Non ragioniam di lor, ma guarda e passa

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Canto III de L'Inferno

Non ragioniam di lor, ma guarda e passa è un celebre verso della Divina Commedia di Dante Alighieri, diventato un modo di dire comune, sebbene con numerose varianti, uguali nel senso, ma modificate nel testo ("non ti curar di loro", "non parliam di loro", ecc.)[1].

Nel Canto III dell'Inferno, al verso 51 della diciassettesima terzina, Virgilio sta descrivendo i cosiddetti "ignavi" (un'attribuzione, in realtà, mai usata da Dante ma nata in seno alla critica), cioè i vili, "coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo":

«Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa.»

Dante, infatti, ha una pessima opinione di quelli che, per viltà, nella loro vita non si schierarono mai (gli ignavi), a differenza di lui, il cui destino (si pensi solo alla condizione di esule) fu proprio segnato dall'aver abbracciato idee politiche. Egli li pone nell'Antinferno, una collocazione che permette che i dannati possano perfino sentirsi superiori a loro: i malvagi, almeno, hanno scelto una strada, hanno preso una posizione, seppur quella della perdizione.

Per questo fa pronunciare a Virgilio la sdegnosa frase: di loro, che nessuna traccia hanno lasciato nel mondo, non vale neppure la pena parlare.

Il verso riprende Il Tesoretto di Brunetto Latini, maestro di Dante che sarà poi protagonista del Canto XV:

«ché molti sconoscenti
troverai tra le genti
che metton maggio cura
d'udire una laidura
ch'una cosa che vaglia
trapassa e non ti caglia»

Nel linguaggio comune questo modo di dire viene usato con un tono di biasimo, rivolgendolo a quelle persone per le quali non vale nemmeno la pena di sprecare parole di condanna: si deve solo andare oltre, soprassedendo in silenzio.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ non ti curar di lor, ma guarda e passa, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  2. ^ Brunetto Latini Il Tesoretto, introduzione e note di Marcello Ciccuto, BUR Milano 1985 p. 184 in nota: da confrontarsi con il "guarda e passa" dantesco

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