Utente:Mrsmur456/Sandbox

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Il campo di concentramento di Arbe viene istituito dal comando della Seconda Armata italiana nel luglio del 1942 ad Arbe nel Carnaro ed ha ospitato complessivamente tra i 10.000 e 15.000 internati tra sloveni, croati ed ebrei diventando il più esteso e popolato campo di concentramento italiano per slavi. Il campo si caratterizza per la durezza del trattamento riservato agli internati slavi[1], dei quali un gran numero muore di stenti e malattie. Inoltre 3.500 ebrei vengono qui internati dal Regio Esercito italiano, evitando così di essere deportati in campi con condizioni di vita e speranze di salvezza ancora peggiori.[2]

Il contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1918 con la fine della Prima Guerra Mondiale l’Italia include nei suoi confini nuovi territori, inglobandone la popolazione in gran parte slovena e croata. L’annessione è ritenuta fin da subito insufficiente, e negli Anni Venti matura il sentimento nazionalista di rivincita sulla "vittoria mutilata" affiancato alla crescita delle ambizioni imperialiste sul mare Adriatico. Il regime fascista non ha – e non avrà  – una politica chiara e univoca nei confronti della Jugoslavia; nel tentativo di indebolirla stringe alleanze con paesi confinanti ad essa ostili (Ungheria e Bulgaria) e con movimenti estremisti e terroristici interni al paese come gli ustascia croati, facendo anche leva sui conflitti preesistenti tra le componenti serba e croata[3]. L’azione dello Stato italiano sul territorio recentemente annesso è di discriminazione nei confronti delle popolazioni croate e slovene e di italianizzazione forzata.[4]

Negli anni Trenta il regime fascista stabilisce un rapporto privilegiato con gli ustascia e il loro leader Ante Pavelic, accogliendoli in basi di addestramento in Italia.

In seguito all'adesione da parte del reggente jugoslavo Paolo Karađorđević al Patto Tripartito si scatenano un colpo di stato e una sollevazione popolare (27 marzo 1941). [5]

Il 6 aprile 1941 le forze nazifasciste sulla base di una comune decisione aggrediscono la Jugoslavia. La Jugoslavia viene divisa in zone d'occupazione e di influenza italiana e tedesca. L'area di influenza italiana è divisa in tre zone, con parte della Slovenia direttamente annessa al Regno d'Italia.[6]

Nelle intenzioni dell’Asse lo stato croato, divenuto indipendente e governato dagli ustascia, doveva rimanere una sorta di tranquillo satellite; tuttavia gli italiani rimangono stanziati in Croazia, dopo lo scoppio (aprile 1941) di una rivolta da parte della popolazione serba duramente perseguitata e sottoposta a un tentativo di sterminio da parte degli ustascia. I militari italiani si trovano nella difficile situazione di alleati di un regime sanguinario che commette stragi indiscriminate di civili,ebrei e zingari inclusi, scegliendo spesso di proteggere in vario modo i serbi. [7]

Nel giugno del 1941, in seguito all’invasione nazista dell’Urss, scoppia una vasta e eterogenea insurrezione contro l’occupante in cui assumono rilievo i partigiani del Partito Comunista  Jugoslavo guidati da Josip Broz detto Tito, unica forza panjugoslava attiva su tutto il territorio; in Croazia, a causa dei massacri, esplode la rivolta antiustascia egemonizzata da nuclei di nazionalisti serbi (cetnici) a cui partecipano anche  gruppi di partigiani comunisti. L’esercito italiano interviene con lo scopo di mantenere l’ordine, intensificando il dialogo con i cetnici, secondo il Regio Esercito alleati più affidabili dei sanguinari e irrazionali ustascia, causando il risentimento di questi ultimi,che rimangono comunque interlocutori di riferimento dei gerarchi fascisti. [8]

Il peso della resistenza comunista cresce  e si consolida al punto da spingere gli ustascia ad allearsi di fatto con i cetnici, diventando entrambi truppe ausiliarie della II Armata posta sotto il comando del generale Roatta.

L’avanzata partigiana sottrae molte aree all'esercito di occupazione e in Slovenia, sotto l’egida del Fronte di liberazione, la lotta armata si diffonde nella provincia di Lubiana. [9]

Per contrastarla Roatta emana nel marzo 1942 la circolare 3C, rimasta in vigore fino all’armistizio dell’ 8 settembre 1943. La circolare ufficializza quanto era già emerso dalle disposizioni del gennaio 1942, ovvero il passaggio dalla condizione di occupazione alla condizione di guerra in cui il nemico è costituito dalla resistenza slava; esorta pertanto a diffidare della popolazione civile, base e complice della resistenza, anche se sembra indifesa e innocua. Secondo la tattica della “terra bruciata” la rappresaglia non deve seguire la formula "dente per dente", ma "testa per dente". La circolare ordina  rastrellamenti, distruzioni di villaggi, cattura di ostaggi, deportazioni, confische dei beni e l'internamento sia protettivo sia repressivo nelle aree annesse e occupate. [10] Inoltre Roatta istituisce un tribunale di guerra che adotta come soluzione prevalente l’internamento per le famiglie dei partigiani e dei sospetti: i prigionieri vengono dislocati in vari campi di concentramento, in Jugoslavia e in Italia. In Jugoslavia sorgono diversi campi, i principali sono tre: Arbe (Rab) per il quadrante adriatico settentrionale (Slovenia e Fiumano); Melada (Molat) per il quadrante centrale (Dalmazia); Mamula-Prevlaka per il quadrante meridionale (parte del Montenegro).

Il campo[modifica | modifica wikitesto]

Bambini internati ad Arbe

Il campo di Arbe, divenuto il più noto tra quelli italiani in Jugoslavia per il suo alto tasso di mortalità, aveva una capienza di circa 10.000 persone. Nelle intenzioni del generale Mario Robotti Arbe doveva essere “Arbissima”, il modello del campo di concentramento al suo massimo livello di rigore.[11] Come gli altri campi per slavi, situati in Jugoslavia e nel nord-est italiano, era gestito dal Regio Esercito e, a differenza dei campi di internamento dipendenti dal Ministero degli Interni, era extra legem, svincolata dalla normativa ufficiale e sottratta al controllo della Croce Rossa Internazionale, in aperta violazione della IV Convenzione dell’Aja del 1909 e della Convenzione di Ginevra.[12]

Secondo lo storico Tone Ferenc la necessità di allestire un grande campo di concentramento sull'isola di Arbe si era già fatta sentire nel maggio 1942 a seguito della saturazione dei campi di Laurana (Lovran), Buccari (Bakar) e Porto Re (Kraljevica).[13] Nell'estate 1942, per far fronte alla necessità di provvedere all'internamento dei numerosi rastrellati nel corso delle operazioni estive in Slovenia, le autorità militari italiane della Seconda Armata costruiscono in gran fretta ad Arbe (più esattamente nella località di Campora), un campo di concentramento per i civili slavi delle zone occupate della Slovenia in cui vengono internati anche alcuni civili della vicina Venezia Giulia.

Inizialmente concepito per internare 20-25000 prigionieri e ridimensionato intorno ai 10-11000 posti,  prevedeva la costruzione di quattro settori distinti, ma all'arrivo dei primi internati erano pronte solamente le baracche di servizio ed erano disponibili per gli internati soltanto un migliaio di tende militari da sei posti. Il primo gruppo giunge ad Arbe il 28 giugno 1942 ed è composto da 198 sloveni provenienti da Lubiana, mentre un secondo gruppo di 243 arriva il 31 agosto. Complessivamente vengono portati ad Arbe 27 gruppi di internati di cui il più cospicuo è di 1194 persone giunte il 6 agosto. Dei quattro campi inizialmente immaginati ne vengono realizzati solo tre. Nel 1° e nel 3° vengono inseriti i "repressivi" (soprattutto sloveni), mentre nel 2° i "protettivi" (soprattutto ebrei).[14]

Con l'arrivo della stagione autunnale la situazione nei campi diviene più difficile, soprattutto in quelli in cui sono reclusi i "repressivi", dove le piogge provocano più volte il riversamento del liquame delle latrine del campo, arrivando alla distruzione di 400 tende e all'annegamento di alcuni bambini causati da una violenta tempesta, il 29 ottobre 1942. Si iniziano quindi a costruire le prime baracche di legno, ma per la lentezza dei lavori molti internati trascorrono comunque l'inverno al freddo dentro le tende. Nel novembre 1942 il numero di internati diminuisce, come riporta Capogreco, per il trasferimento di parte degli internati verso altri campi di concentramento, soprattutto di donne e bambini destinati al campo di Gonars.[15]

L'internamento repressivo degli slavi[modifica | modifica wikitesto]

Internato nel campo di Arbe.

Come sottolinea Capogreco, i deportati jugoslavi costituiscono la categoria più colpita dal regime fascista per i numeri e la durezza della persecuzione, che nei loro confronti appare improntata al modello coloniale sperimentato in Africa negli anni Trenta.[16]

Le dimensioni di massa dell’internamento vanno ricondotte anche al progetto di italianizzazione della Provincia di Lubiana, da realizzarsi  sostituendo la popolazione slava con coloni italiani “regnicoli”. Così, nelle parole di Mussolini,  si sarebbero fatti coincidere “i confini politici con quelli razziali”.[17]


Unici in Europa, i campi per slavi sono tendopoli esposte alle intemperie e prive di requisiti igienici, caratterizzati da denutrizione cronica e malattie. Arbe ne costituisce l’esempio estremo. Complessivamente ad Arbe vengono internati circa 10.000 civili, tra cui vecchi, donne e bambini di famiglie sospettate di collaborare con il movimento partigiano, spesso provenienti dai villaggi incendiati, ma anche residenti in aree sgombrate per esigenze belliche.[18] La cifra non comprende coloro che sono passati in transito verso altri campi, nei territori occupati o nel Regno d'Italia.

Periodo Uomini Donne Bambini Totale internati
27 luglio-31 luglio 1942 1.061 111 53 1.225
1º agosto-15 agosto 1942 3.992 0 1.029 5.021
16 agosto-31 agosto 1942 5.333 1.076 1.209 7.618
1º settembre-15 settembre 1942 6.787 1.563 1.296 9.646
16 settembre-30 settembre 1942 7.327 1.804 1.392 10.523
1º ottobre-15 ottobre 1942 7.387 1.854 1.392 10.633
16 ottobre-31 ottobre 1942 7.206 1.991 1.422 10.619
1º novembre-15 novembre 1942 7.207 2.062 1.463 10.732
16 novembre-27 novembre 1942 6.647 1.560 926 9.133
Fonte: Davide Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2003


[[File:Dead inmates at the Rab concentration camp.png|thumb|Internati morti nel campo di concentramento di Arbe. [19]


A causa della precarietà in cui versa il campo l'inverno del 1942 è molto duro per gli internati, che hanno le tende come unico riparo e spesso sono privi del vestiario adeguato. Peculiarità del campo è anche, riportano i sopravvissuti, il sadismo del comandante, il colonnello dei carabinieri Vincenzo Cuiuli, il quale, nonostante ciò violasse le norme italiane, faceva incatenare a dei pali gli internati in punizione. L'alimentazione insufficiente rende gli internati particolarmente deperiti e soggetti a diverse malattie, tra cui la tubercolosi e le infezioni intestinali che contribuiscono all'elevato tasso di mortalità.[20] Ciò risponde ad una precisa politica, volta a mantenere sotto controllo gli internati, secondo un'affermazione del generale Gastone Gambara (“Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d’ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo").[21]

Nel novembre del 1942 il vescovo di Lubiana Gregorij Rožman si reca presso papa Pio XII per chiedergli di intervenire per evitare che il campo di Arbe diventi un "campo di morte". La Croce Rossa jugoslava il 10 dicembre 1942 denuncia la scarsezza alimentare dei campi gestiti dagli italiani in Jugoslavia con particolar riferimento a quello di Arbe. Il Vaticano pertanto interviene presso le autorità italiane affinché si provveda alla liberazione della maggior parte delle donne e dei bambini. Il generale Mario Roatta invia al campo il generale Giuseppe Gianni, che relaziona minimizzando l'alto tasso di mortalità attribuendolo alle precarie condizioni fisiche degli internati in gran parte anziani. Ciononostante tutti i bambini e quasi tutte le donne vengono evacuati verso altri campi in Italia. Il generale Umberto Giglio ancora il 19 gennaio 1943 scrive un resoconto sulla situazione interna del campo segnalando la necessità di migliorare le condizioni fisiche degli internati, pur attribuendo la causa del grave deperimento fisico alle "privazioni precedenti all'arresto sia al trauma psichico dell'arresto stesso ed alle aggressioni da parte dei ribelli subite durante il viaggio di trasferimento". A partire da gennaio 1943 le condizioni migliorano sensibilmente, con la costruzione di baracche in muratura e l’aumento delle razioni alimentari [22].

Il vescovo della diocesi di Veglia, Josip Srebrnič, il 5 agosto 1943 riferisce a papa Pio XII che secondo i testimoni, che avevano partecipato alle sepolture, il numero dei morti avrebbe superato le 3500 unità (tra cui circa 100 bambini di età inferiore ai 10 anni. Le fonti slovene stimano che al suo interno avrebbero perso la vita circa 1400 internati slavi tra cui anche donne e bambini. Gli storici sloveni e croati, quali Tone Ferenc, Ivan Kovačić e Božidar Jezernik, indicano in un numero compreso tra i 1447 e i 1167 i decessi avvenuti al campo. [23]

L'internamento "protettivo" degli ebrei[modifica | modifica wikitesto]

Il settore del campo destinato agli internati "protetti"

L'istituzione dei campi protettivi in Jugoslavia nasce originariamente dalla volontà di proteggere dalle rappresaglie elementi ostili alla resistenza partigiana, delatori e collaborazionisti. Ad Arbe vennero anche internati a scopo protettivo alcune migliaia di ebrei.

Nell'area occupata dall'Italia si trovavano alcune centinaia di ebrei concentrati soprattutto nella città di Mostar e lungo la costa, cui si aggiungono migliaia di profughi in fuga dai territori occupati dai tedeschi e dai massacri commessi dagli ustascia nello Stato Indipendente di Croazia. Eccetto una parte respinta alla frontiera di Fiume gli ebrei vengono accolti nel Governatorato di Dalmazia e la protezione viene estesa anche a quelli che si trovano nelle zone occupate dalle truppe italiane in Croazia i quali, pur sottoposti a vigilanza, continuano a vivere liberamente. Alla fine del 1942 la situazione si complica quando alle richieste croate di ottenere gli ebrei presenti nei territori occupati italiani si aggiungono anche le pressioni tedesche. [24]

La tragedia che avrebbe colpito gli ebrei in caso di consegna, inizialmente ipotizzata, fa sì che il Regio Esercito escogiti pretesti e opponga una serie di rinvii per non procedere ad alcuna consegna degli ebrei internati anche ad Arbe. [25]

Si ipotizza in un primo tempo di internare gli ebrei in locande e alberghi dismessi nella città di Grado, poi si preferisce la soluzione del campo di Arbe, dove viene allestita appositamente un'area in cui sono fatti confluire complessivamente gli oltre 3.500 nuovi internati. Qui gli ebrei vivono in una condizione sicuramente migliore degli internati slavi potendo ricevere visite esterne e svolgere attività ricreativa. [26] Insieme ai numerosi ebrei vengono internati ad Arbe a scopo "protettivo" anche molti serbi sfuggiti alle persecuzioni croate. Ancora nell'agosto 1943 le autorità italiane si preoccupano dell'incolumità degli internati ebrei immaginando, in caso di ritirata delle truppe italiane, di mantenere un presidio armato affinché gli internati protettivi non cadano "in mani straniere" (appunto per il gabinetto AP, firmato dal generale Vittorio Castellani)[27].

A contribuire almeno in parte alla salvezza degli ebrei jugoslavi, il bando emanato nel 1941 dal generale della II Armata Ambrosio prometteva salva la vita a tutti coloro che indipendentemente da religione e nazionalità si fossero sottomessi all'autorità militare italiana. Ma in ultima istanza l’escamotage che permette di salvare migliaia di profughi dalla deportazione è la decisione da parte dei comandi italiani in Jugoslavia di internare le minoranze perseguitate finora non sottoposte a misure restrittive (ebrei e serbi di Croazia) per mettere a tacere le accuse di mancata collaborazione con l’alleato tedesco: internati, sì, ma in campi a scopo protettivo. [28]

Il perché di questo comportamento non è del tutto chiaro. Si possono considerare tre ordini di motivazioni fondamentali: etiche, improntate al realismo e rivolte al prestigio politico. È possibile che i fascisti fossero effettivamente sensibili alla condizione degli ebrei nei campi di concentramento tedeschi e volessero evitare loro quella sorte (ad esempio, il generale Vittorio  Castellani stigmatizza l’"ignobile traffico" in una lettera a Pietromarchi). Dal punto di vista del realismo politico c’era la necessità di governare il territorio, eliminando le ragioni di disordine che la dura politica di persecuzione ustascia nei confronti degli ebrei creava; rifiutarsi di consegnare ebrei all'alleato tedesco faceva inoltre sperare di attirare nella sfera di influenza italiana, nel dopoguerra, i paesi che eventualmente avrebbero potuto temere l’ingerenza tedesca. Contemporaneamente, il fascismo tentava di ingraziarsi l’opinione pubblica internazionale e la S. Sede, impegnata in quegli anni (1942) in un’intensa attività diplomatica a favore dei profughi. Va ricordato, inoltre, che fin dall'emanazione delle leggi razziali (1938) il Ministero degli Esteri italiano temeva che questi provvedimenti non avrebbero giovato al progetto imperialistico fascista sui Balcani aggravando la già complessa gestione di un territorio così frammentato e dilaniato da conflitti interetnici. Inoltre i fascisti volevano mantenere buoni rapporti con i cetnici. In questa ottica, se avessero consegnato gli ebrei, i serbi avrebbero potuto temere di essere a loro volta consegnati agli ustascia e questo avrebbe minato la collaborazione con i cetnici. Infine va rilevato che la consegna degli ebrei sarebbe stata un atto di penosa condiscendenza nei confronti della Germania, prepotente alleato e rivale: sottrarvisi era anche segno di autonomia e di prestigio politico.[29]


Baracca adibita al lavoro dei calzolai

La chiusura del campo[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 il campo viene temporaneamente occupato dalle forze partigiane di Tito. Gli internati ebrei - liberati - raggiungono in massima parte la terraferma. Di costoro circa 240 giovani atti alle armi sono radunati in un battaglione ebraico[30] che combatte nell'EPLJ contro l'Asse; 200 persone rimangono sull'isola e vengono catturate dai tedeschi durante la successiva occupazione nazista; infine, circa 200 persone raggiungono via mare l'Italia[31]. Sulla sorte del comandante del campo, il colonnello Vincenzo Cujuli, le fonti sono discordanti: rimasto di presidio al campo in base all'ordine giuntogli dal comando della Seconda Armata di collaborare con i partigiani jugoslavi[36] e preso prigioniero, secondo alcune fonti viene seviziato e ucciso[36], secondo altre muore suicida in prigionia[37].

Negli anni cinquanta viene eretto un monumento commemorativo ad opera dell'architetto sloveno Edvard Ravnikar.


Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Oliva, Si ammazza troppo poco, p. 131; Gobetti, Alleati del nemico, p. 87
  2. ^ De Felice, Rosso e Nero, p. 161; Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, p.214; Oliva, p. 131,271
  3. ^ Gobetti, L'occupazione allegra p.30
  4. ^ Sul fascismo di confine cfr. Capogreco I campi del duce p. 106-109
  5. ^ Gobetti, Alleati del nemico pp.7-8
  6. ^ Gobetti, L'occupazione allegra p.44
  7. ^ Gobetti, L'occupazione allegra pp.; Alleati del nemico pp. 26-30; Monzali, La difficile alleanza con la Croazia ustascia, in Caccamo Monzali(a cura di), L'occupazione italiana della Jugoslavia (1941-43)
  8. ^ Gobetti, Alleati del nemico pp. 32-33
  9. ^ Gobetti, Alleati del nemico pp. 33-38
  10. ^ gen. Mario Roatta Comando superiore FFAA Slovenia e Dalmazia (II Armata) Circolare 3C, 1 marzo 1942 e successivi aggiornamenti
  11. ^ Tone Ferenc, Rab - Arbe - Arbissima Confinamenti - rastrellamenti - internamenti nella provincia di Lubiana 1941 - 1943: documenti, Ljubjana, Institut za novejso zgodovino Drustvo piscev zgodovine NOB, 2000, p.3
  12. ^ Capogreco, pp.14; 137; 153-54; 156-58
  13. ^ Tone Ferenc, p. 20
  14. ^ Gianni Oliva, p. 131; campifascisti.it
  15. ^ Gianni Oliva, p. 131-132; campifascisti.it; Gobetti, p. 87
  16. ^ Capogreco, pp.82; 140-41; sul carattere coloniale della guerra in Jugoslavia cfr. anche Gobetti, pp. 92-93
  17. ^ Gobetti, pp. 86-87; Capogreco, pp.68-69
  18. ^ Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, p. 230
  19. ^ [1]
  20. ^ Gobetti, Alleati del nemico, p. 88-89; Cattaruzza pp.230 - 231; Gianni Oliva p.132; campifascisti.it
  21. ^ ^cfr. nota del generale Gastone Gambara del 17 dicembre del 1942: “ Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d’ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo”. In Capogreco, p. 142; cfr inoltre Gobetti, Alleati del nemico, p. 88-89
  22. ^ Oliva, p.133; Cattaruzza, p.231; Rossi e Giusti, p.486
  23. ^   Cresciani, Italian Historical Society Journal, Vol.12, No.2, p.7; Italijanska koncentracijska taborišča za slovence med 2. svetovno vojno, Božidar Jezernik, Revija Borec - Društvo za preučevanje zgodovine, literaure in antropologije, Rossi Giusti, p. 62 e p. 486
  24. ^ Gobetti, Alleati del nemico, p. 131 Millo, L'Italia e la protezione degli ebrei, in Caccamo Monzali (a cura di), L'occupazione italiana della Iugoslavia, pp. 367; Gobetti, p. 129-30; Steinberg, p. 81
  25. ^ Steinberg, p. 85
  26. ^ Gobetti, p. 131; Cattaruzza, p. 214; Romano, Jevreji u logoru na Rabu i njihovo uklucivanje u Narodnooslobodilacki rat, in: "Zbornik" 1973 n. 2 p. 70
  27. ^ Steinberg, p. 92: "Il Duce ha disposto:1)che detti ebrei vengano mantenuti tutti in campi di concentramento; 2) che si proceda intanto, oltre che a determinare la pertinenza dei singoli internati, a raccogliere -in analogia alle richieste contenute nella soprariferita proposta del Governo croato- le istanze che gli interessati stessi volessero liberamente presentare per rinunciare alla cittadinanza croata ed alla proprietà di ogni bene immobile posseduto in Croazia"
  28. ^ "(...) Nell'agosto-settembre 1941, per fermare la violenza antiebraica e stroncare gli eccidi in corso fra serbi e croati, l'Esercito italiano assunse provvisoriamente il controllo di una nuova zona ceduta dalla Croazia di Pavelic. (...) Mentre Mussolini per non sfidare apertamente i tedeschi si opponeva all'ipotesi di un trasferimento dei rifugiati in Italia, in gran parte ebrei stranieri formalmente impediti all'ingresso nella penisola da una legge del 1939, nel 1942, fu finalmente escogitata la formula che avrebbe permesso di sfuggire alle pretese dell'alleato pur senza affrontarlo in un rifiuto diretto. I circa 3000 ebrei croati e stranieri (...) dal mese di ottobre (furono) internati in appositi campi (...) allo scopo di tacitare le accuse tedesche di spionaggio a favore del nemico, sarebbero stati sottoposti ad un lungo e laborioso censimento (...). La tattica temporeggiatrice funzionò fino al febbraio 1943 (...) quando Mussolini cedette alle richieste di trasferire gli ebrei a Trieste dove sarebbero stati prelevati dai tedeschi, autorizzando però i suoi generali a trovare nuovi pretesti per il rinvio. (...) nel marzo 1943 si decise di concentrare tutti i rifugiati in un campo dipendente dalla II Armata nell'isola dalmata di Arbe, (...) cioè in un territorio sottoposto alla sovranità italiana, al sicuro da qualsivoglia insidioso tentativo di colpo di mano". Anna Millo, L'Italia e la protezione degli ebrei, in L'occupazione italiana della Iugoslavia, Le Lettere, 2009, pp. 367 e 367.
  29. ^ Gobetti, p. 130-32
  30. ^ Per una foto del reparto si veda http://emperors-clothes.com/croatia/rab.jpg
  31. ^ Menachem Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra Esercito Italiano e gli ebrei in Dalmazia (1941-1943), USSME, 1991, pp. 156-168.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce, Giulio Einaudi 2004
  • Marina Cattaruzza, L'Italia e il confine orientale, Il Mulino 2007
  • Alessandra Kersevan, Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943, Nutrimenti 2008
  • Anna Millo, L'Italia e la protezione degli ebrei, in: Francesco Caccamo Luciano Monzali L'occupazione italiana della Iugoslavia, Le Lettere 2009
  • Gianni Oliva, Si ammazza troppo poco, Arnoldo Mondadori Editore 2006
  • Jasa Romano, Jevreji u logoru na Rabu i njihovo uklucivanje u Narodnooslobodilacki rat, in: "Zbornik" 1973 n. 2
  • Elena Aga Rossi e Maria Teresa Giusti, Una guerra a parte, Il Mulino 2011
  • Menachem Shelah, Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra Esercito Italiano e gli ebrei in Dalmazia (1941-1943), USSME 1991
  • Jonathan Steinberg, Tutto o niente l'Asse e gli Ebrei nei territori occupati 1941-1943, Mursia 1997
  • Eric Gobetti, Alleati del nemico. L'occupazione italiana in Jugoslavia (1941-1943), Laterza 2013
  • Eric Gobetti, L'occupazione allegra. Gli italiani in Jugoslavia (1941-1943), Carocci 2007
  • Tone Ferenc, Rab - Arbe - Arbissima Confinamenti - rastrellamenti - internamenti nella provincia di Lubiana 1941 - 1943: documenti, Ljubjana, Institut za novejso zgodovino Drustvo piscev zgodovine NOB 2000

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