Classe Nembo

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Classe Nembo
Zeffiro
Descrizione generale
Tipocacciatorpediniere
Numero unità6
CantierePattison - Napoli
Impostazione1899
Varo1901
Completamento1902
Caratteristiche generali
Dislocamento330 t (normale),
360 t (pieno carico)
Stazza lorda/ tsl
Lunghezza63,4 m
Larghezza5,9 m
Pescaggio2,1 m
Propulsione3 caldaie, 2 motrici alternative, 2 eliche; potenza: 5.200 SHP
Velocità30 nodi (55,56 km/h)
Autonomia2200 mn a nodi 9, 90 tonn. di carbone (60 tonn. di nafta dal 1908-1910)
Equipaggio55
Armamento
Artiglieria5 cannoni da 57/43 mm.
Siluri4 tubi lanciasiluri da 356 mm
dati tratti da[1]
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La classe Nembo è stata una classe di cacciatorpediniere della Regia Marina.

Storia e progetto[modifica | modifica wikitesto]

Derivati dai cacciatorpediniere inglesi "27 knotters", i Nembo furono completati nei Cantieri Pattison di Napoli fra il 1902 ed il 1905. Costituirono la terza classe di cacciatorpediniere della Regia Marina[2].

Fra il 1908 ed il 1910 furono sottoposti ad un radicale rimodernamento; i bruciatori delle caldaie furono convertiti da carbone a nafta e l'armamento sostituito con 4 pezzi da 76/40 e due tubi lancia siluri da 450 mm. Anche il profilo subì un notevole cambiamento: i due bassi e tozzi fumaioli esistenti furono rimpiazzati da tre fumaioli più alti e affusolati[2].

Fra il 1914 ed il 1918 tutte le unità furono attrezzate per poter trasportare e posare mine. Parteciparono attivamente alla prima guerra mondiale in Adriatico, subendo la perdita di tre unità[2].

Nel primo dopoguerra le unità superstiti furono modificate con l'eliminazione di un fumaiolo e l'arretramento della plancia; nel 1921 furono declassate a torpediniere. Furono demolite tra il 1923 ed il 1924[3].

Unità[modifica | modifica wikitesto]

Nembo[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Nembo (cacciatorpediniere 1902).

Impostato nel 1899, fu varato nel 1901 e completato l'anno successivo[2].

Il 16 ottobre 1916, mentre navigava da Valona a Santi Quaranta scortando il piroscafo Bormida, fu silurato dal sommergibile austroungarico U. 16 e, spezzatosi in due, affondò rapidamente. Scomparvero in mare 32 dei 55 uomini dell'equipaggio, fra cui il comandante Russo, il comandante in seconda t.v. Ceccarelli ed il direttore di macchina ten. Meoli. Anche l'U. 16, però, riportò nell'attacco danni tali da dover essere abbandonato e affondare[4].

Aquilone[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Aquilone (cacciatorpediniere 1903).

Impostato nel 1899 e varato nel 1902, fu ultimato nel 1903[5].

Prese parte alle operazioni belliche in Adriatico nella prima guerra mondiale. Fu demolito nel 1923[5].

Borea[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Borea (cacciatorpediniere 1903).

Impostato nel 1899, fu varato nel 1902 ed entrò in servizio l'anno seguente[6].

Il 14 maggio 1917, mentre scortava da Gallipoli a Valona un convoglio formato dai piroscafi Bersagliere, Carroccio e Verità, fu attaccato dai cacciatorpediniere austroungarici Csepel e Balaton. Tentò di reagire ma il primo colpo colpì una condotta del vapore immobilizzando la nave, mentre i due successivi aprirono falle all'altezza della linea di galleggiamento. Colpito ancora e sbandato, affondò alle 5.20 (il combattimento era iniziato verso le 3.30). Fra l'equipaggio si ebbero 11 morti e 12 feriti[7].

Espero[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Espero (cacciatorpediniere 1904).

Varato nel 1904 fu completato nel 1905[8].

L'8 dicembre 1920 raggiunse Fiume ponendosi agli ordini di D'Annunzio ed entrando a far parte della Marina della Reggenza del Carnaro[9]. Ritornato poi nelle mani della Regia Marina, fu ribattezzato Turbine il 16 gennaio 1921[9] e demolito due anni più tardi[8].

Turbine[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Turbine (cacciatorpediniere 1902).

Impostato nel 1899, fu varato nel 1901 e la costruzione terminò nel 1902[10].

Il 24 maggio 1915, verso le 4.30, attaccò l'esploratore austro-ungarico Helgoland impegnato a far fuoco contro Barletta e contro il gemello Aquilone. Il piano del comandante, c.c. Bianchi, era di attirare l'Helgoland lontano dalla costa, senza impegnarlo in uno scontro a fuoco (il Turbine superava infatti l'Helgoland in velocità, ma era inferiore nell'armamento). Alle 5.48, tuttavia, fu attaccato anche dai cacciatorpediniere Tatra e Csepel, superiori sia in armamento che in velocità. Fu danneggiato ma riuscì a sua volta a danneggiare lo Csepel; dovette però soccombere all'arrivo del Lika, un altro cacciatorpediniere. Colpito in sala macchine ed in timoniera, fu abbandonato dall'equipaggio e affondò alle 6.51. Su 53 uomini si ebbero 10 morti e 32 prigionieri (compreso il comandante Bianchi), mentre i rimanenti 9 uomini furono tratti in salvo dall'incrociatore ausiliario Città di Siracusa[11].

Il Turbine fu la prima unità militare italiana perduta nel primo conflitto mondiale.

Zeffiro[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Zeffiro (cacciatorpediniere 1905).

Varato nel 1904, fu ultimato nel 1905[3].

Durante la prima guerra mondiale si distinse in varie operazioni di forzamento di porti nemici.

Il primo forzamento avvenne nelle prime ore del 24 maggio 1915. Lo Zeffiro, al comando del c.c. Arturo Ciano (fratello di Costanzo Ciano), penetrò le difese militari austriache di Porto Buso (laguna di Grado) e aprì il fuoco contro la stazione di vedetta e le caserme del presidio, danneggiando gli edifici, affondando vari motoscafi all'ormeggio e costringendo la guarnigione alla resa. Rientrò poi a Venezia con 48 prigionieri[12].

Il secondo forzamento avvenne il 12 giugno 1916. Lo Zeffiro era comandato da Costanzo Ciano e imbarcava come pilota Nazario Sauro. Il cacciatorpediniere penetrò nel porto di Parenzo e catturò un gendarme austriaco, ottenendo informazioni riguardo all'esistenza di un hangar (che era l'obiettivo della missione). Dopo aver bombardato e danneggiato l'hangar, lo Zeffiro si allontanò subendo anche l'attacco di alcuni idrovolanti (che provocarono 4 morti ed alcuni feriti)[13][14].

Fu demolito nel 1924[3].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Cacciatorpediniere Nembo, su marina.difesa.it. URL consultato il 27 aprile 2014.
  2. ^ a b c d http://www.marina.difesa.it/storia/almanacco/parte05/navi0504.asp
  3. ^ a b c http://www.marina.difesa.it/storia/almanacco/parte05/Navi0504-05.asp
  4. ^ Franco Favre, La Marina nella Grande Guerra. Le operazioni navali, aeree, subacquee e terrestri in Adriatico, p. 156
  5. ^ a b http://www.marina.difesa.it/storia/almanacco/parte05/Navi0504-01.asp
  6. ^ http://www.marina.difesa.it/storia/almanacco/parte05/Navi0504-02.asp
  7. ^ Franco Favre, La Marina nella Grande Guerra. Le operazioni navali, aeree, subacquee e terrestri in Adriatico, pp. 201-202-204-209
  8. ^ a b http://www.marina.difesa.it/storia/almanacco/parte05/Navi0504-03.asp
  9. ^ a b Le navi italiane a Fiume 1918-1921 Archiviato il 5 novembre 2010 in Internet Archive.
  10. ^ http://www.marina.difesa.it/storia/almanacco/parte05/Navi0504-04.asp
  11. ^ Franco Favre, La Marina nella Grande Guerra. Le operazioni navali, aeree, subacquee e terrestri in Adriatico, pp. 101-102
  12. ^ Giorgio Giorgerini, Attacco dal mare. Storia dei mezzi d'assalto della Marina italiana, p. 36
  13. ^ Franco Favre, La Marina nella Grande Guerra. Le operazioni navali, aeree, subacquee e terrestri in Adriatico, pp. 129-130
  14. ^ Giorgio Giorgerini, Attacco dal mare. Storia dei mezzi d'assalto della Marina italiana, p. 37-38

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

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