Coordinate: 39°04′20.32″N 17°01′38.61″E

Papanice: differenze tra le versioni

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Papanice
frazione
Papanice – Veduta
Papanice – Veduta
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Calabria
Provincia Crotone
Comune Crotone
Territorio
Coordinate39°04′20.32″N 17°01′38.61″E
Altitudine156 m s.l.m.
Abitanti3 456[1] (2011)
Altre informazioni
Cod. postale88843
Prefisso0962
Fuso orarioUTC+1
Codice ISTAT101010
Cod. catastaleD122
TargaKR
Nome abitantipapanicesi (o papaniciari)
PatronoSan Pantaleone
Giorno festivo27 luglio
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Papanice
Papanice

Papanice (Papanici nel dialetto locale) è una frazione di Crotone di 3.456 abitanti e dista dal capoluogo di provincia 11,5 km.

Papanice, pur essendo una frazione di Crotone, se ne distingue per usi, costumi, tradizioni e dialetto.

Confini

Papanice confina a nord con il territorio del comune di Scandale, paese posto a 18 km; ad ovest e a sud con il territorio del comune di Cutro, paese posto ad 8 km; ad est con il territorio del Comune di Crotone, da cui dista km 11,5 (Papanice, piazza Mameli - Crotone, piazza Pitagora) e ne costituisce la parte più interna verso le prime colline del Marchesato.

Popolazione

Papanice conta attualmente un'alta percentuale di laureati e studenti universitari (oltre 300), la maggior parte dei quali da un decennio a questa parte ha scelto come città di studio Cosenza, ove esiste un'ottima università.

Oltre all'agricoltura, un altro importante settore è il lavoro impiegatizio: infatti, l'80% dei papanicesi lavora a Crotone.

Una disputa che va avanti da anni è se gli abitanti di Papanice debbano chiamarsi papanicesi o papaniciari: la prima forma è quella italiana; la seconda è la forma usata nel dialetto, così come il nome del paese che in dialetto cambia l'ultima vocale in "i", Papanici.

Storia

La stazione, ormai abbandonata, di Papanice-Apriglianello.

Si trova accorpata alla città a partire dal 1806 a seguito di una riforma amministrativa operata da Gioacchino Murat. Precedentemente, Papanice aveva una propria autonomia amministrativa, era una Universitas (un attuale comune) con un proprio sindaco, aveva un proprio simbolo rappresentato da San Nicola al centro con tutt'intorno la scritta latina San Nicolaus protector terrae Papanici (San Nicola protettore della terra di Papanice), simbolo rinvenuto dall'Avvocato Fiorenzo Adolfo Trocino presso l'Archivio di Stato di Napoli, nei volumi del Catasto onciario di Papanice del 1755. Così come si evince dalla foto in alto a destra che riporta il simbolo fotografato sui libri del Catasto Onciaro del Regno delle due Sicilie, provincia di Calabria Ultra, distretto di Cotrone, università di Papanice. La firma sotto il simbolo è del cancelliere Franco, colui che ha redatto manualmente l'atto.

Il sindaco di Papanice, in quello stesso anno, fu Stefano Pangari.

Gli Sculco e Papanice

Gli Sculco erano una delle più importanti e potenti delle sette nobili famiglie greche che fondarono Papanice il 2 aprile 1406. In seguito al matrimonio tra Don Tommaso Domenico Sculco e Vittoria Lucifero si trasferirono a Crotone nel 1683, ma non tralasciarono mai il legame con Papanice: fino a quell'anno, infatti, abitarono l'unico palazzo del Seicento ancora presente nel paese, ed è proprio il Palazzo Sculco (oggi Palazzo Noce-Carvelli) che dà sulla piazza principale. Pur essendo un grande possidente terriero, Don Tommaso Domenico Sculco non riuscì ad inserirsi tra i nobili crotonesi, cosa che riuscì al figlio Don Francesco Antonio Sculco, nel 1734, all'insediamento dei Borboni con Carlo III. Infatti, questi riuscì ad ottenere un seggio tra i nobili di Crotone. Il legame con Papanice restava comunque forte: infatti il padre, morendo, aveva stabilito per testamento che i contadini di Papanice non dovevano essere abbandonati, che da loro dipendeva la richezza della famiglia Sculco; pertanto, se costoro avevano necessità di soldi, di sementi per la semina, attrezzi e quant'altro dovevano essere loro forniti, il tal modo si sarebbero assicurati il raccolto del grano duro. Don Francesco Antonio Sculco aveva ricevuto in eredità dal padre grossi possedimenti terrieri ed alle sue dipendenze lavoravano buona parte dei braccianti agricoli di Papanice. Nato nel 1700 da Don Tommaso Domenico Sculco e Vittoria Lucifero, morì nel 1767; sia lui che il padre riposano all'interno della chiesa di San Giuseppe di Crotone. Ancora oggi vi sono le lapidi a ricordo nell'ultima cappella sul lato destro della chiesa.

Papanice fu la loro ricchezza, derivata soprattutto dalla coltivazione del grano duro. È vero che Papanice era una universitas e aveva una propria autonomia amministrativa, oltre che un proprio sindaco e un proprio bilancio, ma di fatto era sottomessa alla potente famiglia Sculco. Prima Don Tommaso Domenico (1664-1734), e poi Don Francesco Antonio (1700-1767) avevano il controllo del mercato del grano duro prodotto a Papanice: infatti, all'inizio di ogni semina, nel mese di novembre, erano loro a fornire ai contadini sia i mezzi (aratri, muli, bovini) che le sementi e, a volte, anche piccoli prestiti in danaro. In questo modo, si assicuravano il raccolto nel mese di giugno dell'anno successivo. Il grano prodotto dai contadini di Papanice pagato a tomolo (circa 50 kg) veniva prima ammassato nei magazzini di Crotone, e poi rivenduto al triplo sul mercato di Napoli. Il trasporto veniva effettuato con le navi dal porto di Crotone, di cui gli Sculco e i Lucifero ne riscuotevano anche i diritti doganali per le merci imbarcate. La moneta in vigore all'epoca era il ducato (500 € attuali) e i suoi sottomultipli:

Verso la fine del Settecento periodi di lunghe carestie (tra cui si ricorda quella più critica dal 1759 al 1765) ed un forte terremoto verificatosi il 14 febbraio 1783, decimarono la popolazione che dai 3.000 di inizio secolo passò a circa 300.

Persone legate a Papanice

Luoghi principali

Chiesa della Pietà

Di interesse storico è sicuramente la Chiesa della Pietà, ove si può ammirare una tela ottocentesca raffigurante, appunto, la Madonna della Pietà, restaurata di recente (2007) e restituita all'antico splendore.

Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, detta di San Pantaleone

All'interno della Chiesa dei Santi Pietro e Paolo si possono ammirare, entrando sul lato destro, un fonte battesimale del Cinquecento. La particolarità di questo fonte battesimale è il piedistallo su cui poggia: infatti, raffigura il corpo di un lupo. Sempre sul lato destro troviamo un crocifisso ligneo del Seicento, posto all'interno di una nicchia di pietra lavica ad opera di Gregorio Carnevale. Il crocifisso ligneo è stato restaurato nel 2007. Sopra l'altare principale, si può vedere la statua di San Pantaleone, il protettore della suddetta frazione, che si festeggia il 27 luglio. Infine, sulla volta è possibile ammirare una tela, opera di Gisella Arrigo (un'artista locale), denominata La Gloria di San Pantaleone.

Coltivazioni agrarie

Vi si coltiva soprattutto il grano duro, ma sono anche notevoli le coltivazioni stagionali quali finocchi, barbabietole e pomodori; questo nelle zone in cui è possibile attingere dell'acqua tramite condotte forzate, o tramite laghetti artificiali.

Sono presenti altresì numerosi uliveti, la cui raccolta delle olive e l'olio prodotto è ad uso e consumo delle singole famiglie.

Numerose sono le piantagioni di eucalipto: questo tipo di albero, contenente un'alta percentuale di cellulosa, fu impiantato a partire dagli anni cinquanta dopo la costruzione a Crotone della cartiera. La coltivazione di questi alberi doveva servire per l'approvvigionamento di quest'industria. Da qualche anno la cartiera non è più funzionante. Papanice era famosa anche per la coltivazione dei piselli, rinomati in tutta la regione, adesso se ne coltivano piccoli appezzamenti ad uso e consumo delle singole famiglie; l'incentivazione della coltivazione di questo legume potrebbe rappresentare una possibile ricchezza per la frazione, ma ormai sono pochi coloro che si dedicano all'agricoltura: infatti, mentre fino al 1960 occupava quasi il 90% della popolazione, adesso ne occupa circa l'8%.

Tradizioni culinarie

I crustuli

Sono dei dolci fritti fatti con farina di grano tenero, ottenuti da un impasto molto liquido. Acceso il fuoco al tegame contenente l'olio le donne, preso in un pugno l'impasto, fanno dei cerchi sopra all'olio bollente facendovi scendere l'impasto; questo prende subito forma e si gonfia unendosi in una forma vagamente circolare. Con un mestolo metallico viene girato per farlo cuocere anche dall'altra parte. A cottura terminata, che dura poco meno di un minuto, di solito vengono consumati caldi prima passandoli in un piatto contenente zucchero, e poi in un altro contenente vino cotto. La parola crustulo deriva dal latino "crustulum" che significa tarallo, ed infatti nell'antica Pompei i crustulari erano i venditori di taralli. Pertanto poiché la forma del crustulo è circolare sembra corretta questa derivazione. A Crotone invece con questo nome indicano il dolce successivo che a Papanice è chiamato tardillo, dunque sbagliando ed ignorando l'origine del nome.

I tardiddri

Sono dei dolci fritti fatti con farina di grano duro e ricoperti di miele. In genere si mettono in un piatto uno sopra l'altro. Se consumati dopo qualche giorno, sono difficili da staccare per via della solidificazione del miele.

Le cuzzupe

Lo stesso argomento in dettaglio: Cuzzupa.

La pitta

Anche questo è un dolce pasquale, ma vi sono persone che lo fanno anche a Natale. L'impasto è fatto con farina di grano duro, lievito, acqua. La sfoglia viene stesa con un mattarello al fine di farla sottile dopo viene stesa all'interno di una teglia circolare. La prima sfoglia è la base della pitta perciò deve coprire l'intera teglia; le successive sono tagliate a strisce, all'interno della striscia si mette uva passa e mandorle, poi la si avvolge in modo da formare una girella e la prima si colloca al centro della teglia; poi si prosegue man a mano con le altre strisce, dal centro verso i bordi della teglia; quando la teglia è ultimata è informata per circa un'ora e mezza a 200 gradi; all'uscita alcuni la guarniscono con liquori, altri con olio d'oliva, altri ancora con il miele. Altra usanza tipica è quella di informare questi dolci nei tre forni del paese, Trocino, Cardace e Le Rose, poiché vi possono essere delle teglie simili ognuno le contraddistingue con un segno di riconoscimento quale può essere un confetto, uno stuzzicadenti o vista la settimana santa in cui vengono confezionati, un ramoscello d'ulivo.

Voci correlate

Collegamenti esterni

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