Romagna toscana

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Romagna toscana
StatiBandiera dell'Italia Italia
RegioniBandiera della Toscana Toscana
Lingueitaliano (ufficiale), diffuso e parlato il romagnolo

La Romagna toscana o "Romagna fiorentina" è una regione storica dell'Italia centrosettentrionale, compresa nel versante padano dell'Appennino tosco-romagnolo, così chiamata perché geograficamente e culturalmente romagnola, ma storicamente governata, dalla fine del '400, da Firenze.

La cosiddetta Romagna Toscana comprendeva i Comuni di Bagno di Romagna, Dovadola, Galeata, Modigliana, Portico e San Benedetto, Premilcuore, Rocca San Casciano, Santa Sofia, Sorbano, Castrocaro Terme e Terra del Sole, Tredozio, Verghereto, Firenzuola, Marradi, Palazzuolo sul Senio .

Oggi, la "Romagna toscana" non costituisce una regione amministrativa a sé, ma è confluita, in larga parte nel 1923, nell'Emilia-Romagna, nella provincia di Forlì, mentre alcuni comuni sono, amministrativamente, in Toscana, in provincia di Firenze (zona oggi conosciuta come Alto Mugello).

Della Romagna toscana sono originari anche personaggi storici di rilievo, come il generale dei Camaldolesi ed umanista Ambrogio Traversari, nato a Portico di Romagna, paese d'origine anche della famiglia Portinari, della famosa Beatrice di dantesca memoria.

La Romagna toscana

«La Romagna Toscana appartiene per diritto di conquista e per circoscrizione politica, criminale ed ecclesiastica, alla Toscana; ma per ragione geografica, per origine, per linguaggio, per costumanza e per naturale sviluppo e prosperità commerciale ed agricola alla Romagna, ossia al Circondario di Imola e alle Province di Ravenna e di Forlì

Il territorio è situato nella fascia pedemontana dell'entroterra romagnolo, fin dal '400 periferia della Repubblica Fiorentina, poi dominio del Granducato di Toscana fino al 1859 e, con l'Unità d'Italia, della provincia di Firenze fino al 4 marzo 1923, quando Benito Mussolini, che era nato a Predappio, nel forlivese, aggregò gli 11 comuni compresi nel Circondario di Rocca San Casciano (allora capoluogo della "Romagna Toscana") entrando a far parte della Provincia di Forlì, mentre quelli che cadevano sotto l'amministrazione circondariale di Firenze rimasero in Toscana. In questo modo il Duce fece nascere il Tevere, il fiume di Roma, nella sua zona natale [1].

i territori della Romagna toscana alla fine dell'ottocento quando ancora erano amministrativamente sotto il Granducato toscano

All'inizio del '900 nell'introduzione alla prima e più importante opera monografica dedicata alle "notizie geografiche, fisiche, storiche, industriali e commerciali"" de "La Romagna Toscana", l'autore, l'abate castrocarese Giovanni Mini, definisce correttamente che il territorio in questione è parte integrante di uno più ampio denominato appunto Romagna (dal latino Romània, Romanìola - territorio abitato dai Romani - dal provenzale Romandìola - piccola Romània). La prima e più importante descrizione geopolitica dei territori romagnoli compare nel 1371 nella Descriptio Romandiole del cardinale Anglic de Grimoard, fratello del papa Urbano V. Da allora, la costruzione di un'immagine spaziale del territorio è affidata ad eruditi quali Flavio Biondo, Vincenzo Carrari, Leandro Alberti, autori di "storie patrie" nelle quali la Romagna è sostanzialmente identificata con la "Flaminia" dell'Esarcato di Ravenna (secc. VI-VIII).

I confini

Nel corso del tempo la Romagna non ha mai avuto una configurazione amministrativa autonoma e quindi confini propriamente detti, subendo quelli imposti da centri di potere esterni. Infatti, da un punto di vista geo-cartografico, il territorio rappresentato, fin dalle prime carte generali, dal XVI secolo all'unità d'Italia, rispecchia una situazione politica e di confini estremamente frammentaria e di divisioni amministrative costituite dal Ducato Estense, dalle Legazioni (di Bologna, Ferrara, Ravenna e Forlì) dello Stato Pontificio e dai comuni inclusi nel Granducato di Toscana.

Tra la fine dell'800 e i primi del '900, l'ambiente intellettuale, impegnato nella riscoperta delle identità locali, avvia un ampio dibattito culturale sui caratteri etno-antropologici romagnoli e sulla determinazione dei confini geografici pur consapevoli che «la Romagna non ha nella concezione dei vari autori nel passato, sia recente che remoto, una delimitazione netta e precisa». [2]

Nel 1894 Emilio Rosetti, ingegnere forlimpopolese, unisce al suo dizionario geografico-storico dedicato alla Romagna una carta che, per la prima volta, ne codifica i confini. «Questa regione con caratteri fisici ben definiti comprende attualmente quasi per intero le due province di Forlì e Ravenna con la Repubblica di San Marino e solo una parte delle province di Bologna, Firenze, Arezzo e Pesaro-Urbino ...». [3]

Nel 1912 Aldo Spallicci, utilizzando come «guida il dialetto parlato dalle singole frazioni», propone un territorio culturale e tradizionale più esteso rispetto a quello dal Rosetti «che ne limita al Reno il confine settentrionale» e introduce nuovi argomenti per delimitare la Romagna dichiarando che «questa debba essere compresa entro i limiti dell'antica Flaminia».

A metà del Novecento si pubblicano i primi contributi scientifici sulla questione regionale.

«La regione romagnola, così come è stata intesa dal Rosetti … ha, da due lati, dei confini fisici ineccepibili: la spiaggia dell'Adriatico, il crinale dell'Appennino. Dagli altri due lati la geologia disegna bene, con due fasce di terreni particolari, e con fatti tettonici di qualche rilievo, le linee che scendono dal Passo della Futa alla foce del Reno, e dal Monte Maggiore nell'Alpe della Luna allo sperone di Fiorenzuola di Focara …. [4]»

«La posizione astronomica dei punti estremi dei confini romagnoli ora disegnati è, in tal guisa: per il nord, la foce del fiume Reno a 44°373 lat. N.; per il sud, il monte Maggiore a 43°39' lat. N.; per l'est, le ripe di Fiorenzuola avanti a monte Trebbio a 0°23' long. E. monte Mario; e per l'ovest, l'elevazione a q. 952 che domina il valico della Futa, a 1°11' long o monte Mario. … i limiti romagnoli di cui si è data la descrizione non si identificano ad alcuna partizione politica» (Lucio Gambi Confini geografici e misurazione arede della regione romagnola in Studi Romagnoli a.1, 1950).

Sono questi gli anni in cui l'On. Aldo Spallicci, il maggior cultore della "romagnolità", durante l'Assemblea Costituente, avanza per la prima volta l'ipotesi di una regione romagnola autonoma e, sempre in quegli anni, Giannetto Malmerendi, per dimostrare l'identità romagnola, rappresenta una Romagna idealizzata e stereotipata fondata su "caratteri" iconografici e simbolici di matrice folkloristica. La variegata produzione cartografica avrà nel tempo un grande successo; ma l'insieme di rappresentazioni della Romagna continua ancora oggi ad avere «valore e funzione non altro che per coloro che studiano questa regione naturalisticamente o umanisticamente». [5]

Provinciae Florentiae in partibus Romandiolae

«Nei tempi remoti questa parte di Romagna fu abitata dai Liguri, dai Galli-Boi, dagli Umbri Sarsinatensi in parte, e dai Romani … Dopo l'imperio dei Galli, dei Romani e dei Barbari questa estensione di paese ... fu soggetta al dominio feudale dei conti rurali di Valbono, di Bleda, di Calboli, dei Pagani di Susinana, degli Ubertini di Arezzo, degli Ubaldini dell'Alpe, dei Conti Guidi di Modigliana, di Bagno e di Dovadola, dei Conti Pagani di Castrocaro, dei Conti di Sarsina, di Bertinoro ... finché cadde tutta sotta la dominazione della Fiorentina Repubblica … che non mancò di arti subdole, di estorsioni, di prepotenze guerresche e di molta vigilanza onde assicurarla intieramente al suo dominio … Al governo della repubblica venne sostituito quello dei Medici. (A. G. Mini. La Romagna Toscana, 1901

Tra la fine del '300 e l'inizio del '400, Firenze, grazie ad acquisti, conquiste militari e trasformazioni di rapporti di accomandigia in rapporti di sudditanza, penetra oltre il crinale appenninico sottraendo ai vari feudatari romagnoli il dominio territoriale degli alti bacini dei fiumi Marzeno, Montone, Bidente e Savio per il controllo delle vie di comunicazione per la Padania e l'Adriatico. L'espressione Provinciae Florentiae in partibus Romandiolae compare per la prima volta negli Statuti di Firenze nel 1415 configurando da subito un territorio con funzioni ammistritative proprie.

Di fronte ad una situazione particolarmente tesa come quella romagnola, in luogo dove conversa spesso copia di banditi e di persone pericolose e per dovere aver sempre l'occhio alla salute e al quieto et pacifico vivere in tutta la provincia di Romagna, Cosimo I de' Medici concentra i poteri giurisdizionali in capo a un funzionario di fiducia, scelto «a mano» e con continui rapporti personali, sul quale egli stesso esercita un controllo diretto.

Con una provvigione del 23 agosto 1542, il primo Granduca attua un riordino delle giurisdizioni romagnole attribuendo al Capitano di Castrocaro piena autorità e giurisdizione sopra la cognitione, decisione et condennatione di tutte le cause criminali che in futuro occorressino nelli Capitanati et Podesterie soprannominate. È questo il primo atto ufficiale che prefigura l'istituzione della "Provincia di Romagna". Pochi anni dopo, l'8 dicembre 1564 per volontà di Cosimo I, viene posata la prima pietra della città pianificata di Terra del Sole posta a difesa dei confini con lo Stato pontificio.

Dal 1° giugno 1579 con l'insediamento del primo "commissario granducale" (si succederanno nel tempo ben 144 Commissari, 7 Vicari regi e 13 Podestà) Terra del Sole diventa il centro amministrativo e giudiziario dell'intera provincia transappeninica fino alla riforma dei tribunali del 1772.

Nel 1776 con la "riforma leopoldina" la Provincia viene soppressa e suddivisa in Vicariati e Podesterie, nel 1784 viene trasferito il Tribunale criminale di prima istanza da Terra del Sole a Rocca San Casciano che diviene, dopo la breve parentesi napoleonica, sede circondariale.

Pur mantenendo caratteristiche istituzionali proprie, legate alla natura geografica montuosa, favorevole allo sviluppo di castelli dominanti ristretti contadi, di aggregati amministrativi lungo le valli, la "Romagna granducale" non sarà mai una vera e propria istituzione autonoma ma resterà sempre inserita nelle strutture amministrative generali dello Stato toscano [6] tant'è vero che perfino le relazioni cinquecentesce relative alle contese e alle visite sui confini del Granducato, minuziose ma fondate su punti relativamente fissi (casali, sentieri, alberi, massi, pietre di confine), non offrono il tracciato completo dei confini del Granducato rendendo impossibile una trascrizione cartografica precisa entro il paesaggio moderno e, nella tradizione della cartografia storica a stampa la Romagna granducale è «l'unica a non essere rappresentata in alcuna raffigurazione autonoma». [7]

«A ristorare la nostra regione cisapennina dei tanti mali che, durante la dinastia medicea, l'avevano fatta trista, successe quella degli Asburgo-Lorena … Coi decreti di Pietro Leopoldo furono cessate le Balie, nelle quali erano divisi i territori di Modigliana, di Tredozio, di Premilcuore, di Portico, di Rocca San Casciano, di Dovadola, di Terra del Sole e Castrocaro ecc., e furono riunite in 17 Comunità … Il trattato, però del 1815 distrusse il Circondario e lo disunì, togliendogli la sua unità amministrativa e giudiziaria ... (A. G. Mini. La Romagna Toscana, 1901])»

Nel 1776 fu abolita la provincia, ormai svuotata del suo significato, ma rimase il concetto geografico di un territorio piuttosto esteso, che arrivava a comprendere non solo la Romagna toscana propriamente detta, ma anche la parte toscana dell'Alta Valle del Tevere. Dalla fine del XVIII secolo, dunque, iniziano per le comunità locali nuove vicende storiche che le porteranno a vivere le lotte del risorgimento per l'Unità d'Italia e, nel primo ventennio del '900 a correggere l'ultima anomalia geografica dalle carte politico-amministrative della Toscana. Più duraturo il legame ecclesiastico tra la Romagna toscana e la regione amministrativa Toscana: solo nel 1975 i territori romagnoli della diocesi di Sansepolcro sono passati alle diocesi di Cesena e di Forlì, mentre ancora oggi la diocesi di Faenza-Modigliana comprende il territorio del comune di Marradi, in provincia di Firenze.

La Romagna granducale

«La Romagna Gran-Ducale è della forma d'un triangolo di figura a un di presso piramidale, di cui la base è formata dal crine dell'Alpi Toscane, andando l'apice a terminare circa tre miglia sopra Forlì, all'incontro dello Stradone Romano chiamato altrimenti la Via Flaminia. Questa provincia è irrigata da sette fiumi che sono il Lamone, l'Acerreta, il Marzeno, il Montone, il Rabbi o sia l'Acquaviva, il Ronco ed il Savio i quali tutti a linee parallele partendosi dall'Alpi Toscane proseguono direttamente il loro corso al levante, e quindi per lo Stato Papale mettono foce, chi uniti, chi separati, nel Mare Adriatico. Fra l'uno e l'altro dei riferiti fiumi è interposta una catena di monti che procedenti essi pure dall'Alpi vanno gradatamente declinando a finire in poca distanza divisata Via Flaminia. E Lungo i fiumi suddetti fra un monte e l'altro sono situate le Terre e i Castelli, e i Villaggi componenti la Provincia della Romagna»

Il capillare insediamento dei versanti romagnoli, documentano in articolare dalle mappe del Catasto toscano (1826-1834) e la profonda penetrazione, non solo politica ma anche culturale e artistica di Firenze in questo territorio, è ancora percepibile nelle espressioni architettoniche degli edifici (case torri, fattorie coi portici, torrette, ville padronali) e nello stesso paesaggio agrario (filari di cipressi, organizzazione aziendale, forma e dimensione dei campi, fasce di coltura…). I centri urbani sorgono lungo la viabilità principale, attorno ad emergenze architettoniche (rocche, pievi, chiese, ecc.), in corrispondenza di punti nodali del territorio come guadi, ponti o incroci stradali nei fondovalle e nei terrazzi fluviali meno acclivi e più fertili.

Diversamente nelle campagne la dominazione fiorentina, soppiantata l'organizzazione medioevale incentrata sui grandi possedimenti monastici, fraziona il territorio in tante unità poderali con la centro la “casa padronale” e varie “case coloniche” sparse creando così le condizioni per “ruralizzare” anche aree isolate fin quasi sotto il crinale appenninico.

Romandiola cum Dominio Fiorentino

La "Romandiola" (alias "Flaminia") dipinta fra il 1580 e il 1583 nella Galleria delle carte geografiche in Vaticano dal matematico e cosmografo perugino Egnazio Danti, domenicano (1536-1586), già autore delle carte geografiche del guardaroba nuovo in Palazzo Vecchio, è la più antica rappresentazione corografica dell'intera regione romagnola che si conosca; deriva con sicurezza, da rilievi e ricognizioni personali eseguite nel 1579 direttamente da E. Danti per incarico di mons. Gio. Pietro Ghislieri presidente della Romagna.

La più antica carta a stampa della Romagna, denominata Romandiola cum Parmensi Ducatu venne realizzata nel 1589 da Gerardo Mercatore e, per qual che concerne la Toscana la prima carta a stampa di cui si ha notizia è la Chorographia Tusciae del senese Girolamo Bellarmato edita nel 1536. Entrambe queste carte, pur essendo forse le migliori fra tutte le carte regionali stampate in Italia fino alla metà del '500, particolarmente ricche di contenuti figurativi, (centri abitati, rappresentati in prospettiva, ponti sui corsi d'acqua, selve, idrografia ecc.), risultano costruite in forma empirica e mostrano notevoli errori e imprecisioni di inquadramento geografico (l'orografia è poi rappresentata con un sistema prospettico a "monticelli" che ne limitano la lettura) e non riportano i confini amministrativi fra i vari domini.

Le carte che portano ad un vero e proprio progresso della cartografia toscana sono quelle del "Dominio Fiorentino" e del "Dominio Senese" che il monaco olivetano Stefano Buonsignori, cosmografo di Francesco I de' Medici, allegò nel 1584 alla Vita di Cosimo di Aldo Mannucci e successivamente dipinte dallo stesso cartografo, a scala maggiore, in una sala della Galleria degli Uffizi di Firenze.

Le maggiori conoscenze astronomiche e matematiche del monaco fiorentino gli consentono di apportare importanti innovazioni cartografiche sia per il profilo costiero e l'andamento dell'arco appenninico che risultano più reali e correttamente posizionati sia per l'inserimento dei confini fra Stati. Da segnalare inoltre una curiosità: nell'alto territorio romagnolo è rappresentato un ampio lago di probabile origine franosa, oggi non più esistente, posto fra le località di Alfero e Cerneto. L'opera del Buonsignori costituisce, per tutto il '600 e buona parte del '700, la fonte principale delle successive rappresentazioni cartografiche della Toscana e servirà pure come base per la redazione delle carte della celebre ltalia del padovano Giovanni Antonio Magini, cartografo e professore di astronomia all'Università di Bologna.

La Romagna olim Flaminia, vede la luce in una prima stesura del Magini il 15 aprile 1597, in una seconda edizione il 15 dicembre 1589 e pubblicata postuma nel 1620 dal figlio Fabio. Nella dedica l'autore dichiara esplicitamente che il precedente disegno non era riuscito. Per compilare la carta della Romagna olim Flaminia del 1598 (che riporta per la prima volta i confini amministrativi tra Romagna e Granducato di Toscana) il Magini utilizzò probabilmente sia i rilievi eseguiti da Egnazio Danti, confluiti nella pittura della Flaminia dipinta nella Galleria del Belvedere in Vaticano, sia la carta del Dominio Fiorentino redatta dal Bonsignori.

Nella Romagna olim Flaminia, l'orografia è rappresentata con il sistema prospettico a monticelli: un gruppo di torri localizza i centri sulla via Emilia ed i nuclei di Bertinoro e Sarsina, mentre un cerchio individua gli insediamenti lungo le vallate senza una loro esatta collocazione.

Questa del Magini può essere considerata il modello iconografico emergente nella storia cartografica della regione, servita per le successive riproduzioni degli stampatori olandesi d'atlanti Hondius (1637), Bleau (1640), Janssonius (1647) e dell'abate Filippo Titi (1694), che ritraggono anche i territori a monte di Forlì.

Il paesaggio agrario

«I Boschi di Querci, di Carpini, di Frassini si sollevano fin’oltre le mille braccia dal livello del mare; dopo di chè succedono qua, e la delle zone di castagni, a cui per ultimo sieguoni faggete ricchissime. In taluni siti settentrionali, e meno gradati dal sole l’abete eleva il maestoso suo tronco. Al di là del faggio gli Appennini sono coperti fino all’ultima vetta da immense praterie natuarali. Il grano, l’orzo, e dil formentone, si ritrovano ad ogni passo della Provincia dalle ime valli fin entro la regione del faggio. ... Più abbondante è forse la coltivazione del cece ... copiosa è la cultura delle fave specialmente nei luoghi bassi, e piani, ed in quelli sciolti, e profondi di mezza costa. La veccia, i veggioli, il moco, il rubiglio, la cicerchia, la lente ... sono largamente coltivate, e dal piano s’innalzano anche al di là della zona del castagno. Brevi sono i tratti destinati alla medica: più ampi quelli ove vegeta la trigonella, o fieno greco ... in ristrette punti del piano [Sulla struttura geologica della Romagna Toscana – L. Fabroni - 1894]»

A metà del ‘900 il paesaggio collinare dell’entroterra forlivese era probabilmente ancora molto similie a quello dei secoli precedenti. Diverse condizioni avevano contribuito a mantenerne inalterati i caratteri ambientali del territorio in particolare:

  • l’autosufficenza poderale della famiglia mezzadrile fondata sull’uso colturale della rotazione agricola, della concimazione organica, del riposo a meggese;
  • l’isolamento dei “campagnoli” dai grandi centri artigianali di pianura (le occasioni per frequentare i “cittadini” e scambiare o raccogliere informazioni sugli eventi dell’epoca erano solitamente i mercati mensili di bestiame o le maggiori feste religiose dell’anno);
  • il senso di profonda religiosità e il rispetto per così dire “ecologico” verso la natura circostante;
  • il lavoro rurale impostato su forme cicliche e ripetitive.

Una “ideale” immagine del paesaggio rurale “antico” ci viene offerta sia dalle fotografie “d’epoca” sia dai documenti storici.

Dal Catasto Agrario della Romagna Toscana di fine ’800, si viene a conoscenza delle colture prevalenti nelle colline della Val Montone: pochi erano gli incolti (le “sode”); il pascolo avveniva all’interno del bosco e sui campi a maggese; la vite risulta essere la coltura arborea principale, coltivata in filari sostenuti da alberi, in prevalenza gelsi, olmi, aceri campestri; sono pure presenti alberi fruttiferi quali il mandorlo ed il ciliegio nelle varietà marandona per le ciliegie in guazzo, viscicola per bevande rinfrescanti e corniola, dura e croccante.

Molto diffusi sono grandi esemplari di pero volpino e pera spina, meno frequenti albicocchi, pruni, meli e cotogni; sporadicamente nespoli, peschi e fichi.

I noci sono impiantati nei pressi della casa colonica assieme a qualche isolato esemplare di melograno, giuggiolo ed azzeruolo. Quercie ed olivi secolari, isolati o in gruppo, sono presenti in mezzo ai coltivi costituiti in prevalenza da grano (38%), colture sarchiate di cui il 10% granturco e il restante 6 % patate, leguminose da granella, bietole da foraggio ed ortaggi di grande coltura; maggese (6 %) con riposo biennale o triennale e, prato di cui 15% naturale e 20 % artificiale (luppinella, erba medica, trifoglio pratense, sulla e colture minori su cui domina la canapa). Le siepi (a protezione delle colture) di biancospino e marruca, recintano i poderi nei quali si trovano in modo massiccio i cipressi in lunghi filari lungo i viottoli di accesso alle case padronali o a ridosso della corte colonica e a protezione dei pagliai.

Fra la fine dell’800 e i primi decenni del ‘900 l’innovazione delle tecniche colturali ha provocato una rivoluzione determinato profondi mutamenti sia nel paesaggio rurale (scomparsa di specie autoctone sostituite da altre d’importazione extraterritoriale) sia nella società agricola (perdita di consuetudini rituali e di caratteri identificativi originali).

L’introduzione di fertilizzanti inorganici nelle rotazioni colturali unita ad una maggior selezione cerealicola, hanno consentito la semina di grani più adatti ai diversi terreni, aumentando così il raccolto; nuovi modi di potatura di viti ed olivi ne hanno aumento le rese; la sostituzione di piante fruttifere antiche con nuove d’importazione a maggior reddito; l’introduzione di razze di bestiame più produttivo ha fatto crescere il numero di capi per podere e soprattutto, l’introduzione della meccanizzazione ha incrementato la produttività dei mezzi di produzione e le rendite del lavoro umano, rendendo superflua gran parte della popolazione rurale che è stata costretta ad abbandonare le campagne.

Inizia quindi a partire dall'inizio degli anni cinquanta del ‘900 e secondo una parabola che diventa emorragica tra la fine di quel decennio e l’inizio del decennio successivo un'abbandono sempre più tumultuoso della campagna da parte dei mezzadri. Da un raro giornalino locale (Il Montone - 1 febbraio 1954) si legge “… Molti poderi vengono definitivamente abbandonati, le stalle restano chiuse, i campi restano incolti. … i contadini della montagna non possono vivere nelle case semidiroccate, in luoghi dove mancano strade e fonti, dove la terra è avara … l'ingiustizia dei contratti agrari, l'esosità delle tasse (prima fra tutte l'imosta di bestiame), la grettezza dei padroni che vogliono costringere i contadini ad una vita umiliante in case che sono tuguri …” Sono questi gli anni in cui si assiste al massimo sfruttamento del territorio con conseguente diminuzione della diversità biologica delle specie vegetali e delle varietà colturali nei poderi:

  • le colture di grano soppiantano quelle di mais;
  • i campi conquistano i vecchi residui di boschi cedui e scompaio le antiche siepi;
  • sia le leguminose da granella sia le pinte tessili del lino e della canapa vengono abbandonate rendendo improduttiva l’antica rte del bozzolo da seta;
  • i gelsi e gli alberi utilizzati come sostegni vivi delle viti vengono spiantati;
  • infine, l’abbandono delle campagne contribuisce da un lato al degrado delle antiche case coloniche perdendo così un ricco patrimonio architettonico tipico; dalll’altro, la sola azione dei fenomeni naturali porterà alla erosione e all’impoverimento della fertilità dei terreni.

L’unica azione visibile attuata dall’uomo è stato il rimboschimento forzato degli incolti che ci consegna un paesaggio sicuramente più ricco di boschi, ma impoverito di specie coltivate e uniformato a monocolture prevalenti di grano, erba medica e di pochi e specializzati vigneti e frutteti. Sono comparse ai bordi delle strade piante infestanti di rovi, vitalbe e robinia che si sono sostituite progressivamente agli antichi filari di cipressi.

Infine, l’espensione urbanistica dei centri di fondo valle in particolare con l’insediamento di grandi e ingombranti fabbricati per attività artigianli e industriali hanno sottratto alla campagna, cemetificandoli, gli ultimi ferili terreni alluvionali. Così, in breve svolger di tempo la trasformazione industriale ha cancellato per intero l’antico mondo rurale frutto di una complessa costruzione durata secoli e se, la modernità ci consente oggi di vivere certamente meglio dei nostri padri e dei nostri nonni, ci deve comunque permettere di conservare e trasmettere alle generazioni future la memoria storica della civiltà contadina.


Economia

È stato autorevolmente sostenuto che se il primo interesse che mosse Firenze a conquistare il territorio oltre i passi toscani verso il litorale fu la certezza del passaggio delle proprie merci verso Venezia, troppo a lungo insidiata dalla rissosità dei feudatari appenninici, il secondo fu il proposito di integrare la produzione agricola toscana, scarsa per la povertà intrinseca del territorio fiorentino. Il grande allevamento che si svolgeva, in estate, sulle alpi tra i Mandrioli e il Furlo poté integrarsi perfettamente, in età granducale, con lo sfruttamento dei pascoli della Maremma, dove Antonio Saltini ha calcolato migrassero quasi 60.000 pecore dai pascoli romagnoli [8]. Se alle altitudini maggiori i possedimenti romagnoli assicuravano agnelli e formaggi, ad altezza minore la collina romagnola era generosa, verso i signori fiorentini, di frumento, carne di castrato e di suino, e dei ricchi proventi dell'allevamento del baco da seta, come prova un testo singolare, l'ultimo poema rustico della letteratura italiana, La cerere della Romagna toscana di Giuseppe Mengozzi [9]

La Romagna toscana oggi

Attualmente i comuni toscani che costituiscono la Romagna toscana, sono tre: Firenzuola, Marradi, Palazzuolo sul Senio.

Note

  1. ^ Per il trasferimento del circondario di Rocca San Casciano l’atto ordinativo è contenuto nel regio decreto del 4 marzo 1923, n. 544, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 marzo 1923, n. 72.
  2. ^ (Aldo Spallicci, La poesia popolare romagnola, ed. La Piè 1921)
  3. ^ Emilio Rosetti La Romagna, geografia e storia, Hoepli, Milano 1894
  4. ^ Pietro Zangeri La provincia di Forlì nei suoi aspetti naturali, C.C.I.A.A. Forlì 1961)
  5. ^ (Lucio Gambi Confini geografici e misurazione arede della regione romagnola in Studi Romagnoli a.1, 1950)
  6. ^ Elena Fasano Guarini. Alla periferia del Granducato Mediceo, in Studi Romagnoli XIX a. 1968; dal saggio sono state desunte le citazioni e gran parte dei contenuti di questo testo
  7. ^ S. Faini L. Majoli La Romagna nella cartografia a stampa dal cinquecento all'ottocento Luisé ed. Rimini 1992
  8. ^ Antonio Saltini, Fiere e mercati nel pendolo della transumanza, in Romagna arte e storia, n. 60/2000
  9. ^ Antonio Saltini, Messi e armenti di Romagna nei versi dell'ultimo emulo di Virgilio, in Romagna arte e storia, n.59/2000

Voci correlate