Derafsh Kaviani

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Il Derafsh Kaviani

Il Derafsh Kaviani ((FA) دِرَفشِ کاویانی - Drafš-e Kāvīān) era uno stendardo che veniva utilizzato dai re Sasanidi; è anche chiamato lo "Stendardo di Jamshid" (Drafš-ī Jamshid), lo "Stendardo di Farīdūn" (Drafš-ī Freydun) oppure anche lo "Stendardo Reale" (Drafš-ī Kayi).

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il leggendario vessillo dell'Iran era costituito da una lunga fascia rettangolare di cuoio, atta a ricordare il grembiule da fabbro di Kāveh, il mitico eroe della mitologia persiana che capeggiò la rivolta contro il demone tiranno Zahāk[1].

Il racconto epico del X secolo, lo Shāh-Nāmeh, vuole che Kāveh usasse il suo grembiule come stendardo, per rassemblare il popolo. Dopo la sconfitta del tiranno, il popolo decorò il grembiule con gioielli e fece dell'improvvisato stendardo, il simbolo della resistenza.

Firdūsī cita il grembiule di cuoio come il simbolo dell'indipendenza iraniana e dello spirito di resistenza delle masse di fronte agli invasori stranieri. La bandiera era decorata di fasce di seta gialla, magenta e rosso scarlatto.

Significato[modifica | modifica wikitesto]

Il nome Drafš-e Kāvīān vuole dire "lo stendardo dei re" in pahlavi, oppure "di Kāveh"[2].

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Dinastia achemenide (559-323 a.C.)[modifica | modifica wikitesto]

Nell'Impero achemenide, sotto Ciro II, la bandiera imperiale persiana era di forma rettangolare e divisa in quattro triangoli uguali. I triangoli erano due a due dello stesso colore, ma lo stendardo ufficiale era lo Derafsh Kaviani[senza fonte].

Dinastia sasanide (224-651)[modifica | modifica wikitesto]

Nell'Impero sasanide, la bandiera era ancora di cuoio e di forma rettangolare, ornata di gioielli, con una stella a quattro punte centrale. Questa stella è chiamata Akhtare Kaviani (la stella di Kaviani) nello Shāh-Nāmeh. Alla fine del periodo sasanide, il Derafsh Kaviani venne elevato a stendardo delle dinastie sasanidi[2] e dell'Impero ariano (Ērānšāhr); si tratta quindi della prima bandiera nazionale iraniana[3].

A seguito della conquista islamica della Persia, lo stendardo sasanide venne preso da tale Zerar bin Katta[2], che per esso ricevette 30 000 dinari. Una volta in possesso dello stendardo, il califfo Umar ne fece rimuovere i gioielli prima di bruciarlo.[2]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ E. W. West, Sad Dar, Kessinger Publishing, 2004, p. 50, ISBN 978-1-4191-4578-0.
  2. ^ a b c d Djalal Khaleghi-Motlagh, Derafš-e Kāvīān, vol. 7, Encyclopedia Iranica, 1996.
  3. ^ (EN) Josef Wiesehofer, Ancient Persia, New York, I.B. Tauris, 1996.

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