Francesco Donati

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Una foto di Francesco Donati nella monografia di Emilio Pasquini

Francesco Donati (Seravezza, 16 marzo 1821Seravezza, 5 luglio 1877) è stato un religioso, poeta e critico letterario italiano. Amico intimo del Carducci, fu maestro di Giovanni Pascoli.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Figlio di Francesco e Carlotta Canci, nacque il 16 marzo 1821 in località Marcaccio, a Seravezza.[1] Crebbe con la madre, perché il padre morì durante la gravidanza, lasciando la famiglia in preda alle ristrettezze economiche.[2] Studiò presso gli Scolopi a Pietrasanta e a Firenze, costruendosi un'ottima conoscenza nel campo delle scienze e delle lettere. Fu ordinato sacerdote calasanziano nel 1846. Rimasto a Firenze, insegnò matematiche alle Scuole Pie di san Giovannino degli Scolopi, corrispondenti all'attuale Liceo Galilei.

Nel 1854 strinse amicizia con Giosuè Carducci, che era stato studente dell'istituto dal 1849 al 1852 e lo aveva avuto in commissione d'esame il 23 agosto 1852, anche se non lo ebbe come insegnante. Il rapporto fu molto intenso, e proseguì fino alla morte del sacerdote. Furono le tornate accademiche del '53 e del '54, tenutesi presso le Scuole Pie, a far conoscere al maestro le grandi doti poetiche di Giosuè, e a svelare una comune predilezione per i classici, per lo Stilnovo e per la lingua del Trecento toscano.

Giosuè Carducci

Era in Versilia quando l'epidemia di colera invase la Toscana nel 1854. Si prodigò negli aiuti alla popolazione, e l'esperienza gli diede spunto per la sua ballata più famosa, l'Orfanella (1855).[3]

Nelle lettere carducciane del 1855 Donati è già il «caro Cecco», maestro di vita cui si rivolge col «tu» confidenziale, inviandogli le proprie composizioni per averne un consiglio. Come talvolta avveniva a quei tempi, Donati era versato tanto nelle scienze quanto nella letteratura, di cui era un profondissimo conoscitore. Dopo i primi anni d'insegnamento, fu esclusivamente professore di lettere, e nel febbraio 1856 si segnalò anche come poeta con la canzone A Enrico Pazzi quando scolpiva il busto del Parini, molto apprezzata dall'incipiente sodalizio degli Amici pedanti.[4]

Tra il 1857 e il 1859 insegnò a Pietrasanta, e strinse un forte legame con Giuseppe Chiarini e Ottaviano Targioni Tozzetti, tanto che gli incontri che questi solevano fare discutendo vivacemente di letteratura e leggendo classici latini si tenevano talvolta nella cella del frate, alla presenza anche del Carducci,[5] che in questo contesto lo soprannominò affettuosamente Padre Consagrata, stesso pseudonimo affibbiato nel XVI secolo a Giovanni Mazzuoli dall'Aretino e dal Lasca.[6]

Fu in questo periodo che compose sonetti, canzoni e soprattutto ballate di notevole delicatezza poetica. Quando gli Amici decisero di fondare il Poliziano, rivista che doveva occuparsi esclusivamente di letteratura, insistettero in ogni modo perché Donati, di grande cultura ma restio a licenziare testi per la pubblicazione, si occupasse della sezione filologica. Donati diede una mano alla creazione del giornale, raccogliendo firme illustri, ma quando uscì il primo numero il primo giorno del 1859, non erano presenti suoi contributi.

Innumerevoli furono allora le missive di Pietro Dazzi e Chiarini, e il 22 gennaio Carducci lo implorava di concedere la sua collaborazione:

«Ti prego di lavorare per il Poliziano giornale. A proposito di quel glossario versiliese che è? Ancora io credo che tu potresti fare una cosa bella e nuova pel giornale nostro ... Pensaci, caro Cecco!»

Licenziò quindi per il terzo, quarto e sesto numero degli scritti sull'origine dei vocaboli versiliesi, che saranno pubblicati col titolo Saggio di un glossario etimologico di voci proprie della Versilia, e costituisce un'opera filologica di grande interesse. Come è noto, il Poliziano chiuse i battenti in giugno a causa dei fermenti politici che agitavano la città.[7]

Giovanni Pascoli

Il padre continuò a insegnare; nel 1863 a Empoli, nel 1864-65 a Siena presso il Convitto Tolomei e soprattutto, dal 1865 al 1872, ad Urbino, dove ebbe come allievi Giovanni Pascoli e Rodolfo Renier. Fu lui a far conoscere la poesia di Carducci al Pascoli. I discenti conservavano un ricordo forte del maestro, severo e rigoroso quanto appassionato, e capace di ipnotizzare l'uditorio quando cominciava a spiegare Dante. Pascoli soleva sempre ripetere a chi gli era stato compagno di collegio: «Se so il latino, lo devo ai primi insegnamenti dei Padri Scolopi di Urbino».[8] Scrisse, inoltre, che nessuno come Donati somigliava al Carducci nel temperamento e nella dottrina.[9]

Nel 1873 fu a Imola, dopo di che fece ritorno nel paese natale, dove, stanco e malato, salutò il 17 giugno per l'ultima volta Carducci e Chiarini che non lo vedevano né sentivano dal 1871 e che avevano colto l'occasione di impegni didattici di Giosuè al liceo di Massa.[10] Si spense a Serravezza il 5 luglio 1877.

Critica e opere[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la morte cadde nell'oblio finché nel 1918 Achille Pellizzari riordinò le lettere di Francesco Donati, dando vita a un volume in cui cercò di raccogliere tutti gli articoli che il frate scrisse per giornali e riviste. Premise al volume uno scritto che Renier aveva fatto comparire sul Fanfulla della domenica e allegò all'opera anche la ballata Orfanella.[11] Per rendere giustizia al personaggio che continuava ad essere trascurato dai biografi carducciani, Emilio Pasquini gli dedicò nel 1935 una monografia.

Le sestine in endecasillabi dell'Orfanella raccontano con leggerezza e commozione la disgrazia abbattutasi su una bambina durante l'epidemia di colera: echi della poesia petrarchesca si fondono con un lessico spontaneo e naturale, certamente non immemore della lezione leopardiana.

Tra le opere di Donati va ancora menzionato il saggio Della poesia popolare scritta (1862) e Della maniera di interpretare le pitture ne' vasi fittili antichi (1861).[12]

Carducci gli dedicò il sonetto «O padre Consagrata, io ti vo' fare», la poesia Ultimo inganno nell'edizione samminiatese delle Rime (1857) e la raccolta delle Rime di M.Cino e degli altri poeti del secolo XIV. Nel 1865 Donati collaborò alla Rivista italiana diretta da Chiarini, e in quegli anni questioni di lingua e di etimologia (greca e latina) gli venivano sottoposte addirittura da Niccolò Tommaseo.[13]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ E.Pasquini, Cecco Frate (Francesco Donati), Firenze, Le Monnier, 1935, p.23
  2. ^ E.Pasquini, p.27
  3. ^ E.Pasquini, p.32
  4. ^ La poesia fu scritta a Modigliana e riporta, oltre al luogo di composizione, la data del 15 febbraio 1856
  5. ^ G.Chiarini, Memorie della vita di Giosue Carducci (1835-1907) raccolte da un amico, Firenze, Barbera, 1920, p.110
  6. ^ E.Pasquini, p.58
  7. ^ E.Pasquini, pp.46 e ss.
  8. ^ U.Brilli, «Giovanni Pascoli studente a Bologna», in Lucca a Giovanni Pascoli, Lucca, Rinascenza italica, 1924, p.43
  9. ^ P.Bianconi, Pascoli, Brescia, Morcelliana, 1935
  10. ^ G.Chiarini, pp.200-202
  11. ^ A.Pellizzari, Lettere di Cecco Frate (Francesco Donati), Bologna, Perrella, 1918, 96 pp.
  12. ^ G.Chiarini, p.112
  13. ^ E.Pasquini, pp.60-62

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Achille Pellizzari, Lettere di Cecco Frate (Francesco Donati), Bologna, Perrella, 1918
  • Giuseppe Chiarini, Memorie della vita di Giosue Carducci (1835-1907) raccolte da un amico, Firenze, Barbera, 1920
  • Emilio Pasquini, Cecco Frate (Francesco Donati), Firenze, Le Monnier, 1935

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Francesco Donati nel Dizionario Treccani

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