Yoshitsugu Saitō

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Yoshitsugu Saitō
NascitaTokyo, 2 novembre 1890
MorteSaipan, 10 luglio 1944
Cause della mortesuicidio rituale
Dati militari
Paese servitoBandiera del Giappone

Impero giapponese

Forza armata Esercito imperiale giapponese
ArmaCavalleria
Anni di servizio1912 - 1944
GradoTenente generale
GuerreGuerra russo-giapponese
Prima guerra mondiale
Seconda guerra sino-giapponese
Seconda guerra mondiale
BattaglieBattaglia di Saipan
Comandante di14º Reggimento di cavalleria
8º Reggimento cavalleria
24º Reggimento di cavalleria
31ª Armata
fonti citate nel corpo del testo
voci di militari presenti su Wikipedia

Yoshitsugu Saitō (斎藤 義次?, Saitō Yoshitsugu) (Tokyo, 2 novembre 1890Saipan, 10 luglio 1944) è stato un generale giapponese, noto per aver comandato la 31ª armata di stanza nelle Isole Marianne meridionali durante la seconda guerra mondiale.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Yoshitsugu Saitō nacque a Tokyo il 2 novembre 1890.[1] Partecipò ad alcune azioni di combattimento durante la guerra russo-giapponese e poi frequentò il 24º corso dell'Accademia Militare dell'Esercito (Rikugun Shikan Gakkō) di Ishigaya nella prefettura della capitale, diplomandosi nel 1912. Assegnato all'arma di cavalleria, nel 1924 partecipò al 36º Corso della scuola di guerra, iniziando una lunga carriera nei ranghi delle unità di cavalleria.

Tra il 1º marzo 1933 e il 1º agosto 1934 fu comandante del 14º reggimento di cavalleria, passando subito dopo al comando dell'8º reggimento di cavalleria, incarico mantenuto fino al 1º agosto 1936. In tale data fu promosso al grado di colonnello e assunse il comando del 24º reggimento di Cavalleria. Il 2 agosto 1937 divenne istruttore presso la Scuola di Cavalleria per diventare poi Capo di stato maggiore della 5ª divisione dell'esercito il 2 agosto 1938. Il 1º agosto 1939 fu elevato al rango di generale di brigata e ricoprì l'incarico di Capo delle operazioni della cavalleria dell'Armata del Kwantung, stanziata in Manciuria. Il 15 ottobre 1941 assunse l'incarico di Capo della sezione amministrativa per l'approvvigionamento dei cavalli del Ministero della Guerra. Il 1º dicembre 1942, quando il Giappone era da un anno in guerra a fianco delle Potenze dell'Asse contro gli Alleati, fu elevato al rango di generale di divisione.

Il 6 aprile 1944 fu trasferito alla testa della 31ª armata[2] composta dalla 43ª divisione di fanteria "Nagoya" e dalla 47ª brigata mista al comando del colonnello Ota. Tale grande unità, appoggiata da circa 7 000 uomini della marina imperiale agli ordini del viceammiraglio Chūichi Nagumo era destinata a operare sull'isola di Saipan, appartenente all'arcipelago delle Marianne.[3] A causa dell'andamento delle operazioni navali del Pacifico, questa unità subì pesanti perdite a opera dei sommergibili statunitensi che attaccarono le navi da trasporto durante la fase di trasferimento dei reparti dalla Cina.[2] Il generale Saitō divenne comandante in capo di tutte le forze giapponesi operanti nell'arcipelago, anche se non aveva una reale esperienza di combattimento e in realtà non era nemmeno il più alto ufficiale giapponese presente sulle isole; tecnicamente il comando supremo sarebbe spettato al viceammiraglio Nagumo, che era inoltre a capo del Chūbu Taiheiyō Hōmen Kantai (Comando della flotta del Pacifico centrale) costituito il 4 marzo 1944 con quartier generale a Saipan.[2] Tra i due alti ufficiali i rapporti non erano buoni e i due avevano frequenti contrasti:[3] Saitō credeva fermamente all'imminenza dell'attacco statunitense a Saipan e criticava le disposizioni di Nagumo che riteneva non garantissero sufficiente protezioni ai convogli che trasportavano sulle isole truppe di rinforzo e rifornimenti indispensabili.[4] In base al piano difensivo A-Go, il generale concentrò la maggior parte delle truppe a sua disposizione a Saipan, ivi compresa gran parte dell'artiglieria per un totale di oltre sessanta cannoni con un calibro variabile da 75 a 155 mm.[5]

La battaglia di Saipan[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Saipan.
I funerali di Yoshitsugu Saitō alla presenza del personale statunitense a Saipan, dopo la conclusione della battaglia

Il 15 giugno 1944 gli statunitensi iniziarono le operazioni di sbarco.[6] La situazione si presentò da subito disperata per la guarnigione giapponese, impossibilitata dal blocco aeronavale avversario a ricevere rinforzi. Il generale Saitō era perfettamente consapevole che la caduta dell'isola avrebbe messo il territorio della madrepatria[7] nel raggio d'azione dei bombardieri strategici B-29[8] ed era determinato a combattere fino all'ultimo uomo. I 31 000 soldati giapponesi della guarnigione, al fine di ritardare l'avanzata degli attaccanti, utilizzarono le numerose grotte del paesaggio vulcanico dell'isola per nascondersi durante il giorno, infliggendo dalle fortificazioni numerose perdite, ed effettuando sortite notturne.[8]

Gradualmente gli statunitensi svilupparono alcune tattiche per sgombrare le grotte, impiegando un misto di squadre armate con lanciafiamme, supportate da artiglieria e mitragliatrici.

Il 10 luglio, durante un gyokusai, Saitō affermò all'incirca: "Sia che attacchiamo o che restiamo dove siamo, c'è solamente la morte. Tuttavia, nella morte c'è la vita. Avanzerò con voi per assestare un altro duro colpo ai diavoli americani e lasciare le mie ossa su Saipan, una fortezza del Pacifico". Entro il 7 luglio i giapponesi non avevano più nessun posto dove ritirarsi, intrappolati nella parte settentrionale dell'isola.[9] Nonostante le obiezioni di Nagumo, Saitō preparò i piani per effettuare una carica suicida finale alla testa dei 3 000 soldati superstiti.[10] Durante la battaglia la popolazione civile era stata pesantemente coinvolta oppure si era suicidata gettandosi dalla scogliera di Marpi Point, per un totale di almeno 22 000 morti; riguardo ai superstiti, fuggiti a nord al seguito delle truppe imperiali, il generale affermò: "Non c'è più alcuna distinzione tra civili e militari. Sarebbe meglio per loro unirsi a noi in un attacco armati con lance di bambù che essere catturati".[11] Ferito da alcune schegge di shrapnel, Saitō dette gli ultimi ordini di effettuare una massiccia carica banzai per salvare l'onore del Giappone; poi attese a un pasto cerimoniale e alle 10:00, inginocchiato su una piccola collina, effettuò il suicidio rituale con la propria spada: la sua ordinanza, un maresciallo, estrasse il revolver e gli sparò un proiettile alla nuca come richiesto dal generale.[12]

Alle 16:15 del giorno precedente il comandante in capo statunitense ammiraglio Richmond Turner annunciò che l'isola di Saipan era stata ufficialmente messa in sicurezza[7] con la pressoché totale distruzione della guarnigione nipponica.[13] Gli statunitensi qualche giorno dopo rinvennero anche il cadavere di Saitō e gli tributarono un funerale con tutti gli onori militari, alla presenza del suo omologo, il generale Holland Smith.[14]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Keegan 2002, p. 134.
  2. ^ a b c Morison 2001, p. 167.
  3. ^ a b Millot 1972, p. 647.
  4. ^ Millot 1972, p. 648.
  5. ^ Millot 1972, p. 649.
  6. ^ Simonsen 2008, p. 29.
  7. ^ a b Simonsen 2008, p. 31.
  8. ^ a b Simonsen 2008, p. 28.
  9. ^ Millot 1972, p. 694.
  10. ^ Yoshimura 1996, p. 177.
  11. ^ Toland 1970, p. 516.
  12. ^ Millot 1972, pp. 694-695.
  13. ^ Millot 1972, p. 696. Oltre 30 000 soldati giapponesi erano morti e meno di un migliaio erano caduti prigionieri, per lo più feriti.
  14. ^ Morison 2001, p. 337.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Denfeld, D. Colt, Hold the Marianas: The Japanese Defense of the Mariana Islands1945, White Mane Publishers, 1997, ISBN 1-57249-014-4.
  • (EN) John Keegan, Who's who in World War Two, Londra, Routledge, 2002, ISBN 0-415-26033-7.
  • Bernard Millot, La guerra del Pacifico, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1972.
  • (EN) Samuel Elliot Morison, History of United States Naval Operations in World War II: New Guinea and the Marianas. March 1944-August 1944, Champaign, University of Illinois Press, 2001, ISBN 0-252-07038-0.
  • (EN) Robert A. Simonsen, Marines Dodging Death: Sixty-Two Accounts of Close Calls in World War II, Korea, Vietnam, Lebanon, Iraq e Afghanistan, Jefferson, McFarland & Company Inc., Publishers, 2008, ISBN 0-7864-3821-5.
  • (EN) John Toland, The Rising Sun: The Decline and Fall of the Japanese Empire 1936-1945, New York, Random House, 1970, ISBN 0-8129-6858-1.
  • (EN) Akira Yoshimura, Zero Fighter, Westport, Praeger Publishers, 1996, ISBN 0-275-95355-6.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]