Utente:Marco ferrara/Sandbox

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«Io non digiunai.[1] Prima per far piacere a mio padre, che mi aveva proibito di farlo, e poi perché non c’era più nessuna ragione perché digiunassi. Non accettavo più il silenzio di Dio. Inghiottendo la mia gamella di zuppa vedevo in quel gesto un atto di rivolta e di protesta contro di Lui. E sgranocchiavo il mio pezzo di pane. In fondo al cuore sentivo che si era fatto un grande vuoto.[2]»

La notte
Titolo originaleLa Nuit
AutoreElie Wiesel
1ª ed. originale1958
GenereRomanzo
SottogenereAutobiografia
Lingua originalefrancese

La notte è un romanzo autobiografico di Elie Wiesel che racconta le sue esperienze di giovane ebreo ortodosso deportato insieme alla famiglia nei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald negli anni 1944-1945, anni dell’Olocausto fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. In poco più di 100 pagine Wiesel racconta con episodi come l’orrore vissuto nei campi di concentramento e di sterminio gli aveva fatto perdere la fede in Dio e nell’umanità, riflessa nell’inversione dei ruoli padre-figlio, poiché egli baderà a suo padre fino alla morte. “Se solo potessi sbarazzarmi di questo peso morto … Immediatamente mi vergogno di me stesso”. Nella notte, ogni cosa viene invertita, ogni valore distrutto. “Qui non ci sono padri, fratelli, amici”, gli disse un Kapo. “Ognuno vive e muore in solitudine”. Wiesel aveva 16 anni quando Buchenwald venne liberata dagli Alleati nel aprile 1945, quando per suo padre era già troppo tardi, poiché morì dopo la Grande Marcia, al freddo e senza cibo, per dissenteria. Con la perdita di fiducia in Dio e nell’umanità, Wiesel non volle parlare della sua esperienza per 10 anni. Nel 1954 Wiesel scrisse un manoscritto in Yiddish, intitolato Un di Vet Hot Geshvign (“E il mondo rimase in silenzio”), mentre era a Buenos Aires, dopo che il romanziere francese Francois Mauriac lo persuase a scrivere per un pubblico più vasto. [3] Anche con l’aiuto di Mauriac, trovare un editore non è una cosa semplice – dicevano che il libro era troppo morboso – ma venne pubblicato nel 1958 in Francia come la Nuit, e nel 1960 una seconda pubblicazione negli Stati Uniti con La Notte. Cinquanta anni dopo il libro venne tradotto in altre 30 lingue, e si classificò accanto a Se questo è un uomo di Primo Levi e al Diario di Anna Frank, come uno dei capolavori della letteratura sull’Olocausto. Gli studiosi ebbero delle difficoltà nel capire la sua opera nuda e cruda. Il critico letterario statunitense Ruth Franklin scrisse che la traduzione spietata del testo dal Yiddish al francese trasformò un arrogante opera in un capolavoro d’arte.[4] La Notte è il primo libro di una trilogia – la Notte, l’Alba e il Giorno – che riflette sullo stato d’animo di Wiesel durante e dopo l’Olocausto. Il titolo rimarca la transizione dall’oscurità alla luce, secondo la tradizione ebraica, l’inizio di un nuovo giorno al calar della notte. In la Notte, egli dice, “io voglio far vedere la fine, la finalità del tragico evento. Ogni cosa va verso la fine – l’uomo, la storia, la letteratura, la religione, Dio –. Non c’è più nulla. Eppure noi ricominceremo con la notte."[5]

Antefatto[modifica | modifica wikitesto]

Wiesel è nato il 30 settembre 1928 a Sighet, un paese di montagna sui Carpazi a nord della Transilvania, in una affiatata comunità di 10000-20000 persone la cui maggior parte erano ebrei ortodossi. L’area fu annessa all’Ungheria nel 1914. Ellen Fine scrive che le leggi antisemite furono emanate tra il 1938 e il 1944, ma Wiesel discute ciò all’inizio del suo libro, il periodo 1942-1943 è stato un periodo relativamente tranquillo per la popolazione ebraica.[6] Questo cambiò nella mezzanotte del 18 marzo 1944 con l’invasione dell’Ungheria da parte dei nazisti tedeschi e l’installazione di un governo fantoccio di Döme Sztòjay. Adolf Eichmann, comandante delle Sondereinsatzkommando naziste (Squadre Speciali d’Azione), arrivate in Ungheria per sorvegliare la deportazione degli ebrei a Auschwitz. Tra il 15 maggio e il 7 luglio 1944, 450000 ebrei ungheresi vennero mandati a Auschwitz, circa 12000 al giorno, molti di loro morirono nelle camere a gas.[6] Come gli Alleati prepararono la liberazione dell’Europa in maggio e giugno di quell’anno, Wiesel e la sua famiglia – suo padre Cholmo (o Shlomo), suo madre Sarah, e le sue sorelle Hilda, Beatrice e Tzipora, di soli 7 anni – vennero deportati ad Auschwitz, con i 15000 ebrei di Sighet e i 18000 ebrei dai villaggi vicini. La madre di Wiesel e Tzipora vennero immediatamente mandate nelle camere a gas. Hilda e Beatrice sopravvissero, ma vennero separate dal resto della famiglia. Wiesel e suo padre rimasero insieme, sopravvissero ai lavori forzati e alla lunga Marcia, dove Wiesel vide morire suo padre poche settimane prima dell’arrivo della Sesta Divisione della Corazzata statunitense che liberò il campo.

La storia di Wiesel raccontata in "La Notte"[modifica | modifica wikitesto]

Moshe il custode (beadle)[modifica | modifica wikitesto]

La Notte si apre a Sighet nel 1941. Il narratore è Eliezer, un devoto ragazzo ebreo ortodosso, che studia il Talmud di giorno e di notte e va nella Sinagoga a piangere per la distruzione del Tempio, una predizione, scrive Fine, dell’ombra che sta per essere lanciata sugli ebrei in Europa.[7] Alla disapprovazione del padre, Eliezer impiega il suo tempo a discutere di Cabala e dei misteri dell’universo con Moshe, il custode della Sinagoga e umile concittadino, “imbarazzante come un clown” ma amato. Moshe gli racconta che “l’uomo si innalza verso Dio dalle domande che gli si chiede”[8], un tema presente più volte nella Notte. Verso la fine del 1942, il governo ungherese decreta che gli ebrei devono essere in grado di provare la loro cittadinanza o verranno espulsi, Moshe fu caricato su treno bestiame e portato in Polonia. In qualche modo riuscì a fuggire, miracolosamente fu salvato da Dio, lui sopravvisse, in modo che egli possa salvare gli ebrei di Sighet. Egli ritornò in fretta al villaggio per raccontare ciò che egli chiama la storia della sua morte, andando di casa in casa dicendo: “Ebrei ascoltatemi! È tutto quello che vi chiedo. Niente soldi. Niente pietà. Ascoltatemi![9] Egli raccontò che quando il treno bestiame attraversò il confine della Polonia è stato preso dalla Gestapo, la polizia segreta tedesca. Gli ebrei furono trasferiti nei camion e guidati nella foresta in Galizia, vicino a Kolomaye, dove sono stati costretti a scavare pozzi. Quando loro ebbero finito, ogni prigioniero aveva una fossa, gli ruppero i colli e li seppellirono. I bambini venivano gettati in aria e utilizzati come bersagli dai mitraglieri. Egli raccontò loro di Malko, una giovane donna che ci mise 3 giorni a morire, e Tobias, il sarto che supplicò di essere ucciso prima dei suoi figl; come lui, Moshe, è stato colpito alla gamba e dato per morto. Ma gli ebrei di Sisghet non vollero ascoltarlo, rendendolo il primo testimone inascoltato de La Notte.[10]

I ghetti di Sighet[modifica | modifica wikitesto]

Nel corso dei prossimo 18 mesi le restrizioni verso gli ebrei aumentarono. Non ci possono essere oggetti di valore nelle case ebree. Gli ebrei non sono autorizzati a entrare nei ristorante, nelle sinagoghe, o uscire di casa dopo le sei di sera e devono indossare la stella gialla in ogni momento.

Una stella gialla? Oh bene, che importa? Non si muore per quella...

(Povero Padre! Di che cosa allora si muore?)[11]

Le SS trasferirono gli ebrei in uno dei due ghetti, gestiti come una piccola città, ognuno con il proprio consiglio o Judenrat.

Il filo spinato che ci ha recintato, non ci ha causato alcun timore reale. Abbiamo pensato a noi stessi eravamo del tutto autonomi . Una piccola repubblica ebraica … Abbiamo nominato un Consiglio ebraico, una polizia ebraica, un ufficio per l’assistenza sociale, un comitato di lavoro, un reparto di igiene – un macchinario governativo intero. Tutti erano meravigliati di questo. Non dovranno più avere davanti agli occhi quei volti, quei ostili sguardi carichi di odio. La nostra paura e l’angoscia erano alla fine. Vivevamo tra gli ebrei. Tra i fratelli.

Non era ne tedesco ne Ebreo che governava il ghetto – era l’illusione.[11]

Nel maggio 1944 al Judenrat viene detto che i ghetti saranno chiusi con effetto immediato e gli abitanti verranno deportati. Non viene detto loro la destinazione, ma solo che essi possono tenere solo pochi effetti personali.[12] Il giorno dopo, Eliezer guardò come la polizia ungherese brandendo manganelli e fucili radunavano amici e vicini, per poi marciare attraverso le strade. "E’ stato da quel momento che o cominciato a odiarli, e il mio odio è ancora l’unico legame con loro oggi."[9]

Ed ero li sul marciapiede incapace di fare una mossa. E’ arrivato il rabbino con la schiena curva il viso rasato … La sua sola presenza tra i deportati ha aggiunto un tocco di irrealtà alla scena. E’ stato come una pagina strappata da qualche libro di storia … A uno a uno passavano davanti a me, gli insegnanti, gli amici, altri, tutti quelli di cui ho avuto paura, di tutti quelli che una volta avrebbero potuto ridere di me, di tutti quelli con cui ho vissuto nel corso degli anni. Andarono, cadendo, trascinando gli zaini, trascinando la loro vita, abbandonando le loro case, gli anni della loro infanzia, servili come cani battuti.[13]

Auschwitz[modifica | modifica wikitesto]

Eliezer e la sua famiglia sono stati caricati su un carro bestiame chiuso con altri 80 ebrei, senza luce, con poco cibo e acqua, appena in grado di respirare. Durante la loro terza notte nel vagone, una donna, Madame Schaechter, diventa più volte isterica, gridando che lei può vedere le fiamme fino a che non cade in un silenzio insieme agli altri passeggeri. E’ il secondo testimone inascoltato de La notte, che si ritiene solo, come il treno che raggiunge Auschwitz-Birkenau, dove gli altri passeggeri vedranno i camini.[14]</ref> All’arrivo uomini e donne vengono separati Eliezer e suo padre vanno a sinistra, mentre la madre, Hilda, Beatrice e Tzipora destra. Dopo anni scoprì che la madre e Tzipora vennero mandate nelle camere a gas.

Per una frazione di secondo ho intravisto mia madre e le mie sorelle che si allontanavano verso destra. Tzipora teneva la mano della mamma. Le ho viste sparire in lontananza; mia madre stava accarezzando i capelli biondi di mia sorella … E io non sapevo che in quel luogo, in quel momento, mi stavo separando da mia madre e Tzipora per sempre.[15]

Il resto de La notte descrive gli sforzi disperati di Eliezer per non separarsi da suo padre, per non perderlo mai di vista e come i loro cambiamenti di relazione, il giovane diventa assistente del padre anziano, il suo rancore e senso di colpa, perché l'esistenza di suo padre minaccia la sua propria. La sua perdita di fiducia nei rapporti umani si rispecchia nella sua perdita della fede in Dio.[16] Durante la prima notte, mentre lui e suo padre erano in fila per essere gettato in una fossa, osserva un camion consegnare il suo carico di bambini nel fuoco. Mentre suo padre recita il Kaddish, la preghiera ebraica per i morti - Wiesel scrive che nella lunga storia degli ebrei, che non sa se la gente ha sempre recitato la preghiera per i defunti per se stessi - Eliezer considera l’idea di buttarsi contro il recinto elettrico. In quel momento a lui e a suo padre viene ordinato di andare alla loro baracca. Ma Eliezer è già distrutto. "lo allievo del Talmud, il bambino che ero, è stato consumato tra le fiamme. Restava solo una forma che sembrava come me".[16] Segue un passaggio che Ellen Fine scrive, contiene i temi principali di La Notte - la morte di Dio, i bambini, l'innocenza, e la défaite du moi, o dissoluzione del sé, un tema ricorrente nella letteratura dell'Olocausto:[17]

Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha trasformato la mia vita in una lunga notte, sette volte maledetto e sette volte sigillato. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini, i cui corpi vidi rivolta in ghirlande di fumo sotto un cielo muto blu.

Mai dimenticherò quelle fiamme che consumavano la mia fede per sempre.

Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi privò, per tutta l'eternità, del desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima e trasformato i miei sogni in polvere. Non dimenticherò mai queste cose, anche se sono condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.[18]

Con la perdita di sé va il senso del tempo di Eliezer: "Guardai mio padre. Come era cambiato ... Tanto era successo in queste poche ore, avevo perso la cognizione del tempo. Quando avevamo lasciato le nostre case? E il ghetto? e il treno? È stato solo una settimana? O una notte una sola notte?"[19]

Dio non è perso del tutto Eliezer. Durante l'impiccagione di un bambino, che è costretto a guardare il campo, sente qualcuno chiedere: Dov'è Dio? Dove si trova? Non è abbastanza pesante per il peso del suo corpo per rompere il collo, il ragazzo muore lentamente e in agonia. Wiesel lo ricorda davanti a lui, vede la sua lingua ancora rosea e gli occhi chiari, e piange.

Dietro di me, ho sentito lo stesso uomo che chiede: Dov'è Dio adesso?

E udii una voce dentro di me rispondergli: ... Qui Egli è - Egli è appeso qui su questa forca.[20]

Fine scrive che questo è l'evento centrale in "La notte", il sacrificio religioso, Isacco legato all'altare, Gesù inchiodato alla croce, descritto da Alfred Kazin come la morte letterale di Dio.[21] Successivamente i detenuti celebrano il Rosh Hashanah, il nuovo anno ebraico, ma Eliezer non può partecipare.

Sia benedetto il nome di Dio? Perché, ma perché io lo benedico? Ogni fibra di me si ribellò. Perché Egli ha condannato migliaia di bambini a bruciare nelle sue fosse comuni? Perché ha continuato a far funzionare sei forni crematori giorno e notte, inclusi lo Shabbat e i giorni santi? Perché con la sua forza aveva creato Auschwitz, Birkenau, Buna e tante altre fabbriche di morte? Come potevo dirgli: Benedetto sei tu, onnipotente, Signore dell'Universo, che ci ha scelti fra tutte le nazioni ad essere torturati giorno e notte, per vedere come i nostri padri, le nostre madri, i nostri fratelli finiscono nei forni? ... Ma ora, non ho più supplicato per nulla. Non ero più in grado di emettere un lamento. Al contrario, mi sentivo molto forte. Io ero l'accusatore, Dio l'imputato.[22]

Marcia della morte[modifica | modifica wikitesto]

Intorno all'agosto del 1944, Eliezer e suo padre si trasferirono da Birkenau ad Auschwitz III, un campo di lavoro. Le loro vite si ridussero qui al continuo evitamento delle violenze e alla ricerca di cibo. “Pane e zuppa erano tutta la mia vita. Ero un corpo. Forse anche meno: uno stomaco affamato.”[23] La loro unica gioia era costituita dai bombardamenti sul campo da parte degli americani. Nel gennaio 1945, quando stava arrivando l'esercito sovietico, i tedeschi decisero di fuggire, portando con se sessantamila detenuti in una marcia della morte verso i campi di concentramento in Germania. Eliezer e suo padre camminano fino a Gleiwitz per andare a bordo di un treno merci con destinazione Buchenwald, un campo nei pressi di Weimar, distante 563 chilometri da Auschwitz.

Passo buio. Di tanto in tanto, delle esplosioni nella notte. Avevano l'ordine di sparare a chiunque non riuscisse a tenere il passo. Le loro dita sui grilletti, non si sarebbero privati di questo piacere. Se uno di noi si fosse fermato per un secondo, uno sparo secco avrebbe finito un altro sporco figlio di puttana.

Vicino a me, degli uomini crollavano nella sporca neve. Spari.[24]

Riposando in un capannone dopo aver camminato per ottanta chilometri, Rabbi Eliahou chiede se qualcuno ha visto suo figlio. Erano stati insieme per tre anni, “sempre vicino l'un l'altro, per soffrire, per le botte, per le razioni di pane, per pregare,” ma il padre l'ha perso di vista nella folla e ora sta cercando il corpo di suo figlio tra la neve. “Non avevo nessuna forza rimasta per correre. E mio figlio non lo notò. E' tutto quello che so.[25] Wiesel non dice all'uomo che in realtà suo figlio, dopo aver notato suo padre zoppicare, aveva cominciato ad avanzare più velocemente, facendo aumentare la distanza tra loro.

E, a dispetto di me stesso, una preghiera cresceva nel mio cuore, verso quel Dio in cui non credevo più. Dio, signore dell'Universo, dammi la forza di non fare mai quello che il figlio di Rabbi Eliahou ha fatto.[26]

I detenuti trascorsero due giorni e due notti a Gleiwitz rinchiusi dentro strette caserme senza cibo, acqua e riscaldamento, dormendo letteralmente uno sopra l'altro, così ogni mattina i vivi si risvegliavano con i morti sotto di loro. Dopo c'è un'altra marcia verso la stazione ferroviaria e verso un carro bestiame senza tetto, e senza cabine in cui sedersi fino a quando altri detenuti fanno spazio lanciando i morti sui binari. Viaggiano per dieci giorni e dieci notte, dissetandosi solo con la neve che cade su di loro. Dei cento ebrei a bordo di quel treno, dodici sopravvivono.

Mi svegliai dalla mia apatia solo nel momento in cui due uomini si avvicinarono a mio padre. Mi buttai sopra il suo corpo. Era freddo. Gli diedi uno schiaffo. Gli presi la mano, piangendo:

Papà! Papà! Svegliati. Stanno cercando di buttarti fuori dal carro...

Il suo corpo rimase inerte.

Mi misi al lavoro per schiaffeggiarlo il più forte possibile. Dopo un attimo, le sue palpebre si mossero leggermente sui suoi occhi di vetro. Respirava debolmente.

Ci vedi, piansi. I due uomini andarono via.[27]

Buchenwald e liberazione[modifica | modifica wikitesto]

I tedeschi stanno aspettando con megafoni e con l'ordine di far fare ai detenuti un bagno bollente. Wiesel è disperato per il calore dell'acqua, ma suo padre affonda nella neve. “Avrei potuto piangere rabbiosamente... Gli mostrai i cadaveri intorno a lui, avrebbero voluto anche loro restare lì... Gridai contro il vento... Non sentivo di prendermela con lui, ma con la morte stessa, con la morte che aveva già scelto.”[28] Un suono d'allarme, le luci dei campi si spengono, e Eliezer, esausto, segue la massa verso le caserme, lasciando dietro suo padre. Si sveglia all'alba su un lettino di legno, ricordandosi di avere un padre, e va a cercarlo. “Ma nello stesso momento questo pensiero entrò nella mia mente. Non fatemelo trovare! Se solo potessi sbarazzarmi di questo peso morto, così che possa usare tutta la mia forza per lottare per la mia sopravvivenza, e preoccuparmi solo di me stesso. Subito mi sentii vergognato di me stesso, per sempre.”[29] Suo padre è in un altro reparto, malato di dissenteria. Gli uomini vicini a lui, un francese e un polacco, lo attaccano perchè non può più uscire a fare i suoi bisogni. Eliezer non riesce a proteggerlo. “Un'altra ferita al cuore, un altro odio, un'altra ragione per vivere persa.” Una notte, implorando per dell'acqua dal suo lettino, in cui ha giaciuto per una settimana, Chlomo viene colpito sulla testa con un bastone da un agente dell'SS per aver fatto troppo rumore. Eliezer sta sul letto sopra e non fa niente per paura di essere colpito a sua volta. Ode suo padre fare un rumore indefinito, “Eliezer”. La mattina, 29 gennaio 1945, trova un altro uomo al posto di suo padre. I Kapos arrivarono prima dell'alba per portare suo padre nel forno crematorio.[29]

La sua ultima parola fu il mio nome. Una chiamata, alla quale non risposi.

Non piansi, e provai dolore per il non poter riuscire a piangere. Ma non ho più avuto lacrime. E, nel profondo del mio essere, nei recessi della mia coscienza indebolita, avrei potuto cercare questo, e potrei aver trovato qualcosa – finalmente libero![29]

Chlomo perse la possibilità di essere libero solo per qualche settimana. I Sovietici liberarono Auschwitz 11 giorni dopo, e gli Americani stavano avanzando verso Buchenwald. Eliezen viene trasferito al reparto dei bambini in cui sta con altri 600, sognando la zuppa. Il 5 aprile 1945 viene comunicato ai detenuti che il campo sta per essere dismesso e devono trasferirsi – un'altra marcia della morte. L'11 aprile, con ventimila detenuti ancora dentro, un movimento di restistenza ebreo attacca i rimanenti agenti SS e prende il controllo. Alle sei di quella sera, un carro armato americano arriva ai ponti, precedendo la Terza Divisione dell'esercito americano. Eliezer è libero.[30]

Scrittura e pubblicazione[modifica | modifica wikitesto]

1954: Scrittura di Un di Velt Hot Geshvign[modifica | modifica wikitesto]

Da Buchenwald, Wiesel volle andare in Palestina, ma fu fermato dalle restrizioni inglesi sull'immigrazione. Rifutandosi di tornare a Sighet, fu spedito invece al Oeuvre au Secours aux Enfants (Servizio di recupero per ragazzi) insieme a 400 altri orfani, prima in Belgio, poi in Normandia, in cui realizzò che le due sue sorelle, Hilda e Beatrice, erano sopravvissute. Dal 1947 al 1950, studiò il Talmud, filosofia e letteratura alla Sorbona, frequentando lezioni di Jean-Paul Sartre e Martin Buber. Per ottenere il suo stipendio di 16 dollari alla settimana, insegnò la lingua ebraica, e lavorò come traduttore per il settimanale Zion in Kamf, che lo ha facilitato nel giornalismo. Nel 1948, all'età di diciannove anni, fu mandato in Israele come un corrispondente di guerra dal giornale francese L'arche, e dopo la Sorbona, egli diventò capo corrispondente estero del giornale di Tel Aviv Yedoth Ahronoth.

Per dieci anni, tenne la storia in se stesso. Nel 1979, scrisse: “La mia angoscia era così pesante che ho fatto una promessa: non parlare, non toccare oltre l'essenziale per almeno dieci anni. … Abbastanza a lungo per riacquisire il possesso della mia memoria.”[31] Fu nel 1954 che cominciò a scrivere, a bordo di una nave per il Brasile in cui aveva il compito di proteggere l'attività missionaria cristiana nelle comunità ebraiche. “Scrissi febbrilmente, senza respiro, senza leggere. Scrissi per testimoniare, per fermare i morti dal morire, per giustificare la sopravvivenza... La mia promessa di silenzio sarebbe stata presto rispettata: l'anno successivo avrebbe segnato il decimo anniversario dalla mia liberazione... Le pagine si accatastarono sul mio letto. Dormivo irregolarmente, senza mai partecipare alle attività della nave, costantemente isolato sul mio piccolo diario, ignaro dei miei compagni di viaggio...”[32]

Alla fine del viaggio, Wiesel aveva un manoscritto di 862 pagine che chiamò Un di Velt Hot Geshvign (“E il mondo rimase in silenzio”).[33] Sulla nave, fu introdotto dagli amici a Mark Turkov, un editore di testi Yiddish, e diede a quest'ultimo l'unica copia del manoscritto.[34] Fu pubblicato a Buenos Aires dal Tzentral Varband fun Polishe Yidn in Argentina (Unione centrale degli ebrei polacchi in Argentina) come un volume di 245 pagine, il centodiciassettesimo libro in una serie di 176 volumi di memorie Yiddish della Polonia e della guerra, chiamata Dos poylishe yidntum (ebrei polacchi, Buenos Aires 1946-1966).[35] Mentre gli altri libri della serie erano essenzialmente memorie delle vittime, Ruth Wisse scrive che Un di Velt Hot Geshvign spicca come una “altamente selettiva e isolata narrativa letteraria” influenzata dalle letture di Wiesel degli esistenzialisti francesi.

1958: Pubblicazione de La nuit[modifica | modifica wikitesto]

Il libro non attrasse interesse letterario e Wiesel continuò con il suo giornalismo. Nel maggio 1955, decise di intervistare il primo ministro francese, Pierre Mendès France, e si avvicinò il novellista Francois Mauriac, un amico di Mendes-France, per un'introduzione. Egli scrive: “Il problema era che Mauriac era innamorato di Gesù. Era la persona migliore che avessi mai incontrato in quel campo – come scrittore, uno scrittore cattolico. Onesto, senso di integrità, ed era innamorato di Gesù. Parlava solo di lui. Qualunque cosa gli chiedessi – Gesù. Finalmente, dissi, “Cosa racconti di Mendes-France?” Egli disse che Mendes-France, come Gesù, stava soffrendo...”[36]

Quando nominò Gesù ancora non riuscì a sopportarlo, e per l'unica volta nella mia vita fui scortese, e me ne pento ancora oggi. Dissi, “Signor Mauriac”, lo chiamavamo Maitre, “circa dieci anni fa, ho visto bambini, centinaia di bambini ebrei, che soffrirono più di quanto Gesù soffrì sulla sua croce e non ne parliamo” Mi sentii tutto d'un tratto così imbarazzato. Chiusì il mio diario e andai in ascensore. Mi rincorse. Mi tirò indietro; si sedette sulla sua sedia, e io sulla mia, e cominciò a piangere. Ho raramente visto un vecchio uomo piangere così, e mi sentii un tale idiota... E poi, alla fine, senza aver detto niente, disse semplicemente, “Sai, forse dovresti parlarne”[36]

Wiesel tradusse Un di Velt Hot Geshvign, e inviò a Mauriac un manoscritto francese dopo un anno. Anche con i contatti di Mauriac, non fu trovato nessun editore. Dissero che era troppo morboso.[36] Ma nel 1958, Jerome Linden di Les Editions de Minuit accettò di rilasciare una traduzione di 178 pagine rintitolata La Nuit, dedicata a Chlomo, Sarah e Tzipora, con una prefazione di Mauriac.[33]

1960: Pubblicazione di La Notte[modifica | modifica wikitesto]

L'agente di New York di Wiesel, Georges Borschardt, incontrò le stesse difficoltà per trovare un editore americano. Secondo Wiesel: “Alcuni trovavano il libro troppo snello (i lettori americani sembravano preferire volumi più grandi), altri troppo deprimente (i lettori americani sembravano preferire libri ottimisti). Alcuni sentivano che il suo argomento fosse troppo poco conosciuto, altri che fosse troppo ben conosciuto."[37]

Nel 1960, Arthur Wang di Hill & Wang – su cui Wiesel scrive che “credeva nella letteratura come altri credono in Dio” - accettò di pagare un anticipo di 100$, e pubblicò un'edizione in inglese di 116 pagine negli Stati Uniti nel settembre di quell'anno chiamata La Notte, tradotta da Stella Rodway di McGibbon & Kee.[38] Wiesel stava lavorando contemporaneamente come corrispondente delle Nazioni Unite per dei giornali di Israele e per il Jewish Dailty Forward a New York. Ci vollero tre anni perchè fossero vendute le prime 3000 copie. Il libro vendette 1046 copie nei successivi 18 mesi, a 3$ per copia, ma attrasse l'interesse dei critici, portando a interviste televisive con Wiesel e incontri con figure letterarie come Saul Bellow.[39]

Dal 1997, stava vendendo 300000 copie all'anno negli Stati Uniti, e dal 2011 ha venduto sei milioni di copie in quel paese, ed era disponibile in 30 lingue.[40] Le vendite incrementarono nel gennaio 2006 quando fu scelto dall'Oprah's Book Club. Fu pubblicato con una nuova traduzione dalla moglie di Wiesel, Marion, e una nuova prefazione di Wiesel, e dal 13 febbraio di quell'anno, era il numero uno nella lista dei bestseller del New York Times. L'edizione del club dei libri, con oltre due milioni di vendite, diventò il terzo bestseller del club.[41]

Ricezione[modifica | modifica wikitesto]

Memoria o romanzo[modifica | modifica wikitesto]

Studenti e critici sono stati insicuri sul genere a cui La Notte appartiene. Gary Weissman scrive che è stata chiamato romanzo, autobiografia, romanzo autobiografico, romanzo non narrativo, memoria semi narrativa, romanzo autobiografico narrativo, memoria autobiografica narrativa e romanzo di memoria. Ellen Fine lo chiama tèmoignage (testimonianza), nonostante sostenga che potrebbe appartenere a tutte le categorie. In All Rivers Run to the Sea, Wiesel dice esplicitamente che non si tratta di un romanzo, bensì della sua deposizione. I critici hanno tuttavia difficoltà a leggerlo come uno scritto di testimonianza oculare.[42] I critici hanno comunque avuto difficoltà a leggerlo come una testimonianza oculare.[4]

Ruth Franklin sostiene che l'impatto del libro deriva dalla sua costruzione. Il suo linguaggio è piano, ma “ogni frase sembra pesata e cauta, ogni episodio attentamente scelto e delineato... Uno ha il senso dell'impietosa esperienza impietosamente distillata nella sua essenza...” Lei scrive che il potere della narrativa è arrivato al costo della verità letteraria. La versione Yiddish era un lavoro storico, politico e rabbioso, colpevolizzando il concetto ebreo di popolo eletto come la fonte dei problemi degli ebrei. Wiesel scrisse nella versione Yiddish del 1956: “Noi credevamo in Dio, avevamo fede nell'uomo, e vivevamo senza l'illusione che in ognuno di noi c'è una scintilla sacra del fuoco dello shekhinah, che ognuno portava nei suoi occhi e nella sua anima in segno di Dio. Questo era la fonte – se non la causa – di tutte le nostre sfortune.” In preparazione alla pubblicazione in Francia, Wiesel e il suo editore tagliarono senza pietà. Franklin scrive che era un lavoro d'arte che emerse, più che una narrativa fedele.[4]

Naomi Seidman, professoressa di cultura ebraica al Graduate Theological Union, scrisse un'analisi di confronto tra il testo Yiddish e quello francese per un articolo del 1996 nel Jewish Social Studies, concludendo che La Notte trasforma l'Olocausto in un evento religioso, l'abdicazione di dio, che ha come testimoni sia i preti che i profeti; Wiesel stesso disse che Auschwitz era importante come il Monte Sinai. Seidman argomenta che non ci fu un sopravvissuto dell'Olocausto in La Notte, ma due – uno Yiddish e un francese – un punto di vista che i negazionisti hanno sfruttato per accusare Wiesel di non essere stato fedele su alcune vicende.[4] Seidman stessa fu accusata di revisionismo dell'Olocausto. Disse al Jewish Daily Forward che, riscrivendo piuttosto che semplicemente traducendo Un di Velt Hot Geshvign, Wiesel ha stostituito un rabbioso sopravvissuto che considera la “testimonianza come una confutazione di quello che i nazisti hanno fatto agli ebrei”, con un “perseguitato a morte, la cui denuncia principale è diretta verso Dio, non il mondo, [o] i nazisti”.[43]

Seidman supporta le sue tesi che i testi Yiddish e francesi furono scritti per pubblici diversi confrontando parti del testo che non sono state tagliate. Ad esempio, nella versione Yiddish, Wiesel scrive che, dopo la liberazione, alcuni dei sopravvissuti del campo maschile corrono via a “fargvaldikn daytshe shikses” ("stuprare shiksas tedesche"), mentre nell'edizione francese, loro “coucher avec les filles” (hanno dormito con le ragazze). Seidman sostiene che la versione Yiddish è per lettori tedeschi, che vogliono sentire sui ragazzi ebrei che si vendicano violentando tedesche non ebree. Per il resto del mondo – la maggioranza di lettori cristiani – la rabbia è rimossa, ed essi sono solo giovani ragazzi che dormono con delle ragazze. Seidman scrive che Wiesel può aver soppresso il desiderio di vendetta per consiglio di Mauriac, un cattolico romano.[44]

Quando fu scritta la versione originale[modifica | modifica wikitesto]

C'è confusione riguardo a quando fu scritta la prima versione. Wiesel sostiene che avvenne dopo il suo incontro nel maggio 1955 con Mauriac che cominciò a scrivere. In un'intervista del 1996, disse: “Mauriac mi portò in ascensore e mi abbracciò. E quell'anno, il decimo anno, cominciai a scrivare la mia narrativa. Dopo che fu tradotta da Yiddish a francese, gliela inviai... Questo non mi fece pubblicare, ma scrivere.”[36] Ma Naomi Seidman nota – come fa Wiesel in All Rivers Run to the Sea – che Mark Turkov, il produttore di Wiesel in Argentina, ricevette il manoscritto Yiddish nel 1954, un anno prima dell'incontro di Wiesel con Mauriac.[45]

In Rivers, Wiesel scrive che la prima versione di La Notte fu scritta su una barca en route per il Brasile nel 1954, e che passò la versione originale da 862 pagine a Turkov sulla nave. Nonostante Turkov disse che avrebbe restituito il manoscritto, Wiesel scrive che non lo vide più, ma più tardi in Rivers, spiega che lui “taglia il manoscritto originale da 862 pagine alle 245 di quello pubblicato in Yiddish.”[33] Seidman scrive che “questi confusi e possibilmente contraddittori rapporti sulle varie stagioni di La Notte hanno generato una catena di simili commenti critici confusi."[44]

Verità e memoria[modifica | modifica wikitesto]

Ruth Franklin scrive che la “rinascita” di La Notte di Oprah Winfrey arrivò in un periodo difficile per il genere della memoria, dopo che un autore del book-club, James Frey, fu trovato a fabbricare parti della sua autobiografia, In un milione di piccoli pezzi. Lei sostiene che l'approvazione di Winfrey del lavoro di Wiesel fu una mossa astuta, forse fatta per ripristinare la credibilità del book-club con un libro considerato al di là della critica. Lei scrive che La Notte ha una utile lezione per insegnare sulla complessità della memoria, e che la storia di come viene ad essere scritta rivela come molti fattori entrano in gioco per creare una memoria: “l'obbligo di ricordare e di scrivere, certamente, ma anche l'artistico e anche morale obbligo di costruire una vero personaggio e di compiere un lavoro magnifico... la verità in prosa, cambia, non è sempre la stessa cosa della verità nella vita.”[46]

Wiesel racconta una storia su una visita a un Rebbe, un Rabbino chassidico che non vedeva da 20 anni. Il Rebbe è triste di sapere che Wiesel sia diventato uno scrittore, e vuole sapere cosa scrive. “Storie,” Wiesel gli dice, “...storie vere”:

Su persone che conosci? "Sì, su persone che potrei aver conosciuto.” Su cose che sono successe? “Sì, su cose che sono successe o che potrebbero essere successe.” Ma non lo sono? “No, non tutte. Infatti, alcune sono inventate quasi dall'inizio alla fine.” Il rabbino si chinò avanti come se dovesse misurarmi e disse, con maggiore dolore che rabbia: questo significa che stai scrivendo bugie! Non risposi subito. Il bambino rimproverato dentro di me non aveva niente da dire in sua difesa. Già, dovevo giustificarmi: “Le cose non sono così semplici, Rebbe. Alcuni eventi succedono ma non sono veri; altri lo sono – anche se non sono mai accaduti”[47]


Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Wiesel riferisce ad un digiuno prescritto dalla fede ebraica. La scena descritta è ambientata presso il campo di Monowitz, sottocampo del complesso di Auschwitz. A Monowitz era rinchiuso, nello stesso periodo, anche Primo Levi.
  2. ^ Elie Wiesel. La notte, traduzione di Daniel Vogelmann. Firenze: La Giuntina, 1992, p. 70.
  3. ^ Rivers, pp. 241, 219.
    • For François Mauriac, see Franklin 2011, p. 90.
  4. ^ a b c d Franklin 2006
  5. ^ Per la tradizione ebraica di iniziare un giorno nuovo al calare della notte, vedere Sternlicht 2003, p. 29, e Genesi (1:5): "Dio chiamò la luce «giorno» e le tenebre «notte». Fu sera, poi fu mattina: primo giorno." Vedere anche "Jewish holidays", Judaism 101.
    • Per la citazione di Wiesel, "Nella notte, volevo mostrare la fine ...", vedere Reichek 1976, p. 46.
  6. ^ a b Fine 1982, p. 13.
  7. ^ Fine 1982, p. 12.
  8. ^ La Notte, p. 2.
  9. ^ a b La Notte, p. 17.
  10. ^ Sternlicht 2003, p. 30, e Fine 1982, p. 13.
  11. ^ a b La Notte, p. 9. Errore nelle note: Tag <ref> non valido; il nome "N9" è stato definito più volte con contenuti diversi
  12. ^ Tra il 16 Maggio e il 27 Giugno 1944, 131,641 Ebrei furono deportati dalla Transilvania del nord ad Auschwitz (Yad Vashem).
  13. ^ La Notte, pp. 14–15.
  14. ^ Auschwitz-Birkenau era uno dei tre principali campi e 40 sottocampi nel complesso di Auschwitz, ed era un campo di sterminio. Tra il 1940 e il 1945, circa 1.1 milioni di Ebrei, 75,000 Polacchi, 18,000 Roma, e 15,000 Sovietici prigionieri di guerra furono uccisi qui. Vedi "Auschwitz", Museo statunitense in memoria dell'Olocausto.
  15. ^ La Notte, p. 27.
  16. ^ a b La Notte, pp. 31, 34.
  17. ^ Fine 1982, pp. 15–16.
  18. ^ La Notte, p. 32.
  19. ^ La Notte, p. 34, and Fine 1982, pp. 15–16.
  20. ^ La Notte, pp. 61–62.
  21. ^ Fine 1982, p. 28.*Kazin 1962, p. 297.
  22. ^ La Notte, p. 64.
    • Also see Franklin 2011, p. 80.
  23. ^ La Notte, p. 50.
  24. ^ La Notte, p. 81.
  25. ^ Night, p. 86.
  26. ^ Night, p. 87.
  27. ^ La Notte, p. 94.
  28. ^ Night, p. 100.
  29. ^ a b c Night, pp. 102–105.
  30. ^ La Notte, pp. 107–109.
  31. ^ Wiesel 1979, p. 15.
  32. ^ Wiesel, Rivers, p. 240.
  33. ^ a b c Wiesel, Rivers, p. 319.
  34. ^ Rivers, p. 241.
  35. ^ Kremer 2002.
  36. ^ a b c d "Elie Wiesel", intervista con Wiesel, Academy of Achievement, June 29, 1996.
  37. ^ Per Georges Borchardt, vedere Weissman 2004, p. 65.
    • Per la citazione di Wiesel, vedere Wiesel 1996, p. 325.
  38. ^ Samuels 1960.
    • Per la citazione su Hill & Wang, see Wiesel 1996, p. 325.
  39. ^ "Winfrey selects Wiesel's 'Night' for book club", Associated Press, 16 January 2006.
  40. ^ Per le 300,000 copie all'anno, vedere Weissman 2004, p. 65.
    • Per le cifre del 2011, vedere Franklin 2011, p. 69.
  41. ^ Per la nuova traduzione e prefazione, vedere Memmott 2006.
  42. ^ Per Weissman e Fine, vedere Weissman 2004, pp. 65–67.
    • Per la testimonianza oculare, vedere Wiesel, Rivers, p. 79.
  43. ^ Manseau, undated.
  44. ^ a b Seidman 1996.
  45. ^ Seidman 1996; Wiesel, Rivers, p. 241.
  46. ^ Franklin 2011, pp. 71, 73.
  47. ^ Weissman 2004, pp. 67–68.
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