Diomede: differenze tra le versioni

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== Il mito ==
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=== Diomede eroe della giustizia ===
=== Diomede eroe della giustizia ===
La stirpe di Diomede regnava su [[Calidone]], ma il nonno [[Oineo|Eneo]] era stato spodestato da un usurpatore. Diomede così nacque in [[esilio]], ad [[Argo (Grecia)|Argo]]. Rimase orfano sotto le mura di [[Tebe (Grecia)|Tebe]], città posta sotto assedio per riportare sul suo trono il legittimo regnante.
La stirpe di Diomede regnava su [[Calidone]], ma il nonno [[Oineo|Eneo]] fu poi spodestato da un usurpatore. Diomede così nacque in [[esilio]], ad [[Argo (Grecia)|Argo]]. Rimase orfano sotto le mura di [[Tebe (Grecia)|Tebe]], città posta sotto assedio per riportare sul suo trono il legittimo regnante.


Diomede passò la giovinezza ad allenarsi nell'arte della [[guerra]] insieme ai sei figli degli altri comandanti morti a Tebe, nel desiderio di vendicare la morte del padre, di ridare il trono a suo nonno e di far trionfare così la giustizia. Una volta adulti, Diomede e i suoi compagni furono i sette [[Epigoni]]: indissero la seconda guerra contro Tebe e la vinsero. Durante la guerra però morì il re di Argo.
Diomede passò la giovinezza ad allenarsi nell'arte della [[guerra]] insieme ai sei figli degli altri comandanti morti a Tebe, nel desiderio di vendicare la morte del padre, di ridare il trono a suo nonno e di far trionfare così la giustizia. Una volta adulti, Diomede e i suoi compagni furono i sette [[Epigoni]]: indissero la seconda guerra contro Tebe e la vinsero. Durante la guerra però morì il re di Argo.

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Diomede, copia romana da un'originale greca attribuita a Cresila (circa 440-30 a.C.), Gliptoteca di Monaco

Diomede (in Lingua greca antica Διομήδης, Diomēdēs) è un personaggio della mitologia greca. Figlio di Tideo e di Deipile, fu uno dei principali eroi achei della guerra degli Epigoni e della Guerra di Troia. Oltre all'importanza come guerriero, Diomede assume un ruolo rilevante come diffusore della civiltà, specie nell'Adriatico.

Da non confondersi con l'omonimo Diomede figlio di Ares.

Il mito

Diomede eroe della giustizia

La stirpe di Diomede regnava su Calidone, ma il nonno Eneo fu poi spodestato da un usurpatore. Diomede così nacque in esilio, ad Argo. Rimase orfano sotto le mura di Tebe, città posta sotto assedio per riportare sul suo trono il legittimo regnante.

Diomede passò la giovinezza ad allenarsi nell'arte della guerra insieme ai sei figli degli altri comandanti morti a Tebe, nel desiderio di vendicare la morte del padre, di ridare il trono a suo nonno e di far trionfare così la giustizia. Una volta adulti, Diomede e i suoi compagni furono i sette Epigoni: indissero la seconda guerra contro Tebe e la vinsero. Durante la guerra però morì il re di Argo.

Dopo aver combattuto sotto le mura di Tebe, Diomede volle anche ridare il trono a suo nonno Eneo. S'infiltrò silenziosamente ad Argo e, assieme ad Alcmeone, uccise quattro figli di Agrio, usurpatori del trono. Tersite e Onchesto sfuggirono alla strage e si rifugiarono nel Peloponneso. Agrio stesso, espulso dal regno, si tolse la vita. Diomede offrì poi il regno ad Andremone, marito di Gorga. Ad Argo Diomede si sposò con Egialea, la figlia ormai orfana del re, e diventò così sovrano della città. Avrebbe voluto governare in pace e dedicarsi alle gioie familiari ma ben presto dovette partire per la guerra di Troia.

Diomede guerriero acheo a Troia

Ulisse e Diomede sottraggono il Palladio. Oinochoe apula da Reggio Calabria (360-350 a.C.). Museo del Louvre

Diomede era protetto dalla dea Atena. Omero afferma che, durante le battaglie, Diomede era simile ad un torrente in piena, che tutto travolge. Come è raccontato nell'Iliade, in particolare nel libro V, Diomede compì molte gesta eroiche, uccidendo diversi guerrieri, tra cui i fratelli Xanto e Toone, l'arciere Pandaro e Dreso. Memorabile il suo duello con Enea: l'eroe troiano stava per essere ucciso da Diomede quando apparve Afrodite a proteggere suo figlio. Diomede, senza alcun riguardo, ferì la dea ad una mano. Ares corse in aiuto di Afrodite, che riuscì in tal modo a fuggire col suo carro sull'Olimpo. Il corpo di Enea venne allora protetto e portato in salvo da Apollo, che apostrofò Diomede con queste parole: “Tu, mortale, non tentare il confronto con gli dei!”. Diomede si scontrò quindi con Ares e lo ferì al ventre: il dio dovette uscire dalla battaglia e rifugiarsi sull'Olimpo dove verrà curato dal medico degli dei, Panèon.[1].

Diomede non era però solo furia e impeto: egli diede nel pieno della lotta un'altissima prova di lealtà e di spirito cavalleresco: fu poco prima di intraprendere il duello con Glauco, il nobile di Licia, che si batteva a fianco dei Troiani. È questo uno degli episodi più toccanti dell'Iliade: dopo aver chiesto al nemico il suo nome, Diomede si rese conto che l'uomo che aveva di fronte era legato da un antico vincolo di amicizia e di ospitalità con la propria famiglia. Gettò allora la spada a terra e i due nemici, anziché scontrarsi, si strinsero la mano e si scambiarono le armi, secondo consuetudine. Glauco, preso dall'entusiasmo del gesto e noncurante del loro valore, scambiò le sue armi d'oro con armi di bronzo, pari al valore di cento buoi per nove buoi[2].

Assecondò spesso Ulisse, quando si trattò di condurre trattative delicate (sia presso Agamennone che presso Achille), e con lui compì varie imprese pericolose, tra le quali il furto del Palladio (la statua da cui dipendevano le sorti di Troia), e l'incursione notturna nell'accampamento del giovane re tracio Reso, che Diomede colpì con la spada mentre dormiva. Narra Omero che il sonno di Reso, famoso russatore, fu quella notte più rumoroso che mai, essendogli apparso in sogno il suo assassino.

Dopo la caduta di Troia

Dopo che Troia fu conquistata, Diomede viaggiò per tornare ad Argo, con una veloce navigazione favorita da Afrodite, desiderosa di accelerare il ritorno dell'eroe in patria, dove aveva intenzione di vendicarsi dell'offesa subita durante la guerra[3].

Secondo una variante del mito, invece, una tempesta suscitata da Afrodite, sempre per vendicare l'offesa subita, spinse Diomede sulle coste della Licia: qui fu sul punto di essere sacrificato ad Ares dal re Lico, che voleva vendicare la morte di Sarpedone caduto a Troia, ma poté salvarsi per l'intervento di Calliroe, figlia del re, che lo aiutò a ripartire. Secondo alcune fonti Diomede sarebbe poi sbarcato per errore ad Atene, e qui avrebbe perso il Palladio, finito nelle mani di Demofonte.

Arrivato ad Argo, Diomede ebbe un'amara sorpresa: né sua moglie Egialea, né i suoi sudditi lo ricordavano più, in quanto Afrodite aveva cancellato il ricordo di Diomede dalla loro memoria. Secondo una variante del mito, Egialea, ispirata dalla dea, tradì Diomede con Comete, il giovane figlio di Stenelo, e gli tese molti agguati.

Diomede eroe della civilizzazione

La statua è in marmo bianco purissimo e rappresenta Diomede. Diomede è presentato qui con poca barba sulle sole guance, appena percettibile al tatto. Ha capelli ricci, corti. Il suo sguardo guarda lontano, nell'infinito forse. Quest'espressione enigmatica, ma allo stesso tempo pensosa riflette le sue imprese. In quest'opera sta rubando il Palladio, che però non si è conservato con l'opera. Sul suo busto si può scorgere anche una veste tipica dei Greci, ma anche dei senatori romani. Infatti l'opera è una copia romana del II o III secolo dopo Cristo ed è stata copiata dall'originale greco, che era naturalmente in bronzo, del V secolo prima di Cristo. Attualmente il busto è collocato all'interno della collezione del cardinale Richelieu esposta nel Museo del Louvre dal 1801. È collocata nel Museo nel 'Dipartimento di antichità greca, etrusca e romana', al piano terra, stanza 10. Spero sia stata utile la mia descrizione.
Diomede mentre ruba il Palladio (oggi perduto). Marmo, copia romana del II-III secolo d.C. da un originale greco del V secolo a.C. Oggi conservata al Museo del Louvre.

Diomede decise di abbandonare la città, imbarcandosi per l'Italia insieme ai suoi compagni: Akmon, Lycus, Idas, Rexenor, Nycteus, Abas[4]. Dopo aver errato a lungo nel mare Adriatico si fermò in più porti insegnando alle popolazioni locali la navigazione e l'allevamento del cavallo. La diffusione della navigazione forse aveva l'intento di ottenere il perdono dalla dea nata dalla spuma del mare e considerata divinità della buona navigazione (Afrodite euplea). In ogni caso si realizza così una straordinaria trasformazione: da campione della guerra Diomede diventa l'eroe del mare e della diffusione della civiltà greca. Era infatti venerato come benefattore ad Ancona, città nella quale è nota la presenza di un suo tempio[5], a Pola, a Capo San Niccolò (in Dalmazia) [6], a Vasto, a Lucera e all'estremo limite dell'Adriatico: alle foci del Timavo[7]. In questi luoghi il culto di Diomede si era sovrapposto a quello del Signore degli Animali, un'antichissima divinità dei boschi.

La caratteristica di civilizzatore viene rafforzata dalla fondazione di molte città italiane, tra cui Vasto (Histonium) Andria, Brindisi, Benevento, Argiripa (Arpi) presso l'attuale Foggia, Siponto[8] presso l'attuale Manfredonia, Canusio (Canosa di Puglia), Equo Tutico (Ariano Irpino), Drione (San Severo), Venafrum (Venafro) e infine Venusìa (Venosa). La fondazione di quest'ultima città, come lo stesso toponimo (da Venus) ricorda, coincide con il perdono ottenuto da Afrodite, in seguito al quale si stabilì in Italia meridionale e si sposò con una donna del popolo dei Dauni: Evippe.

Stretto fu il rapporto tra l'eroe e la Daunia. Il primo contatto con questa terra si ebbe con l'approdo alle isole che da lui avrebbero preso il nome di Insulae Diomedee (le isole Tremiti). Sbarcò quindi nell'odierna zona di Rodi, sul Gargano alla ricerca di un terreno più fecondo e si spostò a sud dove incontrò i Dauni, che prendevano il nome dal loro re eponimo, Dauno, figlio di Licaone e fratello di Enotro, Peucezio e Japige.

Diomede si guadagnò le simpatie di Dauno il re che "pauper aquae agrestium regnavit populorum" e dopo avergli prestato valido aiuto nella guerra contro i Messapi, per il suo alto valore militare - victor Gargani - ebbe in sposa la figlia Evippe (secondo alcuni si chiamava Drionna, secondo altri Ecania) ed in dote parte della Puglia - "dotalia arva"-, i cosiddetti campi diomedei, "in divisione regni quam cum Dauno". Fu allora che fondò Siponto, detta così dal nome greco sipius, a motivo delle seppie sbalzate sulla riva da onde gigantesche[9].

Virgilio nell'Eneide ci racconta che i Latini e i Rutuli, bisognosi di alleati per scacciare Enea dalla loro terra, chiedono aiuto a Diomede, ricordando i trascorsi tra i due eroi. Diomede, però sorprende gli ambasciatori a lui pervenuti, rifiutando di combattere il suo antico nemico ed anzi invocando la pace tra i popoli[10]. Secondo il poema latino, Diomede non è genero di Dauno, che è invece padre di Turno, il re dei Rutuli.

Una spiaggia delle Isole Tremiti, l'isola di San Nicola, fu il luogo della sua sepoltura, e i suoi compagni vennero trasformati da Afrodite in grandi uccelli marini, le diomedee, allo scopo di bagnare sempre la tomba dell'eroe.[11]

Diomede nella Divina Commedia

Dante Alighieri (Inferno - Canto ventiseiesimo) colloca Diomede nell'VIII bolgia dell'VIII cerchio, quella dei consiglieri fraudolenti, che in vita agirono con inganno e di nascosto e quindi la loro pena nell'inferno sarà quella di essere celati dalle fiamme alla vista altrui. Egli infatti si trova avvolto in una fiamma a due capi insieme ad Ulisse, poiché proprio con lui andò nottetempo a rubare il Palladio, la statua di Atena protettrice della città di Troia.

Vittime di Diomede

  1. Fegeo - Figlio di Darete (libro V, 17-19)
  2. Astinoo - (libro V, 144-147)
  3. Ipeirone - (libro V, 144-147)
  4. Abante - Figlio di Euridamante (libro V, 148-151)
  5. Paliido - Figlio di Euridamante (libro V, 148-151)
  6. Xanto - Figlio di Fenope (libro V, 152-158)
  7. Toone - Figlio di Fenope (libro V, 152-158)
  8. Cromio - Figlio di Priamo (libro V, 159-165)
  9. Echemmone - Figlio di Priamo (libro V, 159-165)
  10. Pandaro - Figlio di Licaone, abile arciere (libro V, 290-296)
  11. Assilo - Figlio di Teutra, proveniente da Arisbe (libro VI, 12-19)
  12. Calesio - Auriga e scudiero di Assilo (libro VI, 17-19)
  13. Eniopeo - Figlio di Tebeo (libro VIII, 118-123)
  14. Dolone - Araldo troiano, figlio di Eumede (libro X, 455-459)
  15. Reso - Re dei Traci, figlio di Eioneo (libro X, 482-497)
  16. Adrasto - Re di Adrastea, figlio di Merope l'indovino (libro XI, 328-334)
  17. Anfio - Re di Pitiea, fratello del precedente (libro XI, 328-334)
  18. Timbreo - Re asiatico (libro XI)
  19. Agastrofo - Eroe, figlio di Peone (libro XI)
  20. Agelao - Figlio di Fradmone (libro VIII)

Diomede uccise 20 dei 362 nemici ammazzati dai Greci[12], cui vanno aggiunti i 12 guerrieri traci agli ordini di Reso colpiti nel sonno insieme al loro signore[13]; quindi in totale 32.

Note

  1. ^ Libro V, 792-845
  2. ^ Questo paragone del valore rispetto al bestiame ci fa capire come non fosse presente un sistema di commercio basato sulla moneta, ma fosse in vigore il baratto. Libro VI, 119-236
  3. ^ Augusto M. Funari, Le colonne d'Ercole. 20 piccole canzoni di sogni e di miti del mondo, Augusto Funari, 2007(pagina 44)
  4. ^ I nomi dei compagni di Diomede ci sono noti grazie ad Ovidio, che li elenca nel 14 libro delle Metamorfosi; vedi David Ansell Slater, Lactantius, Lactantius Placidus, Towards a Text of the Metamorphosis of Ovid, Clarendon Press, 1927 (pagina 162)
  5. ^ Scilace, Periplo 16 f
  6. ^ Detto anticamente promunturium Diomedis; in lingua croata è chiamato Kap Planka
  7. ^ Dette anticamente Caput Adriae
  8. ^ A tal proposito nel libro VI della Geografia di Strabone, il geografo storico fine conoscitore del territorio dauno, viene anche affermato che Siponto "a Diomede greco conditum".
  9. ^ Secondo Dionisio Petavio la fondazione di Siponto risale al 1182 a.C. - più di quattro secoli prima della fondazione di Roma. Il calcolo cronologico della fondazione di Siponto, desunto dall'opera del citato autore, comunque oscilla tra il 1184 e il 1182 a.C..
  10. ^ Virgilio, Eneide, 11° libro
  11. ^ Questo mito è ripreso nel romanzo storico Le paludi di Hesperia dell'archeologo Valerio Massimo Manfredi.
  12. ^ Igino, Fabulae, 114
  13. ^ Omero, Iliade, libro X, 482-495

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