1863)
Efisio Cugia (Destra storica)
(dal 21 aprile 1863)
Finanze Marco Minghetti (Destra storica)
Grazia e Giustizia e Culti Giuseppe Pisanelli (Destra storica)

Cronologia[modifica | modifica wikitesto]

1863[modifica | modifica wikitesto]

Marzo[modifica | modifica wikitesto]

  • 24 marzo - Il Re, arrivato a notte a Torino dalla Mandria, conferisce questa mattina con Minghetti, il quale cede alle insistenze del sovrano ed assume la presidenza del consiglio. Il Sovrano desidera che nessun elemento nuovo sia introdotto nel Gabinetto, ma Pasolini chiede di essere sostituito a causa di certi scrupoli personali derivanti dalle sue vecchie relazioni con il Papa. Bon Compagni non gli piace, Cugia incontra in alcuni Ministri gravi difficoltà; si pensa di chiamare da Parigi Nigra, ma si conviene che non potrebbe trovare alcuno per rimpiazzarlo. Non potendo Minghetti abbandonar le Finanze, si pensa a metter Peruzzi agli affari esteri, che lascerebbe a Spaventa il portafoglio dell'Interno: se non che il Re non ama quest'ultimo che gode di un'impopolarità inesauribile nel Napoletano. Volendo evitare l'interim, è scelto Visconti Venosta. In seguito alla proposta della Commissione del Bilancio di fare un'inchiesta parlamentare sulla Marina, Di Negro vorrebbe ritirarsi. Si propone a Sella di assumere il portafoglio della Marina. Questi accetterebbe, ma la sua area politica non glielo permette. Di Negro rimane dunque, ma provvisoriamente.

Giugno[modifica | modifica wikitesto]

  • 2 giugno - Il Parlamento boccia una proposta del Presidente che prevedeva con grande ambizione un progetto di decentramento, che vede la regione come consorzio di provincia, una realtà storica e naturale; idea di fondo del suo progetto era una maggiore autonomia comunale con l'allargamento del corpo comunale e l'elettività del sindaco.

Agosto[modifica | modifica wikitesto]

  • 15 agosto - Il governo emana la legge Pica, che nell'intento di combattere il fenomeno del brigantaggio sospende le garanzie istituzionali date dallo Statuto Albertino, definisce il reato di brigantaggio i cui trasgressori saranno sottoposti al giudizio dei tribunali militari in quasi tutta l'Italia meridionale.

1864[modifica | modifica wikitesto]

Febbraio[modifica | modifica wikitesto]

  • 28 febbraio - La scadenza della legge Pica, che doveva durare fino al dicembre del 1863, viene prolungata fino alla fine del 1865.

Marzo[modifica | modifica wikitesto]

  • 21 marzo - Il Parlamento promulga la legge per la fondazione della banca d'Italia.

Agosto[modifica | modifica wikitesto]

Agosto[modifica | modifica wikitesto]

Settembre[modifica | modifica wikitesto]

  • 11 settembre - Il Re, venutosi man mano adattando all'idea del trasloco della capitale, accetta a patto che, per ragioni esclusivamente strategiche, sia posta a Firenze.
  • 15 settembre - Italia e Francia firmano a Parigi una convenzione inerente alla questione romana: essa prevede un ritiro delle forze francesi dalla città eterna tra due anni, mentre l'impegno italiano è quello di non aggredire lo Stato Pontificio; l'accordo contiene anche una clausola segreta: quella di trasferire nell'arco di sei mesi la capitale d'Italia da Torino in un'altra città italiana, a dimostrazione che il governo italiano rinuncia a Roma come nuova capitale.
  • 18 settembre - Un consiglio di generali d'armata (Cialdini, Durando, Della Rocca, De Sonnaz, Persano) convocato d'ordine del Re, e presieduto dal principe di Carignano vota all'unanimità essere Firenze la sola capitale, militarmente parlando, la più strategica oggigiorno d'Italia.
  • 20 settembre - I ministri firmano la relazione al Re sulla Convenzione del 15 per Roma. Della Rovere, stante l'agitazione che si delinea a Torino, ritira le dimissioni e si dichiara solidale con tutto il governo. Verso le 20 certo prete popolano don Ambrogio va qua e là predicando concordia seguito da monelli; i carabinieri lo arrestano; la folla si mette a gridare "Roma o Torino" e si ingrossa; salta fuori una bandiera e i dimostranti, girando per la città, gridano sotto i ministeri, sotto il municipio; sotto la casa di Peruzzi ed altrove; poi si sciolgono in via Doragrossa.
  • 21-22 settembre - La clausola segreta viene "spifferata" e a Torino sorgono manifestazioni spontanee, represse nel sangue dalle forze governative.
  • 23 settembre - Il gen. Della Rocca a nome del Re si reca da Minghetti a consigliare le dimissioni del governo. Minghetti risponde (e ne telegrafa al Re) desiderare un invito formale di lui a dimettersi; e il Re, un'ora dopo, gli telegrafa: «Lo stato attuale di cose non potendo durare perché troppo triste; la invito Lei e i suoi colleghi a dare le dimissioni». Minghetti gliele manda immediatamente. Il Re, ritorna subito a Torino; conferisce con varie personalità, assumendo informazioni sui fatti di ieri sera; poi, sentiti i presidenti della Camera e del Senato e il gen. Della Rocca, manda un aiutante di campo a significare al presidente dei ministri di averne accettate le dimissioni; e manda altro ufficiale ad informare il Sindaco avere chiamato il generale La Marmora por comporre il ministero.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Francesco Bartolotta, Parlamenti e Governi d'Italia dal 1848 al 1970, 2 Voll., Vito Bianco editore, Roma, 1971, II Vol., p. 37.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]