CANSA C.6 Falchetto

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CANSA C.6 Falchetto
Descrizione
Tipoaereo da addestramento
Equipaggio2
ProgettistaGiacomo Mosso
CostruttoreBandiera dell'Italia Cansa
Data primo volo30 giugno 1941
Esemplari2
Dimensioni e pesi
Lunghezza7,83 m
Apertura alare8,65 m
Altezza3,10 m
Superficie alare21,67
Peso a vuoto930 kg
Peso carico1 265 kg
Propulsione
Motoreun radiale Isotta Fraschini Beta R.C.10
Potenza280 CV a 1 000 m
Prestazioni
Velocità max260 km/h
Velocità di stallo90 km/h
Velocità di salitaa 3 000 m in 7 min
Atterraggio320 m
Autonomia650 km
Tangenza6 500 m

i dati sono estratti da Dimensione Cielo, Aerei Italiani nella 2ª Guerra Mondiale Vol.11, Scuola-Collegamento 2[1]

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Il CANSA C.6 Falchetto era un aeroplano monomotore da addestramento acrobatico biplano sviluppato dall'azienda aeronautica italiana Cansa (Costruzioni Aeronautiche Novaresi S.A.) nei primi anni quaranta del XX secolo.

Storia del progetto[modifica | modifica wikitesto]

Il 24 novembre 1940 la Direzione Generale Costruzioni Aeronautiche (DGCA) emise un requisito relativo ad un aereo da addestramento biplano, monoposto, a carrello fisso, dotato di piene caratteristiche acrobatiche, anche in volo rovescio, e di cui si potesse disporre anche di una versione biposto.[2] L'aereo monoposto doveva avere le seguenti caratteristiche: velocità massima di 250 km/h, di stallo di 80 km/h, salita a 3 000 m in 10', autonomia di 500 km, e atterraggio su ostacolo di 8 m in 300-350 m.[2] Inoltre la versione biposto doveva avere un'autonomia di 200-300 km per consentire l'addestramento alla navigazione.[2] Il 23 gennaio 1941 la DGCA comunicò al Comitato progetti che erano arrivate cinque proposte per velivoli acrobatici da altrettante ditte, tutte dotate di propulsore Isotta-Fraschini Beta.[2] Si trattava dei Caproni-Predappio Ca.605 (monoposto) e Ca.606 (biposto), Breda Ba.205, Saiman 207B e CANSA C.6 Falchetto.

Progettato dall'ingegnere Giacomo Mosso il mockup del C.6 Falchetto fu presentato alla DGCA l'11 dicembre 1940.[3] Si trattava di velivolo derivato dal precedente C.5, dotato di moderne tecniche costruttive come il decalaggio dei piani orizzontali di coda, e l'intercambiabilità fra ali e alettoni superiori e inferiori, costruito interamente con legname[N 1] nazionale.[3] Il 23 gennaio 1941 la DGCA diede parere favorevole sul C.6, attribuendogli un coefficiente di sicurezza pari a 12, ed osservando che le ali di uguale apertura davano sicurezza durante il volo rovescio.[3] Si richiese un aumento di 2 mq della superficie alare, che riduceva il carico alare a 50 kg/mq per la versione monoposto e a 55 kg/mq per quella biposto, la maggiorazione delle superfici degli alettoni, l'abbassamento dell'altezza della fusoliera al fine di migliorare la visibilità del pilota, con conseguente aumento della lunghezza della fusoliera.[3] Inoltre fu adottato un unico serbatoio di carburante messo in posizione baricentrale,[N 2] e un piccolo serbatoio supplementare posto nel piano centrale dell'ala superiore, aumentata la distanza dei piani di coda dalla cellula per migliorarne l'efficienza aerodinamica, alcuni ritocchi al disegno, e per motivi di economia fu adottato un pattino di coda al posto del ruotino.[3] Le caratteristiche di volo elaborate dalla Direzione superiore studi ed esperienze risultavano migliori di quelle previste dalla ditta, e in questo frangente la CANSA venne invitata a progettare la versione biposto.[3]

Durante la 58ª riunione del Comitato Progetti fu convenuto di dotare la Regia Aeronautica di un avanzato velivolo da addestramento acrobatico.[3] Il 24 marzo 1941 il generale Francesco Pricolo autorizzò la costruzione di due prototipi ciascuno dei Breda 205, CANSA C.6, e SAIMAN 207.[3]

Descrizione tecnica[modifica | modifica wikitesto]

Aereo da addestramento biplano, monomotore, biposto.[1] Le ali erano di uguale apertura, entrambe dotate di alettoni, e sia le ali che gli alettoni erano intercambiabili. La fusoliera era interamente realizzata in legno e ricoperta di tela.[4] L'impennaggio di coda era del tipo classico monoderiva, dotato di piani orizzontali non controventati.[4] Il carrello d'atterraggio era di tipo triciclo classico, con le ruote principali ricoperte da una cofanatura, ed integrato posteriormente da un pattino di coda.[4]

Biposto, dotato di due abitacoli aperti in tandem, l'anteriore per il pilota ed il posteriore per l'allievo, dotati di parabrezza.[4]

La propulsione era affidata ad un motore in linea Isotta-Fraschini Beta RC.10 a 6 cilindri raffreddati ad aria, erogante la potenza di 280 CV e azionante un'elica bipala lignea.[1] Il peso del propulsore era pari a 285 kg.[2]

Impiego operativo[modifica | modifica wikitesto]

Il prototipo del C.6B (Biposto), matricola MM.464, andò in volo per la prima volta a Cameri, provincia di Novara, il 30 giugno 1941, nelle mani del collaudatore Fausto Moroni.[3] Emersero subito problemi al propulsore Isotta Fraschini Beta R.C.10, che risultò di difficile messa a punto.[5] Nel mese di agosto il collaudatore Moroni tentò di trasferire il primo prototipo presso il Centro sperimentale di Guidonia.[5] Durante il volo si verificò una piantata del motore sopra il passo della Cisa, in una zona su cui imperversava il maltempo.[5] Impossibilitato ad un atterraggio di fortuna il pilota si lanciò con il paracadute, abbandonando l'aereo.[5] Moroni aveva comunque effettuato molte ore di volo sul C.6, riportandone una buona impressione, e considerandolo riuscito per il compito a cui era stato assegnato.[5] Il secondo prototipo (MM.475) fu trasferito a Guidonia il 6 maggio 1942, ma andò perduto durante un successivo volo di prova effettuato dal maresciallo pilota Bertolini, distaccato presso l'Ufficio Sorveglianza Tecnica di Cameri, con a bordo un tenente ingegnere del G.A.r.i.[5] A causa di una piantata del motore il velivolo, che stava effettuando un avvicinamento alla pista, finì contro gli alberi ai margini dell'aeroporto, riportando danni irreparabili. Nessuno dei presenti a bordo rimase ferito.[5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Per la costruzione dell'aereo si utilizzava legno di faggio, abete e pioppo.
  2. ^ Al posto di quelli previsti sotto il sedile del pilota.

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Cosolo, Brotzu 1977, p. 73.
  2. ^ a b c d e Cosolo, Brotzu 1977, p. 75.
  3. ^ a b c d e f g h i Cosolo, Brotzu 1977, p. 76.
  4. ^ a b c d Cosolo, Brotzu 1977, p. 74.
  5. ^ a b c d e f g Cosolo, Brotzu 1977, p. 77.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Emilio Brotzu e Gherardo Cosolo (a cura di), Dimensione Cielo, Aerei Italiani nella 2ª Guerra Mondiale Vol.11, Scuola-Collegamento Vol.2, Roma, Edizioni dell'Ateneo & Bizzarri, settembre 1977.
  • Massimo Ferrari e Giancarlo Garello, Le ali del ventennio: l'aviazione italiana dal 1923 al 1945. Bilanci storiografici e prospettive di giudizio, Milano, Franco Angeli Storia, 2005, ISBN 88-464-5109-0.
  • Paolo Ferrari e Giancarlo Garello, L'Aeronautica italiana. Una storia del Novecento, Milano, Franco Angeli Storia, 2004, ISBN 88-464-5109-0.
  • Jonathan Thompson, Italian Civil and Military Aircraft 1930-1945, Fallbrook, California, Aero Publishers Inc., 1963.
Pubblicazioni
  • Nico Sgarlato, Giacomo Mosso. Fu direttore tecnico della CANSA, in Aerei nella Storia, n. 107, Parma, West-Ward Edizioni, aprile-maggio 2016, p. 24-25.
  • Officine Reggiane (I progettisti), in Ali nella Gloria, n. 41, Parma, Delta Editore, agosto-settembre 2019, pp. 68-75, ISSN 2240-3167 (WC · ACNP).

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]