Cremuzio Cordo

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Aulo Cremuzio Cordo (in latino Aulus Cremutius Cordus; 35 a.C. c.a. – 25 d.C.) è stato uno storico romano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della letteratura latina (14 - 68).

È senz'altro una delle figure di spicco della storiografia romana del dissenso, tesa ad esaltare il tramontato regime repubblicano contro il nuovo ordine imperiale retto dalla dinastia Giulio-Claudia.

Cremuzio, di estrazione senatoria, fu autore di Annales, una storia degli avvenimenti recenti di Roma impostata sulla tradizionale narrazione anno per anno in cui pianse le guerre civili e con cui bandì in eterno i proscrittori.[1] Entrato in contrasto con il prefetto al pretorio Elio Seiano, fu accusato da due clienti dello stesso, Satrio Secondo e Pinario Natta, di crimen maiestatis.[2]

Tacito ci dice:

(LA)

«Cornelio Cosso Asinio Agrippa consulibis Cremutius Cordus postulatur, novo ac tunc primum audito crimine, quod editis annalibus laudatoque M. Bruto C. Cassium Romanorum ultimum dixisset.»

(IT)

«Sotto il consolato di Cornelio Cosso e Asinio Agrippa fu sottoposto a giudizio Cremuzio Cordo per un reato di nuovo genere, noto allora per la prima volta: negli annali da lui scritti, dopo aver elogiato M. Bruto, aveva chiamato Cassio l'ultimo dei romani.»

Il suo scritto fu accusato anche di aver criticato il popolo e il senato di Roma e non aver mostrato il giusto rispetto nei confronti di Augusto e di Cesare.[3]

Cremuzio in senato davanti a Tiberio pronunciò un discorso in cui difese la sua opera e la libertà dello storico di conservare la memoria, ricordando alcuni storici di età augustea che avevano lodato Bruto e Cassio, come Tito Livio, Asinio Pollione e Marco Valerio Messalla Corvino, senza subire processi.[4]

Cremuzio chiuse la sua difesa dicendo:

(LA)

«[...] An illi quidem septuagesimum ante annum perempti,quo modo imaginibus suis noscuntur, quas ne victor quidem abolevit, sic partem memoriae apud scriptores retinent? suum cuique decus posteritas rependit; nec derunt, si damnatio ingruit, qui non modo Cassii et Bruti, sed etiam mei meminerint.»

(IT)

«[...] O forse essi, settant'anni dopo la morte, non dovranno avere una parte nella memoria degli scrittori, così come sono noti i loro volti nelle statue che nemmeno il vincitore ha soppresso? La posterità rende a ciascuno il suo onore; e se mi incombe una condanna, non mancherà chi si ricorderà non solo di Bruto e Cassio, ma anche di me.»

Avendo capito che sarebbe stato condannato preferì lasciarsi morire di fame.[5] Seneca descrive la morte di Cordo nella Consolatio ad Marciam: Cordo, per ingannare la figlia Marcia e i servi si faceva servire in stanza il cibo, ma poi lo buttava di nascosto dalla finestra. In questo modo dopo qualche giorno, completamente debilitato, salutò la figlia, si chiuse nella sua stanza e morì. Il Senato decretò che tutti i libri con la sua opera fossero bruciati dagli Edili. In seguito i suoi Annales furono ripubblicati[6] durante il regno di Caligola.[7] Oggi della sua opera ci rimangono solo pochi frammenti.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Seneca, Consolazione a Marcia, 26, 1. Quo civilia bella deflevit, quo proscribentis in aeternum ipse proscripsit.
  2. ^ Tacito, Annali, IV, 34, 2.
  3. ^ Cassio Dione, Storia romana, LVII, 24, 3.
  4. ^ R. Syme, La rivoluzione Romana, Torino 1962, p. 490; Tacito, Annali, IV, 34, 3-5 e 35, 1-4.
  5. ^ Tacito, Annali, IV, 35, 4; Cassio Dione, LVII, 24, 2.
  6. ^ Tacito, Annali, IV, 35, 5; Cassio Dione, LVII, 24, 4. Cassio Dione ci dice che a nascondere delle copie fu sua figlia Marcia, la stessa a cui Seneca scrive la Consolazione a Marcia, esaltando la figura di suo padre Cremuzio.
  7. ^ Svetonio, Vita dei Cesari, IV, 16.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Ronald Syme, La rivoluzione romana, Torino, Einaudi, 1962.
  • Luciano Canfora, Studi di storia della storiografia romana, Bari, Edipuglia, 1993, pp. 221-240.
  • Cremuzio Cordo, Gli Annali. Testimonianze e frammenti, a cura di M. Lentano, Milano, 2021, La Vita Felice.

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