Hiroshi Sugimoto

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Hiroshi Sugimoto, 2008
Premio Premio Imperiale 2009

Hiroshi Sugimoto (杉本 博司?, Sugimoto Hiroshi; Tokyo, 23 febbraio 1948) è un fotografo e artista giapponese.

Uno dei più importanti esponenti della fotografia contemporanea, «rappresentante di una fotografia seriale ispirata all'arte minimalista e concettuale nella tradizione della sobrietà e della semplicità orientali»[1] e noto per il suo rigore nel riprodurre «stampe minuziose» in bianco e nero che realizza con una tecnica accurata e sofistificata[2] preparando artigianalmente le emulsioni fotografiche che espone con tempi e metodi, diversi ed esclusivi[3]. Vive tra Tokyo e New York.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Hiroshi nasce nel 1948 a Tokio. Ha ventidue anni quando nel 1970 all'Università St. Paul della capitale giapponese consegue il Bachelor of Arts (B.A.) in scienze politiche e sociologia[4]. Si trasferisce subito dopo a Los Angeles in California dove presso l'Art Center College of Design studia fotografia, ed è qui «che matura le convinzioni sul concettualismo e minimalismo e sceglie la fotografia come mezzo per interpretarli»[5]. Nel 1972 consegue il Bachelor of Fine Arts (B.F.A.)[4]. Nel 1974 si sposta a New York che sarà con Tokio una delle due principali "fucine" nelle quali concepirà il suo lavoro da fotografo. Il suo stile è ben definito da subito: una serie di foto per ogni suo lavoro che analizza tramite quegli scatti "seriali" un diverso «senso di autenticità». E con questi concetti che prende il via il suo primo "lavoro" nel 1976: Dioramas, scatti di «mostre all'interno dei musei di storia naturale, in cui le immagini di Sugimoto hanno portato alla vita creature estinte e situazioni preistoriche»[4]. A differenza di quasi la totalità di altri fotografi che "completano" i loro servizi in un determinato e ristretto periodo di tempo, le riprese delle "serie" delle fotografie di Sungimoto, che includono "sperimentazione" e "luoghi diversi" riguardanti sempre l'identico tema, possono durare anche diversi anni.

Anche se è noto che Sugimoto preferisce il bianco e nero sia per i suoi lavori sia per la ricerca in campo fotografico, non disdegna alcuni inusuali a colori[6], ottenuti però anch'essi con sistemi innovativi e stampati con attrezzature che ne esaltino le sfumature delle tonalità. Eclatante nel 2012[7], è stato l'"esperimento" della sua collaborazione con la nota casa di alta moda e prêt-à-porter francese Hermès[8] per la realizzazione di foulards esclusivi, definito dai media «un riuscito incontro tra alta moda e arte», «una serie limitatissima di soli 140 esemplari» di foulards in twill di seta, «vere e proprie opere d'arte» ottenute da una serie di 20 immagini diverse[9]. Le foto a colori di Sugimoto per i foulards di Hermes, un esperimento nuovo nella tradizione fotografica del fotografo giapponese, sono state esposte nel giugno 2012 al Museo delle culture di Basilea[10].

Hiroshi Sugimoto interpreta se stesso in una scena della commedia franco-belga Mon pire cauchemar (il mio peggior incubo), di Anne Fontaine (2011)[11]. In un'altra scena del film il protagonista maschile, Patrick (Benoît Poelvoorde), ubriaco, deturpa con un disegno osceno un'opera di Sugimoto che gli è stata regalata da Agathe (Isabelle Huppert). Nei titoli di coda si legge che “la photo «MK2 bibliothéque» d'Hiroshi Sugimoto a été vandalisée par lui même” ovvero che «La foto di "MK2 Library" di Hiroshi Sugimoto è stata vandalizzata da lui stesso»[12]

"Le tecniche" del B/N e la polemica sullo spettro della luce per il colore[modifica | modifica wikitesto]

Una delle caratteristiche del fotografo giapponese riguarda le foto "seriali" che sviluppa e cura per un unico ed esclusivo tema. Serie di fotografie per le quali usa tecniche diverse: dalle riprese con tempi di esposizione lunghissimi, anche fino a tre ore come la serie del 1980 Seascapes in cui fotografa il mare in bianco e nero senza nessun ulteriore elemento di disturbo e senza il pur minimo particolare che potrebbero distrarre l'osservatore dall'immagine su quell'unico tema[13] a immagini ottenute «dirigendo sulla pellicola fotografica una scarica elettrica da 400 mila Volt con un Generatore di Van de Graaff» come i Lightning fields del 2006 dove interpreta scariche elettriche di varie forme su un fondo nero[14]. Fra le sue più importanti serie a tema concluse e in corso di lavoro le più famose sono: Theaters (iniziata nel 1976); Seascapes (iniziata nel 1980); Lightning Fields (iniziata nel 2006) oltre a Dioramas (iniziata nel 1976 e conclusa nel 2012) e Portraits (iniziata nel 1994 e conclusa nel 1999)[15].

Oltre a tecniche molto originali come le lunghissime esposizioni, le immagini ottenute da scariche elettriche ad alto voltaggio e alla preparazione artigianale delle emulsioni fotografiche su diversi supporti, quando si è cimentato con il colore Sugimoto ha usato una sua ulteriore tecnica, particolare e sofisticata che può essere definita:la decomposizione della luce[16], l'uso del colore scomposto da un prisma, ovvero «l'uso di una macchina fotografica Polaroid per catturare il colore creato dalla luce del mattino che passando attraverso un prisma si rifletteva su un particolare schermo a parete»[17], tecnica usata proprio per una commessa di foulards esclusivi fatta dalla maison parigina Hermès dove è stato appunto usato «un prisma gigante per creare uno straordinario display cromatico»[18] per catturare sulla sua Polaroid una più vasta gamma di colori.

Per la stampa ha usato invece una enorme stampante a getto di inchiostro personalizzata e modificata che potesse riprodurre proprio grazie alla natura del metodo di stampa, una gamma precisa e vasta di sfumature di più colori[18].

Polemico sullo spettro dei colori, Sugimoto ha asserito di aver studiato per anni lo spettro della luce e con il suo esperimento ha voluto dimostrare che i colori non sono solo i sette "indicizzati" dalla scienza odierna e dallo stesso Isaac Newton[19]:

«Osservando ogni giorno la luce brillante e prismatica, anch'io avevo i miei dubbi sullo spettro a sette colori di Newton: sì, vedevo il suo schema rosso-arancio-giallo-verde-blu-indaco-viola, ma potevo discernerne facilmente molti altri diversi colori tra questi, tonalità senza nome come rosso-arancio e giallo-verde. Perché la scienza deve sempre tagliare il tutto in piccoli pezzi quando identifica attributi specifici? Il mondo è pieno di innumerevoli colori, quindi perché la scienza naturale ha insistito solo su sette? Mi sembra di avere un senso più vero del mondo dagli intra colori ignorati. L'arte non serve a recuperare ciò che cade attraverso le crepe ora che la conoscenza scientifica non ha più bisogno di Dio? Ho deciso di usare pellicola Polaroid praticamente obsoleta per fotografare le luci tra i colori»

"Le serie" dei suoi lavori nei dettagli estetici[modifica | modifica wikitesto]

«Il romanziere giapponese Jun'ichirō Tanizaki disprezzava la "luce" artificiale "violenta" creata dalla civiltà moderna. Anche io sono un anacronista: piuttosto che vivere al passo con la modernità, mi sento più a mio agio nel passato che non torna più. Il fuoco domestico segnalò l’ascesa dell'umanità sulle altre specie. Da qualche milione di anni, abbiamo illuminato la notte con le fiamme. Ho deciso quindi di registrare "la vita di una candela". Alla fine di una notte di mezza estate, ho aperto le finestre e invitato la brezza notturna a entrare. Accendendo una candela, ho anche smesso di aprire la lente della fotocamera. Dopo parecchie ore di movimento dinamico nella brezza, la candela si esaurì bruciata. Godendomi il buio, ho chiuso lentamente l'otturatore. La vita della candela variava enormemente a tutte le esposizioni notturne, bruciandosi talvolta rapidissimamente, altre volte con lentezza in notti lunghe e accaldate. Ciascuna era diversa ma tutte bellissime nel loro post esaurimento luminoso…»

Etichettare Sugimoto come un fotografo appartenente ad una determinata "scuola" è assai difficile proprio per gli elementi che caratterizzano la sua "diversa" fotografia: dai tempi di esposizione ai materiali usati per la ripresa e lo sviluppo preparati artigianalmente; dall'utilizzo di macchine di grande formato[21] a fotocamere istantanee e pellicole autosviluppanti come le Polaroid[19]; elementi che possiamo classificare come appartenenti alla "fotografia analogica", ma rispondere alla domanda: se esiste "una cultura" o "un maestro" a cui ha fatto riferimento per il modo in cui interpretare la fotografia, merita una risposta più articolata separando l'aspetto tecnico da quello estetico della sua concezione fotografica. In una intervista italiana a cura di Manuela De Leonardis[22], esperta in archiviazione fotografica e «autrice di interviste ai protagonisti del mondo della fotografia», è lui stesso ad asserire che nei suoi studi è stato influenzato più dalla filosofia tedesca di Hegel, Feuerbach e Kant che dalle filosofie orientali a cui alcuni critici fanno riferimento per la sua formazione culturale: «ho studiato più i filosofi tedeschi[...] e, naturalmente, il cristianesimo. Il mio cervello era allenato a pensare, ma non avevo studiato nessuna filosofia orientale»[23]. Nell'intervista, ammette di aver imparato molto da fotografi come Walker Evans e Ansel Adams come tecnica fotografica, «ma non per quando riguarda l'estetica». [24].

Dioramas[modifica | modifica wikitesto]

In Praise of Shadows[modifica | modifica wikitesto]

Portraits[modifica | modifica wikitesto]

Theatres[modifica | modifica wikitesto]

Seascapes[modifica | modifica wikitesto]

Lightning Fields[modifica | modifica wikitesto]

Altri lavori[modifica | modifica wikitesto]

Non solo fotografo[modifica | modifica wikitesto]

"Appropriate Proportion", uno dei suoi progetti architettonici

Premi e riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Mostre (selezione)[modifica | modifica wikitesto]

il pannello annunciante la mostra Black Box nei locali della Fondazione MAPFRE nel 2016 a Barcellona

Collezioni (selezione)[modifica | modifica wikitesto]

Numerose le collezioni del fotografo giapponese, una selezione dei musei nel mondo che ospitano le sue opere sono[36]: il National Museum of Photography di Copenaghen in Danimarca; il Kiasma - Museum of Contemporary Art di Helsinki in Finlandia; il Fondation Cartier pour l’art contemporain e il Centro Georges Pompidou di Parigi in Francia; la Pinakothek der Moderne a Monaco di Baviera e il Fotografische Sammlung – Schloss Kummerow di Kummerow in Germania; l'Hara Museum of Contemporary Art e il Museo Nazionale d'Arte Moderna di Tokyo in Giappone; il Museo d'Israele a Gerusalemme in Israele; la Francois Pinault Foundation di Venezia in Italia; al Museo Berardo di Lisbona in Portogallo; al Tate Britain e alla National Gallery a Londra nel Regno Unito; al Museu d'Art Contemporani de Barcelona (MACBA) e il Cal Cego - Colleccion de Arte Contemporaneo di Barcellona in Spagna; il Moderna Museet di Stoccolma in Svezia; il Fotomuseum Winterthur di Winterthur in Svizzera e diversi musei degli Stati Uniti d'America come il Metropolitan Museum of Art, il Museum of Modern Art (MoMA) e il Solomon R. Guggenheim Museum di New York, il Museum of Contemporary Art e l'Art Institute di Chicago, il Los Angeles County Museum of Art di Los Angeles, il Milwaukee Art Museum (MAM) di Milwaukee e il Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington.

I Video sulle personali "tecniche" usate da Sugimoto[modifica | modifica wikitesto]

Utilizzo di un generatore di Van de Graaff come fonte di esposizione[modifica | modifica wikitesto]

Utilizzo di esposizioni molte prolungate con attrezzature analogiche[modifica | modifica wikitesto]

I ritratti fotografati senza nessun elemento "di disturbo", con l'eliminazione preventiva di cornici e riflessi[modifica | modifica wikitesto]

Scomposizione della luce - l'uso del colore scomposto da un prisma[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Hans-Michael Koetzle, Fotografi A - Z, Colonia, Taschen, 2011, ISBN 978-3-8365-2567-1.
  2. ^ Hiroshi Sugimoto - Stop Time, su fondazionefotografia.org. URL consultato il 23 ottobre 2017 (archiviato dall'url originale il 23 ottobre 2017).
  3. ^ Hiroshi Sugimoto, su accademiaromartgallery.wikispaces.com. URL consultato il 1º novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 28 luglio 2018).
  4. ^ a b c Hiroshi Sugimoto, japanese photographer, su britannica.com. URL consultato il 29 ottobre 2017.
  5. ^ Sugimoto, Hiroshi, su nga.gov. URL consultato il 29 ottobre 2017.
  6. ^ H come Hermès e Hiroshi Sugimoto, su minimal-list.max.gazzetta.it. URL consultato il 29 dicembre 2016 (archiviato dall'url originale il 2 agosto 2016).
  7. ^ Hermès, quando il carré diventa opera d’arte, su ilfattoquotidiano.it. URL consultato il 29 dicembre 2016.
  8. ^ Hermès a tutta arte per i foulard, su mffashion.com. URL consultato il 29 dicembre 2016 (archiviato dall'url originale il 29 dicembre 2017).
  9. ^ Hermès e Hiroshi Sugimoto. I foulards da una Polaroid, su teladoiofirenze.it. URL consultato il 29 dicembre 2016.
  10. ^ Piazza Hermès di Hiroshi Sugimoto, su vogue.fr. URL consultato il 29 dicembre 2016.
  11. ^ Mon pire cauchemar (2011) de Anne Fontaine, su films.blog.lemonde.fr. URL consultato il 30 dicembre 2017 (archiviato dall'url originale il 30 dicembre 2017).
  12. ^ Mon pire cauchemar (2011) de Anne Fontaine, vedi: Remarques, su films.blog.lemonde.fr. URL consultato il 30 dicembre 2017 (archiviato dall'url originale il 30 dicembre 2017).
  13. ^ Hiroshi Sugimoto, il minimalimo e il mare, su becausethelight.blogspot.it. URL consultato il 30 ottobre 2017.
  14. ^ Le foto di Hiroshi Sugimoto a Modena, su ilpost.it. URL consultato il 30 ottobre 2017.
  15. ^ Foam Fotografiemuseum Amsterdam, su foam.org. URL consultato il 30 ottobre 2017.
  16. ^ Piazza Hermès di Hiroshi Sugimoto, su vogue.fr. URL consultato il 29 dicembre 2017.
  17. ^ Hermès e Hiroshi Sugimoto. I foulards da una Polaroid, su teladoiofirenze.it. URL consultato il 29 dicembre 2017.
  18. ^ a b Sciarpe Hermès Editeur in edizione limitata di Hiroshi Sugimoto, su wallpaper.com. URL consultato il 29 dicembre 2017.
  19. ^ a b c Couleurs de l'ombre di Hiroshi Sugimoto, su editeur-en.hermes.com. URL consultato il 29 dicembre 2017.
  20. ^ Coreografia delle Ombre all’interno della cultura giapponese nel mondo contemporaneo (PDF), su arc1.uniroma1.it. URL consultato il 30 dicembre 2017.
  21. ^ Hiroshi Sugimoto, su flashartonline.it. URL consultato il 29 dicembre 2017 (archiviato dall'url originale l'8 luglio 2017).
  22. ^ Manuela De Leonardis, "La fotografia permette di parlare dei grandi temi che riguardano l’umanità", su libreriamo.it. URL consultato il 31 dicembre 2017.
  23. ^ L'intervista/Hiroshi Sugimoto: Io, lo Zen e la Fotografia, su exibart.com. URL consultato il 31 dicembre 2017.
  24. ^ «Ansel Adams e Walker Evans sono stati dei tecnici dell’artigianato. Ho imparato tanto da loro, soprattutto leggendo il libro scritto da Ansel Adams in cinque volumi, un manuale in cui sono descritti tutti i passaggi - dallo sviluppo alla stampa della fotografia - proprio come un menù di cucina. Io ho assaggiato tutte le pietanze, scegliendo quella che mi piaceva di più. Con attenzione facevo tutte quelle prove chimiche, sentendomi come un alchimista. Tecnicamente, quindi, ritengo Ansel Adams il mio insegnante, ma non per quanto riguarda l’estetica» in L'intervista/Hiroshi Sugimoto: Io, lo Zen e la Fotografia, su exibart.com. URL consultato il 31 dicembre 2017.
  25. ^ Hiroshi Sugimoto, in Fellow: Awarded 1980. URL consultato il 30 ottobre 2017.
  26. ^ The Hasselblad Award, in Hasselblad Foundation. URL consultato l'11 gennaio 2014.
  27. ^ Hiroshi Sugimoto, su praemiumimperiale.org. URL consultato il 30 ottobre 2017.
  28. ^ Kimberly Chou (May 15, 2014), Sculptor's Honors Cubed Wall Street Magazine.
  29. ^ Hiroshi Sugimoto, su swissinfo.ch. URL consultato il 1º novembre 2017.
  30. ^ Hiroshi Sugimoto Retrospective, su smb.museum. URL consultato il 1º novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 7 novembre 2017).
  31. ^ Ritratti del potere - volti e meccanismi dell'autorità, su strozzina.org. URL consultato il 23 ottobre 2017.
  32. ^ exibart_admin, Araki, Morimura, Sugimoto: il kabuki dei tre samurai, su exibart.com. URL consultato il 29 marzo 2023.
  33. ^ Hiroshi Sugimoto, stop time, su clubmilano.net. URL consultato il 30 ottobre 2017.
  34. ^ Hiroshi Sugimoto, Black Box, su barcelonanavigator.com. URL consultato il 1º novembre 2017.
  35. ^ Hiroshi Sugimoto. Gates of Paradise, su ea-aaa.eu. URL consultato il 1º novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 7 novembre 2017).
  36. ^ Hiroshi Sugimoto - collezioni, su artfacts.net. URL consultato il 1º novembre 2017 (archiviato dall'url originale il 7 novembre 2017).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Copiosa la bibliografia riguardante Hiroshi Sugimoto. Per tutte le sue opere e pubblicazioni sul fotografo si rimanda al suo sito ufficiale, sezione "bibliografia", qui.

Opere in italiano[modifica | modifica wikitesto]

Opere in altre lingue[modifica | modifica wikitesto]

  • (DE) Hiroshi Sugimoto, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern 2007, ISBN 978-3-7757-1934-6
  • (EN) Hiroshi Sugimoto. Architecture, Hrsg. Museum of Contemporary Art Chicago, Hatje Cantz Verlag, Ostfildern 2007, ISBN 978-3-7757-2056-4.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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