Augusto Ugolini

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Augusto Ugolini
NascitaPadova, 6 dicembre 1887
MorteRoma, marzo 1977
Dati militari
Paese servitoBandiera dell'Italia Italia
Forza armataRegio Esercito
ArmaFanteria
CorpoRegio corpo truppe coloniali della Cirenaica
Regio corpo truppe coloniali d'Eritrea
Anni di servizio1908-1948
GradoGenerale di divisione
GuerrePrima guerra mondiale
Guerra d'Etiopia
Seconda guerra mondiale
BattaglieBattaglia di Culqualber
Decorazionivedi qui
Studi militariRegia Accademia Militare di Modena
Notedati tratti da Combattenti Liberazione[1]
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Augusto Ugolini (Padova, 6 dicembre 1887Roma, marzo 1977) è stato un generale e militare italiano, che dopo aver partecipato alla prima guerra mondiale e alla guerra d'Etiopia, si distinse particolarmente durante la seconda guerra mondiale nel corso della Campagna dell'Africa Orientale Italiana. Durante la battaglia di Culqualber diede prova di grande coraggio, tanto che il generale James, comandante delle truppe sudafricane, gli concesse di portare la sua pistola durante tutto il successivo periodo in cui rimase prigioniero di guerra. Decorato della Croce di Cavaliere dell'Ordine militare d'Italia della Medaglia d'oro al valor militare a vivente, di due Medaglie d'argento e due di bronzo al valor militare, e della Croce di Ufficiale dell'ordine della Corona d'Italia.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Nacque a Padova il 6 dicembre 1887,[1] figlio di Ugolino e Elisabetta Revere. Dopo aver frequentato le scuole medie a Brescia si trasferì a Torino, dove conseguì la laurea in scienze economiche e commerciali.[1] Nel gennaio 1908 si arruolò nel Regio Esercito come allievo ufficiale di complemento, nell’aprile dell’anno successivo divenne sottotenente del corpo di amministrazione.[1] Richiamato in servizio attivo, nel luglio 1912 fu trasferito in Libia assegnato in forza al 63º Reggimento fanteria operante nel territorio bengasino. Promosso tenente nel novembre 1915, chiese, ed ottenne, di essere rimpatriato per combattere sul fronte italiano. Venuto a conoscenza che suo fratello Bruno, in forza al 77º Reggimento fanteria[1] della Brigata "Toscana", era caduto in combattimento a San Giovanni di Duino, chiese di essere assegnato a tale reparto e di passare in forza all’arma di fanteria.[1] Frequentato il corso presso la Regia Accademia Militare di Modena fu mandato al 77º Reggimento fanteria, partecipando attivamente alle operazioni belliche.[1] Dopo la fine del conflitto, nel 1919 ritornò in Libia, in forza dapprima al 1º Reggimento coloniale, e poi al 265º Reggimento fanteria partecipando alle prima operazioni di riconquista della colonia.[1] Nel novembre dello stesso anno, dopo aver svolto una missione nel Mediterraneo Orientale, rientrò in Patria per prestare servizio reggimentale, segnalandosi come studioso di questioni militari e collaboratore della Rivista di Fanteria.[1] Nel corso del 1930 divenne maggiore, e dopo aver frequentato il corso di studi coloniali[N 1] e il relativo periodo come comandante di battaglione, con l’avvicinarsi dello scoppio della guerra con l’Etiopia, nel 1935 chiese il trasferimento in Eritrea.[1] Al comando dell’XI Battaglione eritreo partecipò alle operazioni belliche,[2] dove fu decorato con una Medaglia di bronzo al valor militare, ed al termine della guerra a quelle di grande polizia coloniale per la pacificazione dell’Impero, dove, promosso tenente colonnello e posto al comando del Gruppo bande del Goggiam,[N 2] fu decorato con due Medaglie d’argento al valor militare.[1]

Dopo l’entrata in guerra del Regno d'Italia, avvenuta il 10 giugno 1940, con il grado di colonnello partecipò alle operazioni belliche nel settore di confine con il Sudan, fino al ripiegamento nel settore dell’Amara, estremo baluardo dell’Africa Orientale Italiana. La sua brigata, rinforzata al I Battaglione carabinieri mobilitato, dal 240º e 67º Battaglione Camicie Nere, dal 67º Battaglione coloniale, da tre batterie d’artiglieria da 77/28 e 70/15,[N 3] e da altri reparti minori nazionali e coloniali,[N 4] ebbe il compito di occupare lo sbarramento montagnoso che si estendeva dal Lago Tana al massiccio del Denghel. Per la strenua difesa del passo di Culqualber, dal maggio all’ottobre 1941, che causò al nemico perdite importanti[N 5] fu citato tre volte sul Bollettino di guerra del Comando supremo.[N 6] Nel mese di novembre[2] il nemico lanciò l’attacco finale, con una serie di puntate offensive con l’impiego di carri armati, e precedute da violento fuoco di artiglieria.[2] Il giorno 21, sfruttando una vecchia pista tracciata dai portoghesi, e riattata dal genieri britannici, le ultime difese, ormai tenute da pochi militari, vennero aggirate, attaccate e travolte, con le forze sudafricane circondarono il suo posto di comando.

Ingaggiato combattimento con gli attaccanti, fu salvato a stenzo da un ufficiale sudafricano che gli fece scudo con il proprio corpo mentre un militare sudanese stava per traffiggerlo con la propria lancia. Il generale James, comandante del settore offensivo del nord, colpito dal suo coraggio gli concesse l’onore di portare la sua pistola durante tutto il periodo che trascorse in prigionia. Decorato con una seconda Medaglia di bronzo al valor militare, successivamente ricevette anche la Croce di Cavaliere dell'Ordine militare d'Italia e la Medaglia d'oro al valor militare a vivente, massima decorazione italiana. Rientrato in Italia nel novembre 1945, fu collocato in riserva nel 1948, venendo promosso ai gradi di generale di brigata ruolo d’onore nel 1950, di divisione nel 1958 e di corpo d’armata. Stabilitosi a Roma, ricoprì il ruolo di Presidente nazionale della Federazione Nazionale Combattenti Profughi e Italiani d’Africa (FeNCPIA). Si spense nella Capitale nel marzo 1977.

Onorificenze[modifica | modifica wikitesto]

Cavaliere dell'Ordine Militare d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
Medaglia d'Oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Ufficiale superiore di singolare perizia e di insuperabile rendimento, apostolo d’italianità, grandeggiava di superbo valore in numerose azioni di guerra. Durante due mesi di stretto assedio, susseguito a lungo periodo di aspri combattimenti con le truppe stremate dagli stenti, dalle privazioni e dalle perdite teneva testa a forze preponderanti, debellandole ripetutamente con azioni di audace aggressività, che gli meritarono degna esaltazione su tre bollettini di guerra. Esempio costante di grande eroismo, seppe mantenere le sue truppe ad un altissimo livello morale che le rese capaci della più strenua resistenza. Respinte fieramente ripetute offerte di resa preferiva la lotta cruenta per il prestigio e l’onore delle nostre armi; caduti da prodi i tre comandanti di battaglione, sommerse le sue truppe da schiaccianti forze, colpito gravemente da numerose schegge di bomba, rimaneva imperterrito al suo posto di dovere e continuava a combattere con estrema risolutezza. Sopraffatto, rifiutava di consegnare la pistola e persisteva in epica lotta fino all’esaurimento di ogni mezzo di offesa. Eccelso esempio di comandante capace e valoroso, esaltato anche dallo stesso cavalleresco avversario. Africa Orientale, ottobre -novembre 1941.[3]»
— Decreto Presidenziale 10 maggio 1949[4]
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Ufficiale superiore di provato valore, già distintosi durante la campagna etiopica ed i successivi cicli operativi di grande polizia coloniale, in una serie di operazioni condotte in regione aspra e seriamente insidiata da ingenti forze ribelli, guidava il suo battaglione con slancio, fermezza e sprezzo del pericolo, infliggendo all’avversario sanguinose perdite e costringendo il capo ribelle della regione alla fuga. In un successivo scontro sostenuto con considerevoli nuclei ribelli, li debellava, liberando la regione da ulteriori minacce. Esempio costante di elette virtù militari. Bicenà (A.O.I.), 13 settembre 1938
Medaglia d'argento al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Venuto a conoscenza che ingenti formazioni nemiche intendevano attaccare un presidio, le preveniva e, con abile manovra delle forze ai suoi ordini, assaliva l’avversario da differenti direzione, sbaragliandolo con gravi perdite. Durante sette ore di combattimento era a tutti di esempio, trascinando animosamente i dipendenti reparti con coraggio personale e sprezzo del pericolo. Sekalà Gabriel (Goggiam Enesbè), 7 dicembre 1938
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Esempio costante di belle virtù militari, sempre primo ove più ferveva il pericolo, trascinò animosamente all’assalto il suo battaglione alla conquista degli obiettivi assegnatigli, sgominando la tenace resistenza del nemico. Respingeva di poi ripetuti contrattacchi, contribuendo al successo delle nostre armi in una aspra giornata di combattimento. Af Gagà, 25 dicembre 1935
Medaglia di bronzo al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria
«Ufficiale superiore di non comune valore personale, in molti mesi di attività nel Goggiam, al comando di presidi isolati e colonne mobili dava prove costanti di elevati sentimenti militari, di spirito aggressivo e di ardita iniziativa che conduceva a buon termine. Comandante di un battaglione bande regolari ed artiglieria costituenti la retroguardia di una forte colonna in ripiegamento dal Goggiam, in condizioni difficili per la totale rivolta della popolazione, abilmente manovrando e audacemente impiegando la truppa ai suoi ordini, conteneva per molte ore con pieno successo la pressione dell’avversario, cui infliggeva sensibili perdite, dando importante contributo al buon successo dell’operazione. A.O., 17 febbraio 1941
Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia - nastrino per uniforme ordinaria
— Regio Decreto 27 ottobre 1940[5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Al termine del quale conseguì il diploma di cultura coloniale.
  2. ^ Tale gruppo bande fu via via trasformato in gruppo battaglioni, gruppo battaglioni rinforzato, e poi in Brigata coloniale.
  3. ^ Si trattava della 43ª con 3 cannoni da 77/28 e 40 artiglieri italiani e la 44ª, con 2 obici da 70/15 e 34 artiglieri eritrei.
  4. ^ Un plotone del genio forte di 65 nazionali e 23 coloniali, e un ospedaletto da campo con 2 medici ed il cappellano militare.
  5. ^ Il colonnello Ugolini non esitò mai a lanciare anche puntate offensive, catturando armi, munizioni, e viveri di cui si aveva estremo bisogno.
  6. ^ Riportiamo quella del 21 ottobre 1941: Durante la giornata di ieri aerei nemici hanno sorvolato le località di Comiso e di Licata (Sicilia) lanciando bombe esplose in gran parte nel mare: né vittime ne danni.
    In combattimenti aerei ingaggiati dai nostri cacciatori, al largo delle coste siciliane, due velivoli britannici sono stati abbattuti ed altri quattro efficacemente colpiti; nessuna perdita di nostri apparecchi. Nell'Africa settentrionale, consistenti formazioni da caccia della R. Aeronautica hanno attaccato elementi nemici in movimento sulla strada di Bugbug, nonché attendamenti e mezzi meccanizzati nella zona di Sidi el Barrani: diversi autocarri sono stati incendiati ed altri danneggiati.
    Apparecchi germanici hanno bombardato impianti e postazioni contraeree di Tobruk. L'avversario ha compiuto una incursione su Bengasi: qualche danno nella zona adiacente alla città. In Africa Orientale tre colonne di truppe nazionali e coloniali agli ordini del colonnello Augusto Ugolini, comandante del caposaldo di Culquabert, hanno effettuato nella giornata del 18 una sortita e sono penetrate profondamente nel territorio tenuto dal nemico. Dopo un violento combattimento, durante il quale veniva espugnato e messo a fuoco un caposaldo fortemente presidiato, l'avversario era volto in fuga e lasciava sul terreno oltre duecento uccisi. Le nostre colonne hanno catturato armi, materiale bellico e viveri. Nella vittoriosa azione si sono distinti per resistenza fisica e slancio aggressivo il gruppo carabinieri reali, i battaglioni camicie nere 14º e 240º ed il 67º battaglione coloniale. Nel Mediterraneo orientale nostri velivoli in ricognizione offensiva hanno attaccato ed affondato una nave mercantile nemica
    .

Fonti[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j k Combattenti Liberazione.
  2. ^ a b c Del Boca 1992, pp. 521-526.
  3. ^ Quirinale - scheda - visto 20 luglio 2017
  4. ^ Registrato alla Corte dei conti il 4 giugno 1949, Esercito, registro 16, foglio 39.
  5. ^ Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n.178, del 30 luglio 1941.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Angelo Del Boca, La caduta dell'Impero, in Gli Italiani in Africa Orientale, Volume 3, Bari, Laterza Editore, 1992.

Periodici[modifica | modifica wikitesto]

  • Cesare Vitale, Il nostro eroico 5º Presidente, in Le Fiamme d’Argento, n. 1, Roma, Associazione Nazionale Carabinieri, gennaio-febbraio 2012, p. 22.
  • Vittorio Cuomo, La battaglia del passo di Culqualber, in Storia Militare, n. 11, Parma, Ermanno Albertelli Editore, agosto 1994, pp. 14-18.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]