Marcello Guida

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Marcello Guida (Napoli, 1913Trieste, 8 aprile 1990[1][2]) è stato un poliziotto italiano. Funzionario di polizia, fu questore di Torino e di Milano.

Divenuto vice commissario del Corpo di pubblica sicurezza e inviato alla Divisione affari generali e riservati, Ufficio confino politico, nel 1937 fu nominato vice direttore della colonia penale di Ponza, nel 1939 della colonia di confino politico di Ventotene e poi, promosso commissario, ne divenne direttore.[3]

Il 28 luglio 1943 giunse nel piccolo porto dell'isola Benito Mussolini, che il governo Badoglio aveva deciso di confinare a Ventotene; ma Guida, direttore della colonia, per ragioni di sicurezza, considerata la presenza di quasi novecento confinati e della bene armata guarnigione tedesca (che si occupava di un potente radar), decise di non accogliere la corvetta Persefone che si diresse allora verso la vicina Ponza.[4] Guida restò a Ventotene fino ad agosto[5].

Dal 23 settembre 1943 fu trasferito alla questura di Roma e dal 22 gennaio 1945 commissario aggiunto a Marino.

Finita la guerra uscì assolto dal successivo processo per l'epurazione dopo la liberazione: avrebbe infatti ampiamente collaborato con il socialista Corrado Bonfantini delle brigate Matteotti,[6] mentre il comunista Ruggero Grieco in difesa di Guida scrisse una nota a Pietro Nenni, conservata nell'Archivio Centrale dello Stato-Affari dell'Alto commissario per le sanzioni contro il fascismo.[7] Tra i beneficiari dell'amnistia Togliatti, rimase quindi in Polizia e fece carriera divenendo negli anni successivi questore di Gorizia e di Trieste.

Nel 1968 è questore a Torino. Durante degli scontri nel corso degli scioperi degli operai FIAT del giugno e luglio 1969, venne ferito in fronte da una pietra e trasferito a Milano[8] dall'allora ministro dell'interno, Franco Restivo. Diresse quindi le indagini seguenti la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, spingendo verso la pista anarchica – poi rivelatasi un depistaggio[9] e fu coinvolto, come superiore del commissario Luigi Calabresi, nel caso dell'uccisione per defenestramento dell'anarchico Giuseppe Pinelli.

Fece scalpore nel dicembre 1969 il rifiuto dell'allora presidente della Camera, Sandro Pertini – recluso sotto il fascismo proprio a Ventotene –, arrivato in visita alla stazione di Milano Centrale dopo la morte di Pinelli, di stringergli la mano:[10] con il suo gesto Pertini volle porre seri dubbi sulla presunta collaborazione di Guida con la Resistenza oltreché, come aggiungerà in un'intervista del 1973 a Oriana Fallaci, sottolineare come su questi «gravava l'ombra della morte» di Pinelli.[10] In aggiunta a ciò, nella lettera aperta a L'Espresso del 13 giugno 1971 contro il commissario Calabresi, un centinaio di intellettuali denunciarono l'«arbitrio calunnioso» di Guida, in quanto aveva sostenuto che Pinelli si fosse suicidato.[11]

Nel corso del 1970, intanto, era stato promosso ispettore generale e trasferito al ministero dell'interno a Roma, fino alla pensione. Trasferitosi a Trieste, vi visse con moglie e due figlie sino al 1990, anno della sua morte all'età di 77 anni.[1]