Alfredo Sforzini

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Alfredo Sforzini
NascitaVellano, 11 febbraio 1914
MorteCavour, 21 dicembre 1943
Cause della morteimpiccagione
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Forza armata Regio Esercito
ArmaCavalleria
CorpoCavalleggeri di Monferrato (Reggimento Esplorante Corazzato)
RepartoReggimento "Cavalleggeri di Monferrato" (13º)
Anni di servizio1935-1943
GradoSottotenente
GuerreSeconda guerra mondiale
CampagneInvasione della Jugoslavia
Decorazionivedi qui
dati tratti da Ritratto di Alfredo Sforzini[1]
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Alfredo Sforzini (Vellano, 11 febbraio 1914Cavour, 21 dicembre 1943) è stato un militare e partigiano italiano, decorato con la Medaglia d'oro al valor militare alla memoria durante la seconda guerra mondiale.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nacque a Vellano,[1] frazione di Pescia,[1] l’11 febbraio 1914, all’interno di una modesta famiglia di lavoratori.[2] Il 7 aprile 1935[1] viene chiamato a prestare servizio militare di leva in seno al Regio Esercito, venendo congedato nel 1936.[2] Fu richiamato in servizio all’entrata in guerra del Regno d'Italia, avvenuta il 10 giugno 1940, viene assegnato al 25° Settore della Guardia alla frontiera (G.a.F.).[2] Prese successivamente parte all’invasione della Jugoslavia[2] e poi fu assegnato al Reggimento "Cavalleggeri del Monferrato". La proclamazione dell’armistizio dell'8 settembre 1943 lo trova acquartierato a Cavour, in Piemonte, con il suo reparto, dove presta servizio come furiere.[3] Quando si sperse la voce che stavano arrivando i tedeschi, si diede alla macchia insieme al comandante Pompeo Colajanni (nome di battaglia Nicola Barbato)[3] andando a costituire la IV Brigata partigiana "Garibaldi" che operava nella zona del Monte Bracco,[1] in Val Montuoso.

Divenuto responsabile del Servizio Informazioni,[1] fu arrestato in seguito a una delazione[3] mentre si trovava presso la locanda "La Verna Nuova" di Cavour.[2] Trasferito a Saluzzo, fu pesantemente torturato nel tentativo di estorcergli informazioni utili.[1] Non tradendo i propri compagni è condannato a morte per impiccagione.[1] Riportato a Cavour a bordo di un autocarro per essere impiccato, quando quest’ultimo si arrestò all'angolo tra piazza Statuto e via Pinerolo[2] perché fosse eseguita la sentenza, con le proprie mani si mise il capestro al collo e gridando "Viva la libertà!"[2] si gettò da patibolo.[1] Il suo corpo, su precisa disposizione del comando tedesco, venne lasciato lì appeso per quarantotto ore,[3] con un cartello al collo sul quale vi era scritto: "Così finisce chi spara ad un tedesco". Per il coraggio dimostrato fu insignito della Medaglia d'oro al valor militare[4] alla memoria e promosso postumo al grado di sottotenente.[4]

Il nome di Sforzini fu assunto dalla IV Brigata Garibaldi di cui aveva militato e, dopo la fine della guerra il Consiglio comunale di Cavour gli intitolò la piazza principale della cittadina.[4] Anche a la città di Livorno ne ha onorato la memoria intitolandogli una piazza. Nella frazione di Castelvecchio (nel ex comune di Vellano) paese natale di Alfredo Sforzini gli è stata in titolata una via, mentre nella città di Pescia una Passerella pedonale sul torrente omonimo

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Soldato carrista, all’atto dell’armistizio,anziché arrendersi ai tedeschi passò alla lotta partigiana raccogliendo intorno a sé numerosi compagni accorsi per combattere. Fu organizzatore infaticabile e capo ardimentoso e primo fra i primi in ogni audacia, finché, per delazione e per tradimento, cadde nelle mani del nemico. Riconosciuto per la sua fama, ebbe addosso sbirri di ogni genere che si illudevano di estorcergli rivelazioni con le torture cui lo sottoposero. Ma seppe tacere. Fu condannato a morire di corda. Con le proprie mani si pose il capestro attorno al collo e dopo aver ringraziato Dio di avergli dato la forza di non parlare si lanciò nel vuoto dall’autocarro che costituiva l’improvvisato palco del sacrificio. Mirabile esempio di quanto possa lo spirito umano quando la fede lo sorregge. Cavour, 21 dicembre 1943.[5]»

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Marziano Brignoli, Cavalleria a Voghera. I Reggimenti di guernigione a Voghera dal 1859 al 1943., Voghera, Società Cooperativa Editoriale Oltrepò, 2007.
  • Ivana Comolli, Mai più guerre: Il grido sommesso di quarantatre testimonianze, Milano, Lampi di Stampa, 2013, ISBN 8-84881-479-4.
  • Giovanni De Luna, La Resistenza perfetta, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2016, ISBN 8-85882-609-4.
  • Vincenzo Modica, Dalla Sicilia al Piemonte: storia di un comandante partigiano, Milano, Franco Angeli Editore s.r.l., 2002, ISBN 8-84643-901-5.

Periodici[modifica | modifica wikitesto]

  • Dario Poggio, Ritratto di Alfredo Sforzini, in Vocepinerolese, Pinerolo, gennaio 2017, p. 12.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]