Giovanni Barbera

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Giovanni Barbera (Palermo, 1909Palermo, agosto 1936) è stato uno scultore italiano.

L'attività artistica dello scultore si concentrò in pochi anni perché morì improvvisamente nel 1936[1][2] a soli 26 anni. Nella sua breve vita creò una serie di opere utilizzando materiali poveri come la terracotta e la cera, opere caratterizzate da un certo arcaismo di età romanica, sullo stile, filtrato e reinterpretato, di Arturo Martini[3]. Può essere considerato uno degli scultori più promettenti del contesto artistico siciliano degli anni trenta. Contribuì in modo significativo alla svolta anti-novecentista che gli artisti isolani fecero nel decennio successivo.

Adolescente. Terracotta. 1932-34. Galleria d'arte moderna Sant'Anna di Palermo.
Donna seduta. 1935. Terracotta colorata. Galleria d'arte moderna Sant'Anna di Palermo.
Fanciulla addormentata. Gesso patinato a cera. 1933-35. Galleria d'arte moderna Sant'Anna di Palermo.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Gli inizi[modifica | modifica wikitesto]

Studia all'Accademia di belle arti di Palermo con Antonio Ugo e Archimede Campini. Poco più che ventenne, viene invitato a presentare i propri lavori alle mostre cittadine organizzate da Pippo Rizzo che, nella veste di segretario del Sindacato regionale fascista Belle Arti di Sicilia (incarico ricoperto dal 1928 al 1932), è attento a favorire giovani artisti siciliani di talento[4]. Barbera esordisce in pubblico nel marzo del 1931 al Circolo artistico di Palermo nell'esposizione "Mostra dei 10 giovani". Presenta "Testa di asceta", opera in marmo che risente dell'influenza del maestro Archimede Campini[5].

In occasione di una mostra successiva, allestita al ridotto del teatro Massimo, conosce Renato Guttuso, Lia Pasqualino Noto e Nino Franchina. È l'inizio di una profonda amicizia e di un importante sodalizio artistico. Alcuni anni dopo la pittrice così descriverà i compagni d'arte:

«Giovanni era un ragazzo piuttosto piccolo di statura, biondo, mingherlino, gentile e timido che faceva contrasto con Nino, alto, bruno ed esuberante. Renato era bruno anche lui, con grandi occhi neri a mandorla, sentimentali, molto sicuro di sé e pieno di entusiasmo per l'arte, insofferente verso il fascismo e la dittatura, insofferente verso tutte le costrizioni [...]»

Barbera condivide con Franchina, anch'egli scultore, uno studio in Corso Pisani, una grande sala a pianterreno piena di statue di argilla e gesso, dove si respira un'atmosfera un po' bohémien. Per dare all'ambiente un carattere da loro stessi definito "parigino", coprono le pareti con grandi scritte inneggianti all'amore, alternate a scritte "Viva la scultura" e, in seguito, a ritagli di giornale che parlano di loro[7].

Iniziano ad incontrarsi regolarmente almeno un giorno a settimana, spesso nell'accogliente salotto di casa Pasqualino Noto in via Dante, altre volte in Corso Pisani; discutono d'arte, consultano testi illustrati e cataloghi, ascoltano musica e criticano, ognuno a modo proprio, il fascismo. Condividono la ricerca di una personale identità artistica e un desiderio di mutamento, di non allineamento al tentativo del regime di imporre una pittura di Stato attraverso la corrente novecentista. Una cerchia di artisti, professionisti e critici d'arte si uniscono spesso alla compagnia, animati dallo stesso interesse: il rinnovamento radicale delle arti figurative[8].

Il Gruppo dei Quattro, 1932-1937[modifica | modifica wikitesto]

Ispirandosi ai Sei di Torino, nel 1932 formano il Gruppo dei Quattro, citato per la prima volta in un articolo di Giuseppe Pensabene[9]. Si impongono all'attenzione nazionale proponendo un'alternativa polemica al nuovo accademismo classicheggiante, caratterizzato dalla purezza delle forme e dall'armonia nella composizione, prerogative dell'arte di regime. Riescono, seppur per breve tempo, a conquistare la terza pagina de L'Ora dove pubblicano vivaci articoli di protesta[10]. Nel febbraio del 1932 partecipano alla Terza Esposizione del Sindacato regionale fascista Belle Arti di Sicilia, al Circolo della Stampa; Barbera espone l'opera "Bambino"[11]. Lo stile appare diverso rispetto ai primi lavori, le superfici si presentano più scabre e le linee più essenziali.

L'estate successiva partecipa ad una collettiva organizzata ancora da Rizzo nella Bottega d'arte in via Stabile, 125[12].

Nel 1933 firmano, insieme anche allo scultore Cuffaro, una lettera di protesta contro Antonio Maraini che li ha esclusi dalla Biennale di Venezia[13].

Nello stesso anno Barbera, insieme a Topazia Alliata, Domenico Li Muli e Ezio Buscio, organizza la Mostra dei venti artisti di Sicilia al teatro Massimo, promossa con gli auspici del Sindacato regionale fascista, ma in verità caratterizzata da spirito anti-novecentista e anti-accademico. Così Barbera scrive nell'articolo di presentazione su L'Ora:

«Il movimento artistico cosiddetto “novecento” ormai fortunatamente sorpassato è stato una vera disgrazia per alcuni che si iniziarono all'arte cinque anni fa. Ancora fino ad oggi i nostri occhi debbono girarsi in colli tubolari e mani a palette in composizioni in maniera dove l'artificio non è più una trovata geniale»

Nello stesso anno a marzo espongono alla quarta Esposizione sindacale d'Arte a Catania, Barbera presenta una formella intitolata "Campo Mussolini"[16]; poi a maggio espongono alla Prima mostra del Sindacato Nazionale a Firenze.

Nel maggio 1934, alla Quinta Esposizione del Sindacato regionale fascista, Barbera e altri artisti in mostra suscitano la disapprovazione di Maria Accascina, critico d'arte del Giornale di Sicilia[17].

Il mese successivo è la volta della prima uscita ufficiale per Barbera e il "Gruppo", una tappa fondamentale per l'arte siciliana degli anni trenta: l'esposizione alla Galleria il Milione a Milano, intitolata Artisti Siciliani. Due pittori e due scultori.
All'inaugurazione contribuisce Edoardo Persico con una specifica conferenza[18]. È un successo, le recensioni più significative sono quelle di Carlo Carrà, Libero de Libero e Leonardo Sinisgalli[19]. Barbera espone 12 opere: è una produzione più matura, modellata in un "non-finito", sfrangiato, con tratti di “abbrutimento”; gli elogi della stampa gli procurano una certa notorietà.

Nel febbraio 1935 ancora una mostra importante alla Galleria Bragaglia Fuori Commercio di Roma, titolo Pasqualino Guttuso, Barbera Franchina, Disegni: due pitture due sculture. A maggio, Sesta Esposizione del Sindacato regionale fascista Belle Arti di Sicilia a Palermo.

La morte[modifica | modifica wikitesto]

Giovanni Barbera muore nel 1936 (forse nel 1935) nel giro di poche ore, per peritonite, amorevolmente seguito e assistito dal dottore e amico Guglielmo Pasqualino, marito di Lia Pasqualino Noto. Viene meno una delle forze più vive e il principale elemento di coesione del gruppo[20]. Dopo la sua morte, Guttuso e Franchina si trasferiscono a Milano, Lia Pasqualino Noto resta a Palermo; il gruppo si scioglie e ognuno di loro troverà autonomamente la propria affermazione.

Alcune opere di Barbera sono state donate dal padre alla Galleria d'arte moderna Empedocle Restivo di Palermo, altre appartengono a collezioni private.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Alcune fonti riportano il 1935. Cfr.: Renato Guttuso, Scritti, a cura di Marco Carapezza, Milano, Classici Bompiani, 2013, ISBN 978-88-452-7365-0. URL consultato il 29 marzo 2020.
  2. ^ Giovanni Barbera, su comune.palermo.it. URL consultato il 29 marzo 2020.
  3. ^ Sergio Troisi (a cura di), Il Gruppo dei Quattro. Guttuso, Pasqualino Noto, Franchina, Barbera: una situazione dell'arte italiana degli anni '30, Palermo, Eidos comunicazioni visive, 1999, p. 20.
  4. ^ Anna Maria Ruta (a cura di), Il nomade Rizzo nell'arte del Novecento (PDF), Comune di Piana degli Albanesi, 2006, p. 138. URL consultato il 29 marzo 2020.
  5. ^ Il Gruppo dei Quattro, p. 16.
  6. ^ Lia Pasqualino Noto, Una testimonianza autobiografica (1976), in Eva Di Stefano (a cura di), Lia Pasqualino Noto a Palermo dagli anni '30 a oggi, Milano, Editore Mazzotta, 1984, p. 35, ISBN 88-202-0592-0.
  7. ^ Eva Di Stefano, p. 38.
  8. ^ Tra loro Alberto Paolo Bevilacqua, Pippo Rizzo, Leo Castro, Raffaele De Grada junior, Mimì Maria Lazzaro, Corrado Cagli, Topazia Alliata appena diciottenne, il suo futuro marito l'etnologo Fosco Maraini, e altri intellettuali simpatizzanti come Basilio Franchina, futuro regista, fratello di Nino, il musicista Orazio Fiume, l'antropologo Giuseppe Cocchiara, il professor Emilio Segrè, la studentessa Nora Lombroso nipote di Cesare Lombroso, il dottor Maurizio Ascoli, il critico d'arte Guido Ballo, il futuro presidente della Regione Siciliana e Ministro Franco Restivo, i giornalisti de L'Ora Giuseppe Basile e Franco Grasso, ecc. Cfr.: Eva Di Stefano, pp. 36-38
  9. ^ Giuseppe Pensabene, L'arte nuova in Sicilia, in Il Secolo XIX, Genova, 19 ottobre 1932.
  10. ^ Il Gruppo dei Quattro, p. 19.
  11. ^ Davide Lacagnina, «Rudezza primitiva», «signorile eleganza» Appunti per una storia della scultura in Sicilia fra le due guerre, in Anna Maria Ruta (a cura di), Le ferite dell'essere: solitudine e meditazione nell'arte siciliana degli anni Trenta, Agrigento, Amici della pittura italiana dell'Ottocento, 2006, p. 34.
  12. ^ Eva Di Stefano, p. 21.
  13. ^ La lettera venne pubblicata sul quotidiano Il Tevere il 1º settembre 1933. Cf.: Il Gruppo dei Quattro, p. 19
  14. ^ Giovanni Barbera, L'Ora, Palermo, 1933.
  15. ^ Francesca Pellegrino, L'arte in Sicilia alle porte della Seconda Guerra Mondiale e i suoi protagonisti, in Spiragli. Rivista trimestrale di Arte Letteratura e Scienze, 20 giugno 2018. URL consultato il 29 marzo 2020.
  16. ^ Il Gruppo dei Quattro, p. 18.
  17. ^ Maria Accascina, Maria Accascina e il Giornale di Sicilia 1934-1937. Cultura tra critica e cronache (PDF), a cura di Maria Concetta Di Natale, Salvatore Sciascia Editore, 2006, p. 59, ISBN 88-8241-235-0. URL consultato il 28 marzo 2020 (archiviato dall'url originale il 23 settembre 2021).
  18. ^ Per un brano del discorso di Persico cfr.: Eva Di Stefano, p. 25
  19. ^ Vittorio Fagone, Due pittori e due scultori a Palermo negli anni trenta. Renato Guttuso, Lia Pasqualino Noto, Giovanni Barbera, Nino Franchina, in L'arte all'ordine del giorno: figure e idee in Italia da Carrà a Birolli, Milano, Feltrinelli, 2001, pp. 217-221, ISBN 88-07-10305-2. URL consultato il 22 marzo 2020.
  20. ^ Eva di Stefano, p. 42.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Sergio Troisi (a cura di), Il Gruppo dei Quattro. Guttuso, Pasqualino Noto, Franchina, Barbera: una situazione dell'arte italiana degli anni '30, Palermo, Eidos comunicazioni visive, 1999.
  • Vittorio Fagone, Due pittori e due scultori a Palermo negli anni trenta. Renato Guttuso, Lia Pasqualino Noto, Giovanni Barbera, Nino Franchina, in L'arte all'ordine del giorno. Figure e idee in Italia da Carrà a Birilli, Milano, Feltrinelli, 2001, pp. 217-221.
  • Eva Di Stefano (a cura di), Lia Pasqualino Noto a Palermo dagli anni '30 a oggi, Milano, Mazzotta, 1984, ISBN 88-202-0592-0.

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