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Scuola Grande di San Giovanni Evangelista
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Divisione 1Veneto
LocalitàVenezia
IndirizzoSan Polo 2456
Informazioni generali
CondizioniIn uso
Costruzione1349
Inaugurazione1354
Stiletardo gotico, rinascimentale, barocco
Realizzazione
ProprietarioScuola Grande San Giovanni Evangelista

La Scuola Grande di San Giovanni Evangelista è una scuola di Venezia, situata nel sestiere di San Polo, presso la Chiesa di San Giovanni Evangelista.
È la scuola di più antica fondazione, fra quelle ancora funzionanti sul territorio della città.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Fondata nel 1261, la Scuola di San Giovanni, una delle più ricche e prestigiose di Venezia, era una confraternita di Battuti, che riuniva attorno a sé la devozione per il proprio santo patrono, san Giovanni Evangelista. Inizialmente la sua sede era a Sant'Aponal, nel 1301 (o forse nel 1307) si trasferì, nella zona della parrocchia di San Stin, alla chiesa di San Giovanni Evangelista fondata della ricca famiglia Badoer e sottoposta al loro giuspatronato[1].

Qualche anno dopo i Badoer vi costruirono accanto un ospizio per vedove di cui, nel 1340, concessero in locazione alla Scuola il piano superiore. Come ricordato nell'iscrizione sotto il bassorilievo posto all'esterno dell'edificio, tra il 1349 e il 1354 i confratelli ristrutturarono gli ambienti per adattarli alle proprie esigenze[2].

***composizione soci, limiti a nobili,

*** esclusione donne a parte il periodo 1317-1327 etc[3]

*** questione rapporti con sacerdoti

*** esenzione nobili e sacerdoti da flagellazione[4]

*** giuramento scuola, doge, repubblica

*** concessione chiesa dai Badoer con diritto sepolture

*** lettura pubblica della mariegola tre volte all'anno[5]

Nel 1369 la Scuola aveva ricevuto in dono da Philippe de Mézières, cancelliere dei regni di Cipro e di Gerusalemme, un frammento della Vera Croce che aveva a sua volta ricevuto dal patriarca latino di Costantinopoli Pietro Tommaso[6]. La preziosa reliquia, oggetto di una straordinaria venerazione dovuta ai prodigi ad essa collegati, divenne presto l'elemento di prestigio più caratterizzante ed identificativo della Scuola[7].

Oltre alla croce le insegne della Scuola rimasero comunque sempre, accompagnati talvolta delle iniziali S Z[8], l'aquila di san Giovanni e il bastone pastorale. Quest'ultimo a memoria di un leggendario episcopato dell'evangelista ad Efeso. Simboli sintetizzati spesso in un pastorale ornato da una testa d'aquila sull'estremità del ricciolo. L'insegna veniva posta usualmente sulle proprietà della Scuola ma, dal 1571, fu concesso ai confratelli di poterlo esporre sulle proprie case[9].

L'incrementato prestigio della Scuola convinse i confratelli ad un ampliamento della e concordato con i Badoer la costruzione di un nuovo ospedale sostitutivo occuparono l'intere edificio e lo riadattarono negli anni tra il 1414-1420. Quest'ultima data è accertata dal fatto che nella stessa commissionarono un primo ciclo di dipinti per decorare le sale, tutti un secolo e mezzo dopo sostituiti da quelli oggi noti. Si trattava di Sorie dell'Antico e del Nuovo Testamento ad opera di Jacopo Bellini Le opere ad oggi risultano perdute o disperse ma qualcuno ha tentato di identificarle in una serie di tele dipinte a tempera con pesanti ridipinture successive, ma omogenee per dimensioni e attinenti ai temi ricordati nelle antiche guide, divise tra la Galleria Sabauda di Torino, la collezione Stanley Moss di New York e altre collezioni private ma tutte provenienti dalla collezione scozzese di William Graham[10].

Il Consiglio dei Dieci aveva iniziato dal 1467 a marcare delle differenze tra le scuole veneziane definendo le prime quattro scuole di battuti come scolae magnae ovvero Scuole Grandi[11] e le altre, quelle che vengono citate oggi come «scuole piccole», scolae comunes.

Questa nuova distinzione portò alla decisione di impreziosire la sede con opere ulteriori d'arte e arredo architettonico. Tra il 1478 e il 1481 Pietro Lombardo realizzò il setto che fa da ingresso al cortile della Scuola. Successivamente (1498) si decise di costruire un nuovo scalone di accesso affidandone il progetto a Mauro Codussi. E poco prima sie era anche deciso di collocare nella Sala Grande della confraternita una serie di teleri sui miracoli della reliquia della Croce a Venezia, alla cui creazione furono chiamati, tra il 1496 e il 1501, alcuni dei principali artisti attivi in città. Gentile Bellini dipinse tre teleri, due ne eseguì Giovanni Mansueti, uno Vittore Carpaccio, uno Lazzaro Bastiani e uno Benedetto Diana. Un nono era stato dipinto dal Perugino, ma non si è conservato; tutti gli altri sono ora conservati nelle Gallerie dell'Accademia.

Verso la metà del Cinquecento si vennero fatti altri lavori di decorazione interni come la fra cui il soffitto della Sala dell'Albergo Nuovo, dipinto da Tiziano e aiuti.

**** Dopo l'incendio del 1566 furono necessari alcuni lavori di restauro alla sala capitolare terminati nel 1597.

**** Alla fine del Cinquecento la scuola possedeva 76 «case amore Dei» destinate, anche gratuitamente, ai più poveri[12]

Verso la fine del secolo fu affidata a Domenico Tintoretto, Sante Peranda e Andrea Vicentino la sostituzione dei già compromessi dipinti di Jacopo Bellini e subito dopo fu incaricato Jacopo Palma il Giovane per la realizzazione di alcuni teleri con gli Episodi dell'Apocalisse per la nuova sala dell'albergo.

Era infatti un periodo particolarmente florido per la Scuola che nel 1581 aveva raggiunto i 1.800 associati. L'accresciuta importanza le consentì di accogliere come confratelli "onorari" molte personalità autorevoli nella società veneziana compresi anche gli ambasciatori spagnolo e inglese e persino il re di Spagna Filippo II, il suo piccolo figlio Ferdinando e suo fratello Giovanni d'Austria[13].

Del secolo successivo non sono noti rilevanti interventi, invece il Settecento fu denso di lavori e innovazioni: nel 1727 si commissionò al Massari la ristrutturazione ed l'innalzamento della sala Capitolare. Gli interventi continuarono fino al 1793 sotto la direzione di Bernardino Maccaruzzi[13].

Dopo cinque secoli e mezzo di attività, a seguito del decreto Napoleonico del 1806 di, la Scuola di San Giovanni venne soppressa assieme a tutte le confraternite e privata di tutti i suoi beni[14]. Si salvò soltanto la reliquia della croce grazie all'interessamento di Giovanni Andrighetti, l’ultimo Guardian Grande.

Sotto il nuovo governo asburgico si era pensato di demolire gli edifici per costruirvi delle case a scopo speculativo e qualcuno aveva progettato di smontare il pavimenti della sala capitolare per ricollocarlo in qualche palazzo o chiesa austriache, ma nel 1830, il ricco imprenditore Gaspare Biondetti Crovato iniziò le trattative per rimettere il complesso in mano ad un gruppo di fedeli[15]. Soltanto nel 1855 la richiesta venne accolta. La Pia Società per l’Acquisto della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, costituita allo scopo da 83 generosi cittadini, firmò l'atto di compravendita nel gennaio 1856 e, dopo i primi restauri, la Scuola fu ufficialmente riaperta il 27 dicembre 1857[16].

Nel 1877 gli immobili furono trasferiti alla Corporazione delle Arti Edificatorie di Mutuo Soccorso che nel 1892 cambiò il nome in Società delle arti Edificatorie di Mutuo Soccorso nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista. Nel 1929 questa società deliberò a sua volta la ricostituzione a pieno titolo della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista. Due anni dopo papa Pio XI riconobbe alla scuola il titolo honoris causa di Arciconfraternita con il breve apostolico Venetiarum in civitate del 7 marzo 1931[17].

Regole, scopi e mariegole[modifica | modifica wikitesto]

soci esenti: preti e nobili

esenzione dalla tassa di ingresso per artisti collaboratori: Jacopo Bellini, Buora

donne: breve periodo ammissione nel '300

mariegola cini https://www.scuolasangiovanni.it/statuto-e-mariegola/

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il setto di Pietro Lombardo e la chiesa

Esterni[modifica | modifica wikitesto]

Racchiuso nel fitto intreccio di case e strette calli, la scuola non risulta visibile da lontano. Il complesso si rivela Invece improvvisamente, annunciato a chi giungesse dal percorso originario di calle de l'Ogio dal pilo portabandiera della scuola nel campiello San Giovanni, con l'invenzione del delicato setto che cinge il primo spazio scoperto e definisce la presenza della scuola in sostituzione di un'impossibile facciata[18][19].

Atrio pubblico[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di una struttura aperta, non riconducibile se non forzosamente all'edilizia ecclesiastica o civile soluzione peraltro tipica delle scuole veneziane in genere,[20] che crea una specie di atrio[21].

Il setto, opera concepita e realizzata tra il 1478 e il 1481 da Pietro Lombardo, si presenta quasi come un'iconostasi con il suo rivestimento di marmi delicatamente policromi, il frontone semicircolare centrale sormontato dalla croce e gli angeli adoranti posti sulle estremità[22]. Nella lunetta del frontone spicca il bassorilievo dell'aquila di san Giovanni, nimbata, con le ali dispiegate ed il suo libro stretto tra gli artigli. Tipico è lo stile dei Lombardo, riscontrabile anche nelle successive chiesa dei Miracoli e Scuola Grande di San Marco, ricco di classicheggianti e insistite decorazioni a contrasto con la liscia superficie dei marmi di rivestimento, variegata invece dalle naturali venature del pavonazzetto incorniciato da grigio bardiglio che le stacca dalle bianche strutture in pietra d'Istria.

Le rosette (diverse una dall'altra come usavano i Maestri comacini) fasciate da un alto motivo a treccia ornano lo zoccolo[23]. L'alzato è scandito delle lesene rudentate con i loro personalissimi capitelli ionici che agli angoli si piegano a llbro secondo un espediente antico presente nel Pantheon romano ma già ripreso da Brunelleschi nella sagrestia vecchia di San Lorenzo a Firenze[24] lLa decorazione a girali degli stipiti e delle trabeazioni, le ricercate e variatissime modanature delle cornici. Una vibrazione continua che fa diventare ricche anche le più semplici specchiature degli intradossi, ma quelli del portale di nuovo animati dai tondi centrali con le aquile giovannee. Il setto si prolunga accogliente attorno al campiello in due ali addossate agli edifici laterali che ripetono in parte i motivi della porzione centrale e sono ornate da bracieri marmorei posti come acroteri sopra ogni lesena. Le scanalature sul bordo delle lesene verso il muro fanno supporre che anche sui fianchi fosse previsto il rivestimento mamoreo[25].

Campiello "privato"[modifica | modifica wikitesto]

Passando il portale si accede la campiello della Scuola marcato sul grigio selciato di trachite dalla geometria di bianchi nastri di pietra, come un cortile privato o un sagrato. Entrati in questo spazio, la disomogeneità delle architetture e degli inserti decorativi fa percepire abbastanza chiaramente la stratificazione degli interventi di adattamento degli edifici.

Bassorilevo con confratelli in venerazione di san Giovanni

Sulla destra, cioè a sud, un bassorilievo trecentesco ci mostra un gruppo di confratelli inginocchiati in venerazione di san Giovanni. È la parte centrale del montaggio di lavori diversi in un unica struttura. Nelle epigrafi sottostanti, quella più in alto è un cartiglio sorretto da due incappucciati, sono ricordati e datati i primi interventi edili della Scuola. Sotto l'arcata che chiude la struttura è una delicata Madonna col Bambino probabilmente più antica.

Rilievo sopra la porta di ingresso.

Subito prima, sulla stessa parete, è uno dei due ingressi della scuola, quello attualmente in uso. Sopra l'architrave, ornato al centro da un tondo con il pastorale e agli angoli da due confratelli oranti, è stato aggiunto un pregevole altorilievo con il santo eponimo; la rastremazione verso il basso del fogliame da cui sorge il busto fanno supporre che precedentemente fosse destinato a coronamento dell'arcata di un più imponente portale gotico.

Anche le forature qui ci raccontano periodi diversi: le larghe finestre bipartite del piano terra sono riconducibili all'ambito del Codussi e quindi al primissimo Cinquecento; sopra le alte finestre – corrispondenti alla Sala della Croce e alla Sala dell'Albergo Nuovo – con i loro archi inflessi modanati a fogliame e coronati da fioroni sono interessanti esempi del tardo gotico veneziano; invece le lunette che le sovrastano sono frutto dell'innalzamento delle stessa sale in periodo tardo barocco come pure la struttura del più recente avancorpo che tra il campiello di San Giovanni e la calle de l'Ogio.

Chiusura del campiello della Scuola

Lo stesso succede per la sezione degli edifici a chiusura del campiello verso ovest: il grande portale timpanato di un purissimo gusto rinascimentale è opera del Codussi (finito nel 1507, dopo la morte dell'architetto, secondo l'iscrizione sull'architrave), al di sopra, la larga bifora inscritta in un arco più ampio a cui è raccordato dall'oculo al centro viene considerata una caratteristica stilistica, quasi al firma, dello stesso architetto; ancora più in alto, il grande oculo ovale è il risultato dell'innalzamento anche di questa salone – la Sala Capitolare – nel secondo quarto del Settecento su progetto del Massari.

Nella sezione di fondo a sinistra, sotto le finestre dell'antico Ospizio Badoer ricostruito a spese della Scuola, si apre un piccolo portico, forse relitto di quello antico della chiesa, che introduce nella stretta calle che fiancheggia il prosieguo degli edifici.

Sul lato nord del campiello sorge il fianco la chiesa di San Giovanni Evangelista e vicino all'angolo di fondo un cancello introduce nell'antico cimitero dei Badoer, ora area espositiva. Anche su questo lato sono riconoscibili le stratificazioni: l'abside gotico poligonale che si intravede sopra i bassi tetti contrasta con il tozzo campanile settecentesco e la scabra fiancata della chiesa rialzata nello stesso periodo da Bernardino Maccaruzzi.

Interno[modifica | modifica wikitesto]

Piano terra[modifica | modifica wikitesto]

Nella sala delle colonne sono conservati numerose opere lapidee recuperate dai soci nell'Ottocento fra le quali spicca un'Annunciata attribuita a Filippo Calendario. Due grandi portali gemelli e finemente decorati da incrostazioni a mastice sugli architravi conducono allo scalone.

Scalone[modifica | modifica wikitesto]

due percorsi per chi sale chi scende (necessario per numero elevato di membri) [26].

[v. anche Concina Quattrocento pp. 351 segg[18], Huse-Wolters[27]]

Attuale (3/3/2024) È un capolavoro del bergamasco Mauro Codussi che ripropose la soluzione a due scale convergenti già adottata per la Scuola di San Marco. Coperte da volte a botte e fiancheggiate da dossali di pietra scura, le rampe si allargano verso l'alto con un gioco prospettico esaltato dalla cupola finale e dalla luce di un'ampia bifora ad arco. L'architettura nitida e la magnificenza della decorazione plastica a intagli e a niello rispecchiano la funzione di accesso solenne e ufficiale alle sale di rappresentanza, di culto e di governo.

Sala Capitolare o di San Giovanni[modifica | modifica wikitesto]

Sala Capitolare

Sotto l'aspetto architettonico la sala appare come venne concepita e riordinata da Giorgio Massari dal 1727, pur mantenendo e anche valorizzando le preesistenze rinascimentali. L'architetto barocco fu interpellato nel 1727, e immediatamente incaricato dei lavori, dai funzionari della scuola, insoddisfatti del prliminare di Giovanni Scalfarotto. Era intenzione della confraternita resturare, ampliare e rendere più ariosa innalzando la quota del soffitto la sala. La proposta di Scalfarotto però non prevedeva dei rinforzi ai muri perimetrali, cosa che preoccupava non poco i degani che così decisero di chiedere un ulteriore parere ad un altro stimato architetto e trovarono subito più convincenti gli intenti del Massari. Questi, nell'arco di quasi un ventennio provvide, anche all'allungamento dell'aula: gli spazi occupati da un'adiacente proprietà furono infetti disponibili solo dal 1730 e ovviamente gli altri lavori dovettero seguire i tempi necessari a rimpinguare le casse della Scuola. A parte queste questioni di carattere amministrativo, il progetto di Massari consentì una migliore illuminazione della stanza con l'apertura di dodici grandi oculi ovali nei muri rialzati elegantemente ornati in gusto rococò e alternati da eleganti lesene sorgenti attraverso un cornicione da mezzi capitelli pensili. I vecchi e più piccoli sopraluce circolari, polilobati secondo lo stile gotico, erano quelli visibili sula sinistra del quadro di Mansueti; nel corso dei restauri novecenteschi sono state individuate le tracce di questa preesistenza. Nel prolungamento della sala verso est apri anche due ampie bifore replicanti quelle del Codussi sul fondo opposto e sul pianerottolo dello scalone in modo di illuminare particolarmente il nuovo altare. Riprese ancora il modello della bifora codussiano raddoppiando quella del fondo sala, questa volta aperta non verso l'esterno ma verso la contigua Sala della Croce. Impose così alla parete una simmetria attorno al nuovo portale di collegamento tra le sale. Sopra il timpano del portale fece porre il bassorilievo Philippe de Meizieres offre la reliquia della Croce ai confratelli appositamente scolpito da Morlaiter. Tornando al più luminoso lato opposto, Massari vi fece costruire un altare dai modi classicheggianti con colonne e commessi di marmi screziati di grigio e marcò la tribuna che lo accoglie sopraelevandola di uno scalino e facendo abbassare un architrave dal soffitto[28]. Sulla nicchia dell'altare è la statua di San Giovanni Evangelista, anzi il grippo marmoreo con il santo accompagnato da un putto e dell'aquila, opera della prima maturità di Gianmaria Morlaiter, peculiare dell'autore nella sua movimentazione e ricerca di particolari[29].

La disposizione pavimento settile, messo in opera dal marmista Giovanni Fadiga, fu volutamente ritardata dall'architetto al 1752 per evitare che pesanti impalcature mobili necessarie alla decorazione del soffitto lo rovinassero già dal principio[30]. È da notare come la realizzazione di tali pavimenti fosse una tradizione specifica delle Scuole Grandi che riprendeva sì quelli delle chiese ma qui veniva riportata in un piano elevato sopra terra. E in effetti era una pratica scarsamente applicata negli edifici civili (anche in palazzo Ducale gli esempi sono pochi e dal disegno meno elaborato) e il più delle volte limitata ai pianerottoli degli scaloni, soggetti ad un calpestio più insistito di quello delle stanze. In questa pavimentazione il Massari include, secondo le migliori regole, le sue accurate geometrie in una partizione che riflette l'andamento di quella del soffitto e, come in un presbiterio, si differenzia nettamente all'interno della tribuna[31].

Al centro: Giuseppe Angeli, La lotta contro l'Anticristo, 1761 circa.

La decorazione del soffitto è divisa in undici comparti: attorno al grande ovale e ai due ottagoni opposti agli estremi, come un riflesso della partizione pavimentale, sono posti otto pennacchi mistilinei a riempire gli sfridi. Il tema comune sono le rivelazioni del libro dell'Apocalisse di Giovanni. Il complesso, almeno in parte, avrebbe dovuto essere dipinto da Giambattista Tiepolo ma questi, dopo ripetuti rinvii gli altri molteplici impegni, partì invece per la Spagna per non farne più ritorno. Nel grande ovale centrale è la Lotta contro l'Anticristo (1761) di Giuseppe Angeli con un impostazione enfaticamente scenografica certamente debitrice di Jacopo Amigoni. Nell'ottagono verso il fondo sala la Visione dei sette angeli e dei sette vasi di Jacopo Guarana manifesta l'ispirazione riccesca e tiepolesca del pittore[32]. Nell'ottagono verso l'altare la Visione di San Giovanni: il Libro dei sette sigilli e nei due comparti d'angolo, San Giovanni divora il Libro e l'Apparizione della Donna coronata, tutti di Jacopo Marieschi (1760 circa) traspare l'ascendenza riccesca mediata dal suo maestro Gaspare Diziani arricchita di accenti luministici e tonalità argentee. Al Diziani stesso vennero commissionati i quattro comparti attorno all'ovale centrale (1760-1762): il Vecchio dalle sette lampade, l'Angelo e San Giovanni, la Meretrice di Babilonia e l'Angelo e il Drago. Il Diziani per quanto qui formalistico e compassato riesce a ravvivare le tele con un uso del colore variegato e luminoso[33]. Gli unici scomparti appartenenti alla commissione originaria sono i due angolari verso la Sala della Croce, la Visione della donna vestita di sole e di luna e l'Arcangelo Michele sconfigge Lucifero, per i quali era stato separatamente incaricato Giandomenico Tiepolo. Il Tiepoletto qui si esprime con una ricchezza di colore ed una fantasia compositiva, certamente mutuata dal padre, ma comunque con una fresca libertà individuale non dovendo mimetizzarsi nell'opera paterna (e non sarebbe azzardato dire che si tratti dei dipinti più riusciti della serie)[34].

Meno interessanti sono i tre scomparti del soffitto della tribuna, prime tele residue di tutto il grande soffitto. Le eseguì già nel 1732 il poco noto Edoardo Perini, forse accademico clementino onorario a Bologna. Lo stesso aveva dipinto anche al grande ovale centrale. Le riserve di diversi confratelli che trovavano il quadro indegno della magnificenza dell'aula ebbero infine soddisfazione con la sua rimozione nel 1760. Queste tre tele, la Visione di San Giovanni: la lotta degli angeli contro i demoni nell'ovale centrale e gli Angeli dell'Apocalisse negli scomparti rettangolari ai lati, portano a confermare il severo giudizio dei confratelli[35].

Più gradevoli le quattro "piccole" tele che affiancano simmetricamente l'altare assecondando le scelte dell'architetto, dipinti tutti attorno al 1760. Sopratutto felici cromaticamente sono i quadri rettangolari di Jacopo Marieschi, in basso a destra San Giovanni Evangelista guarisce un fanciullo e a sinistra il Miracolo del pane, piuttosto vicini agli scomparti che dipinse sul soffitto; più deboli, nonostante la vivacità dei colori, sono gli ovali in alto di Jacopo Guarana, a destra San Giovanni Evangelista guarisce un ragazzo e a sinistra San Giovanni Evangelista e il vecchio miracolato[34].

Lungo le pareti laterali del resto della sala, sotto i finestroni ovali e sopra gli alti schienali delle panche, si cercò di mantenere la serie di dipinti manieristi eseguiti tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento da Domenico Robusti detto anch'egli Tintoretto, Sante Peranda e Andrea Vicentino. Si trattava di un ciclo prevalentemente dedicato all'evangelista. Già nel Settecento molti delle tele non esistevano più e altre di varie provenienze vennero aggiunte nell'Ottocento. Comunque la distribuzione dell'insieme rimane simile a quella settecentesca con nove ampie tele orizzontali (alte poco più di tre metri e larghe oltre quattro e mezzo) distribuite ordinatamene sui due lati. Sulla parte destra, partendo dalla porta d'entrata troviamo: la Caduta del Tempio in Efeso per le preghiere di San Giovanni di Domenico Robusti; il Martirio di san Giovanni immerso in una caldaia di olio bollente di Sante Peranda; la Deposizione di Andrea Vicentino e la Trasfigurazione di Cristo di nuovo del Robusti.

Alla parete opposta, partendo dalla tribuna sono: San Giovanni e il filosofo Cratene del Robusti, l'Adorazione dei Magi di Pietro Longhi, San Giovanni resuscita due morti del Robusti, l'Adorazione dei Pastori di Antonio Balestra e San Giovanni resuscita Drusiana sua discepola ancora del Robusti.

I cinque dipinti di Domenico Robusti sono quanto resta della decina di tele commissionategli dipinte dopo il 1604 e entro il 1628, tra questi appare più brillante come realizzazione la Trasfigurazione (prima del 1623) mentre risulta senz'altro più stanco la Caduta del Tempio in Efeso (1628) con un'esecuzione ormai lontana dalla poetica del padre. Il dipinto di Sante Peranda, Martirio di san Giovanni (1605-1606), fu a suo tempo piuttosto apprezzato ma ancora legato ai modi tardo manieristi di Palma il Giovane. Non appartengono invece alla serie originaria gli altri dipinti. La Deposizione di Andrea Vicentino con il suo vivace tintorettismo, tipico del tardo manierismo attorno alla fine del XVi secolo, sostituisce l'opera originaria dello stesso pittore già de tempo scomparsa e proviene dalla demolita chiesa di Santa Croce a Belluno; dapprima destinato alle Gallerie dell'Accademia fu posto in deposito nella Scuola nel 1828 e sistemato su una tela più grande per adattarlo alle compresenze[36].

Le due tele settecentesche entrarono probabilmente nella Scuola attorno al 1857 con la nuova gestione veneziana e per ambedue si è proposto dubitativamente che provenissero dalla chiesa di Santa Maria Mater Domini. Quella del Balestra è interessante per la poliedricità di stimoli bolognesi, romani e napoletani fusi in un personale classicismo che fa trasparire. Quella del Longhi rappresenta un esempio, tutto sommato raro, della prima attività poi sfociata nelle sue più note e spiritose scenette di genere, vivacità qui preannunciata dallo sguardo arguto e ammiccante del paggetto appena alla sinistra del centro e dall'agitazione del cammello all'estrema sinistra[37].

Sala della Cancelleria e Sagrestia[modifica | modifica wikitesto]

Le due stanze ricavate dal Massari dietro l'altare furono organizzate sotto la direzione del suo allievo Bernardino Maccaruzzi. Ambedue vennero ornate sui soffitti dagli stuccatori ticinesi di Antonio Adami e Francesco Re (1758). Gli stucchi bianchi con fondi delicatamente colorati rivelano un gusto rococò ben sperimentato negli ambienti privati ma qui applicato in un ambito di interesse devozionali[38] e soprattutto a rappresentare un «un ideale di rettitudine amministrativa»[39].

Oratorio della Croce[modifica | modifica wikitesto]

L'intervento più stravolgente fu la rimozione del grande ciclo di teleri sui Miracoli della Croce (vedi sotto) dopo la soppressione della confraternita, e oggi è difficile discernere completamente quali siano stati gli interventi del Maccaruzzi nella seconda metà del settecento e quali gli interventi ottocenteschi della Corporazione delle Arti Edificatorie di Mutuo Soccorso per riarredare la sala e dotarla di qualche tela prelevata altrove.

Sicuramente risalgono a circa il 1784-1788 il soffitto a stucchi con le piccole apertura a lunetta e l'altare dove si conserva, protetta da portelle dorate, la reliquia della croce donata da Philippe de Meiziers incapsulatain una preziosa teca di cristallo di rocca. Allo stesso periodo risale le tele sul soffitto, opere tardivamente piazzattesche di Francesco Maggiotto: la grande sagomata rappresenta il Trionfo della Croce mentre i piccoli ovali sono dipinti dei Putti recanti gli strumenti della Passione. Gli altri dipinti, inquadrati sulle pareti laterali in un discreto ornato ottocentesco, sono sostitutivi del ciclo preesistente. Quelli sul lato finestrato, San Giovanni Evangelista battezza un sacerdote pagano e l'Assunzione di San Giovanni Evangelista, sono della bottega di Palma il Giovane e probabilmente nelle disponibilità della scuola già dalla fine del Cinquecento. Quelli del lato opposto, la Predica di San Giovanni Battista e il Miracolo di Sant'Antonio, sono stati attribuiti al seicentesco Giovanni Segala, provenienti dalla distrutta chiesa di Santa Maria Nova vennero depositati nella sScuola tra il 1863 e il 1865. Invece i due ovali ai lati dell'altare sono attribuiti al fiammingo Gaspard Rem, non ancora completamente contagiato dalla pittura veneziana di fine Cinquecento[40].

Sala dell'Albergo Nuovo[modifica | modifica wikitesto]

aspetto redo più severo dall'asportazione del soffitto dorato con i dipinti di Tiziano e scuola attorno alla figura di San Giovanni Evangelista a Patmos (vedi sotto),

Sala dell'Archivio[modifica | modifica wikitesto]

stucchi di Giovanni Andrea Rossi (1752-1753)[41]

Opere d'arte sottratte alla Scuola dopo la soppressione[modifica | modifica wikitesto]

Giovanni da Bologna, Madonna dell'Umiltà, Venezia, Gallerie dell'Accademia.

Con la soppressione del 1806, come accadde anche per le altre scuole, numerose e rilevanti opere e preziosi arredi vennero confiscate. Talune vennero disperse nel mercato privato e altre hanno trovato la strada dell'esposizione o della conservazione in collezioni pubbliche.

Le opera oggi rintracciabili fuori dalla Scuola consistono in una buona parte degli antichi documenti delle mariegole e in alcuni cicli pittorici.

A questi si può aggiungere almeno la tavola isolata (in realtà un polittico dipinto su un'unica tavola senza più l'incorniciatura originale che lo ripartiva) di Giovanni da Bologna, alle Gallerie dell'Accademia dal 1818. Si tratta probabilmente della sua più antica tavola firmata pervenutaci[42].

Le Mariegole[modifica | modifica wikitesto]

Cristo giudicante, foglio staccato da una mariegola della Scuola di San Giovanni Evangelista, 1325 circa, Cleveland Museum of Art

Con la soppressione anche le preziose mariegole di tutte le scuole, grandi o piccole, vennero disperse nel mercato antiquario. Fortunatamente un cospicuo numero venne raccolto da Teodoro Correr e Emmanuele Cicogna per poi essere versato nelle collezioni del Museo Correr e della Biblioteca Marciana. Altre, spesso già deprivate delle belle pagine miniate, pervennero già nel periodo austriaco all'attuale Archivio di Stato di Venezia[43]. Pagine isolate variamente decorate emergono talvolta, anche ritagliate, in collezioni aperte al pubblico. Si trattava di preziosi volumi in pergamena che quando capitava la necessità di riscrivere gli statuti, o erano consunti dal continuo uso, venivano fatti copiare da abili amanuensi e miniatori, magari cercando di conservare le pagine illustrate. La qualità della scrittura nelle copie e nelle integrazioni delle mariegole era considerata un obbligo e le scuole usualmente stipendiavano un calligrafo esterno per questo incarico[44]. Anzi la Scuola di San Giovanni Evangelista aveva espressamente imposto quest'uso come regola e ne aveva registro l'avvertenza nella propria mariegola del 1366[45]:

(VEC)

«Ancora statuido et ordenado fo in pleno capitolo che in questa nostra mariegola nesuno sia oso over debia o fare scriver alguna cosa per algun modo over inçegno se non per man de bon scriptore in litera grosa e ben formada»

(IT)

«Il capitolo plenario ha anche stabilito e ordinato che in questa nostra mariegola nessuno osi o faccia scrivere alcuna cosa, in qualunque mainiera o per qualsiasi ragione, se non per la mano di un buon calligrafo, in grandi lettere e ben disegnate»


Flagellazione di Cristo, foglio staccato da una mariegola della Scuola di San Giovanni Evangelista, 1325 circa, Parigi, Musée Marmottan

Resta piuttosto misterioso da quale volume d'origine furono staccati i due preziosi fogli miniati acquisiti regolarmente dal Cleveland Museum of Art e dal Musée Marmottan. Della Scuola di San Giovanni Evangelista sussistono ancora quattro esemplari lacunosi all'Archivio di Stato di Venezia riportanti modifiche allo statuto dal primo Trecento al Quattrocento. Resta probabile l'ipotesi che i due fogli appartenessero ad un'ulteriore redazione – completamente perduta nella parte testuale – successiva alla prima versione conservata. Le datazioni supposte non sono particolarmente lontane tra le due, ma le dimensioni delle miniature a piena pagina escludono la provenienza dalla redazione precedente, più piccola. Per quanto siano stati tagliati via i margini bianchi di ambedue le miniature, le stesse dimensioni dell'immagine (quella di Cleveland 278 x 200 mm e quella di Parigi 280 x 200 mm) e anche l'impostazione stilistica mettono in stretta relazione le due opere. Molto simile è l'incorniciatura a fasce con caratteri pseudo arabi interrotta da piccoli medaglioni e le raffigurazioni dal gusto bizantino ma con tratti già gotici. La cosa fa supporre che le miniature siano esito di un ambito molto vicino a quello del Maestro dell'Incoronazione di Washington, seppure con dettagli più vernacolari .

Particolarmente interessante nella sua retorica dedicata ai battuti è la Deesis raffigurata nella carta di Cleveland: una rappresentazione della ricompensa celeste ai confratelli disciplinati. Un maestoso Cristo in trono, scortato dalle ali turbinanti di rossi serafini e accompagnato dai testimoni Maria e Giovanni (rappresentato vecchio secondo consuetudini della Scuola), accoglie i battuti. Alcuni di questi, raggruppati attorno alla croce processionale, sono cullati da due angeli, altri sono già assurti sopra le proprie nuvolette. I confratelli, che indossano la bianca cappa con le insegne della Scuola aperta sulla schiena a ostentare le piaghe delle fustigazioni, sono già nel "cielo dei cieli" più in alto degli angeli tubicini e del firmamento, con gli astri che li guardano da sotto in su. Fanno da cordone e ala alla parte superiore numerosi angeli plaudenti. Nel tondo centrale nell'alto della cornice è il volto dell'Eterno dalla cui barba la colomba scende verso il capo di Cristo a comporre la Trinità.

Frutto della medesime intenzioni retoriche è la miniatura del Marmottan. La flagellazione di Cristo è rappresentata all'interno di un ambiente marcatamente gotico. Ai piedi di Gesù, interposti tra i due aguzzini, sono inginocchiati in preghiera due piccoli confratelli. Hanno sempre con la cappa aperta sulle spalle

Pagina iniziale da una mariegola della Scuola di San Giovanni Evangelista, 1366 o successiva, Venezia, Fondazione Cini

Interessanti, anche dal punto di vista documentario, sono altri due fogli miniati identificate dalla studiosa americana Lyle Humphrey come provenienti da due delle mariegole conservate nell'Archivio di Stato: ambedue rappresentano nelle vignette a fondo pagina la scena del giuramento dei nuovi confratelli[46].

La miniatura della Fondazione Cini appartiene ad una mariegola dell'Archivio iniziata nel 1366, e qui nella pagina originariamente opposta ha peraltro lasciato l'impronta. Risulta staccata dal libro in epoca remota ma indeterminata ma comunque di provenienza lecita: nel 1939 Vittorio Cini la acquistò con parte della collezione di Ulrico Hoepli dove era pervenuta verso la fine degli anni '20, proveniente dall'antiquario Tammaro De Marinis[47]. Il collegamento con la versione della mariegola dell'archivio veneziano iniziata tra il 1360 e il il 1369 è dimostrato dalla continuazione esatta del testo nel verso della pergamena nella prima pagina scritta del libro sopravvissuto e corrispondente a quello presente, senza interruzioni, nel foglio ex Boston[48].

(VEC)

«al honor del omnipotente dio miser ihu xpo e dela
[/]
biada vergine madona senta maria mare soa e del biado apostolo et evangelista misier sen zane»

(IT)

«a onore di dio onnipotente messere gesù cristo e della
[riprende nella pagina successiva]
beata vergine madonna santa maria sua madre e del beato apostolo edevangelista messere san giovanni»

Anche il formato della pagina, la grafia, la spaziatura e lo stile delle decorazioni filigranate coincidono e inoltre permane una leggera impronta delle miniature sul verso dell pagina di apertura con gli indici nel libro rilegato[49].

Pagina iniziale da una mariegola della Scuola di San Giovanni Evangelista, inizio XV secolo, Venezia, Archivio di Stato

Invece la pagina miniata di Boston, grazie agli studi della Humphrey[50], risultò far parte dei fogli trafugati all'Archivio di Stato tra il 1947 ed il 1949, La composizione originale era ben nota grazie alle vecchie pubblicazioni di Pompeo Gherardo Molmenti e Giulio Lorenzetti che la riproducevano[51]. Le indagini conseguenti alla scoperta hanno convinto la Homeland Security Investigations a imporre il sequestro di questa ed un'altra pagina manoscritta appartenente alla mariegola della Scuola Grande della Misericordia proveniente dal medesimo furto. Da parte sua la Boston Public Library rinunciò spontaneamente al possesso dei manoscritti. Fu così che queste pagine, assieme ad altri reperti di provenienza illecita, vennero restituiti all'Italia nel 2017[52][53][54].

In ambedue le illustrazioni di fondo pagina un gruppo di aspiranti confratelli inginocchiati giura la propria fedeltà sul volume della mariegola portato dai degani della scuola. Sono tutti disposti davanti ad un altare mentre un gruppo di persone assiste, in piedi, alla destra della scena. Le differenze sono evidenti negli eleganti abiti dei convenuti in special modo per le ampie maniche pendenti e orlate in quella trecentesca secondo la moda del tempo e di gusto cortese nell'altra. Nella più antica l'altare appare più semplice e ornato da un polittico su due registri, in quella quattrocentesca la mensa – meno leggibile nei dettagli – è sormontato da un elaborato ciborio.

L'incorniciatura della pagina appare relativamente più semplice nella pagina della Cini ravvivata dall'iniziale di «In nomine patris…» con un Cristo benedicente e all'angolo opposto da un piccolo medaglione con Giovanni intento a scrivere il Vangelo sotto la dettatura di un angelo[55]. Nella pagina ex Boston appare invece una fantasiosa profusione di motivi vegetali a bordura, due quadrilobi agli angoli superiori con i simboli degli evangelisti Marco e Giovanni fanno da ala alla raffigurazione centrale del Padre Eterno. Nell'iniziale ritorna più estesa l'immagine di Giovanni, sempre anziano, che scrive il suo vangelo ascoltando l'angelo.

La pergamena miniata della Cini appare opera vicina alla bottega di Giustino di Gherardino da Forlì per alcune assonanze con gli ornati del Graduale della Scuola di Santa Maria della Carità ma rispetto allo stesso le figure, pur accurate, risultano più semplificate[56]. Il foglio ex Boston sembra esito di un autore appartenente a un gruppo di miniatori, attivi a Venezia nel secondo decennio del Quattrocento, che partendo da modelli emiliano-ferraresi introduceva alcune novità di sapore lombardo introdotte da Michelino da Besozzo[57].

Jacopo Bellini e bottega: Storie del Nuovo Testamento[modifica | modifica wikitesto]

Jacopo Bellini, Annunciazione, Torino, Galleria Sabauda

Le notizie su questo complesso sono scarne e per certi versi contraddittorie. Le scritture della scuola ci informano che nel 1421 fu deciso di decorare la sala capitolare con una serie di dipinti per descrivere Storie dell'Antico e del Nuovo Testamento omettendo però il dettaglio dei singoli temi. Non sappiamo quando né chi possa avere iniziato la serie, sappiamo invece che tardi ne fu commissionato il proseguimento a Jacopo Bellini e che nel 1437 fu parzialmente compensato. Le prime notizie sono un poco contraddittorie:

«Le prime cose che diedero fama a Iacopo furono […] una storia della Croce, la quale si dice essere nella Scuola di S. Giovanni Evangelista.»

«Vi fono medesimamente pitture diverse, della historia del testamento vecchio, & nuovo, con la Passione di Christo, non punto volgari, & la feconda parte di questa opera fu di mano di Iacomo Bellino, che fece anco la seconda parte della Natività»

Jacopo Bellini e bottega, Nascita della Vergine, Torino, Galleria Sabauda
Jacopo Bellini e aiuti, Sposalizio della Vergine, Riverdale, New York, Stanley Moss Collection
Jacopo Bellini e aiuti, Adorazione dei Magi, Riverdale, New York, Stanley Moss Collection

Al tempo delle altre guide e pubblicazioni storiche tutte queste opere erano già state trasferite in ambienti non visitabili per dare spazio al ciclo dipinto dai manieristi Palma il Giovane, Domenico Tintoretto, Sante Peranda e Andrea Vicentino tra il 1595 e il 1626. Carlo Ridolfi riesce comunque a darcene un resoconto nel 1648, ma soltanto come riferendo quanto narratogli da altri «vecchi pittori» su dei dipinti ormai scomparsi, e preoccupandosi di correggere Vasari:

«Di sua mano vedevasi nella Confraternità di San Giovanni Evangelista la figura del Salvatore e due Angeli, che pietosamente il regevano, e nella prima sala in molti mezzani quadri haveva compartito attioni di Christo e della Vergine, quali essendo divorati dal tempo furono con varie inventioni & in altre forme rinovati d’altri Autori, come hor si vedono, che, quali ci furono riferiti da vecchi Pittori, gli descriveremo.
In nobile stanza, nel primo quadro, veniva Maria bambina lavata dall’ostetrici, sant'Anna nel letto, e san Gioachino stavasi scrivendo.
Poi nel secondo la Vergine pargoletta se ne passava al tempio occupandosi per molti anni nel divino servigio di tesser spoglie sacerdotali, ornandole di ricami e gioie, ed in altre sacre funzioni.
Nel terzo vedevasi sposata a Giuseppe per mano del sommo Sacerdote, accompagnata da molte zitelle; v'erano ancora giovani con le verghe in mano a canto a san Giuseppe. L' aveva di poi il saggio artefice figurata, come fu annunziata da Gabriele, e fattovi sopra numerosa schiera d'angeletti festeggianti. Indi appresso la Vergine visitava la cognata Elisabetta, dalla quale veniva accolta con grate dimostrazioni: e come poi sotto ad umile capanna adorava il nato bambino, e in un raggio di gloria fece le milizie de' beati cantori con brevi in mano, ne'quali era scritto il Gloria in excelsis Deo, ch'era il tenore della loro celeste canzone. Stavasi in un lato Giuseppe, e i due vili animali refocillavano col fiato il lor nato Signore.
Nel seguente quadro poi aveva Jacopo figurato la medesima, che per servar la legge appresentavasi col Fanciullino al pontefice Simeone, offerendo per mano di semplice fanciulla due candide colombe. Poscia quella per timor d'Erode fuggivasi in Egitto, sopra ad umile giumento, con l'innocente Gesù tra i panni involto, e ‘l vecchiarello Giuseppe sopra a debil legno portava le povere spoglie, precorrendoleil sentiero molti angeli, che la servivano pel viaggio.
Giunta Maria e il santo vecchio nell' Egitto, gli dipinse il pittore, come l'uno esercitava l'arte di legnajuolo con Gesù che gli somministrava gli ordigni dell'arte, e la madre sedendo con somma grazia cuciva, e molti angeli in gloria consolavano la beata coppia col canto. Morto Erode ritornavano ambi i santi sposi in Giudea, tenendo a mano il nobile Figliuolo, il quale con faccia ridente li mirava dimostrandone segno di letizia, e gli angeli guidavano l'asinelio carico de' lor poveri arnesi.
Quindi in altra tela appariva il Salvatore fra le dispute de' Dottori, interpretando le divine Scritture, ia Vergine e Giuseppe che, racquetato il pianto, si rallegravano per la ritrovata loro speme.
Seguì ancora Jacopo a dipingere altri avvenimenti dolorosi di Maria, allorché Cristo dovendo per lo riscatto del genere umano andar alla morte, chinatp dinanzi alla Madre sua, veniva da quella benedetto, e in que’ due volti dolenti tentò il pittore di spiegare i materni ed i figliali affetti.
Dipinse appresso come Giovanni recava la dolente novella alla Vergine, che! suo Figliuolo era stato preso nell’orto e condotto al Pretorio d'Anna e di Caifasso, per lo che cadeva tramortita in braccio alle sorelle. E nel seguente quadro fece il Salvatore condotto al monte Calvario col pesante legno in ispalla, accelerandogli il cammino co' pugni e calci i crudeli ministri, e da lungi lo seguivano le pietose Marie.
Indi vedevasi in croce vicino allo spirar l'anima, raccomandando la Madre al diletto Giovanni; eravi un manigoldo che preparava la spugna; altri giocavano le vesti a' dadi, ed alcuni lo stavano beffeggiando.
Per compimento di quell'istorie ritrasse il Redentore risorto trionfante dal monumento, che appariva alla Madre col glorioso drappello de' santi Padri; e nell'ultimo luogo aveva figurata la medesima Regina del cielo, dopo il lungo pellegrinaggio della vita, assunta al cielo, coronata dall'eterno Padre e dal Figliuolo con diadema di gloria.
Tali furono le opere da Jacopo dipinte in quella sala, servendogli i figliuoli d'alcun aiuto; ma già non ebbe parte alcuna ne' quadri de' miracoli della croce, come vuole il Vasari, che furono dipinti nell'altra sala per altre mani, e da Gentile.»

La testimonianza di Ridolfi "per sentito dire" con le aggiunte in abbellimento – probabilmente sue – va considerata con qualche attenzione e riserva. Soprattutto a confronto con i dipinti sopravvissuti e proposti come appartenenti al ciclo originario. Inusuali sono i due episodi citati come susseguenti alla Fuga in Egitto (la Vita in Egitto e il Ritorno dall'Egitto), altrimenti non noti. Non è dato sapere da chi dipenda la confusione nel ricordare Gioacchino intento a scrivere il nome della figlia, evento invece normalmente riferito a Zaccaria alla nascita di Giovanni, e in ogni caso nessuna figura maschile è presente nell'affollata Natività di Maria di Torino[58]. Così sono anche assenti gli angioletti gaudenti nell'Annunciazione e nell'Adorazione dei Magi – che sostituisce o integra la Natività di Gesù citata dallo scrittore – così pure mancano le colombe narrate nella Presentazione al Tempio. E d'altra parte Ridolfi non riferisce di altri due dipinti invece pervenutici: l'Incontro alla Porta Aurea e le Nozze di Cana (quest'ultimo di attribuzione piuttosto dubbia).

Rimane comunque un ipotesi, per quanto valida e suggerita anche da Roberto Longhi[59], che i nove dipinti pervenutici siano effettivamente quelli realizzati per la Scuola. La tecnica (tempera su tela) e le dimensioni (120x160 cm circa) sono omogenee. Ugualmente la serie, sebbene manifesti diffusamente l'intervento di mani diverse, rivela una ricerca di omogeneità attribuibile solo alla direzione di Jacopo e alla disponibilità nel lavoro di gruppo degli degli aiuti[60]. Il gruppo di tele pervenne nelle mani del pittore Natale Schiavoni probabilmente negli anni venti dell'Ottocento. quando il mercato veneziano erano disponibili una gran quantità di opere confiscate a scuole e conventi. Schiavoni asseriva fossero provenienti dalla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista ed era sufficientemente anziano per averle potute vedere in situ. Di quelle passate per successione al nipote Francesco Canella, anche lui pittore, due vennero vendute alla Galleria Sabauda e due all'editore Ferdinando Ongania che le rivendette al collezionista Roger Fry nel 1902 e dopo svariati passaggi di proprietà oggi appartengono al mercante newyorkese Stanley Moss le altre. Più misteriosi sono i passaggi delle altre cinque tele note, oggi di proprietà privata, registrate nel 1882 nella collezione dello scozzese William Graham ma non figuravano nell'asta Christie, Manson & Woods del 1888 con cui dopo ia morte di Graham la sua collezione fu disperse nel mercato antiquario[61].

Le tele torinesi risultano solo parsimoniosamente restaurate e presentano ancora carenze e segni del tempo, di quelle finite in mano privata è difficile valutare quanto siano state restaurate e integrate e quali siano le manomissioni – sia quelle più antiche certamente dovute alla successiva bottega di Gentile, sia quelle eventualmente più recenti – e quindi resta dubbia anche l'attribuzione al maestro e/o alla bottega.

Il ciclo dei Miracoli della Croce[modifica | modifica wikitesto]

Senz'altro il gruppo più rilevante e famoso è costituito dalla serie dei Miracoli della Croce realizzati da Gentile Bellini e in parte da pittori associati alla sua bottega. A questi si aggiunsero anche Carpaccio e il Perugino quest'ultimo con un'opera oggi perduta. Le opere poterono essere commissionate grazie alla concessione del Consiglio dei Dieci per l'iscrizione alla scuola di ulteriori 50 confratelli, concessione richiesta e accordata due volte nel 1495 e nel 1501[62]. Sulla disposizione originaria è possibile soltanto fare delle supposizioni; originariamente nella Sala della Croce, i dipinti furono spostati più volte ed alcuni tagliati per lasciar posto a nuove aperture di porte. Dal 1820 l'intera serie sopravvissuta è passata alle Gallerie dell'Accademia. ed esposti in un'unica sala nel 1947[63].

Gentile Bellini, Processione della Croce in piazza san Marco,

È soltanto in base a questi tre dipinti Gentile che è possibile oggi valutare l'effettivo spessore di Gentile Bellini: oltre a questi di lui restano soltanto alcuni dipinti di complessità decisamente inferiore, mentre l'estesa serie dipinta per il Palazzo Ducale perì nell'incendio del 0000 e l'ultima sua opera paragonabile a queste, la Predica di san Marco, rimasta incompleta alla sua morte dovette essere finita dal fratello Giovanni[64].

La Processione della Croce in piazza San Marco, quasi un'anticipazione del vedutismo settecentesco[65], è interessante anche da un punto documentario. Oltre a descriverci com'era storicamente una processione per la ricorrenza del patrono della città, con tutte le confraternite schierate – e qui ovviamente focalizzata sulla Scuola di San Giovanni Evangelista che al centro portano la reliquia della croce sotto un baldacchino – ci documenta la decorazione musiva della facciata della basilica prima dei rifacimenti, la policromie e doratura della Porta della Carta, l'antica pavimentazione a mattoni interrotta da lunghe liste di pietra bianca (fu sostituita dal Tirali con la configurazione attuale soltanto nel 1723). La tela ricorda specificatamente l'avvenimento del 25 aprile 1444, allorché il mercante bresciano Jacopo de' Salis pregò la reliquia affinché guarisse il figlio da una grave ferita[66].

Gentile Bellini, Miracolo della reliquia della Croce al ponte di San Lorenzo, 1500

Altrettanto documentaria è la tela del Miracolo della Croce al ponte di San Lorenzo, con i palazzi affrescati e l'antico ponte a tre archi del convento di San Lorenzo. La raffigurazione racconto di un prodigio accaduto tra il 1370 e il 1382: la croce, per qualche accidente, cadde in acqua dal ponte ma sfuggiva dalle mani di qulli che si erano tuffati per ripescarla e potè essere raccolta solo da Andrea Vendramin, guardian grande della Scuola. Sul lato basso della tela sono alcuni testimoni eccellenti inginocchiati: a sinistra Caterina Corner con il suo seguito di dame, a destra la famiglia Bellini (identificati nell'ordine nel capostipite Jacopo, il nipote Lorenzo, il genero Andrea Mantegna, Giovanni e Gentile). Ma forse invece questo secondo gruppo rappresenta alcuni componenti maschili della famiglia Corner[67].

Gentile Bellini, Guarigione miracolosa di Pietro De' Ludovici, 1501

La Guarigione Miracolosa di Pietro de' Ludovici ci racconta come il devoto fosse guarito da una perniciosa febbre quartana toccando una candela che era stata vicino alla reliquia. L'avvenimento è rappresentato all'interno di una chiesa, probabilmente quella di San Giovanni Evangelista. Anche il trittico sull'altare ricorda quello riprodotto da Lazzaro Bastiani nell'altra descrizione della chiesa di questa stessa serie. La composizione pare derivi da un disegno del padre Jacopo (libro di disegni del British Museum), esistono tuttavia alcuni studi schizzati da Gentile per il tabernacolo ed il ciborio (Graphische Sammlung, Monaco). Sebbene i più collochino il dipinto nel 1501, quindi ultimo tra quelli di mano di Gentile, Giovanni Battista Cavalcaselle ne suggeriva l'anticipazione di qualche anno a causa di alcune ingenuità[68].

Vittore Carpaccio, Miracolo dell Croce a Rialto (1496)

Il Miracolo della reliquia della Croce a Rialto di Vittore Carpaccio, datato 1496 e quindi uno dei primi della serie, narra la guarigione miracolosa di un indemoniato ad opera del patriarca di Grado per intercessione della reliquia. Nel 1544, ascoltate le osservazioni del «prudente messer Tizian pictor», ne fu tagliato via un pezzo in basso a sinistra per consentire l'apertura verso la Sala dell'Albergo nuova. Venne poi malamente rappezzato. Carpaccio, chiamato nell'impresa dopo il successo delle Storie di sant'Orsola, si dedica all'impresa con la sua tipica indole descrittiva. Si riconosce così, dietro al palco/loggia dove avviene il miracolo, lo scorcio dell'antico palazzo del patriarca di Grado con il suo lungo finestrato e la merlatura simili all'attuale fontego dei Turchi altrimenti noto soltanto attraverso la mappa del De' Barbari. Carpaccio si spinge nell'accurata descrizione dei costumi e degli usi dipingendo il pullulare di gondole padronali nel canale e l'affollato gruppo della compagnia de calza mischiata ai confratelli sulla riva ma anche il più prosaicamente. lungo le mura di destra, l'insegna della locanda dello Sturion, e sopra i panni stesi ad asciugare. Al centro della metà a destra è il ponte di Rialto, ancora in legno, com'era prima del crollo e della ricostruzione. Altro documento è la situazione del Fontego dei Tedeschi prima dell'incendio che portò all'attuale edificio cinquecentesco. E tra i tipici comignoli a cono svettano i campanili di Santi Apostoli e San Giovanni Crisostomo nelle loro primitive configurazioni[69].

Giovanni Mansuei, Miracolo della Croce in Campo San Lio, 1496 circa

Il Miracolo della Croce in Campo San Lio di Giovanni Mansueti narra l'episodio accaduto durante i funerali di un confratello poco devoto alla reliquia quando, improvvisamente, la croce divenne pesantissima e intrasportabile se non dal pio parroco a cui dovette essere consegnata per poter introdurla nella chiesa. Decisamente meno brillante delle altre opere nell'insistita rappresentazione delle rigide figure alle finestre e sui tetti manifesta comunque l'influsso di Gentile ed una certa simpatia per i modi di Carpaccio. Il pittore comunque ci tenne a firmare l'opera dichiarandosi pienamente discepolo del Bellini: lo si legge nel cartiglio retto dall'uomo a destra, quello che porta la mano al cappello come in segno di saluto, forse un autoritratto. È abbastanza certo che il dipinto fu eseguito interpretando liberamente un disegno preliminare di Gentile, forse quello conservato agli Uffizi. Sono da segnalare il curioso pavone appollaiato sul saliente della chiesa e sotto, appiccicato verso lo spigolo, l'ancor più curioso cartellino che recita «casa da fitar ducati 5»[70].

Giovanni Mansueti, Miracolosa guarigione della figlia di Benvegnudo de San Polo, 1501

Più maturo l'altro dipinto del Mansueti, la Miracolosa guarigione della figlia di Benvegnudo da San Polo eseguito cinque anni dopo. In passato, nonostante la corretta attribuzione del Ridolfi, era stato considerato opera di Lazzaro Bastiani, ora è universalmente assegnato al Mansueti. Si tratta probabilmente di uno dei dipinti eseguiti dopo la concessione da parte del Consiglio dei Dieci nel 1502 per l'iscrizione di altri cinquanta confratelli. La secna narra l'evento della improvvisa guarigione della bambina da un'infermità di cui soffriva già dalla nascita grazie al tocco di tre candeline che il padre, confratello della Scuola, aveva avvicinato alla reliquia. A fianco della fede belliniana dell'autore l'opera rileva un forte suggestione per i lavori del Carpaccio. Nonostante alcune rigidità nelle figure, l'ambientazione all'interno di un portico accuratamente descritto negli arredi e nei dettagli architettonici, la spazialità dei ritagli di paesaggio visibili attraverso le finestre e la vivacità dei costumi rendono la tela decisamente gradevole e interessante[71].

Lazzaro Bastiani, Offerta della reliquia della Croce alla Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, 1496 circa

Particolarmente interessante per la descrizione dell'antica configurazione della Scuola e della chiesa di San Govanni Evangelista è il dipinto di Lazzaro Bastiani Offerta della reliquia della Santa Croce ai confratelli della Scuola di San Giovanni Evangelista. In questo caso non viene ricordato un miracolo ma si raffigura la consegna della reliquia da parte di Philippe de Meziéres, fatto altrettanto fondamentale per la Scuola. L'esecuzione puntigliosa ci presenta com'era la facciata della chiesa con il suo ampio portico terrazzato ora tutti coperti dalla ricostruzione dell'ospizio Badoer. In lontananza sono visibili edifici ora completamente ristrutturati e il campanile di San Stin con la sua cuspide a pigna attorniata da quattro gugliette a edicola, ora demolito assieme alla chiesa.

Benedetto Diana, Miracolo della reliquia della Croce, 1501 circa

A sinistra dietro al portico è visibile un'ampia porzione del setto d'entrata nel cortile della scuola: in questo caso l'artista ce lo presenta liberamente, non spoglio ma identico a come è visibile dall'esterno e con gli angeli adoranti ancora alati. Subito a sinistra si alza un corpo della scuola, quello che ospita la Sala della Croce con le raffinate finestre ad arco inflesso ma ovviamente senza le lunette della superfetazione barocca. Andando ancora più a sinistra è visibile il corpo corrispondente alla sala capitolare prima della ristrutturazione del Codussi ma già con degli oculi tondi sopra le finestre gotiche. La presenza di tracce di queste aperture, frutto di una soprelevazione effettuata nel 1495, è stata rilevata durante i restauri di fine Novecento. Dettaglio stabilisce una data post quem per l'esecuzione del dipinto. Che conferma le ipotesi di collocarne la datazione tra il 1996 e il 1500, periodo in cui il pittore allontanatosi dai modi muranesi e padovani si approssimò all'espressività di Gentile rimanendo comunque meno fantasioso e con qualche durezza di disegno[72].

Il soggetto del Miracolo della reliquia della Santa Croce di Benedetto Diana ci è noto grazie la Descrizione dei dipinti della scuola del 1787. Si tratta della guarigione del figlio del funzionario pubblico Alvise Finetti, precipitato da una finestra il 10 marzo 1480. Nella letteratura precedente, al di là delle valutazioni talvolta positive (come nel libro dello Zanetti del 1771), il tema rimaneva piuttosto incerto suggerendo anche il tema dell'elemosina poco attinente al resto del ciclo. Sicuramente si tratta della opera più tarda della serie, collocabile verso la dine del primo decennio del Cinquecento. Confermata dall'impostazione stilistica più "moderna" data dal pittore che, da allievo di Lazzaro Bastiani e vicino ai modi di Giovanni Bellini, qui appare anche lui coinvolto nelle suggestioni di Giorgione (soprattutto nell'abito e nella postura del personaggio in piedi a destra) o quantomeno del Lotto. L'ambientazione appare di pura fantasia, sebbene impegnata nella rappresentazione di uno spazio. Il dipinto risulta evidentemente tagliato e resta difficile capire di quali parti sia mutilo: mancano sicuramente buona parte delle rappresentazioni architettoniche e i numerosi ritratti e figure che ricordati dal Boschini nel 1664[73].

Tiziano Vecellio e bottega: il soffitto della Sala dell'Albergo nuovo[modifica | modifica wikitesto]

Tiziano Vecellio, San Giovanni Evangelista a Patmos, Washington, National Gallery of Art

Nel 1541 la Scuola iniziò i lavori di costruzione per una nuova Sala dell'Albergo che vennero conclusi nel 1544. Successivamente fu incaricato Tiziano per la decorazione del soffitto sul tema apocalittico San Giovanni Evangelista a Patmos. Il maestro li eseguì con l'aiuto della sua bottega riservando alla propria mano il pannello centrale lasciando forse solo parzialmente agli aiuti i numerosi pannelli disposti intorno a quadrato. Sicuramente l'esecuzione fu successiva a quella del soffitto per Santo Spirito in Isola (ora nella sagrestia della basilica della Salute) ma la datazione precisa rimane incerta: la critica tende a collocare ambedue i cicli dopo il soggiorno romano dell'artista (1545-1546) e probabilmente anche dopo il viaggio ad Augsburg (1547) spostando l'esecuzione dei primo soffitto al 1549-1550 e quello della Scuola ai primi anni '50 del Cinquecento[74].

Nel 1806 Pietro Edwards decise di assegnare i dipinti del soffitto alle Gallerie dell'Accademia e senza molte remore la struttura a cassettoni dorata che incorniciava le tavole venne demolita. Il dipinto centrale di Tiziano, fu giudicato «composizione spiritosissima di cui non rimane altro che una miserabile traccia, essendone stato prima distrutto e poscia vitupervolmente rifatto» e ancora «rovinatissimo e corroso dagli anni» e si decise di scambiarlo con una Deposizione di Bartolomeo Schedoni. Dapprima, nel 1818, fu acquistato da un collezionista torinese alla fine dll'Ottocento venne segnalato, nella stessa città, nelle disponibilità del conte d'Arache, poi se ne persero le tracce fino al 1954 quando la Fondazione Kress lo acquistò da Alessandro Contini Bonacossi per poi donarlo alla National Gallery di Washington. Soltanto le tavole che erano poste a contorno rimangono, non esposte, alle gallerie veneziane. Tutte tranne una tavoletta con una coppia di cherubini, andata perduta[75].

La tela centrale ricorda la visione di Giovanni, esiliato da Domiziano a Patmos, che lo portò a scrivere il libro dell'Apocalisse: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese[76]». O più precisamente, come proposto da Panofsky[77], l'esatto momento in cui «udii dietro di me una voce potente, come di tromba, […] mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava»[78]. Giovanni è rappresentato di scorcio, come se stesse sulla cima di un monte assieme alla sua aquila, ma non con l'esatta visione che si avrebbe da terra bensì leggermente rialzata e arretrata in modo di avere una prospettiva immaginifica ma realistica e pienamente leggibile. Un espediente di compromesso che aveva già sperimentato per Santo Spirito e che diverrà una caratteristica delle pitture veneziane a soffitto. Molti hanno messo rappresentazione della figura dell'evangelista in relazione con quella dipinta dal Correggio assieme agli altri apostoli sul tamburo della cupola del duomo di Parma, opera sicuramente osservata direttamente da Tiziano nel 1543 (e precedente irrinunciabile nella prospettiva da sotto in su); altri hanno osservato la somiglianza della postura con quella del Padre Eterno nel riquadro della Separazione della luce dalle tenebre di Michelangelo alla Sistina o con il Momo della Sala dei Giganti di Giulio Romano e ancora con la Niobe del più giovane Tintoretto per il palazzo Pisani a San Paternian (ora alla Galleria Estense). Il dipinto, a partire da Francesco Sansovino, venne sempre storicamente attribuito a Tiziano, soltanto la figura del Padre Eterno, peraltro in una posizione della tela lesionata, pare ripassata da un seguace[79].

Tiziano Vecellio e aiuti, Simbolo di san Marco Evangelista, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Tiziano Vecellio e aiuti, Simbolo di san Matteo Evangelista, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Tiziano Vecellio e aiuti, Simbolo di san Luca Evangelista, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Tiziano Vecellio e aiuti, Simbolo di san Giovanni Evangelista, Venezia, Gallerie dell'Accademia

Nelle tavole a contorno Tiziano rinuncia gli effetti prospettici utilizzando il metodo dei cosiddetti «quadri riportati» più tipico del primo cinquecento. Si suppone però che l'intenzione fosse quella di creare un forte contrasto con il pannello centrale in modo da farlo apparire come uno sfondamento dello spazio limitato dal soffitto[80].

La differenza nell'esecuzione tra le tavole, e all'interno delle singole composizioni, p.e. nelle immagini dei simboli evangelici e nei putti o negli ignudi, fa pensare a qualche intervento diretto e correttivo di Tiziano sui lavori degli aiuti[81].

Non ci sono pervenute tracce della disposizione delle tavole né dell'incorniciatura. Di quest'ultima è impossibile tentare una ricostruzione teorica, tuttalpiù si è tentato proporne l'ideazione al Vecellio e immaginare che gli intagli contenessero richiami ai concetti dipinti, ma non essendovi alcuna traccia nelle scritture della scuola si rimane nel campo celle suggestioni. Invece per la disposizione sono state proposte almeno un paio di ipotesi. Secondo una ricostruzione presentata in occasione della mostra tizianesca del 1990 al centro dei lati del perimetro quadrato erano disposte le tavole con i simboli dei quattro evangelisti, affiancate ognuna da tavolette con una o due teste di cherubino e agli angoli erano quattro mascheroni con sembianze di satiro; al di fuori di questo perimetro e centrate a croce sui quattro lati erano quattro maschere con sembianze femminili[82].

Resta tema di ipotesi anche il senso piuttosto criptico di questi dipinti in relazione al tema apocalittico. Indubbiamente i simboli degli evangelisti corrispondono agli «quattro esseri viventi» della visione di Giovanni[83], le anfore dorate tenute dagli ignudi accanto ai simboli di Luca e Marco potebbero riferirsi alle «coppe d'oro colme dell'ira di Dio»[84]. Altrettanto plausibile è la scelta dei putti a contrasto con le teste di satiro per rappresentare la lotta tra il bene e il male, cosi come le quattro teste femminili (due con espressione serena e due sofferente) potrebbero rappresentare la lotta tra la città di Dio e la terrestre Babilonia[85].

Bisognerà attendere una trentina d'anni prima che Palma il Giovane si occupasse di integrare la tematica apocalittica della sala con le tele ancora presenti in situ.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Le scritture della Scuola riferiscono indifferentemente entrambe le date, più spesso il 1301: cfr Humphrey 2015, p. 155 n. 2. Da qui le discrepanze tra gli storici moderni Simeone in Scuole 2009, p. 37 riprende il 1301 già esposto in Giuseppe Marino Urbani De Gheltoff, Guida storico-artistica della Scuola di San Giovanni Evangelista in Venezia, Venezia, 1895; Filippo Pedrocco in Scuole 1981 p. 48 e Annalisa Perissa in Scuole di Arti Mestieri e Devozione, p. 84 preferiscono il 1307.
  2. ^ Filippo Pedrocco in Scuole 1981 p. 48 e Annalisa Perissa in Scuole di Arti Mestieri e Devozione, pp. 84-85.
  3. ^ Humphrey 2015, p. 35.
  4. ^ Humphrey 2015, p. 89.
  5. ^ Humphrey 2015, p. 98.
  6. ^ Simeone in Scuole 2009, p. 41.
  7. ^ Simeone in Scuole 2009, p. 42.
  8. ^ San Zuane è la versione veneziana di San Giovanni.
  9. ^ Scuole di Arti Mestieri e Devozione, pp. 86, 88.
  10. ^ Joseph Hammond, Five Jacopo Bellinis: the lives of Christ and the Virgin at the Scuola Grande di S. Giovanni Evangelista, Venice, in The Burlington Magazine, CLVIII, agosto 2016, pp. 601-609.
  11. ^ Brian Pullan in Scuole 1981 p. 10.
  12. ^ Huse-Wolters 1986, p. 29.
  13. ^ a b Filippo Pedrocco in Scuole 1981 p. 48.
  14. ^ Decreto Decreto concernente l'avocazione al Demanio de' beni delle Abbazie e Commende di qualunque ordine straniero, non che di quelli delle Scuole, Confraternite e simili consorzi laicali (n. 47 - 25 aprile 1806), su Bollettino delle leggi del Regno d'Italia, parte I, dal 1 Gennajo al 30 aprile 1806, pp. 367-368. URL consultato il 22 giugno 2019.
  15. ^ Filippo Pedrocco in Scuole 1981 p. 49.
  16. ^ Campostrini in Scuole 2009, p. 51.
  17. ^ Dante Luigi Cardani in Mariegola 2003, p. 10; Campostrini in Scuole 2009, p. 52.
  18. ^ a b Concina 2006, pp. 351 segg.
  19. ^ Huse-Wolters 1986, p. 119.
  20. ^ Huse-Wolters 1986, p. 117.
  21. ^ Andrea Guerra in I Lombardo 2006, p. 101.
  22. ^ Oggi ormai le due figure angeliche hanno perduto le ali. Ali ben visibili nella Offerta della reliquia della Croce ai confratelli della Scuola di San Giovanni Evangelista di Lazzaro Bastiani ora all'Accademia.
  23. ^ Spinazzi 2005, p. 60.
  24. ^ Spinazzi 2005, p. 59.
  25. ^ Wolters 2007, p. 63.
  26. ^ Huse-Wolters 1986, pp. 121-122.
  27. ^ Huse-Wolters 1986, p. 122.
  28. ^ Massari 1971, pp. 48-49.
  29. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 65.
  30. ^ Massari 1971, pp. 49-50.
  31. ^ Cfr. Wolfgang Wolters in Pavimenti barocchi 2019, pp. 24-25.
  32. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 61.
  33. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, pp. 60-61.
  34. ^ a b Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 62.
  35. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 60.
  36. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 62.
  37. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 64.
  38. ^ Favilla-Rugolo 2015, p. 140.
  39. ^ Arte e architettura, su Scuola Grande di San Giovanni Evangelista. URL consultato il 2 ottobre 2020.
  40. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, pp. 64-66.
  41. ^ Favilla-Rugolo 2015, p. 142.
  42. ^ Mauro Minardi, Giovanni da Bologna, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2001. URL consultato il 19 ottobre 2020.
  43. ^ Giordana Mariani Canova in Humphrey 2015, pp. 12-13.
  44. ^ Humphrey 2015, p. 70.
  45. ^ Humphrey 2015, p. 65.
  46. ^ Humphrey 2015, pp. 99-100.
  47. ^ Humphrey 2014, p. 321.
  48. ^ Humphrey 2015, pp. 242-244, 326.
  49. ^ Humphrey 2015, pp. 243-244.
  50. ^ Pieno resoconto è presentato nella scheda relativa a questa mariegola nel volume pubblicato in italiano (v, Humphrey 2015, pp. 323-328) e nell'intervento pubblicato in inglese l'anno precedente (v. Humphrey 2014, pp. 319-334); ma la studiosa aveva già anticipato le sue ipotesi nella sua tesi di dottorato nel 2007 (Humphrey, The Illumination of Confraternity and Guild Statutes in Venice, ca 1260-1500: Mariegola Production, Iconography, and Use, Appendice B, cat. 10.1-2).
  51. ^ Humphrey 2015, p. 326; le pubblicazioni citate sono Pompeo Gherardo Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata: Dalle origini alla caduta della Repubblica, Bergamo, 1905. e Giulio Lorenzetti, La "Scuola Grande" di S. Giovanni Evangelista a Venezia, Vebezia, 1929.
  52. ^ Comunicato stampa del Comando Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale (PDF), su Beni Culturali, 19 aprile 2017. URL consultato il 30 settembre 2020.
  53. ^ (EN) Boston Public Library Repatriates Historical Artifacts to Italy, su Boston Public Library. URL consultato il 30 settembre 2020.
  54. ^ (EN) ICE HSI and Boston Public Library return cultural artifacts to Italy, su U.S. Immigration and Customs Enforcement. URL consultato il 30 settembre 2020.
  55. ^ Humphrey 2015, pp. 240-241.
  56. ^ Humphrey 2015, pp. 244-245.
  57. ^ Giordana Mariani Canova citata in Humphrey 2015, p. 327.
  58. ^ Hammond 2016, p. 606.
  59. ^ Hammond 2016, pp. 608-609 n. 28, 30, 31.
  60. ^ Hammond 2016, p. 601.
  61. ^ Hammond 2016, p. 609.
  62. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 52.
  63. ^ Scirè Nepi 1991, p. 102.
  64. ^ Terisio Pignatti in Scuole 1981, p. 41.
  65. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 53.
  66. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 52; Scirè Nepi 1991, p. 102.
  67. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 54; Scirè Nepi 1991, p. 106.
  68. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 56; Scirè Nepi 1991, p. 108.
  69. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 57; Scirè Nepi 1991, p. 118.
  70. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 58; Scirè Nepi 1991, p. 112.
  71. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, pp. 58-59; Scirè Nepi 1991, p. 116.
  72. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 59; Scirè Nepi 1991, p. 110.
  73. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 60; Scirè Nepi 1991, p. 117.
  74. ^ Humfrey 2019. pp. 3-5.
  75. ^ Elisabetta Martinelli Pedrocco e Annalisa Scarpa Sonino in Scuole 1981, p. 66; invece la prima citazione di Edwards è tratta da Sandra Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia di Venezia, Vol. 2: Opere d’arte del secolo XVI, Venezia, 1962, p. 262.
  76. ^ Ap. 1:11
  77. ^ Erwin Panofsky, Problems in Titian, Mostly Iconographic, Londra, 1969, p. 36, citato in Humfrey 2019, p. 3, 7 n. 7.
  78. ^ Ap.1:10, 12
  79. ^ Robert Echols in Tiziano 1990, pp. 272, 274.
  80. ^ Robert Echols in Tiziano 1990, p. 274.
  81. ^ Silvia Gramigna Dian in Tiziano 1990, p. 276.
  82. ^ Silvia Gramigna Dian in Tiziano 1990, p. 276; ipotesi di ricostruzione p. 273.
  83. ^ Ap. 4:6-7.
  84. ^ Ap. 15:7.
  85. ^ Silvia Gramigna Dian in Tiziano 1990, p. 278; Humfrey 2019. p. 3.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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