Chiesa dello Spirito Santo (Sant'Antimo)

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Voce principale: Sant'Antimo (Italia).
Chiesa dello Spirito Santo
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneCampania
LocalitàSant'Antimo
ReligioneCattolica
TitolareSpirito Santo
Diocesi Aversa

La chiesa dello Spirito Santo è un luogo di culto cattolico di Sant'Antimo.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Confraternita dello Spirito Santo: origine e finalità[modifica | modifica wikitesto]

Le prime testimonianze dell'esistenza a Sant'Antimo di una Confraternita dello Spirito Santo risalgono agli inizi della seconda metà del Cinquecento. È del 5 agosto 1562 l'atto con cui Andrea Di Donato, maestro ed economo "Confraternitatis Sanctissimi Spiritus Sancti" prende possesso di una casa "alla Piacza de la Croce" lasciata alla stessa da Nardiello Garofalo.[1] Del 13 dicembre dello stesso anno è la disposizione testamentaria di Aniello Morrone con la quale egli "lassa alla Confraternita del Spirito Santo di detto Casale uno docato che se ne habbia da pagar li fabbricatori post eius obitum"[2]. Inoltre Bartolomeo Verrone con un atto del 18 luglio 1563 dona alla Confraternita un'asina "pili soricini seu castani"[3].

Secondo l'attestazione del Sajanello[4] la Confraternita dello Spirito Santo fu fondata nel 1559 nella chiesa dell'Annunziata di Sant'Antimo, dove aveva una propria cappella[5], affidata alla guida spirituale dei frati della Congregazione del B. Pietro da Pisa.

Poco dopo il sodalizio si trasferì nella chiesa parrocchiale di Sant'Antimo, eleggendo un nuovo cappellano.

Ma i rapporti della Confraternita con il rev. Cesare Fiorillo, rettore della chiesa, non furono dei migliori, caratterizzati da continue liti che ben presto degenerarono al punto che il Sodalizio si vide costretto nel 1563 a ritornare nuovamente nella chiesa dell'Annunziata, sua originaria sede, dopo aver maturato il proposito di edificare un proprio oratorio, sede delle attività religiose e sociali della Confraternita.

A tale trasferimento tuttavia si oppose energicamente il rev. Fiorillo che con una nota del 7 febbraio 1563 elevò formale protesta contro Geronimo Cela, priore del convento dell'Annunziata, proibendo ai frati di amministrare la comunione ai confratelli dello Spirito Santo e a questi di riceverla.

Il Sajanello non si sofferma sui motivi di contrasto che determinarono questi cambiamenti di sede e l'idea di fondare un proprio oratorio, limitandosi ad affermare che il rev. Cesare Fiorillo non sopportava assolutamente che i confratelli ed il loro cappellano continuassero a svolgere nella Chiesa parrocchiale "functiones quasdam" (determinate funzioni) senza specificare di quali funzioni si trattasse. Forse esse non riguardavano solo le funzioni strettamente rituali, ma lo svolgimento di tutte quelle attività che caratterizzavano e scandivano i tempi e i ritmi dell'associazione (riunioni dei confratelli, raccolta di elemosine, modalità di espletamento di funzioni religiose proprie, atti di amministrazione del sodalizio, dei suoi beni e simili.)

Ma tutto ciò non spiega la reazione del rev. Fiorillo ed i gravissimi interdetti comminati agli aderenti alla Confraternita nel momento in cui si attuò il suo trasferimento dalla chiesa parrocchiale a quella dell'Annunziata.

I motivi del contendere e le sue varie articolazioni possono tuttavia rilevarsi indirettamente dal tenore dei provvedimenti richiesti e ottenuti dalla Confraternita con l'intervento del Pontefice Gregorio XIII del 1578.

Da essi può rilevarsi che doveva esserci nei confronti della Confraternita una contestazione di carattere generale e radicale che ne negava la stessa esistenza e personalità giuridica, e quindi la sua capacità di agire.

In ogni caso il rettore della chiesa di Sant'Antimo riteneva fermamente che rientrando la Confraternita e il suo Oratorio nell'ambito del circuito parrocchiale, fossero a lui gerarchicamente subordinate sia per le attività di carattere religioso che per quelle gestionali del sodalizio e dei suoi beni.

Dal tenore del provvedimento pontificio può rilevarsi che la nascente Confraternita dello Spirito Santo aveva dovuto subire un uso del tutto improprio ed illegittimo dei suoi beni, che erano stati distolti a formare doti e benefici ecclesiastici perpetui, ed erano stati oggetto di altrettanto illegittime pretese di esazioni.

La difesa della propria autonomia, l'accanita resistenza a tali atti di prevaricazione, ogni tentativo di far valere le proprie ragioni, avevano ottenuto come risposta l'emanazione contro i confratelli di provvedimenti con i quali venivano ad essi comminate pesantissime sanzioni canoniche.

In questo quadro di carattere generale maturò nei confratelli la decisione di investire di tutta la vertenza il sommo pontefice, con espressa richiesta di esaudire il loro desiderio che fosse direttamente il Papa ad approvare la istituzione del Sodalizio[6].

Gregorio XIII, con provvedimento del primo ottobre 1578 riconobbe la fondatezza delle ragioni esposte dai confratelli ed accolse pienamente le loro richieste.

Con la sua autorità egli riconobbe che la chiesa della Confraternita dello Spirito Santo era stata canonice istituita, cioè regolarmente fondata secondo le disposizioni del diritto canonico, per essere stata edificata con il pieno e generale consenso in spiritualibus del Vicario vescovile di Aversa. Lo stesso poteva affermarsi per la Confraternita dello Spirito Santo, per la quale il sommo pontefice dichiara che rite et cononice facta fuit, che era stata ritualmente e canonicamente costruita. In ogni caso, si afferma nel documento papale, qualora nella sua fondazione e costituzione giuridica fossero eventualmente ravvisabili deficienze di fatto e di diritto, l'autorità pontificia ne dava totale sanatoria, in eisdem supplemus, e pertanto l'istituzione della Confraternita viene non solo approvata ma anche riaffermata ex tunc, cioè dalla sua prima, iniziale fondazione.

Per quanto riguarda la rivendicazione della propria totale autonomia nelle scelte gestionali e amministrative, e la negazione di qualsiasi rapporto di subordinazione dal rettore della chiesa di Sant'Antimo e da chiunque altro, Gregorio XIII prescrisse che la competenza per l'amministrazione e gestione del patrimonio della chiesa e della Confraternita - costituito di rendite di beni immobili, mobili, elemosine, donazioni, offerte e quant'altro era o sarebbe stato nella disponibilità del pio luogo - spettava unicamente ai maestri e confratelli della stessa, i quali potevano impiegare i loro beni nel modo ritenuto più conveniente e utile per il conseguimento delle finalità per cui il pio luogo era stato fondato. Per qualunque diverso uso e abuso ne fosse stato in precedenza, veniva comminata la sanzione di nullità degli atti. Lecite, doverose e ferme rimanevano invece le erogazioni fatte per provvigione dei sacerdoti, per le iniziative sociali a favore dei poveri e per spese di mantenimento dell'organizzazione e per la fabbrica della chiesa.

Quanto poi al tentativo di mettere le mani sulle rendite della chiesa con la costituzione, ad essa imposta, di benefici ecclesiastici, il pontefice stabilì che da nessuna autorità ecclesiastica potessero esigersi o costituirsi tali benefici sui suoi beni, né che potessero costituirsi in dote di qualche beneficio ecclesiastico o di pio luogo già eretto o da erigersi. In mancanza i relativi atti dovevano ritenersi assolutamente invalidi, nulli ed inefficaci.

Per guida nell'adempimento degli obblighi di carattere religioso la Confraternita doveva liberamente eleggersi uno o più cappellani, che potevano essere rimossi ad insindacabile giudizio dei suoi governatori, previa approvazione dell'ordinario diocesano circa l'idoneità dei sacerdoti prescelti.

Gregorio XIII assolse poi i maestri e gli aderenti alla Confraternita dello Spirito Santo da tutte le sanzioni e pene canoniche che fossero state loro inflitte in riferimento ai fatti e alle controversie su cui la sua autorità apostolica si era definitivamente pronunciata.

Prescrisse, infine, che ogni anno i maestri dovessero dare il conto della loro amministrazione all'Ordinario del luogo, secondo i canoni dettati dal Concilio Tridentino.

E furono con ogni probabilità proprio questi principi dettati dai padri conciliari l'origine e la causa di questi dissidi tra la Confraternita dello Spirito Santo ed il rev. Cesare Fiorillo e altre sfere dell'autorità ecclesiastica.

Il Concilio di Trento proprio in quegli anni si occuperà, infatti, anche di queste forme di associazionismo laico/religioso.

Con il Decretum de reformatione, approvato nella XXII Sessione del 17 settembre 1562, i padri conciliari dettarono disposizioni volte a sottoporre questa particolare categoria di istituzioni (congregazioni, confraternite, luoghi pii laicali) alla competenza giurisdizionale degli ordinari diocesani.

Prescriveva il canone VIII che i vescovi erano esecutori di tutte le disposizioni pie, sia di quelle di ultima volontà, che di quelle tra in vivi. Avevano la facoltà di visitare li ospedali, i collegi di qualsiasi specie, le confraternite laicali. Per dovere d'ufficio, inoltre, e secondo le prescrizioni dei sacri canoni, essi dovevano informarsi delle elemosine dei monti di pietà o di carità, dei luoghi pii, comunque essi si denominassero, anche se la cura di essi fosse stata affidata ai laici e godessero del privilegio dell'esenzione. Tutto ciò, nonostante qualsiasi consuetudine, anche immemorabile, privilegio o statuto.

Ed il successivo canone IX disponeva che gli amministratori - sia ecclesiastici che laici - di un ospedale, di una confraternita, delle elemosine,, dei monti di pietà, e di qualunque luogo pio, erano obbligati a rendere conto, ogni anno, all'ordinario della loro amministrazione, aboliti qualsiasi consuetudine e privilegio in contrario, salvo il caso che nella costituzione e nell'ordinamento di tale chiesa o fabbrica non fosse stato disposto diversamente. Se poi per consuetudine per privilegio, o anche per qualche disposizione locale, si dovesse rendere conto ad altri a ciò deputati, con questi doveva essere chiamato anche l'ordinario. Le deliberazioni adottate in difformità di quanto sopra prescritto erano da ritenersi del tutto inutili per gli amministratori.

Tutto ciò significava, ed aveva come effetto pratico, l'attrarre nella sfera della competenza ecclesiastica e sottoporre al suo diretto controllo la gestione di ingenti risorse finanziarie e patrimoniali e tutte le attività socio-assistenziali di queste associazioni laiche.

Il pontefice Gregorio XIII non si discostò dai canoni del Concilio di Trento, prescrivendo l'obbligo del rendiconto annuale all'Ordinario diocesano; ma il suo intervento ebbe il grande merito di far chiarezza sul regime dei beni della Confraternita, tagliando alla radice ogni possibilità di abuso e di accaparramento di essi, riconoscendo la loro natura di beni con vincolo di specifica destinazione ed affermando la esclusiva competenza gestionale di essi in capo ai Governatori della Confraternita.

D'altra parte è noto che le richiamate prescrizioni conciliari sollevarono un infinito numero di controversie tra le confraternite e le autorità religiose e conflitti con le diverse normative statuali all'epoca vigenti, come si avrà modo di vedere più approfonditamente in seguito proprio a proposito dell'amministrazione della chiesa dello Spirito Santo.

Occorre peraltro rilevare che il rev. Cesare Fiorillo nelle sue pretese di avere l'amministrazione ed il controllo della Confraternita e di assicurare per sé o amici e parenti il godimento delle rendite del suo ricco patrimonio non costituiva un caso isolato, ma si inquadrava in un contesto generale corrotto dal fenomeno del nepotismo e del mercato dei benefici ecclesiastici da cui non era esente la Curia aversana. E forse il rettore della chiesa di Sant'Antimo agiva non solo per se stesso ma anche per conto della Curia il cui presule, mons. Balduino de Baldunis (1555-1582), non fu esente dalle accuse di nepotismo e di accaparramento dei benefici ecclesiastici per le quali fu chiamato a rispondere davanti al Sommo Pontefice. Il Parente ritiene che l'evento scatenante della rivolta contro Balduino fu il conferimento al suo nipotino Orazio, venuto da Pisa, della titolarità delle parrocchie di S. Nicola di Aversa, di S. Nicola a Piro, di Frignano piccolo e di S. Maria del Paradiso di Casapuzzano e che - pur senza disconoscere i suoi indiscussi meriti pastorali e di attuazione di alcune disposizioni del concilio tridentino, cui pertanto aveva personalmente partecipato - la sua gestione dei benefici ecclesiastici fu oggetto di pesantissimi componimenti satirici da parte dei suoi contemporanei[7].

Dalle risposte date da Salvatore Puca nel corso della santa visita di Mons. Pietro Ursini del 4 ottobre 1597 si apprende che la Confraternita dello Spirito Santo non era retta da norme statuarie scritte, ma si governava secondo regole consuetudinarie e rituali da tutti costantemente osservate.

Nel giorno dell'ottava di pentecoste, dopo la solenne processione promossa ogni anno dalla chiesa dello Spirito Santo, l'assemblea dei confratelli provvedeva a nominare cinque Maestri, di cui uno con funzioni di capo che avevano cura della gestione e dell'amministrazione della chiesa e della Confraternita per un interno anno, al termine del quale erano tenuto a dare il rendiconto della loro amministrazione e sottoporlo all'esame di "razionali" eletti a tale scopo.

La domanda di adesione alla Confraternita era rivolta ai maestri della stessa, ai quali spettava la decisione di accoglierla.

Secondo le regole comuni che scandivano i ritmi di adesione alle Confraternite, al provvedimento di accoglimento seguiva un periodo di noviziato nel corso del quale l'aspirante confratello doveva dar prova di vita cristiana integerrima con obbligo di partecipare non solo a tutti gli impegni di carattere religioso del sodalizio, ma anche di prendere parte a tutte le attività sociali ed assistenziali che formavano il tratto distintivo dell'associazione.

In apposito registro erano annotati tutti i nomi dei confratelli.

L'iscrizione era riservata certamente ai soli uomini; non si riscontra mai, infatti, alcuna presenza femminile né tra i confratelli, né tanto meno tra gli amministratori della Congregazione.

Duplice era lo scopo e la finalità del Sodalizio.

C'era la finalità che mirava ad assicurare la frequenza alle pratiche religiose e devozionali, ai Sacramenti, in particolare quelli della penitenza e dell'eucaristia, la partecipazione alle grandi manifestazioni ci culto pubblico, come le processioni, la recita del Rosario che proprio nel periodo della controriforma si diffuse capillarmente in tutta la cristianità.

Parallelamente a tale finalità il Sodalizio perseguiva l'impegno sociale ed assistenziale verso i confratelli e gli strati più poveri della popolazione, supplendo con un'opera di vero e proprio volontariato all'assoluta carenza e mancanza di intervento da parte delle istituzioni statali.

Uno dei principali ed originari campi di intervento assistenziale della Confraternita dello spirito Santo era rivolto agli ammalati.

Nel 1581 gli economi della Confraternita acquistano una casa da Vermiglia Ronga "pro conficiendo et erigendo hospitale"[8], e proprio la istituzione e gestione di un ospedale per la cura degli ammalati sembra essere stato uno degli scopi originari del Sodalizio, come si rileva in un atto del 1644 in cui si afferma che la chiesa dello Spirito Santo fu "fundata sotto titolo di hospitale, et per lo passato detta Chiesa have tenuto detto hospitale, tanto per servitio di altre persone povere, bisognose e malate di detta Terra di Sant'Antimo"[9].

Questo servizio di assistenza sanitaria conobbe evidentemente nel tempo fasi alterne di vita e di funzionamento. Una vigorosa ripresa si ebbe nel 1644 quando gli amministratori della chiesa istituirono una farmacia nelle adiacenze della stessa in due camere site sotto i locali della Congregazione del SS.mo Rosario. Per la sua gestione stipularono apposita convenzione con Francesco Ruta, "spetiale di medicina", fornendogli sia le suppellettili della farmacia che le materie prime da cui estrarre i medicinali e i rimedi sanitari, sia le necessarie attrezzature di lavoro, con espresso obbligo di "tenere, custodire et conservare, non barattare et implicarli in servitio di detta spetiaria per servitio di detto hospitale et per altre persone povere e bisognose di detta Terra di Sant'Antimo, preti et clerici". Il compenso fu fissato in 36 ducati annui, con facoltà per il farmacista di assumere un aiutante[10].

Occorre peraltro rilevare che in questo periodo, a Sant'Antimo, oltre gli interventi murati e specifici della chiesa dello Spirito Santo, l'assistenza sanitaria era assicurata dal comune alla generalità dei cittadini suoi contribuenti[11].

Di fatto fu la Confraternita che diventò il principale punto di riferimento per la gestione delle opere assistenziali del territorio.

Nel 1605 nella chiesa era stato fondato un "monte di Pietà" in subsidium pauperum, per aiuto ai poveri di sant'Antimo.

Lo statuto della fondazione, redatto in conformità dei capitoli dell'omologa fondazione esistente a Piano di Sorrento, ottenne il 3 dicembre di quello stesso anno l'approvazione con il provvedimento di privilegio e protezione regio.

Varie vicissitudini, tuttavia, e la mancanza di fondi adeguati avevano impedito che la lodevole opera di assistenza avesse inizio.

Con atto dell'8 settembre 1616 il rev.do frate Orazio Garofalo, uno dei più ricchi ed influenti confratelli di questa iniziale fase di vita del Sodalizio, finanziò con la donazione di un fondo di cento ducati l'istituendo Monte di Pietà.

Il privilegio e la protezione reale di cui godeva il Monte di Pietà valeva a sottrarlo ad ogni interferenza dell'ordinario diocesano, secondo le prescrizioni del concilio tridentino. A questa fa certamente riferimento frate Orazio Garofalo quando subordina la propria donazione alla condizione che nell'amministrazione il Monte di Pietà non vi debba mai essere ingerenza alcuna da parte dell'Ordinario ecclesiastico: "in eo numquam Rev.Mi Ordinari ecclesiastici in perpetuum acquirant ius, nec iurisdictionem, sed sempre mons praedictum sit et esse debeat sub titulo et protectione Regis".

A maggiore garanzia dell'autonomia e indipendenza del Monte di Pietà il reverendo frate prescrive che qualora, per qualsiasi motivo e per qualsiasi eventualità futura, gli ordinari diocesani intendessero attrarre nella propria competenza la predetta donazione, la somma da lui donata sai devoluta all'Università di sant'Antimo per essere impiegata in scopi analoghi.

A queste tassative ed imprescindibili condizioni il frate gerosolimitano consegna ad Emilio Di Donato, uno dei maestri ed economi della chiesa dello Spirito Santo la somma di cento ducati in contanti, che vengono riposti in uno scrigno di noce munito di triplice chiave. Primi amministratori della pia fondazione vengono nominati il dr. Giuseppe Di Donato ed i notai Decio Scarpa e Giovanni Leonardo Puca.

Anche il duca Francesco Revertera con l'atto di rinuncia al feudo di Sant'Antimo a favore del fratello Ippolito, nel momento in cui abbandona la vita secolare per rivestire l'abito religioso dell'Ordine teatino, affida alla Confraternita dello Spirito Santo la gestione dei suoi più significativi interventi assistenziali a favore della popolazione di questo paese[12].

Egli destinò la rendita di 51 ducati annui - derivante da somme date in prestito al Comune e ad altre persone - per l'acquisto di vestiari da distribuire ai poveri di Sant'Antimo nella ricorrenza della festività del SS. Rosario. Costituì esecutori della sua disposizione gli amministratori comunali e gli economi della chiesa dello Spirito Santo, raccomandando loro che il vestiario venisse assegnato a chi effettivamente ne avesse bisogno, senza favoritismi e clientelismi, lasciandosi guidare da retta coscienza "come meglio a loro Iddio ispirerà".

Nella ricorrenza della santa festività ed a cura degli stessi amministratori comunali e della chiesa dello Spirito Santo veniva attuata l'altra disposizione del duca Francesco Revertera in virtù della quale venivano assegnate quattro doti nuziali di 50 ducati ciascuna alle "figliole zite onorate e povere...de madre et padri onorati della detta Terra di S. Anthamo", di cui i predetti amministratori nel corso dell'anno erano tenuti a pigliar nota.

L'assegnazione avveniva a seguito di sorteggio pubblico di cui il duca aveva dettato le regole e le modalità di svolgimento: "dopo cantata in detta chiesa la messa della Madonna SS. del Rosario, il sacerdote che averà celebrata la messa (dopo detto il Veni Creator Spiritus) in presentia et assistentia delli detti Sacrestano, Maestri, Sindico et Eletti faccia ponere le cartelle con li nomi et cognomi delle figliole che si bussilaranno, tutte piegate ad un modo acciò non vi si possa far fraude, e quelle poste in un vaso se n'abbiano a cavare quattro con un figliolo semplice, cioè una la volta ed a quelle quattro che uscirà la dote s'abbia da dare il detto maritagio di ducati cinquanta per ciascheduna"[13][14].

Anche per questa disposizione ci si preoccupò di sottrarla ad ogni possibilità di interferenza o intervento dell'autorità ecclesiastica. Il duca nominò procuratori ed esecutori dl suo atto di liberalità i maestri della chiesa dello Spirito Santo, espressamente precisando e disponendo che "in tanto è stato fundato detto maritagio in quanto che detta Rev.da Fabbrica non possa né debia mai avervi actione".

Della Confraternita dello Spirito Santo c'è menzione negli atti fino al termine del cinquecento - l'ultima documentazione che ne attesti ancora l'esistenza è il verbale della santa visita del 4 ottobre 1597 di Pietro Ursini. Dopo tale data non c'è più notizia della "Confraternita" come ente dotato di una propria personalità giuridica; i suoi Maestri" non figurano più tra le parti contraenti negli atti di obbligazione, pagamenti, commesse, di amministrazione che riguardano la "Chiesa dello Spirito Santo". È invece quest'ultima che vi figura con una propria personalità giuridica, rappresentata da propri amministratori eletti annualmente in pubblico parlamento dall'Università di Sant'Antimo, che risulta dotata di giuspatronato della chiesa stessa. Di tutto ciò che si trova accenno anche nella rivela fatta in occasione del catasto onciario del 1754 "la Chiesa laicale dello Spirito Santo di questa Terra ... nell'origine era congregazione".

In un documento del maggio 1778 gli amministratori del Comune affermano che la chiesa dello Spirito Santo "ab immemorabili fin dalla sua fondazione è stata amministrata da Governatori, tre Ecclesiastici e due Laici, eletti con pubblico parlamento in ogni anno ... trovandosi la Chiesa fondata dall'Università".

L'affermazione tuttavia non appare suffragata dalla documentazione pervenutaci relativa ai primi decenni di esistenza e di amministrazione della chiesa; essa risente certamente dello spirito polemico e delle circostanza particolari in cui l'affermazione stessa venne fatta, essendo tesa a difendere il diritto autonomo, pieno ed esclusivo dell'Università di eleggere e nominare gli amministratori della chiesa, che i Tribunale Misto tentò di comprimere e condizionare in vario modo.

Occorre pertanto registrare che nello stesso periodo nell'esposto fatto dagli Eletti dell'Università al governatore di Sant'Antimo per le stesse vicende - che misero in modo evidentemente anche ricerche e prove documentarie - si afferma che "la detta Università fin dall'anno 1604 in publico parlamento ave elette cinque persone" per l'amministrazione della chiesa. E questa affermazione è più rispondente al vero, coincidendo effettivamente con le coeve risultanze documentali.

Non sono pervenuti gli atti di questo trasferimento della titolarità della chiesa della Confraternita dello Spirito Santo all'Università di Sant'Antimo nel decennio a cavallo tra la fine del cinquecento e gli inizi del Seicento. esso può essere avvenuto o per disposizione dei confratelli, i quali nell'atto in cui deliberarono lo scioglimento e l'estinzione della Confraternita nominarono erede universale della stessa il Comune di Sant'Antimo in continuità e aderenza a quel principio di laicità del Sodalizio così tenacemente perseguito fin dalla sua fondazione, oppure - in mancanza di un espresso e libero atto dispositivo - il Comune successe alla Confraternita nella titolarità della chiesa dello Spirito Santo "ope legis".

Disponevano infatti le normative del Regno che nel caso di scioglimento o estinzione di Confraternite e Luoghi pii laicali, e in assenza di diverse disposizioni da parte dei loro fondatori, ad essi succedeva l'università territorialmente competente.

Date le vicissitudini che avevano caratterizzato la vita della Congregazione dello Spirito Santo, il giuspatronato comunale rientrava a pieno titolo anche nella categoria di ciò che Mons. Francesco Verde chiama "Ius-patronatus potentium Patronum ", definendo tali quelli che competono alle Università - qualunque sia la loro dimensione e consistenza - ai baroni ed alle famiglie e persone più potenti nei cui territori ci sia timore di usurpazione di diritti e competenze e nei cui confronti l'Ordinario non osa opporsi: "Ius-patronatus potentium Patronum est competens Universitatibus, etiam parvis, Baronibus, aliisque familiis vel personis potentioribus... Et dicintur personae potentes et Communitates potentes etiam parvae, in quibus est usurpationis, et quibus non audet Ordinarius contradicere"[15].

L'amministrazione della chiesa dello Spirito Santo[modifica | modifica wikitesto]

Succeduta alla Confraternita dello Spirito Santo, l'Università di Sant'Antimo provvedeva ad eleggere in pubblico parlamento cittadini, a ciò appositamente convocato, gli amministratori della chiesa, in parte laici e in parte ecclesiastici, indicati nelle fonti indifferentemente con il titolo di "maestri", "economi", "deputati", "governatori". Uno di essi era eletto "Sacrestano Maggiore", altre volte designato con l'espressione "magister in capite", con funzioni di capo dell'amministrazione.

Delle modalità di tale elezione se ne ha prova nel verbale del parlamento tenuto il 25 maggio 1611.

Il notaio Giovan Michele Turco e Giacomo Martorelli, amministratori comunali, convocano i cittadini nella chiesa dello Spirito Santo, dove sono soliti riunirsi in occasione di tali elezioni (ubi alias pro infrascripto actu congregari solent), essendo scaduto il mandato annuale dei governatori precedenti.

Alla riunione partecipava quasi l'intero corpo elettorale[16].

Dopo la celebrazione della messa e l'invocazione dello Spirito Santo l'assemblea elegge amministratori Minico De Donato, in capite, e Orazio Turco, Sebastiano Iadiciaccio, Giovanni De Blasio e Giulio Morlando, homines dictae Universatis, bonae condictionis et famae.

Il mandato che viene loro conferito dal popolo fu, secondo la formula classica, quello di "dictam Ecclesiam regere et gubernare, utilia agere et inutilia pretemittere, et omnia alia facere quae in dicta Ecclesia necessaria fuerint, et prout eis visum fuerit et erit necesse", cioè dirigere e governare gli affari della chiesa, proseguendo costantemente i suoi interessi e lasciandosi guidare dalle necessità della stessa e dal loro giudizio.

Essi dovevano inoltre provvedere a far redigere l'inventario dei beni della chiesa ed annotare tutte le entrate ed uscite in apposito registro, costituente il documento contabile fondamentale per il rendiconto che dovevano obbligatoriamente dare al termine dell'annuale mandato della loro amministrazione.

Il collegio dei Governatori della chiesa dello Spirito Santo era composto di cinque persone, tre ecclesiastici e due laici, di cui uno con funzioni di "Magister in capite".

Occorre tuttavia registrare qualche dissidio sorto nel corso del '700 circa la composizione di questo organismo dii amministrazione della chiesa.

In una relazione del 1742[17] del dr. Nicola Ciampitelli, Governatore di Sant'Antimo, si afferma che la chiesa è "governata presentemente da cinque amministratori, tre sacerdoti e due laici, che si nominano dall'Università, dalla quale fu quella fondata, benché prima fossero tre i governatori secolari". Egli tuttavia non documenta il proprio assunto. Il Tribunale Misto, investito della questione, annota nel verbale della Consulta tenuta il 13 giugno 1742 che "la rappresentazione vaga e confusa di quel Governatore si presumeva fatta per istigazione de' Ministri del barone, i quali vorrebbero nell'amministrazione temporale della Chiesa ingerirsi, come ne ha il Tribunale avuti anche per altra via i riscontri", e che in ogni caso un diverso dosaggio nella composizione dell'organismi di amministrazione della Chiesa non ne poteva minimamente inficiare la natura certamente laicale "essendo allo stesso stabilimento in una medesima forma sottoposti ugualmente i luoghi pii amministrati da soli laici e quelli governati promiscuamente da laici ed ecclesiastici". In ogni caso, al fine di evitare indebite ingerenze del feudatario e garantire la piena libertà di votazione, il Tribunale prescrisse che le nove, prossime elezioni avvenissero con l'intervento del "Regio Governatore in luogo del Governatore Locale, acciò i cittadini abbiano la piena libertà in farle senza veruna istigazione altrui, parzialità o aderenza eziandio indiretta, e venga conseguentemente la Chiesa governata ed amministrata con quella decenza del divin culto e soddisfazione di tutta la Comunità con cui è stata per tanti anni sono al presente ben regolata".

Il luogo in cui era convocato il parlamento cittadino per l'elezione degli amministratori della chiesa dello Spirito Santo era all'interno dell'edificio, almeno nella fase iniziale, come risulta da citato verbale dell'adunanza del 25 maggio 1611.

Successivamente invase l'uso di riunire i cittadini nello spazio antistante alla chiesa - evidentemente perché non fossero condizionati dalla sacralità del luogo e fossero completamente liberi nelle loro scelte - e nella documentazione del '700 tale luogo è indicato come quello "in cui era stato sempre solito da tempo immemorabile per l'addietro congregarsi i cittadini ed eligere i nuovi amministratori della medesima".

Il peso funzionale e simbolico di questo luogo era di tale rilevanza nella percezione dei cittadini da condizionare la stessa validità di quanto deliberato dal parlamento se fosse stato convocato in luogo diverso.

Emblematico è il clima di tensione che si registrò nel paese a tale riguardo con la formazione di "due fazioni contrarie" e la netta contrapposizione tra gli Eletti dell'Università ed il Governatore locale in occasione dell'elezione dei nuovi amministratori della chiesa alla fine di novembre del 1742, secondo il dettagliato racconto che si legge nella relazione fattane dopo dal Commissario di Campagna[18]. Il Tribunale Misto, investito della questione, fu di parere che "per l'avvenire debba detta elezione farsi nello stesso modo avanti detta Chiesa dello Spirito Santo giusta il solito immemorabile sin ora praticato, senza darsi luogo ad innovazione veruna".

Tale disposizione perdurò fino a quando, abolite le assemblee generali dei cittadini, fu istituita la rappresentanza di essi con l'elezione dei Consigli comunali.

La normativa in vigore nel Regno di Napoli prescriveva che non poteva essere nominato amministratore di un Luogo pio:

  • chi ne era debitore[19];
  • chi era consanguineo o affine entro il terzo grado con precedenti governatori;
  • chi non aveva ricevuto la debita lettera liberatoria dopo l'esame del conto della propria amministrazione.

Ciò viene richiamato espressamente dal Tribunale Misto nella consulta del 3 gennaio 1743 in cui si sottolinea che i Governatori eligendi per l'amministrazione della Chiesa dello Spirito Santo "non dovranno avere alcuna delle tre eccezioni contenute nei reali ordini".

Come accennato, alla scadenza del loro mandato i maestri ed economi della chiesa sottoponevano il rendiconto della loro gestione all'esame di "razionali", di revisori dei conti, nominati a tal fine dal parlamento cittadino, ai quali veniva presentata la nota delle entrate e delle uscite, nonché tutta la documentazione a discarico di dette partire.

Nel caso di esito positivo dei conti, veniva rilasciata agli amministratori apposita "lettera liberatoria" del loro mandato.

In caso contrario, poiché gli amministratori rispondevano in proprio della irregolare gestione nell'esercizio della funzione loro affidata, i revisori dei conti notificavano ad essi una "lettera significatoria" con la segnalazione delle irregolarità riscontrate e con ingiunzione a regolarizzare immediatamente i conti.

In mancanza essi erano "astretti per la via esecutiva, pro ut de iure, a pagare i debiti delle significatorie".

Anche per la nomina dei revisori contabili occorreva che essi non si trovassero nelle condizioni che rendevano ineleggibili gli amministratori del Luogo pio, cioè non essere legati da vincoli di parentela con le persone di cui dovevano esaminare i conti, non essere debitori della chiesa, ne essere stati amministratori della stessa nella causa della revisione del loro operato.

I canoni del concilio tridentino stabilivano che l'annuale rendicontazione dei luoghi pii dovesse essere fatta all'ordinario diocesano. Ciò suscitò vivaci reazioni nel Regno di Napoli la cui legislazione era improntata alla strenua difesa della giurisdizione statale in materia di amministrazione dei luoghi pii laicali e dei loro beni materiali. Numerose volte il potere centrale fu costretto ad intervenire in difesa di varie confraternite e chiese laicali della ingerenza e indebite pretese vantate dai vescovi[20].

Dissidi che perdurarono anche dopo il concordato tra il Regno di Napoli e la Santa Sede del 1741, tanto da indurre il Sovrano a precisare più volte ufficialmente e solennemente i termini della questione e la normativa da applicarsi nel Regno.

Nella Prammatica II del 18 aprile 1742 si legge: Fin dalla pubblicazione del Concilio di Trento cominciarono i Prelati del Regno a pretendere la giurisdizionale ingerenza ne' conti e nell'amministrazione de' Luoghi Pii laicali; fu loro sempre ciò fortemente contraddetto dal Governo per non essere stati qui ricevuti due capitoli del Concilio di Trento attinenti a sì fatti luoghi, come privatamente sottoposti colli loro beni, e con le persone de' loro beni, e con le persone de' loro Amministratori laici a' Regi Magistrati; dai quali perciò sino a questi ultimi tempi non si è mai permesso a' medesimi Prelati di affatto ingerirsi nel temporale di quei Luoghi pii, facendo tutti i di loro atti abolire anche coll'uso de' rimedi economici...Che nel Concordato non erasi avuto affatto pensiero di attribuire a' Vescovi giurisdizione alcuna sopra de' beni temporali de' Luoghi pii laicali, e di loro amministratori laici, come nello stesso Capo V chiaramente appariva dalle disposizioni fatte tanto per la visita sola accordata in spiritualibus[21].

Alcuni episodi di contrapposizione circa la competenza giurisdizionale in ordine alla amministrazione dei beni temporali dei Luoghi pii laicali potevano dare talvolta origini a situazioni assurde per chi inconsapevolezze vi incappavae poteva costituire un'arma micidiale nelle mani di persone di poco scrupolo. Si può citare il caso emblematico accaduto a Lorenzo Paracollo.

Egli con atto pubblico per notar Giulio Damiani in data 19 maggio 1602 acquistò dai governatori della chiesa dello Spirito Santo una casa di due stanza con piccolo giardino in Via del Lupo per il prezzo di 180 ducati, quale maggiore offerente nell'asta pubblica promossa dagli stessi governatori, saldandone il prezzo nel termini contrattualmente pattuiti, e rimettendola a nuovo con notevole spesa.

A distanza di oltre 40 anni, il 31 ottobre 1643, gli venne notificato dalla Curia aversana che "avendo egli osato acquistare beni della chiesa dello Spirito Santo senza assenso e beneplacito apostolico" era incorso nella scomunica Paolina con ordine di restituire immediatamente l'immobile alla chiesa unitamente alla rendita che lo stesso sarebbe stato suscettibile di produrre per tutto il temp'o dell'indebito possesso.

Erano episodi rari, dovuti probabilmente al fatto - come sostiene Lorenzo Paracollo nella sua difesa - che Tommaso Iavarone e Girolamo De Blasio, promotori di quel provvedimento della Curia aversana, miravano a "pigliarsi loro dette case, come vicini", per cui chiede che essi "siano carcerati come turbatori della jurisdizione di Sua Maestà, e per la difensa deli suoi vassalli spedire anco hortatoria a Mons. Vescovo d'Aversa" e gli fanno candidamente affermare che se egli fosse stato minimamente consapevole di tutto ciò non haveria dormito per insino a mò".

Il processo dovette con ogni probabilità registrare la contrapposizione tra la visione ecclesiastica che trovava il suo fondamento nelle prescrizioni del concilio tridentino e quella laica cui si ispirava la legislazione del Regno di Napoli. Il funzionario del Tribunale della real giurisdizione incaricato di recapitare l'hortatoria al Vescovo di Aversa, ne annota così la risposta nella sua relazione del 28 novembre 1643: "Lo scritto di V.S., pieno di bellissima dottrina, presentai a Mons. Vescovo di Aversa, il quale, avendolo considerato, mi rispose che era ottimo, però che si errava nelli primi principi".

Sta di fatto che il processo fu assunto e istruito dal giudice civile della Reale Giurisdizione e che non giunse ad una sentenza finale a seguito della formale dichiarazione del rev.do D.Tommaso Iavarone resa il 3 agosto 1644. Fatti gli opportuni accertamenti e perizie, il sacerdote, che era stato promotore di quel processo, afferma di essersi accertato ed essere perciò sicuro che il valore dell'immobile era pari al prezzo di acquisto da parte di lorenzo Paracollo e che esso era stato interamente pagato alla chiesa (fuit certioratus quod domus praedicta non valet plus pretii ducatorum centum octuaginta pro quo fuit empta, et pretium praedictum fuit per citum Laurentium satisfactum Ecclesiae praedictae Spiritus Sancti)[22]. Un ravvedimento che portò il sacerdote a riconoscere che la vendita era stata fatta "cum utilitate dictae Ecclesiae" ed a rinunziare perciò alla lite, la quale si estinse per inattività delle parti[23].

Pur essendo questo l'esito della lite davanti al giudice civile, non si conosce la conclusione di quella vertente nella Curia Episcopale di aversa per essersi realizzata la vendita dell'immobile senza il preventivo assenso e beneplacito apostolico e se sia stata formalmente revocata la scomunica di Lorenzo Paracollo. Quest'ultimo morì però nella predetta abitazione l'11 dicembre 1648 "in comunione S(ancte) M(atris) E(cclesiae)" e fu sepolto nella chiesa dello Spirito santo dopo essersi confessato e aver ricevuto il SS. Viatico e l'Estrema Unzione[24]. Tutto ciò sarebbe stato inconciliabile con un provvedimento di scomunica in atto.

C'è peraltro da rilevare che nei numerosissimi atti di transizioni economiche interessanti l'amministrazione della chiesa dello Spirito Santo talvolta è espressamente inclusa la clausola che la loro efficacia è subordinata al rilascio dell'assenso o del beneplacito apostolico, ma molte altre volte questa clausola manca del tutto nell'atto, né risulta che comunque l'assenso sia stato richiesto, senza che i contraenti abbiano subito le disavventure di Lorenzo Paracollo.

Oltre all'amministrazione ordinaria della chiesa era compito dei suoi amministratori gestire eventi del tutto eccezionali, che pure talvolta si presentavano suscitando grande scalpore nel paese. Erano episodi riferiti soprattutto a color che per sfuggire alla cattura per qualche crimine si rifugiavano nelle chiese[25].

In un memoriale del 13 giugno 1782 il rettore della chiesa ricorda di aver più volte rappresentato alle competenti autorità le gravi difficoltà in cui veniva spesso a trovarsi la chiesa dello Spirito Santo "per il ricovero che tiene per l'asilo de'fuggiaschi, così che non solo sono affatto sicuri gli arredi che in essa si conservano, ma essendo questi facinorosi ed inquieti perturbano le sacre funzioni, i Cappellani ed i Clerici della medesima"[26].

Inaudito fu ciò che accadde con Gaetano Cuomo, "giovane rotto e facinoroso". Durante i festeggiamenti in onore del Santo Patrono del 1782 aveva accoltellato nella chiesa di Sant'Antimo varie persone forestiere, rifugiandosi poi nella chiesa dello Spirito Santo dove "con scala ogni notte salta per le mura della chiesa, tiene anco di notte aperta la porta per uscire ed entrare a suo comodo, minacciando di il Clerico che la custodisce", ma aveva superato ogni limite introducendo nella chiesa "una cattiva donna per suo capriccio più volte ... con scandalo di questo pubblico, cosicché ha ridotta la chiesa medesima un lupanare". Viene chiesto l'intervento del Vescovo di Aversa perché il giovane sia portato "per rifugio nin altra chiesa fuori di questo paese", con minaccia che "in caso di nuovo abuso sarà dal Vescovo dichiarato di non godere veruna sorta d'immunità"[27].

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Fase iniziale e di completamento dell'edificio[modifica | modifica wikitesto]

L'originario oratorio edificato dalla Congregazione dello Spirito Santo non si estendeva oltre l'area occupata dall'attuale zona presbiteriale della chiesa, e dagli adiacenti locali della sacrestia, che in questa fase iniziale servivano anche da luogo di riunione e di amministrazione del sodalizio.

La durata dei lavori segui l'andamento della concessione di giuspatronato a varie famiglie della borghesia ricca di Sant'Antimo, che comportava talvolta l'assunzione degli oneri di costruzione delle varie cappelle e la loro adeguata dotazione, oppure quello delle donazioni provenienti dai cittadini.

La chiesa certamente risulta ancora incompleta nel 1573. Il 25 luglio di quell'anno l'abate Federico De Flumine nomina erede di parte del suo patrimonio immobiliare la Confraternita dello Spirito Santo, con condizione che i suoi governatori l'abbaino a vendere e che le somme ricavate "siano tenuti spenderle in fabbrica de dicta ecclesia"[28].

Dai verbali della santa visita di Pietro Ursini del 4 ottobre 1597 la chiesa appare in gran parte completata anche nelle navate. Vi sono menzionate, oltre l'altare maggiore, le cappelle ed altari del rosario, di S. Agostino, di S. Maria di Loreto, dell'Assunta, della Natività, dell'Annunciazione, lo spazio concesso a Marco Antonio De Flumine per erigervi un nuovo altare[29], ed il campanile.

Tutti gli altari, compreso l'altare maggiore, risultano "di fabbrica". Nessun accenno ai rivestimenti marmorei che li adorneranno successivamente.

Il tabernacolo dell'altare maggiore fu donato dai cittadini riuniti in pubblico parlamento, che stanziarono la somma di 25 ducati, "in subsidium tabernacoli seu custodiae conficiendae", parte della maggiore somma di 100 ducati che l'Università sono il 30 agosto 1608 a tale specifico scopo e perché la Chiesa potesse far fronte ai suoi impegni e necessità[30].

Agli inizi del '600 risale il completamento delle cappelle del lato sinistro della Chiesa. Se ne ha testimonianza in un documento del 12 settembre 1622 nel quale i governatori della Chiesa dello Spirito Santo dichiarano di aver ricevuto in prestito da Delia Cavaselice, vedova di Pietro Fiorillo, la somma di 100 ducati "pro ampliando Ecclesia praedicta in augumentum fabricae et construendis cappellis a latere sinistro[31] Ecclesiae praedictae a parte meridionali" e che tale somma era stata già utilizzata nella costruzione delle cappelle stesse, come era a tutti chiaramente visibile (conversos iam in fabricam cappellarum praedictarum pro ut apparet).

La nobildonna concesse tale somma gratuitamente per sei anni (relaxat eidem Ecclesiae gratis absque ullo onere et interesse per annos sex) e con facoltà per i governatori della Chiesa di impiegarla ed investirla secondo quanto essi avessero stimato più utile, con obbligo tuttavia - qualunque ne fosse stato l'impiego - di menzionare di volta in volta la loro provenienza. Donò poi alla Chiesa anche la sorta capitale dei 100 ducati con obbligo di far celebrare ogni sabato una messa in onore della SS. Vergine del Rosario[32].

Anche il lato destro della Chiesa fu interessato da lavori di completamento agli inizi del '600, che vengono ricordati nell'atto di rinnovo della concessione di cappella di patronato della famiglia Verrone del 27 dicembre 1619[33], la quale viene individuata come ubicata nei pressi della porta della sacristia e che era stata di recente ricostruita ed ampliata: "Cappellam prope ianuam Abditi seu Sacristiae, noviter ampliatam et constructam".

La ridefinizione e sistemazione della parte del lato destro della Chiesa adiacente ai locali della sacristia era dovuta alla necessita di collocare in un sito più idoneo l'altare di S. Maria di Loreto, posto sotto il corale dell'organo nell'area iniziale della navata destra, nel sito dove ora è l'ingresso della sacristia. Nella santa visita precedente a quella del 1597 Mons. Ursini ne aveva ordinato la rimozione e la sua ricostruzione nel sito del vecchio ingresso della sacristia.

È agli inizi del '700 che l'edificio assume l'aspetto strutturale che si conserva ancora oggi, con gli interventi di rifacimento e ristrutturazione della sua parte absidale e della cappella a sinistra dell'altare maggiore.

L'intervento in verità interessò anche la revisione generale della statica dell'edificio e della solidità delle sue fondamenta, avendo evidentemente subito qualche danno dai terremoti registrati nella zona negli anni immediatamente precedenti, ed in particolare in quelli del 1688, 1694, 1702 e 1706.

Tra le clausole del contratto di appalto dei lavori del 20 febbraio 1720 era anche previsto, infatti, la revisione della solidità delle fondamenta dei pilastri e delle mura antiche della Chiesa ed interventi sulle sue fondazioni nei punti ritenuti necessari.

Il progetto e la direzione dei lavori fu dell'architetto Antonino Notarnicola[34] ed i lavori eseguiti da Vincenzo Pomaro di Succivo[35].

L'intervento consistette nell'allargamento della zona del coro con l'aggiunta i quattro nuovi pilastri agli otto già esistenti e relativi lavori di tompagnatura e creazione di sei "archi terranei" di congiunzione tra le fondazioni della nuova fabbrica; innalzamento dei dodici pilastri con i rispettivi capitelli e cornicioni sulla sommità; creazione di sottoarchi agli antichi archi della Chiesa ed in particolare ai quattro archi maggiori che sorreggono la cupola; lamia di copertura del nuovo coro, da realizzarsi 1 ½ palmi leggermente "più alta di quella che si ritrova al presente", in continuità "alla lamia antica di detto Altare Maggiore".

L'intervento comprendeva inoltre la sistemazione della parte terminale della Chiesa con la creazione di una nuova cappella sul lato sinistro dell'altare maggiore, che fosse simmetrica e uguale alla cappella del Crocifisso già esistente sul lato destro, con le connesse opere di raccordo dei vari elementi architettonici della zona terminale della Chiesa.

I lavori furono completati con le rifiniture in stucco eseguite da Giuseppe Farinaro e dai figli Domenico, Francesco e Carmine di Aversa.

Nel contratto dell'11 gennaio 1721 fu commissionato ad essi di "fare tutto lo stucco della Croce insieme con il Coro nuovo e vecchio e lamie di esso intiero e Cappella nuova di detta chiesa, così di pilastri, base, zoccoli, capitelli con lor serafini, architravi, friso, cornicione, membretti, contropilastri, archi, lamie, ornamenti attorno alle finestre, cimoselle, cornici, quadri, fasce, sodicolture, intaglio ed altro in detta Croce, e tutto lo stucco di cornice delli quadri del prospetto e laterali delle Cappelle e lamie di esse con altri alvori et altro in conformità del disegno".

Le due cappelle insistenti nella zona del presbiterio, quella della Vergine del rosario e quella di S. Agostino, dovevano essere simmetricamente "guarnite con pilastri e prospettive" uguali a quelle ubicate nella Croce della Chiesa dello Spirito Santo di Palazzo della città di Napoli, così che "fatta detta opera se ne possi dare il confronto con quelle".

Gli antichi ornamenti in stucco dell'arco maggiore della Chiesa furono eliminati per conformare tutto l'intero dell'edificio alla nuova idea progettuale.

In tale occasione, e con lo scopo di uniformare l'esistente "dell'istessa conformità che cammina l'ordine di detto nuovo stucco faciendo", furono rifatte in tutto o in parte le cornici e squadrature delle lamie e dei quadri della cappelle della Chiesa, oltre a quelle del coro e delle sue due cappelle laterali.

Il risultato finale è di un interno armonioso, sobrio, elegante ed omogeneo, privo di sovrabbondanze stilistiche.

A seguito del sisma del 23 novembre 1980 la Chiesa dello Spirito Santo ha subito gravissimi danni strutturali che l'hanno resa inagibile fino 2009. In questi anni la difficoltà di reperire adeguate risorse finanziarie e le lungaggini burocratiche ne hanno prolungato lo stato di abbandono e favorito la devastazione e spoliazione dei suoi elementi decorativi ed architettonici. Ad un primo intervento di consolidamento statico della struttura murario sono seguiti quelli di consolidamento della cupola e della parte superiore della facciata, scomposizione e rifazione del tetto di copertura opere per irrigidimento della navata principale, impermeabilizzazioni, restauro delle modanature e delle cornici sia all'interno che all'esterno della Chiesa, restauro del portale in pietra lavica, del portone d'ingresso e del pavimento, nuova sistemazione del sagrato, ripristino e restauro degli altari, degli affreschi e pareti interne ed esterne dell'edificio[36].

La facciata[modifica | modifica wikitesto]

La Chiesa si affaccia sull'omonima piazza alla confluenza di Via Libertà con Via Lava e Via S. Russo.

La facciata si sviluppa in due ordini sovrapposti, delimitati da una cornice che ne segue le parti ornamentali e poggia su uno zoccolo di piperno.

Nel primo spicca il portale in piperno, riccamente scorniciato, scolpito e ornato secondo i tipici canoni stilistici del '600 cui la facciata risale, chiuso ai lati da due mezze paraste di ordine ionico. Termina con un timpano sinusoidale spezzato la cui parte centrale è occupata da un'edicola nel cui vano i recenti restauri hanno riportato alla luce un affresco riguardante la Pentecoste. Lo spazio è ripartito da sei lesene, tre per ciascun lato, e da due oculi a finestra in corrispondenza delle due navate laterali della Chiesa.

Il secondo ordine della facciata è occupato nella parte centrale da un finestrone, con un timpano curvilineo spezzato che racchiude un cartiglio, e da una sovrastante finestra orbicolare che danno luce alla navata centrale della Chiesa.

Quattro lesene con capitello corinzio ne spartiscono lo spazio, che è delimitato alle due stremità con motivi ornamentali a girale.

Il fastigio è coronato da una cuspide triangolare al cui vertice è riprodotto in stucco il simbolo della Chiesa: la colomba, sorretta da tre serafini, da cui si irradiano fasci di luce.

Sul timpano del portale e sui vertici superiori di due ordini di ripartizione della facciata è collocato l'elemento decorativo della pigna, simbolo di rinascita e risurrezione.

Nel piccolo cartiglio posto nella parte superiore dell'edicola al centro del timpano del portale è impressa la data del 1723, epoca in cui furono eseguiti i lavori in stucco che adornano la facciata.

Lavori di restauro della facciata furono eseguiti a seguito del terremoto del 1930, che danneggiò la Chiesa in varie parti.

L'atrio era delimitato da una cancellata posta nel 1931 che è stata eliminata nel corso dei lavori di risistemazione e rifacimento della piazza.

Sul lato settentrionale, all'inizio di via Lava, fu collocata nel marzo del 1929 l'edicola del Crocifisso nell'area di un giardinetto di proprietà del Comune.

L'edicola era precedentemente sita nella cantonata del palazzo municipale di Piazza della Repubblica, all'epoca di proprietà della Congregazione del SS.mo e Purgatorio.

il trasloco avvenne processionale e con grande partecipazione dei fedeli. Una lapide, posta il 16 gennaio 1977 ai piedi dell'edicola, ne ricorda la risistemazione ad opera del rev. D. Gabriele Verde e dei fedeli.

Interno della Chiesa[modifica | modifica wikitesto]

La Chiesa è a pianta latina, a tre navate fiancheggiate da cappelle e transetto.

La navata maggiore è scandita da pilastri, sormontati da archi a tutto sesto che unitamente alla pilastratura del transetto e delle parti di collegamento all'abside furono decorati tra la fine del '700 e gli inizi del '800 con ornamenti in finto marmo che riprendono i motivi e i colori del marmo degli altari.

All'incrocio della navata principale con il transetto si innalza la cupola circolare, cui dà luce e slancio una lanterna posta al suo culmine. Poggia su un alto tamburo nelle cui quattro vele di base sono affrescati i quattro evangelisti, raffigurarti ciascuno con i propri simboli secondo la loro iconografia classica.

Sotto l'arco orientale che sorregge la cupola è collocato l'altare maggiore in marmi pregiati, in alcune parti con intarsi di lapislazzuli e altre pietre preziose, e decori in rame dorato. Dopo il furto e la devastazione del 4 dicembre 1989, che lo ridussero quasi unicamente allo scheletro murario, è stato possibile restituire quasi interamente l'altare alla sua forma originaria, grazie al recupero di gran parte dei suoi componenti[37]. In buona parte recuperata è anche la balaustra che delimita il presbiterio.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Notaio Angelillo Morrone, Protocollo, Vol. I, Archivio di Stato di Napoli, p. f. 20.
  2. ^ Notaio Angelillo Morrone, Protocollo, Vol. I, Archivio di Stato di Napoli, p. f. 35 v.
  3. ^ Notaio Angelillo Morrone, Protocollo, Vol. I, Archivio di Stato di Napoli, p. f, 59.
  4. ^ Ioannes Baptista Sajanello, Historica Monumenta Ordinis Sancti Hieronymi Congregationis B. Petri de Pisis Venetiis, 1558, ISBN non esistente.
  5. ^ Raffaele Flagiello, Maria Puca, La chiesa dell'Annunziata di Sant'Antimo dalle origini alla istituzione della Parrocchia, collana Collana di Studi e Ricerche del comune di Sant'Antimo, Sant'Antimo, 1990, ISBN non esistente.
  6. ^ ...Eadem petitio subiungebat, dicti Magistri et Confratres, ne ullo umquam tempore eos a Rectore Parrochialis Ecclesiae dicti Casalis aut quibusvis aliis desuper molestari cotingat et aliter pro eorum devotione et satisfactione cupiant istitutionem dictae Confreaternitas per Nos approbari. Pro parte eorumdem Magistri et Confratrum Nobis fuit humiliter supplicatum quatenus eorum desiderio annuere aliisque in premissis opportune providere de benignitate apostolica dignaremur... (breve di Gregorio XIII)
  7. ^ Gaetano Parente, Origini e vicende ecclesiastiche della città di Aversa, Vol. II, Napoli, 1858, pp. 615-630, ISBN non esistente.
  8. ^ Notaio Angelillo Morrone, Protocollo, Vol. VII, Archivio di Stato di Napoli, p. f. 56.
  9. ^ Notaio Carlo Giaccio, Protocollo, Vol. I, Archivio di Stato di Napoli, pp. f. 25v e 26.
  10. ^ La farmacia aperta dagli amministratori della chiesa dello Spirito Santo non era la prima ne l'unica esistente a Sant'Antimo nella prima metà del '600, ed in verità già in un atto del 3 ottobre 1579 si fa riferimento ad una farmacia gestita da Matteo De Flumine (notaio Angelillo Morrone, Vol. VI, f. 191). Dell'esercizio di un'altra "aromataria sita ubi dicitur alla Curia" si fa cenno in un contratto del 30 aprile 1603 (notaio Decio Scarpa, Vol. II, f. 229 v.). Un'altra farmacia è oggetto di compravendita il 4 ottobre 1606 tra la società fatta da Giacomo, Andrea ed Aniello Martoriello e quella formata da Giovanni, Francesco e rev. Giulio Ruta (notaio Decio Scarpa, Vol. V, f. 59 v. e ss.). Di una farmacia gestita per conto della casa feudale c'e menzione nel testamento di Muzio Damiano del 13 aprile 1638 in cui si dichiara che "tutte le robbe et stigli che la presente si ritrovano nella spetiaria manuale che per me si fa in detta Terra di Sant'Antimo, notate in libro, sono proprie della Ecc.ma Sig.ra Duchessa della Bagnara, utile Padrona di detta Terra di Sant'Antimo" (notaio G.L. Puca, Vol. XXIII/2, f. 37). Da una nota di crediti per fornitura di medicinali fatta da Francesco Ruta il 12 aprile 1627 risulta che la farmacia da lui gestita a Sant'Antimo aveva tra i suoi avventori anche persone di Melito, di Cesa, di Napoli (notaio G.L. Puca, Vol. XIII, f. 68).
  11. ^ Il 6 luglio 1618 si stipulò con il medico Michelangelo Sebasta apposita convenzione con la quale il professionista si obbligava ad "assistere in questo Castello di casa et ordinaria habitatione giorno et nocte, et medicare tutti cittadini di questo Castello suggetti alli pesi di questa Università nelle lloro occurrentie et infermità, et quelli nelle lloro infermità visitare due volte il giorno, cioè la matina et la sera". Il dottor Sebasta inoltre, qualora la malattia dell'infermo rendesse necessario un consulto medici, si obbligava ad "intervenire et colligiare gratis ogni volta che occorrerà"
  12. ^ Raffaele Flagiello e Maria Puca, Origini e vicende del Convento di S. Maria del Carmine in Sant'Antimo, collana collana di Studi e Ricerche del Comune di Sant'Antimo, Sant'Antimo, 2006, pp. 11-16.
  13. ^ Notaio Gramazio Amodeo, Protocollo, Vol. 30, Archivio di Stato di Napoli, p. f. 28 ss..
  14. ^ Raffaele Flagiello, Per una storia dell'assistenza ai poveri a S. Antimo nei secolo XVI-XVIII, collana Rassegna Storica dei Comuni, 1999.
  15. ^ Francesco Verde, Institutionum Canonicarum Libri Quatuor, Tomo I, Venezia, 1735, p. pag. 151.
  16. ^ Le regie prammatiche sull'amministrazione dei Luoghi Pii disponevano che l'elezione doveva avvenire senz'alcuna restrizione di classe particolare. Nella deliberazione del 25 maggio 111 vengono registrati i nomi di 105 persone partecipanti alla riunione et quamplures alii cives et homines in numero copioso, maiorem et saniorem partem civium et hominum dictae Universitatis.
  17. ^ Registri di Consulta, Vol. 282, Archivio di Stato di Napoli Tribunale Misto, pp. ff. 76r-77r.
  18. ^ Registri di Consulta, Vol. 282, Archivio di Stato di Napoli Tribunale Misto, pp. ff. 154r-155v..
  19. ^ Con la Prammatica IX del 25 ottobre 1749 venne tuttavia introdotto il principio che "li debitori per censi riservativi o bollari, ed altri contratti, per i quali sien'obbligati al pagamento di terze, interessi ed altre annuali corresponsioni a beneficio di qualche Luogo pio, possano ben'essere eletti al governo dello stesso; sempre che si tratti di una piccola somma, o che non vadano in attrasso della annualità col pio Luogo; o se la vadano, la soddisfino prima di prendere il governo".
  20. ^ Le controversie più aspre si registrano nelle diocesi di Benevento, di Larino, di Rossano, di Cosenza, di Martignano, di Teramo.
  21. ^ Lorenzo Giustiniani, Nuova collezione della Prammatiche del Regno di Napoli, Tomo I, Napoli, 1803, p. p.236 ss.
  22. ^ Notaio Carlo Giaccio, Protocollo, Vol. I, Archivio di Stato di Napoli, p. f. 12v.
  23. ^ Reale Giurisdizione, Vol. 208, Archivio di Stato di Napoli.
  24. ^ Liber Mortuorum, "Die XI Xbris 1648, Laurentius Paracuollo, viduus qm. Lucretiae de Aimone, in domo propria in platea quae dicitur dello Lupo, in comunione S.M. E. animam Deo reddidit, cuius corpus sepultum est in Ecclesia Spiritus Sancti, D. Fran.co De Marinis paroco confessus, SS.mo Viatico refectus, et roboratus sacri olei unctione", Vol. II, Archivio Parrocchiale di Sant'Antimo.
  25. ^ Le chiese godevano del diritto di asilo o di immunità per cui nessun delinquente - qualunque fosse la colpa di cui si era macchiato - poteva essere catturato, né tanto meno giustiziato, nella chiesa in cui si era rifugiato o nella zona ad essa circostante per un raggio di trenta passi, sotto pena di scomunica: "Si quilibet homo qualicumque culpa ad ecclesiam confugerit, non sit ausus aliquis eum violenter abstrahere, nec persequi infra dexstros ecclesiae, qui sunt trigunta passus. Qui aliter fecerit, anathema sit". Il predetto canone - che riprende l'analoga prescrizione contenuta già nel Codice di Giustiniano, libro !, 12, 6 - era basato sulla convinzione che le chiese, i luoghi di culto, rientravano nella categoria delle res sacrae, delle cose destinate alle divinità, che pertanto non potevano essere violate dal potere secolare.
  26. ^ Fascicolo 13, Vol. 83, Archivio di Stato di Napoli Tribunale misto, p. f. 1.
  27. ^ Reali Dispacci, Quello dei rifugiati nella chiesa dello Spirito Santo costituì un grave e ricorrente problema per i suoi amministratori, e talvolta le loro azioni sconsiderate si conclusero tragicamente con la loro uccisione. Si possono ricordare gli episodi riguardanti Aniello Verde, 25 anni, e Francesco Della Rossa, 38 anni, Rifugiati nella chiesa dello Spirito Santo. Rifugiati nella chiesa dello Spirito Santo, furono sorpresi e catturati dalle guardie della Curia di Sant'Antimo mentre si aggiravano sul tetto della chiesa. I parroci Pietro Mangiaguadagno e Innocenzo Pasquale, prontamente avvertiti e accorsi, riescono ad impartire appena l'assoluzione sacramentale perché i militi impediscono loro di somministrare gli altri sacramenti (nec locus fuit sive tempus aliis sacramentis) e li uccidono sul posto, subito dopo l'assoluzione, l'8 settembre 1682. Uguale sorte toccò a Felice Tessitore, 25 anni, ucciso il 28 luglio 1691 da un colpo d'arma da fuoco (tormenti bellici igneo globulo percussus), sorpreso nei pressi della chiesa dove si era rifugiato. L'anno successivo Giuseppe Vignapiana, condannato dalla Grande Corte della Vicaria, trovò rifugio "in Turri sacra Ecclesiae Spiritus Sancti"; le mura del Campanile non lo protessero da un colpo d'arma da fuoco che lo ferì mortalmente. Il parroco lo assiste nei tre giorni di agonia, raccoglie il pentimento delle sue colpe e lo assolve, gli somministra il Viatico e l'Estrema Unzione. Muore il 16 giugno 1692. Viene seppellito in tutta fretta e di nascosto, nel timore che la Curia secolare ne reclami la testa. Altro rifugiato nella chiesa dello Spirito Santo fu Tommaso della Provitola, di 29 anni, di Resina. Colpito a morte da un proiettile, spirò quasi subito, appena il tempo di confessarsi a gesti e ricevere l'estrema unzione "sub conditione". Decapitato, la sua testa fu portata via dalla Corte dei militi del Commissario di Campagna. Era il 1º settembre 1710. la gestione di tali eventi si presentava assai delicata anche quando non si concludevano tragicamente, travalicandosi spesso i limiti del potere statale e di quello ecclesiastico, talvolta anche a causa dell'istintività, della passione, degli abusi che animavano l'azione e i comportamenti degli armigeri della Corte locale, come si evidenzia nel dispaccio inviato il 27 marzo 1762 al Commissario di Campagna relativo all'estradizione, maltrattamenti e incarcerazione di persone rifugiate in chiesa. "El Rey quede informando de quanto V.S. ha representado en carta de 8 del corrente haverse ... sobre la relacion remitidolo dal Vicario General dejia Curia Obispal quejandose de los irregulares procederes que se executavan por la Corte de Sant'Antimo en materia de la immunidad Local y ma ha mandado S. M. en su inteligensia y encargarle al proprio tempo/afinque assi lo execute/ que V.S. dé una competente mortification a los armigreses de dicha Corte de S. Antimo por los maltratamientos extracciones hechas de propio caprihio, y sin orden de la misma Corte, de deversos refugiados de la Iglesia y dunque estos ... en sido despues excarcerados y puestas en libertad por la referida Corte, que igualmente V.S. ordene a aquel Gobernador de tener en freno sus Armigreses para que en lo venidero no cometanen semejantes excesos de maltratamentos y de extraer por sus capriches los refugiados en la Iglesia sin los requisidos del Concordato, y finalmente que V. S. partecipe tal su soberana resolucion al expresado Vicario General en respuesta de su citada relacion, Vol. 291, Archivio di Stato di Napoli: Ministero dell'Ecclesiastico - Segreteria, p. f. 58.
  28. ^ Notaio Angelillo Morrone, Protocollo, Vol. II, Archivio di Stato di Napoli, p. f. 85.
  29. ^ Tale altare non risulterà costruito neppure in seguito e la famiglia De Flumine, pur essendo tra le più importanti del paese, vanterà solo il diritto di patronato su una non meglio precisata cappella nella chiesa dell'Annunziata, menzionata nel Liber Mortuorum il 13 settembre 1677 - sepoltura di Blasio De Flumine, un fanciullo di 8 anni "in Ecclesia SS.mae Annuntiationis in propria cappella" - ed il 20 agosto 1681 per il chierico Scipione De Flumine "in cappella propriae familiae". Nel citato testamento dell'abate Federico De Flumine traspaiono del resto aspri ed insanabili dissidi familiari: l'abate prescrisse che i beni lasciati alla chiesa dello Spirito Santo non potessero essere venduti in alcun modo dai maestri della Confraternita ai parenti del testatore e che "facendolo lo contrario la Confraternita del Corpo di Cristo de S. Antimo, constructa dentro la Ecclesia magior de dicto Casale, se possa ereditare detta casa in sua parte toccata". Ciò dovette segnare i futuri rapporti di questa famiglia con la chiesa dello Spirito Santo.
  30. ^ Notaio Decio Scarpa, Protocollo, L'atto è riportato nell'appendice documentaria, Vol. VI, Archivio di Stato di Napoli, p. f. 321 ss..
  31. ^ La documentazione che riporta l'ubicazione dei siti della chiesa non sempre è univoca; lo stesso luogo è indicato talvolta sul lato destro della chiesa, talvolta su quello sinistro secondo il punto di osservazione del dichiarante. Ad evitare possibili confusioni nel lettore verranno indicati sul lato sinistro i siti ubicati sul lato meridionale dell'edificio e sul lato destro quelli ubicati a settentrione.
  32. ^ Notaio Decio Scarpa, Protocollo, Vol. XIII, Archivio di Stato di Napoli, p. f. 106 ss.
  33. ^ Notaio Pietro Caputo, Protocollo, Vol. XIV, Archivio di Stato di Napoli, p. f. 252 ss.
  34. ^ Quest'architetto, su incarico dell'amministrazione comunale, progetterà e dirigerà anche i lavori del soffitto ligneo della chiesa parrocchiale di Sant'Antimo nel 1725.
  35. ^ La competenza, l'esattezza e puntualità di esecuzione dei lavori commissionati al Pomaro gli valsero la stima e fiducia dell'amministrazione comunale di S. Antimo che nell'ottobre del 1721 gli affidò l'incarico della ricostruzione della chiesa parrocchiale di S. Antimo.
  36. ^ Di tali interventi si occuperà specificatamente una pubblicazione a cura dell'ufficio tecnico comunale.
  37. ^ Preziosissima è stata l'opera del Reparto Operativo dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio artistico, che ha portato al recupero del paliotto dell'altare e di componenti della balaustra.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Raffaele Flagiello, Maria Puca, La Chiesa dello Spirito Santo in Sant'Antimo: La Storia, Sant'Antimo, 2009, ISBN non esistente.