Coordinate: 40°40′44.07″N 14°32′16.55″E

Chiesa di Santa Maria dell'Assunta

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Chiesa di Santa Maria dell'Assunta
Facciata esterna
StatoItalia (bandiera) Italia
RegioneCampania
LocalitàGragnano
Coordinate40°40′44.07″N 14°32′16.55″E
Religionecattolica
TitolareMaria Assunta
Arcidiocesi Sorrento-Castellammare di Stabia
Stile architettonicoRomanico e Gotico
Inizio costruzioneX secolo

La chiesa di Santa Maria dell'Assunta è una chiesa monumentale di Gragnano, situata nella frazione di Castello; nel 1927 è stata dichiarata monumento nazionale[1].

L'interno

Sono due le ipotesi sull'origine della chiesa: la prima fa risalire la sua fondazione al X secolo, in concomitanza della costruzione del castello di Gragnano, voluto dagli amalfitani per proteggere il loro ducato[2]. La chiesa quindi si rese necessaria per avere un luogo di culto all'interno del borgo fortificato, ma che allo stesso tempo veniva utilizzata anche come arcipretura[3]; altri studiosi ritengono invece sia stata costruita tra il V ed il VI secolo[2]. La chiesa divenne in poco tempo punto focale della zona, sia come centro religioso che economico, tanto che nel 1567 il cardinale D'Aragona ne chiese l'elevazione a vescovado, richiesta che poi non fu mai accolta[1]. Negli stessi anni subì notevoli lavori di ampliamento: venne realizzata una scalinata, grazie all'abbattimento del maschio del castello, che la collegava direttamente alla piazza principale del borgo, fu costruito il campanile e le decorazioni interne cambiarono dal gotico romananico al barocco[2].

Nel 1731 papa Clemente XII trasformò la chiesa in collegiata, qualificata con il titolo di insignis, attributo che le conferiva diversi privilegi, come la presenza di un arciprete e la possibilità di partecipare alla Messa Conventuale[1]: la collegiata, nel 1840, fu spostata nella chiesa del Corpus Domini[3] ed definitivamente soppressa tra il 1979 e il 1980. Nel 1927 lavori di restauro interessarono il nartece, nel quale fu riaperto il varco centrale ed ampliati i due laterali, così come era il suo aspetto originario[2]: il 26 luglio dello stesso anno la chiesa fu dichiarata monumento nazionale; altro restauro si è avuto a seguito del terremoto del 1980 che arrecò notevoli danni alla struttura[1].

Il trittico e la tela dell'altare maggiore

L'accesso alla chiesa avviene con una scalinata realizzata in pietra vesuviana che porta direttamente al patio[2], caratterizzato da un nartece, al quale si accede tramite tre archi di tipo arabo siculo: caratteristico l'arco centrale, realizzato in tufo grigio, decorato con teste di gatto e sormontato, nella chiave, da un'edicola in marmo bianco dove è raffigurata la Madonna col Bambino, due angeli e l'Eterno Padre: l'edicola è stata posta in una zona dove fino al 1925 era dipinto un affresco dell'Assunta, gravemente danneggiato[1]. Intorno all'edicola sono posti quattro frammenti triangolari di vetro policromo amalfitano: due decorati con onde stilizzate e due con disegni di stelle. Il portico presenta una volta a crociera, mentre sul muro che da l'ingresso alla chiesa sono disposte quattro lastre tombali dedicate agli arcipreti che si avvicendarono tra il XIV ed il XVI secolo: si tratta di lastre del 1330 appartenuta a Pietro Lonbogobardo, del 1346 a Jacob Marino, del 1498 a Sansone Arcucci e del 1528 a Alfonso de Marinis; tuttavia la maggior parte delle altre lastre tombali sono andate perdute[1].

L'interno è diviso in tre navate mediante otto colonne[2]: questo sono tutte diverse l'una dall'altra e realizzate o in porfido o in granito o cipollino verde o statuario bianco, sono tutte lisce, eccetto una, che presenta ventiquattro scanalature. Tutti diversi anche i capitelli, in ordine sia corinzio, che dorico, romanico o ionico; dalle colonne, senza architrave, partono archi in stile arabo-siculo[1]. La navata centrale presenta una volta a botte, decorata con stucchi[2]. La chiesa, leggermente in pendenza, presenta sotto il pavimento varie tombe, dove venivano sepolti sia persone del popolo che sacerdoti: grazie al rifacimento della pavimentazione nel 1963, è stato possibile fare un'accurata esplorazione, scoprendo che le tombe erano profonde dai quattro ai cinque metri e che, quelle per il popolo contenevano ossa ammassate fino alla sommità, mentre quelle dei nobili e sacerdoti, contenevano casse, alcune delle quali, a causa del passare del tempo aperte, al cui interno si poteva notare scarpe appuntite, cappelli in feltro e vestiti in stoffa rossa[1].

Dopo aver superato il portale d'ingresso, sulla sinistra, è posto il battistero: si presenta con una base rettangolare rivestita di marmi e maioliche, dalla quale si alzano quattro colonne, di cui una sola tortile, di circa un metro e trenta, che sostengono un arco a tutto sesto, sotto il quale è posta la vasca battesimale, risalente al 1592; caratteristici i capitelli delle colonne, formate da foglie e pomi, dipinti in oro[1]. Sul lato destro è invece un'acquasantiera, di un metro di diametro, realizzata in marmo bianco, decorata con petali e scanalature e sorretta da una colonna, abbellite con foglie acquatiche, che termina su un capitello capovolto: l'altezza totale è di un metro e venti centimetri. Struttura simile a questa si trova nella sagrestia e veniva utilizzata dal prete prima di celebrare le funzioni religiose: il lavabo mediceo risale al 1592 e presenta una vasca simile ad una conchiglia, che poggia su di una colonna di tipo romanica[1].

Sull'altare maggiore è posto un trittico, raffigurante la Madonna, San Pietro e San Paolo, opera della scuola napoletana e risalente alla metà del XVI secolo: la Madonna, con manto azzurro, è raffigurata con il bambino tra le braccia su di un fondo dorato, utilizzato come cornice e retto da putti; ai piedi della Vergine, in ginocchio, è raffigurato l'arciprete Loisius Sicardus, committente del dipinto. Sul lato sinistro del trittico è disegnato San Pietro con le chiavi e le lettere, mentre sul lato destro, San Paolo, con la spada e le lettere[1]. Al di sopra del trittico è la tela dell'Assunta, commissionata dallo stesso Loisius Sicardus quando fece realizzate il trittico: è di scuola napoletana e raffigura Maria assunta, in un manto verde, nell'atto di pregare e salire verso il cielo; ai suoi piedi gli apostoli, che guardano il sepolcro, all'interno del quale fiorisce un roseto[1].

Pezzo dell'ambone romanico

La chiesa era sicuramente dotata di un ambone, posto originariamente tra la terza e la quarta colonna, ma a seguito dei lavori di ristrutturazione, nel XVIII secolo, fu smontato per essere ricostruito sull'altare maggiore: ritenuto ingombrante fu diviso in più parti e sparso per la chiesa; la parte centrale, che raffigurava la Rivelazione Divina, fu messa in una torre del castello, trasformandolo in un piccolo tempietto: da tutti, questa sorta di statua, era erroneamente conosciuta come Santo Mamozio[1]. In seguito fu poi riportata in chiesa ed utilizzata come lettorile: si tratta di un altorilievo, in stile romanico, risalente al XII secolo e raffigura, dall'alto verso l'alto, un serpente, simbolo della cultura cosmica, un uomo vestito da guerriero nell'atto di stringere il serpente, simbolo di materia e spirito e l'aquila che afferra con i suoi artigli il capo dell'uomo, offrendogli la possibilità di diventare figlio di Dio; sulle ali dell'aquila, il Vangelo di San Giovanni[1].

Tra le varie opere presenti nella chiesa, diverse statue: la statua di Sant'Antonio risale sicuramente a prima del XVII secolo ed era posta originariamente nella cappella della congrega della Pietà, nella piazza antistante la chiesa; la statua lignea della Pietà, copia di una simile, esposta nel museo di Capodimonte, risalente al XVIII secolo; la statua dell'Assunta, del XVIII secolo, ha mani e capo in legno, con veri capelli e busto in stoffa con ricami in oro: è nell'atto di guardare verso il cielo, con le braccia aperte; la statua del Rosario, molto simile a quella dell'Assunta; la statua dell'Addolorata è del XVIII secolo, con mani e volto in legno e testa coperta da un velo: il petto è trafitto da una spada; la statua del Sacro Cuore risale al XX secolo, è in gesso ed è dipinta in bianco con il manto rosso. Notevole anche la tela del Santissimo Rosario, posta sopra l'ingresso principale, risalente al XVIII secolo, ma alquanto danneggiata dall'umidità: posta in una cornice di legno dorato, raffigura la Madonna, alla quale gli angeli reggono la corona, nell'atto di porgere il rosario a San Domenico e Gesù bambino a Santa Caterina[1].

Il campanile, costruito tra la fine del XV secolo e l'inizio del XVI secolo, è in stile romanico e moresco, è a pianta quadrata, su due livelli, con cupola a base ottagonale, realizzata in tufo e rivestita da maioliche di colore giallo: sulla sommità è posta una croce in ferro battuto con una banderuola. Il primo piano è contrassegnato da due monofore ed un bifora, mentre il secondo piano, che ospita la cella campanaria, possiede una monofora e tre bifore; la campana fu fusa alla fine del XVI secolo ed è in bronzo[1]. Accanto alla chiesa si trova la casa dell'arciprete, composta da due complessi: uno romanico, con volte a botte, caratterizzato da tre stanze ed una cisterna e un altro, con soffitto a travi in legno di castagno, rifatto nel XVI secolo, per volere dell'arciprete Ascanio de' Medici, e formato da sette stanze che si aprono lungo un corridoio con colonne decorate a stucco, di cui solo due agibili: caratteristico un forno ricavato all'inizio del corridoio e un'edicola che riporta lo stemma dei Medici[1].

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q Storia e descrizione della chiesa di Santa Maria dell'Assunta (PDF) [collegamento interrotto], su centroculturalegragnano.it. URL consultato il 4 aprile 2012.
  2. ^ a b c d e f g Cenni storici sulla chiesa di Santa Maria dell'Assunta, su sit.provincia.napoli.it. URL consultato il 13 maggio 2021 (archiviato dall'url originale il 13 aprile 2013).
  3. ^ a b Le chiese di Gragnano, su comune.gragnano.na.it. URL consultato il 4 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 18 febbraio 2012).
  • Luigi Ferraro, La Chiesa di S.Maria dell’Assunta e il Borgo Medievale di Castello a Gragnano, Castellammare di Stabia, Longobardi Editore, 2000, ISBN 88-8090-150-8.

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