Murattiani

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Murattiani
LeaderGuglielmo Pepe
Michele Carrascosa
StatoBandiera delle Due Sicilie Due Sicilie
SedeNapoli
Fondazione1815
Dissoluzione1860
IdeologiaMonarchia costituzionale
Conservatorismo liberale
Liberalismo (in parte)
Centralismo
Nazionalismo romantico[1][2]
CollocazioneCentro-destra/Destra

I murattiani furono un gruppo politico e militare del Regno delle Due Sicilie, attivo principalmente nei primi anni del Regno. Erano soprattutto funzionari e generali, ma anche intellettuali di formazione illuministica, che avevano prestato servizio sotto il re di Napoli Gioacchino Murat e che dopo la restaurazione della monarchia borbonica al termine delle guerre napoleoniche, erano rimasti fedeli ai suoi ideali e a quelli diffusi in Italia dalla rivoluzione francese.[3][4] Per questo motivo i Borbone dubitavano della loro fedeltà.

Ferdinando I re di Napoli giura la costituzione nel 1820, litografia di Gabriele Castagnola. I murattiani erano, insieme ai carbonari, i principali sostenitori della costituzione napoletana

I murattiani non erano un partito politico strutturato, bensì una élite dalle tendenze eterogenee. La loro principale rivendicazione era la promulgazione di una costituzione[5] e facevano pressioni sul re Ferdinando I per riforme liberali nell'amministrazione dello Stato e per la concessione di un parlamento.[6] Erano centralisti, in quanto si opponevano all'indipendenza della Sicilia dal Regno, seppur accettassero una parziale autonomia,[7] ed erano di tendenze patriottiche, in quanto ex sostenitori del proclama di Rimini di Murat durante il suo tentativo di unificare l'Italia, ed anche, nella maggior parte, ex sostenitori della Repubblica Napoletana del 1799. Per questo motivo, nel 1821 si opposero all'invasione austriaca delle Due Sicilie per ripristinare la monarchia assoluta. Alcuni di essi, come Guglielmo Pepe e Pietro Colletta, erano moderati e simpatizzavano per la Carboneria, mentre i più conservatori, come Michele Carrascosa, non erano completamente liberali, diffidavano dei carbonari e si mantenevano su posizioni conservatrici e moderatamente clericali. Anche i più conservatori comunque si distanziavano dai reazionari, fortemente contrari alla costituzione e al parlamento, apertamente filo-borbonici e clericali.

I murattiani furono inizialmente sostenuti dal presidente del Consiglio Luigi de' Medici di Ottajano e dal ministro Donato Tommasi, esponenti del dispotismo illuminato, attraverso la politica dell'amalgama, con la quale si integrava nella legislazione delle Due Sicilie i codici e le riforme del decennio francese e si amalgamava la burocrazia borbonica con quella napoleonica,[8] ma quando nel 1821 i moti liberali furono repressi, furono costretti a fuggire dal Regno, o addirittura dall'Italia, per evitare la condanna a morte,[9] oppure cambiarono schieramento, decidendo di appoggiare in modo definitivo la monarchia borbonica, come nel caso di Carlo Filangieri.[10]

Il generale Guglielmo Pepe alla battaglia di Rieti-Antrodoco. Nel 1821 i generali murattiani difesero il Regno delle Due Sicilie dall'invasione austriaca

Tuttavia i murattiani non scomparvero con la repressione austriaca degli anni 1820, ma tornarono brevemente sulla scena politica nel 1830-1831, quando il re Ferdinando II ne richiamò molti per prendere parte alle nuove timide riforme liberali e burocratiche. Ricomparvero di nuovo durante la prima guerra d'indipendenza italiana, quando Ferdinando II, sulla scia dei moti siciliani e campani, concesse la costituzione[11] e il parlamento, e di conseguenza gli esuli poterono tornare nel Regno. Durante il biennio 1848-1849 i murattiani servirono nuovamente la monarchia borbonica e furono nominati Paria delle Due Sicilie. Pepe fu nominato comandante delle truppe inviate nell'Italia settentrionale al fianco del Regno di Sardegna, mentre Filangieri combatté contro la rivoluzione siciliana.[12] In particolare Pepe, in seguito al ritiro dalla guerra delle Due Sicilie, decise di disertare e rimase a combattere gli austriaci,[13] motivo per il quale, dopo la fine dell'ondata rivoluzionaria, fu nuovamente condannato all'esilio.[14] Gli altri murattiani che si erano opposti al ritiro napoletano e alla soppressione del costituzionalismo, si ritirarono a vita privata.

Ferdinando II delle Due Sicilie giura la costituzione nel 1848

Durante gli anni '50 alcuni degli esponenti ancora in vita del gruppo, aderirono al nuovo movimento, di più ampio supporto politico e legato al Secondo Impero francese, denominato murattismo. In base agli accordi di Plombières, fu infatti paventato di scacciare i Borbone ed affidare il trono delle Due Sicilie a Luciano Murat, figlio di Gioacchino,[15] ma a seguito degli sviluppi della seconda guerra d'indipendenza, ciò non avvenne. Infine, con la scomparsa del Regno nel 1860 a seguito della spedizione dei Mille, il gruppo murattiano cessò definitivamente di esistere.

Carlo Filangieri, principe di Satriano. Nel 1859, presidente del Consiglio dei ministri del Regno delle Due Sicilie, tentò di trattare un'alleanza franco-sardo-napoletana e si adoperò per la concessione di una nuova costituzione, ma invano. Alla sua morte nel 1867, era l'ultimo importante ex murattiano ancora in vita

.

Esponenti principali[modifica | modifica wikitesto]

Presidenti del Consiglio[modifica | modifica wikitesto]

Tra gli uomini che servirono il Regno di Napoli murattiano, tre ricoprirono successivamente la carica di presidente del Consiglio dei ministri del Regno delle Due Sicilie:

Civili[modifica | modifica wikitesto]

Militari[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Gianluca Formichi, Il Risorgimento: 1799-1861, Firenze, Giunti, 2003, p. 49.
  2. ^ Clelia Nascimbene Pasio, Patriottismo romantico e patriottismo classico nei prodromi del risorgimento italiano, Bologna, Zanichelli, 1931, p. 104.
  3. ^ IL DECENNIO FRANCESE, su Cose di Napoli, 14 luglio 2017. URL consultato l'8 dicembre 2021.
  4. ^ LA NAPOLI DI GIOACCHINO MURAT – HistoriaPage, su historypage.it. URL consultato il 14 dicembre 2021.
  5. ^ Natale Vescio, Nicola Nicolini e la Costituzione napoletana del 1820, Modena, Enrico Mucchi Editore, Archivio giuridico Filippo Serafini, 2015, CCXXXV, 1.
  6. ^ Colletta, vol. II, Capitolo secondo.
  7. ^ Palmieri.
  8. ^ Luigi Blanch, Luigi de' Medici come uomo di stato ed amministratore, Archivio storico per le province napoletane, L[1927], pp. 1-198.
  9. ^ Colletta, vol. II, Capitolo III.
  10. ^ Filangieri Fieschi Ravaschieri.
  11. ^ Horst Dippel (a cura di), Constitutions of the world, Vol. 10: Europe, De Gruyter, 2010, p. 492. Ospitato su Google libri.
  12. ^ Filangieri Fieschi Ravaschieri, pp. 172, 175.
  13. ^ Scardigli, pp. 137-138.
  14. ^ (EN) Ronald S Cunsolo, Venice and the Revolution of 1848–49, in Encyclopedia of Revolutions of 1848, Ohio University. URL consultato il 22 novembre 2008 (archiviato dall'url originale il 20 dicembre 2008)..
  15. ^ (EN) AFFAIRS IN FRANCE; The Difficulties among the Free Masons Prince Lucien Murat and his Proceedings The Election of Prince Napoleon as Grand Master., in The New York Times, 17 giugno 1861.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]