La Muta

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La Muta
AutoreRaffaello Sanzio
Data1507
Tecnicaolio su tavola
Dimensioni64×48 cm
UbicazioneGalleria Nazionale delle Marche, Urbino

La Muta è un dipinto a olio su tavola (64x48 cm) di Raffaello Sanzio, databile al 1507 e conservato nella Galleria Nazionale delle Marche a Urbino.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il dipinto è annoverato nell'inventario dell'eredità del cardinale decano Carlo de' Medici nel 1666. Dopo essere stato trasferito a Palazzo Pitti e quindi nella villa di Poggio a Caiano, raggiunse gli Uffizi il 23 dicembre 1773[1]. Nel 1927 la tavola venne concessa al museo di Urbino per completare il suo percorso espositivo con almeno un'opera significativa del Sanzio, nativo di Urbino e molto attivo anche nella sua città: tutti i Raffaello ad Urbino erano infatti finiti a Firenze con l'eredità di Vittoria Della Rovere, nel XVII secolo. L'opera venne trafugata il 6 febbraio del 1975, insieme alla Madonna di Senigallia e alla Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca: tutte le opere, compresa La Muta, vennero recuperate dai Carabinieri a Locarno il 23 marzo 1976.

L'originaria provenienza come pure la committenza non sono finora attestate su base documentaria sicché non si può escludere con certezza che l'opera, databile alla fine del periodo fiorentino dell'artista, non provenga proprio da Firenze, commissionata da una famiglia locale (magari gli Strozzi), invece che da Urbino, commissionata dai Della Rovere. Quest'ultima ipotesi è tuttavia accreditata dall'identificazione della raffigurata con Giovanna Feltria, figlia di Federico da Montefeltro e moglie di Giovanni della Rovere, patrocinatrice nel 1504 del soggiorno fiorentino dell'Urbinate[2] o eventualmente con la figlia di lei, Maria della Rovere Varano[3].

L'autografia raffaellesca, che risale all'inventario della raccolta di palazzo Pitti del 1702-1710, è tuttora pressoché indiscussa, anche se ha subito alcune oscillazioni, il ritratto essendo stato inizialmente identificato come copia di un originale di Andrea del Sarto[4], quindi nel XX secolo di volta in volta attribuito al Perugino, al Bugiardini o all'Albertinelli[5]. Il dipinto è considerato fra i migliori esempi della ritrattistica raffaellesca nel periodo della prima maturità[6].

Descrizione e stile[modifica | modifica wikitesto]

Su uno sfondo scuro uniforme una donna è ritratta a mezza figura leggermente di tre quarti, voltata verso sinistra. L'opera mostra l'ispirazione leonardesca, con una posa simile a quella della Gioconda e con il graduale affiorare della figura dall'ombra, ma se ne distacca per una definizione più netta dei lineamenti fisici e dell'abbigliamento. Originale è il dettaglio delle mani appoggiate sul bordo inferiore, come se combaciasse con un ipotetico parapetto, colte in un gesto inquieto, che tradisce l'ispirazione fiamminga, presa da opere a Firenze come il Ritratto di Folco Portinari di Hans Memling. La posa delle mani ricorda quella del Ritratto di Maddalena Strozzi, mentre lo sfondo neutro quello della Gravida. L'influenza fiamminga, forse mediata dall'esempio della ritrattistica del Ghirlandaio[7], si manifesta anche nella generale lucentezza della superficie pittorica, come pure nel trattamento dei particolari, quali i motivi ricamati sulla veste. Quest'ultima è una gamurra di panno verde con bande di velluto rosso. Le maniche sono di panno castagnino allacciate con nastri rossi che lasciano apparire lo sbuffo della sottoveste, una camicia di lino con ricami in nero. Al livello della vita un grembiule di tela bianca è annodato alla veste con una fettuccia rossa, secondo la moda del tempo illustrata, ad esempio, dalla scena della Natività di san Giovanni[8] affrescata dal Pinturicchio nella cappella di San Giovanni Battista del Duomo di Siena[9]. Tra i gioielli che impreziosiscono le dita della donna, quello della mano destra è il più originale per via della forma rialzata di probabile influenza nordica, mentre il rubino dell'anulare sinistro (simbolo di prosperità) come lo zaffiro dell'indice sinistro (simbolo di castità) sono modelli ancorati nella tradizione orafa fiorentina[10]. Il pendente con croce è costituito da una catena d'oro a maglie fitte e appiattite. La catena è annodata a metà del busto, come nella Dama col liocorno[11]. La croce ha nel mezzo una pietra a cabochon (forse uno smeraldo), mentre i bracci sono decorati con un motivo formato da volute di tralci vegetali (racemi) che terminano con un fiore rosso[12].

Le indagini diagnostiche pubblicate nel 1983 non hanno consentito di escludere la possibilità che il pendente sia un'aggiunta posteriore[13]. Tuttavia, esse hanno messo in evidenza diversi pentimenti, visibili in parte anche ad occhio nudo, che toccano in particolare il disegno dell'occhio destro, quello della spalla, del velo e della manica sinistra, il profilo sinistro dell'acconciatura dei capelli e, soprattutto, il disegno della mano destra. Nella prima stesura il dorso della mano era visibile ed il pollice destro era disteso lungo il polso sinistro con le altre dita leggermente più corte ed orientate verso la sinistra parallelamente all'attuale disegno del mignolo[14]. Se è lecito ricondurre le varianti ad una correzione della torsione della figura, alcuni studiosi attribuiscono tali pentimenti ad un aggiornamento parziale del dipinto dettato dalla sopraggiunta vedovanza della donna raffigurata[15]. A distanza di alcuni anni dalla versione iniziale, la seconda stesura avrebbe dunque perseguito lo scopo di rendere più severa la composizione[16]. Senza dover necessariamente sottoscrivere alla tesi della duplice versione, va notato che il fazzoletto che la donna stringe nella mano sinistra come pure il colore verde dominante della sua tenuta vestimentaria sono entrambi «simbolo di lutto e vedovanza» sicché si può «affermare abbastanza tranquillamente [...] che siamo di fronte ad una vedova, anche se non in lutto stretto»[17].

La determinazione espressiva del personaggio per quanto intensa è stata a lungo considerata indecifrabile. Tale opacità interpretativa è pertanto all'origine del titolo di Muta attribuitole dalla tradizione insieme a quello di Donna in verde o di Donna dalla catena d'oro. La fissità dello sguardo[18], caratterizzato anche da un leggero strabismo legato alla dislocazione a sinistra dell'iride destra[1], in associazione con l'austerità della figura e con l'enigmatico significato dell'indice teso della mano sinistra accrescono tuttora, con il loro carico interrogativo, il fascino del dipinto. Tuttavia, il recupero del contesto storico-iconografico che attribuisce una probabile identità al soggetto ed un motivo, il lutto, al suo atteggiamento espressivo rendono meno impenetrabile l'atmosfera sentimentale del quadro e danno ragione alle perspicue proiezioni psicologiche non esenti da accenti romantici che illustri critici hanno espresso nel commentare l'opera. È il caso del Müntz per il quale :

(FR)

«Rien de plus saisissant que l'expression de mélancolie, on pourrait presque dire de nostalgie de cette femme, jeune encore, qu'un secret chagrin paraît miner: une main appuyée sur une balustrade, l'autre posée sur son avant-bras, elle regarde devant elle, flottant entre une vague rêverie et le souvenir encore très précis de quelque grande infortune»

(IT)

«niente è più toccante dell'espressione di melancolia, si potrebbe quasi dire di nostalgia, di questa donna, ancor giovane, che sembra minata da uno segreto dolore: una mano appoggiata sul davanzale, l'altra sull'avambraccio, ella guarda davanti a sé, sospesa tra un vago fantasticare ed il ricordo ancora molto preciso di qualche grande sciagura»

del Venturi che sottolineava :

«[gli] occhi neri pensosi, di cui lunghe sofferenze sembrano aver spento i bagliori»

e sulla sua scia, dell'Alazard che osservava come :

(FR)

«Les yeux et le mouvement des lèvres indiquent un moment de tristesse désabusée mais qui ne laisse qu'une trace fugitive sur les traits de cette dame élégante»

(IT)

«gli occhi ed il movimento delle labbra indicano un momento di sofferta tristezza che scalfisce appena i tratti di questa dama elegante ma disillusa.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Pagnotta, cit., pag. 197
  2. ^ Sangiorgi, cit., pag. 94-95
  3. ^ Gualazzi, cit., pagg. 146-154 nonché il rendiconto giornalistico dell'ipotesi attributiva ivi formulata
  4. ^ La descrizione dell'inventario del 1666 illustra il dipinto nel modo seguente:

    «Una donna in abito verde scollacciata con vezzo al collo di mezzo busto, dicesi esser copia di Andrea del Sarto.»

  5. ^ Pagnotta, cit., pag. 197 ad cat. N°16. L'attribuzione al Perugino proviene dal Berenson (1936), quella al Bugiardini è stata inaugurata da Sydney Joseph Freedberg (1961), quella all'Albertinelli da Philippe Costamagna (1986)
  6. ^ Jean Alazard, Essai sur l'évolution du portrait peint à Florence de Botticelli à Bronzino, Paris, Henri Laurens éd., 1924, pagg. 70-73
  7. ^ Circa l'influenza del Ghirlandaio su Raffaello cfr. Jean Alazard, cit., pag. 72; Ettore Camesasca, Tutta la pittura di Raffaello. I quadri, Milano, Rizzoli, 1956, pag. 15; Antonio Natali, I pittori di Colleramole, in: Annamaria Bernacchioni (a cura di) Ghirlandaio. Una famiglia di pittori del Rinascimento tra Firenze e Scandicci (catalogo della mostra di Scandicci, Castello dell'Acciaiolo, 21 novembre 2010-1º maggio 2011), Firenze, Edizioni Polistampa, 2010, pag. 22
  8. ^ Illustrazione[collegamento interrotto]
  9. ^ Baldi, cit., pagg. 241-242
  10. ^ Liscia Bemporad, cit., pag. 235
  11. ^ Si noti comunque la diversità tra i nodi nei due ritratti
  12. ^ Per quanto raro, un esempio in parte simile di croce smaltata, si trova nel Ritratto femminile di Domenico Ghirlandaio datato al 1490 circa e conservato presso lo Sterling and Francine Clark Art Institute di Williamstown, Mass., Archiviato il 23 giugno 2013 in Internet Archive.
  13. ^ Liscia Bemporad, cit., pag. 236
  14. ^ Seracini, cit., pagg. 229-232 con relativo corredo fotografico
  15. ^ Giovanna Feltria diventa vedova il 6 novembre 1501; sua figlia Maria nell'ottobre dell'anno seguente
  16. ^ Sesti, cit., pag. 227; Vastano, cit.
  17. ^ Sangiorgi, cit., pagg. 90 et 92. Lo studioso cita, tra le altre, anche la seguente testimonianza tratta dal Dialogo dei colori di Ludovico Dolce stando al quale in Romagna «volendo dimostrar cordoglio per la morte di alcun loro amico, o parente, che per tal cagione sono fuori di speranza, di cotal colore si vestono. E questo lor costume non è nuovo: ma antico». Cfr. da ultimo anche il rilievo della sarta Elvia Mengoni sull'uso del verde smeraldo come abito di lutto
  18. ^ Alazard parla di una certa freddezza degli occhi alteri («les yeux ont une certaine froideur hautaine». Cfr. op. cit, pag. 71

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Patrizia Baldi, L'abito civile nei ritratti di Raffaello quale segno estetico-culturale dell'artista e della società del suo tempo, in: Maria Grazia Ciardi Duprè; Paolo Dal Poggetto (a cura di), Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello, Firenze, Salani, 1983, pagg. 237-242
  • Comando Carabinieri - Tutela Patrimonio Culturale, Anno Operativo 2001, Edizioni De Luca, Roma 2001.
  • Philippe Costamagna; Anne Fabre, Les portraits florentins du début du XVIe siècle à l'avènement de Cosimo Ier: catalogue raisonné d'Albertinelli à Pontormo, Paris, Ecole du Louvre, 1986.
  • Pierluigi De Vecchi, Raffaello, Rizzoli, Milano 1975.
  • Francesco Filippini, Raffaello a Bologna, "Cronache d'Arte", II/5, 1925, pagg. 201-234
  • Paolo Franzese, Raffaello, Mondadori Arte, Milano 2008. ISBN 978-88-370-6437-2
  • Enzo Gualazzi, Vita di Raffaello da Urbino, MIlano, Rusconi, 1984
  • Dora Liscia Bemporad, Il rinnovamento dei gioielli nei ritratti fiorentini di Raffaello, in: Maria Grazia Ciardi Duprè; Paolo Dal Poggetto (a cura di), Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello, Firenze, Salani, 1983, pagg. 233-236
  • Laura Pagnotta, Giuliano Bugiardini, Torino, Umberto Allemandi & C., 1987
  • Fert Sangiorgi, "La Muta" di Raffaello : considerazioni storico-iconografiche, "Commentari", XXIV/1-2, 1973, pagg. 90-97
  • Maurizio Seracini, Indagine diagnostica-conoscitiva su "La Muta" di Raffaello, in: Maria Grazia Ciardi Duprè; Paolo Dal Poggetto (a cura di), Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello, Firenze, Salani, 1983, pagg. 228-232
  • Emanuela Sesti, La "Muta" di Raffaello, in: Maria Grazia Ciardi Duprè; Paolo Dal Poggetto (a cura di), Urbino e le Marche prima e dopo Raffaello, Firenze, Salani, 1983, pagg. 227-228
  • Agnese Vastano, Ritratto di gentildonna (La Muta), in: Lorenza Mochi Onori (a cura di), Raffaello e Urbino. La formazione giovanile e i rapporti con la città natale, Milano, Electa, 2009, pag. 184.

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