HMS Thetis (1890)

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HMS Thetis
HMS Thetis dopo la conversione in posamine
Descrizione generale
TipoIncrociatore protetto
ClasseApollo
Proprietà Royal Navy
CantiereJohn Brown & Company, Glasgow
Impostazione23 ottobre 1889
Varo13 dicembre 1890
Entrata in servizioaprile 1892
Caratteristiche generali
Dislocamento3.600
Lunghezza95,7 m
Larghezza13,31 m
Pescaggio5,33 m
Propulsione2 macchine a vapore a triplice espansione
5 caldaie
2 eliche
7.000 ihp (5.200 kW)
Velocità19,75 (a tiraggio forzato) nodi
Autonomia8.000 miglia nautiche a 10 nodi
Equipaggio273 (300 in tempo di guerra)
Armamento
Armamentoalla costruzione:
Corazzatura
Note
dati tratti da Conway's All The World's Fighting Ships 1860–1905[1]
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Il Thetis fu un incrociatore protetto britannico utilizzato dalla Royal Navy dal 1893 al 1918.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il White Ensign sventola sul relitto del Thetis nella rada di Zeebrugge fuori dall'imboccatura del canale navale, 24 ottobre 1918.
Fotografia aerea che mostra le conseguenze del raid di Zeebrugge. Le navi da blocco britanniche, da sinistra a destra: Intrepid, Iphigenia, Thetis.

Il Naval Defence Act 1889 portò la Royal Navy ad emettere ordini per la costruzione di ordini per 21 incrociatori protetti di seconda classe costituenti la classe Apollo.[1]

Il Thetis aveva una Lunghezza fuori tutto di 95,7 m, una larghezza di 13,31 m e un pescaggio di 5,64 m.[1] Il dislocamento della nave era di 3.600 tonnellate lunghe (3.700 t).[1] Era una delle 10 navi della classe rivestita in legno e rame per ridurre le incrostazioni di cirripedi in carena.[1]Un ponte corazzato compreso tra 32 e 51 mm proteggevano i caricatori e l'apparato motore della nave, mentre la torre di comando aveva 76 mm di protezione, mentre gli scudi dei cannoni da 152 mm avevano 110 mm di protezione.[1] L'armamento era composto da 2 cannoni QF 6 in/40 da 152 mm in installazioni singole erano montati a prua e a poppa sulla linea centrale della nave, 6 cannoni QF 4.7 in Mk. I-IV da 120 mm in installazioni singole, tre per ciascuna fiancata.[1] Per la protezione contro gli attacchi delle torpediniere vi erano 8 cannoni QF 6-pounder Hotchkiss da 57 mm in installazioni singole, e 1 cannone QF 3-pounder Hotchkiss da 47 mm in installazioni singole.[1] L'armamento silurante era composto da 4 tubi lanciasiluri da 356 mm.[1] La potenza motrice era pari a 7.000 ihp (5.200 kW), per una velocità di 18,5 nodi, anche se a tiraggio forzato furono raggiunti i 9.000 CV (6.700 kW) e i 19,75 nodi.[1] La capacità di carbone era di 535 tonnellate.[1] L'autonomia massima era pari a 8.000 miglia nautiche a 10 nodi.[1] La sua prima missione significativa fu un servizio nella Bering Sea Patrol insieme a navi da guerra americane in uno sforzo combinato per sopprimere il bracconaggio nel mare di Bering.

All'inizio del 1894 venne ordinato che il Thetis sarebbe stato uno dei quattro incrociatori a sostituire i suoi vecchi cannoni da 6 pollici con nuovi modelli a tiro rapido.[2] Al comando del captain William Stokes Rees, dal 21 giugno 1899 all'8 giugno 1901[3] prestò servizio in Mediterraneo e presso la stazione navale del Capo di Buona Speranza fino al marzo 1901.[4] Fu posta in riserva a Chatham all'inizio del giugno 1901.[5]

Il captain Julian Charles Allix Wilkinson assunse il comando del Thetis, con un equipaggio di 273 uomini, a Chatham il 25 novembre 1902 destinato a raggiungere la Stazione navale britannica in Cina.[6] Salpò da Sheerness il 14 dicembre sostando a Gibilterra, Malta, e in altri porti, prima di arrivare a destinazione l'anno successivo.[7] Posto in riserva a Chatham nel luglio 1905, venne assegnato alla 3rd Division a Portsmouth.[8]

Insieme ad un certo numero di altre navi della sua classe, considerata obsoleta per il servizio come incrociatore, fu convertita in posamine presso il Portsmouth Dockyard. I lavori di conversione terminarono il 1 agosto 1907.[8] L'armamento fu ridotto a 4 cannoni Hotchkiss da 57 mm in installazioni singole. La nave era di stanza tra i porti di Dover e Sheerness. A metà del 1913 lo Iphigenia era attivo con lo squadriglia posamine della 2nd Fleet.[9]

Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, i sette posamine della classe Apollo posarono quasi 8.000 mine in 22 operazioni distinte. Tra il 1916 e il 1917 fu utilizzata come nave deposito.

Rientrato in Gran Bretagna fu selezionato per l'Operazione Z.O., che doveva portare al blocco dei porti di Zeebrugge e Ostenda e impedire il transito di sottomarini e altre imbarcazioni d'attacco tedesche da Bruges al Mare del Nord.[10] In particolare Thetis e Intrepid e Iphigenia furono assegnati al blocco del porto di Zeebrugge.[11][12] Prima dell'attacco furono sbarcati parte dei cannoni, e i tre incrociatori mantennero a bordo solo gli impianti di dritta, con i quali, durante l'avvicinamento all'imbocco del canale di Zeebrugge, avrebbero dovuto controbattere le artiglierie nemiche sparanti dal Mole.[11] Le tre unità avrebbero dovuto essere appoggiate nella loro azione dal Vindictive e da altre unità.[13]

Il tentativo a Zeebrugge prevedeva l'utilizzo di truppe di terra in appoggio ed ebbe luogo, in contemporanea con quello di Ostenda, il 23 aprile, preceduto dal bombardamento navale effettuato dai monitori della Royal Navy.[14] L'unità capofila, il Thetis (comandante Ralph Stuart Wykes-Sneyd), condusse la manovra di avvicinamento, ma nel cercare di evitare i proiettili nemici non riuscì ad evitare l'ostruzione retale posta a protezione della darsena con il risultato che essa si impigliò nelle eliche provocando l'arresto della nave.[13] Il Thetis, fuori controllo, andò ad incagliarsi nel basso fondale a est del canale dragato che portava all'imboccatura del porto.[13] Lo sparo di un razzo verde da bordo dell'incrociatore consentì alle altre due unità di defilare sul lato sinistro del Thetis e penetrare all'interno del canale di collegamento con il porto di Bruges passando per le acque dragate.[15] Penetrate nel canale e giunte a poche decine di metri dalle chiuse, l'Intrepid (tenente Stuart Bonham Carter) e l'Iphigenia (tenente Edward Whaley Billyard-Leake) vennero fatte intraversare mettendo tutta la barra da un lato e sfalsando le macchie motrici in maniera opportuna.[15] Le due unità vennero autoaffondate facendo esplodere le cariche di autodistruzione, mentre gli equipaggi furono portati in salvo dalle motolance di supporto.[15] I loro relitti furono demoliti dopo la fine della guerra.[16]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]


Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j k l Chesneau, Kolesnik 1979, p. 76.
  2. ^ Naval & Military Intelligence in The Times (London, England), Monday, January 15, 1894, Issue 34161, p.10.
  3. ^ The National Archives. ADM 196/19. f. 436.
  4. ^ Naval & Military intelligence, in The Times, No.36407, London, 20 March 1901, p.7.
  5. ^ Naval & Military intelligence, in The Times, No.36478, London, 11 June 1901, p.10.
  6. ^ Naval & Military intelligence, in The Times No.36935, London, 26 November 1902. p.12.
  7. ^ Naval & Military intelligence, in The Times, No.36951. London. 15 December 1902. p.6.
  8. ^ a b Gardiner, Gray 1985, p. 15.
  9. ^ The Navy List.', (July, 1913). p. 385.
  10. ^ Rizza 2021, p. 24-25.
  11. ^ a b Rizza 2021, p. 26.
  12. ^ Carpenter 1922, p. 74.
  13. ^ a b c Rizza 2021, p. 35.
  14. ^ Rizza 2021, p. 34.
  15. ^ a b c Rizza 2021, p. 36.
  16. ^ (EN) The London Gazette (PDF), n. 31189, 18 February 1919.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) A.F.B. Carpenter, The Blooking of Zeebrugge, London, Herbert Jenkins Ltd., 1922.
  • (EN) Roger Chesneau e Eugene M. Kolesnik, Conway's All The World's Fighting Ships 1860–1905, London, Conway Maritime Press, 1979, ISBN 0-85177-133-5.
  • (EN) J.J. Colledge e Ben Warlow, Ships of the Royal Navy: The Complete Record of all Fighting Ships of the Royal Navy, London, Chatham Publishing, 2006, ISBN 978-1-86176-281-8.
  • (EN) Robert Gardiner e Randal Gray, Conway's All The World's Fighting Ships 1906–1921, London, Conway Maritime Press, 1985, ISBN 0-85177-245-5.
Periodici
  • Claudio Rizza, Operazione Z.O., in Storia Militare, n. 339, Parma, Storia Militare Editore, dicembre 2021, pp. 22-37, ISSN 1122-5289 (WC · ACNP).

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